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RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 19 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Sky

RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 19 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Sky

RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 19 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Skype.
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 9, 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 4 dall’Italia e cioè da Perugia, da Acerra, da Alghero (Sassari) e da Cogoleto (Genova) e 4 da qui da Monaco, con provenienza da Napoli, da Salerno, da Roma e da Monaco.
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono ormai quasi dappertutto ed incontrarci, con punti di vista così diversi, diventa sempre più affascinante. Le nostre storie s’intrecciano le une con le altre, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo, se solo potete:

- Così Mario da Alghero (Sassari) a proposito del suo monumento - La vela ingabbiata-, da poco inaugurato, dedicato ai sei pescatori di Alghero, mitragliati nel 1943 nella costa del Lazzaretto,
 
"L’ora nona ( l’ora in cui sembra che morì Gesù )

All’ora nona
urlò il mare
e si fece notte.
Anche oggi
si è fatto buio
a Washington e a Mosca
a Londra e a Berlino
a Parigi e a Roma.
Piangono lacrime di sale
e attendono
i bambini
ad Aleppo e a Kiev,
i bambini
di Kabul e Sarajevo
i bambini di  Baghdad
e di Alghero.
Non nasce più l’erba
in primavera,
neanche le lacrime
dei bambini
bagnano
il deserto degli uomini."


E poi Mario ha così continuato con:

"DONNE NELL’ARTE
La donna protagonista nell’arte

-Levina Teerlinc 1510-1576
Fu miniatrice e ritrattista alla corte dei Tudor,
- Sofonisba Anguissola 1532-35 m 1625
Nasce a Cremona  è considerata la prima pittrice italiana (e alcuni sostengono europea) per eccellenza.
- Marietta Robusti1554-1590
Fu la primogenita di Tintoretto. La sua vita è stata una delle più tormentate della sua epoca.
- Lavinia Fontana 1552-1614
Figlia del manierista Prospero, è influenzata nella sua prima produzione dai Carracci, Veronese e Parmigianino. Arriva alla corte papale nel 1603
- Artemisia Gentileschi 1593-1652-56
E’ forse l’emblema del femminismo in arte. Fino alla sua morte dovette lottare per affermarsi come artista a causa dei pregiudizi e del famoso processo per stupro che la coinvolse direttamente.
- Elisabetta Sirani 1638 muore prima del 1670
Figlia di un pittore collaboratore di Guido Reni. Dovette lottare più volte, soprattutto nei primi anni di produzione artistica, contro i pregiudizi sulle pittrici.
- Rosalba Carriera 1673-1757
Pittrice veneziana che seppe sfruttare la sua fama per creare un circolo che raccolse gli intellettuali più famosi di Venezia.
- Frida Kahlo 1907-1954
Le opere che raccontano la sua solitudine e la sua tormentata vita diventano così specchio del disagio postmoderno.
- Natal’jaSergeevnaGončarova 1881-1962
Fu un’artista che seppe abbracciare le diverse avanguardie che scuotevano l’inizio del ‘900…
- Tamara De Lempicka 1898-1980
La produzione artistica di Tamara De Lempicka, recentemente rivalutata, è il simbolo della potenza comunicativa della corrente dell’Art Déco.

Grazie Mario e bentornato tra noi!


- Così Anna di Genova, ma da Cogoleto, con PAGLIERI, Claudio “Liguri”. Collana Le guide xenofobe, Ed. Sonda, Torino 1996"
(Ironico, caricaturale, un ritratto irriverente dei migliori difetti dei Popoli d’Italia)
"La Liguria? Non esiste.
La grande maggioranza dei turisti che arriva in Liguria lo fa scendendo da Nord, dopo aver affrontato chilometri di nebbia in inverno o di code in estate. Nonostante lo stress, il visitatore ha il cuore sereno, allegro, pronto a godersi mare, sole e uno splendido paesaggio. Poche emozioni valgono quella di lasciarsi alle spalle l’ultima galleria dell’autostrada e trovarsi davanti, improvvisamente, il mare di Liguria inondato di luce.
Verrebbe quasi automatico pensare che in questa regione meravigliosa abiti un popolo vivace, solare, portato a godersi la vita giorno per giorno.
Niente di più sbagliato: al turista basteranno pochi giorni, anzi poche ore, per capire di non essere arrivato in un posto di spensierata vacanza, ma in santuario che i locali difendono con orgoglio e dove nessuno gli regalerà nulla, neppure un cenno di saluto.
In realtà bisogna stare attenti a parlare di Liguria e di Liguri: come accade in altre regioni d’Italia, le rivalità municipali sono molto forti e ogni città, ogni paese, è un mondo a parte dove tutti si sentono speciali e odiano i cugini: i savonesi non sopportano i genovesi, che a loro volta parlano male dei chiavaresi che non vedono di buon occhio gli spezzini, e così via. Tanto per darvi un’idea, in nessun dialetto della regione esiste un termine per dire Liguria.
Questo non vuol dire che i Liguri non esistano: a Ponente come a Levante, a Genova come a La Spezia il visitatore saprà riconoscere nella gente lo stesso tipo di accoglienza (fredda), la stessa socievolezza (nulla), la stessa tirchieria (forte); insomma una lunga serie di difetti, e qualche pregio, che dovrà imparare a sopportare, e se possibile a volgere in suo favore.
Un primo consiglio elementare è quello di sfruttare astutamente le rivalità della regione: se andate a Varigotti, esordite con un: ”Arrivo adesso da Genova: che sporcizia, che gentaglia, che schifo!”.
Se siete a La Spezia, mostratevi sinceramente stupiti e costernati dal fatto che non sia ancora stata creata la regione autonoma della Lunezia. A Genova, lamentatevi della brutta accoglienza ricevuta a Portofino. E così via.
Ma soprattutto, dovunque vi troviate, evitate di cadere subito nell’errore tipico del principiante foresto: quello di esaltare il mare, la spiaggia, e dire al vostro interlocutore: “Beato lei che può andarsene in giro in barca…”.
I veri liguri amano l’acqua più o meno come i gatti: hanno navigato sempre e solo per necessità, aspettando con ansia il momento di tornare alla loro casetta di campagna per coltivare l’orto. Sono legatissimi alla terra, hanno il carattere duro e chiuso tipico dei montanari, e non a caso la Liguria è territorio fertile per il reclutamento degli alpini. Perciò, se volete entrare in confidenza con il bagnino o il tabaccaio, non ditegli: “Ho fatto una gita in barca all’isola della Gallinara”, ma piuttosto “Mi piacerebbe arrampicarmi fino ad Aquila d’Arroscia”. Li vedrete illuminarsi, si offriranno come guide e non è da escludere che vi portino a bere un quartino di quello buono.
A patto, ovviamente, che paghiate voi.
Il mare, motivo principale che vi ha spinto in Liguria, per gli indigeni resta un nemico o perlomeno un avversario da temere e rispettare, e da cui non ci si può aspettare niente di buono: “Miga pe ninte u ciamman ma”, dice il proverbio.
E in dialetto la parola ma significa sia mare che male.

Liguri …………….
……………….
Il futuro.
Il futuro è una delle cose che i liguri odiano di più. Lo odiano perché porterà, ne sono certi, solo lutti e disgrazie.
Il ligure non ha fiducia nei progetti, nelle invenzioni, nelle scoperte scientifiche. Ogni volta che esce qualcosa di nuovo, il ligure dirà che nuovo non
è, perché già suo nonno aveva qualcosa di simile ( ma funzionava meglio); oppure dirà che sì, è nuovo, ma non serve a niente. Insomma si stava sempre meglio prima, e comunque l’oggi non è poi così male, se pensiamo a quello che ci aspetta domani.
L’umore diffuso in città è un ottimismo da Grande Depressione, e se passeggiando per strada non vedete gente buttarsi dalle finestre è solo perché, come i cugini inglesi, anche i liguri sono dotati di un grande self-control.
I figli.
La scarsa fiducia nel futuro è uno dei motivi per cui nella regione si fanno pochissimi figli. La vecchia battuta “Perché mettere al mondo un infelice?” devono averla inventata in Liguria.
Un altro motivo è che i figli costano, e non è affatto chiaro che siano un buon investimento: nessun imprenditore di buon senso assumerebbe un bambino appena nato, mantenendolo e vestendolo a sbafo fino all’età lavorativa. Così la regione è da tempo a crescita zero, e i pochi bambini che nascono sono quasi tutti figli di immigrati africani o bisnipoti di quelli siciliani.
Insomma, trovare un ligure autentico è sempre più difficile; il che non è necessariamente una gran perdita.
A proposito di figli: nella Legione Straniera un soldato ligure sta scavando una trincea. Arriva il capitano e dice: ”Parodi, c’è una lettera dei tuoi genitori”.
“I miei genitori? E che cosa vogliono? Avevo sei mesi quando mi hanno sbattuto fuori di casa!”.
“Dicono che gli devi sei mesi di affitto arretrato”.

Grazie Anna di questa divertente autoironia?

- Così Roberta di Salerno, ma da qui da Monaco:
"Sovente
conduco il mio corpo
nei pressi di un grande giardino.
Mi adagio, silente ed attendo sotto il fresco grondare
di foglie.
A volte
quei fogli di storie
lo leggo;
ne invento su queste e sopra la mia, di intrecci, di luoghi e di eventi.
Oppure curiosa
mi siedo a guardare le ombre che corrono incollate
a piedi veloci.
Chi urla Un autista incosciente chi chiama in bambino.
Rumori di auto e di clacson
frenata di moto
o il suo rombo.
Chi fuma,
l’altro che legge il giornale
E’ il ciclo continuo del giorno
ed attende
che duplichi domani.
Persone comuni,
qualunque,
mi girano intorno.
E’ solo,
soltanto movimento;
riciclo di atti incessanti.
Distratta mi assento.
Poi scorgo
quei visi di donne,
colori diversi di chiome.
Smarriti,
ignare del luogo.
Il contatto tra i corpi
cercato,
unite in un unico intento.
Cercare e trovarsi
Fra cento
Una mora
Dai lunghi capelli;
una rossa ricciuta, due occhi sgranati
La bionda
Fattezze di bambola
Di timida indole.
Infine
La piccola dolce
Sfiorando l’infanzia
Era li.
Castane le ciocche
Discendenti sul volto soave.
Condotte,
infilate nei passi
che miei, annoiati
 e poi lenti.
Di certo inattesi di porti,
 di isole, di ricchi tesori.

Per chi volesse ascoltare
l’inebriante scintillio di pensieri
 e lasciarsi cullare
dal dolce godimento del loro rincorrersi.
Per chi volesse sentire
 la costruzione magica,
 nel silenzio si udranno parole
 il cui scricchiolio, moltiplicandosi,
 produrrà boati e fragori simili
ad un temporale;
il suono scoppiando si spanderà tutt’intorno.
Per chi volesse gioire della pace
 è aftendersi all’ irrequietezza,
 padrona di ogni nostro sogno,
e non lasciarsi divorare
dai suoi morsi famelici.
Cercare e trovare i distillati più puri
 nascosti nei nostri dolori.
Da essi una scheggia di luce
 potrebbe possedere l’inizio della trama,
 celata dagli spasmi della nostra vita.
Perforando l’esplosione di suoni
 che ci circonda,
 raccogli il segreto.
Riabbassa lo sguardo su di te
 e potrai osservare
l’infinito nella mente.
Non avrai più timore
 e gli eserciti della notte
più potranno avere nessuna sorta di potere
 nel rovesciare o deviarne il senso.
Ascolta la tua e la mia anima unirsi
 entrando in simbiosi e………….. non ci sarà più bisogno di parole".

Grazie Roberta per questa sinfonia di sensazioni e sentimenti e benvenuta tra di noi.

- Lina di Laval, ma da Trois- Rivière, Québec ha raccontato dei fiori di casa che portava alla maestra. Erano dei peoni,  fiori grossi e molto profumati a maggio. Tanti bambini ne portavano e la maestra così alla fine era carica di fiori.
Poi ancora:
"La panetteria
Gironzolava senza stare attenta al clamore del mattino,  ne all’effervescenza dei mercanti che preparavano i loro banchi al mercato.
Come un automa, senza riflettere sulla strada percorsa, camminava lungo la direzione del profumo, esattamente dove la portava il naso. Man mano che si avvicinava, il buon odore intenso la faceva vibrare.
Ah! Quel profumo di pane appena cotto. che si spargeva nel quartiere!
I panini costeggiavano pagnotte di tanti tipi, allorché le " baguette " croccanti volavano via appena sfornate.
La fragranza,  onnipresente,  faceva scomparire il buio dei giorni tristi. Una fetta di pane spessa, spalmata di burro e di marmellata di albicocche, faceva svanire ogni pessimismo e avrebbe ridato la vita ad un moribondo.
La panetteria era il punto d’incontro della gioventù. Tornando a casa, faceva capire alle mamme, dove aveva trascorso la mattinata, perché i vestiti erano impregnati del profumo del pane.
Lei amava quell’ambiente festivo: le risate dei bambini, mischiate a quelle delle cliente che scappavano con il loro "bottino ".
Le donne scambiavano qualche notizia,  qualche confidenza  mormorata e tornavano a casa  con il cuore leggero.
Però c’era anche un’altra ragione per andare alla panetteria: lei era pittrice. Ogni giorno conservava in mente un dettaglio lungamente osservato, che dopo riproduceva su un telo. Così, giorno dopo giorno,  mese dopo mese, fissava la panetteria e  le sue clienti sopra un telo gigante.  
Il giorno dello svelamento è poi un giorno arrivato. Ha fatto trasportare da 3 persone la grandissima tela nella panetteria.
C’è festa ora e tutti danno il loro commento "d’esperti", facendo tanti complimenti all’opera.
Durante i giorni seguenti ha in seguito subito preparato il trasloco verso un’altra parte della città, vicino ad un’altra panetteria, dove ha cominciato un altro quadro con altre persone.
Così andava avanti: con bellezza,  fragranza e risate."

Grazie Lina. Ora comprendiamo meglio, perché hai scelto di aprirne una tutta tua.

- Così Eva di e da Monaco:
/Tradotto dall’inglese-"The Panther" è una poesia di Rainer Maria Rilke, scritta tra il 1902 e il 1903. Descrive una pantera catturata dietro le sbarre, poiché era esposta nella Ménagerie del Jardin des Plantes a Parigi)

"LA PANTERA

NEL JARDIN DES PLANTES, A PARIGI

Il suo sguardo è diventato
per il passaggio tra le sbarre
così stanco da non reggere più nulla.
Si sente come se ci fossero mille sbarre
e dietro le mille sbarre nessun mondo.

Il suo andare morbido e flessuoso di forti passi,
che gira in cerchi piccolissimi,
è come una danza di potere intorno a un centro,
in cui una grande volontà rimane bloccata.

Solo a volte la palpebra della pupilla
si apre misteriosamente. Allora appare un’immagine,
passa attraverso il silenzio teso delle sue membra
e finisce di esistere nel suo cuore."

Grazie Eva, Bella poesia. Tragica. Queste sbarre non sono solo allo zoo, credo.

- Così Antonio di Napoli, ma da qui da Monaco con Giovinazzi: L’insegnante d’italiano di Wolfgang Goethe
In pochi sanno quanto fosse lontana l’origine dell’interesse di Goethe per l’Italia – già suo padre Johann Caspar era stato autore di un Viaggio in Italia – ma soprattutto è pressochè ignoto ai più che il primo contatto di Goethe con la lingua italiana – strumento fondamentale, insieme al latino, per comprenderne la cultura – si deve ad un pugliese, il monaco domenicano Giovanni Antonio Giovinazzi poi convertitosi alla religione Evangelica riformata.
”Un vecchio e gioviale italiano, maestro di lingua, chiamato Giovinazzi”: così  lo definisce Goethe nella sua autobiografia “Poesia e verità”, rievocando gli anni della propria fanciullezza. L’uomo sta aiutando suo padre, Johann Caspar, a stendere in italiano la cronaca del viaggio in Italia fatto qualche anno prima. E Goethe aggiunge: “Altresì il vecchio cantava non male e mia madre doveva acconciarsi ad accompagnare lui e sé stessa quotidianamente al pianoforte per modo che io appresi a conoscere l’aria ”Solitario bosco ombroso” e la imparai a memoria prima ancora di intenderne il senso”.
Questi cenni furono la traccia principale da cui gli storici presero le mosse per identificare le origini del Giovinazzi che, assiduo frequentatore di casa Goethe, insegnò la lingua italiana al giovane Wolfgang (all’epoca di circa sei anni) e alla sorella Cornelia. Le prime notizie emersero dagli archivi di Francoforte: risultò che fosse stato monaco domenicano a Napoli. Ed è qui che comincia la ricerca di Benedetto Croce che non voleva credere che non ci fosse alcuna notizia di questo signore negli Archivi di Stato italiani.
„Gli archivi di Francoforte porgono solo il filo per ulteriori ricerche“ (Croce)
Giovinazzi alle autorità di Francoforte aveva dichiarato di venire da Napoli: Ma Croce sapeva che la città veniva nominata in senso largo e simbolico anche per darsi qualche importanza e perciò scrisse ad alcuni amici domenicani a Roma che scovando nei loro archivi trovarono che un monaco di questo nome si trovava nel 1717 in un monastero a Putignano.
Figuriamoci la sorpresa di Croce: questa era la città natale del suo editore Laterza. E così Croce partì subito per Putignano e trovò che:
Nei libri parrocchiali dei battezzati  Domenico Antonio Giovinazzi era nato a Castellaneta (Taranto) il 14 aprile 1693 da Andrea e Felice Antonia Mazaracchio. Nel 1717 aveva dunque 24 anni ed era già stato ordinato sacerdote. Oltre che “padre” viene definito nei documenti romani anche “collegiale”, cioè studente che, al termine dei corsi, avrebbe potuto ambire al grado di “lettore.

A turbare la ordinaria vita di un frate del XVIII secolo vi fu tuttavia il fatto che nel 1717 il Giovinazzi venne rinchiuso nel carcere del convento con l’accusa di un “eccesso” non meglio precisato nelle sommarie notizie in proposito contenute nel carteggio dei superiori.
Da questo luogo, alla fine del 1717, il frate scardinando l’inferriata fuggì e, attraverso la via di Gioia del Colle si diresse verso Napoli dove si rifugiò presso un altro convento.
Domenico Antonio Giovinazzi, il cui cammino attraverso l’Europa lo avrebbe fatto approdare a casa Goethe, era dunque fuggito dall’Italia lasciandosi alle spalle un’oscura vicenda. Alle autorità francofortesi avrebbe tempo dopo dichiarato che, siccome già da tempo avvertiva in sé “una singolare spinta interna verso la religione protestante” aveva deciso “il volontario abbandono della vita del chiostro”.
Sconosciute sono le tappe italiane del Giovinazzi dopo la fuga da Napoli, mentre tra il 1719 e il 1723 lo troviamo in Svizzera, nei Grigioni e poi a Zurigo.
Munito di credenziali, lo troviamo alla fine del 1723, in condizioni di estrema povertà, a Francoforte, città ricca e vivace.
Numerose erano le famiglie italiane qui trasferitesi per ragioni di commercio e diffuso vi era l’interesse verso la cultura italiana. In un tale contesto il Giovinazzi si rese conto che l’insegnamento della sua lingua madre fosse la attività da privilegiare, sia per la scarsità dei concorrenti sia per via della sua superiore formazione culturale, essendo egli istruito in filosofia, nelle lingue e in altre scienze. Chiese così il permesso di stabilirsi in città sia come proselito sia come maestro di lingue, formulando una bizzarra supplica ai “nobilissimi, rigidamente giusti, altissimi, altamente ben provvidenti, particolarmente magnanimi e onoratissimi sculdascio (Magistrato), borgomastro e Consiglio della città di Francoforte” e sottolineando di volersi guadagnare da vivere col lavoro senza danneggiare nessuno.
Agli inizi del 1726 ebbe finalmente licenza di soggiorno. Divenne allora il più quotato maestro di italiano della città, come provato sia dall’entità delle imposte versate, sia dal fatto che, vedovo dal ’35, chiesta la mano della giovane Elisabetta Van Der Werff (figlia di un gioielliere e di origine olandese)
In quegli anni, Giovinazzi finisce così con l’approdare anche in casa Goethe. Infatti varie circostanze sembrano confermare la notizia che egli fosse già stato maestro di italiano di Goethe padre che nel suo “Viaggio in Italia” accenna al “mio maestro di italiano“.
Ciò spiega anche come costui, rimasto in relazione con l’ex allievo e accolto nella sua casa, collaborasse poi alla stesura del diario di viaggio e avesse l’incarico di insegnare l’italiano anche a J. Wolfgang Goethe e alla sorella Cornelia..
 Dopo il 1762, non abbiamo invece più notizie di Domenico Giovinazzi da vivo. Solo molto anni dopo il magistrato che vigilava sui forestieri residenti lo cita per dire che “era da molto tempo morto nella miseria”. La seconda moglie viveva ancora nel 1780 forse sussidiata dalla comunità olandese."

Grazie Antonio di averci ricordato che il mestiere di insegnante d’italiano agli stranieri ha anche una sua lunga storia.


- Così Francesco di e da Perugia con il suo ultimo libro "La trasfigurazione mediatica
di Chiara Maffei.
A chi importa dell’assassino?": (Stralci da pagina 107 a 109)
................
"Stefania si guardò allo specchio, naso e occhi an-
cora rossi per il pianto irrefrenabile del pomeriggio.
Avvicinò il volto al cristallo esaminando le borse
sotto gli occhi, figlie di notti insonni e delle con-
tinue afflizioni che la tormentavano in quei giorni.
Si sentiva come una barca che ha perso l’ormeg-
gio e comincia ad andare alla deriva. Da chi avrebbe
dovuto confortarla aveva ricevuto solo aspre critiche
sulla sua condotta, col suo stupido modo di compor-
tarsi. C’era poi chi aveva promesso di aiutarla, ma
ora, le sembrava che l’avesse soltanto manipolata,
in fondo – si disse – fanno questo i poliziotti quando
ti interrogano, giusto?
Cominciò a vedere lo spettro di rimanere sola:
nuovamente la rabbia per questa ingiustizia subita
le montò dentro, facendole odiare quei due uomini
che l’avevano trattata come una sciocca, come un
oggetto da utilizzare e poi buttare.
Due ore prima aveva chiuso la porta in faccia
al commissario, sbattendola con tutta la forza che
aveva in corpo. Quindi vi si era appoggiata con la
schiena, mentre i pugni serrati le tremavano lottan-
do contro la voglia di colpire qualcosa fino a farsi
male.
Percepiva il caldo liquido delle lacrime scorrerle
giù per le guance e un bolo salino formarsi nella
bocca.
Aveva chiamato immediatamente il suo ragazzo,
dovendo ripetere l’operazione tre volte per via del
tremore alle mani che le faceva sbagliare in conti-
nuazione il contatto da selezionare, senza nemmeno
accorgersi che c’erano ben ventuno telefonate perse
proprio di Cristiano.
Anche Cristiano Vinti era aggiornato su tutto e
aveva parlato, o fatto parlare, praticamente con tutti
quelli che potevano in qualche modo essere ricol-
legati a quelle feste. Il suo tono era stato da subito
aggressivo, le aveva dato dell’idiota, della cretina,
domandandole perché diavolo non avesse risposto.
Aveva avuto una gran voglia di andare a casa della
ragazza per strigliarla di persona.
– Ringrazia che non è il momento di farsi vedere
in giro, se no...
Era stato solo quando Stefania gli aveva raccon-
tato della visita del commissario, che il fidanzato si
era parzialmente calmato. Ma la tregua era durata
poco: saputo che la giovane aveva confermato ogni
cosa al poliziotto, scendendo pure in particolari pri-
vati, la rabbia lo aveva reso cieco.
Coprendola di ingiurie in maniera ancora più
pesante di prima, le disse di chiudersi in casa per
qualche giorno e di non rompergli l’anima. Da do-
mani avrebbero pensato loro a tamponare la cosa, e
doveva pregare che tutto si risolvesse per il meglio,
altrimenti...
La ragazza si soffiò il naso, buttando il fazzoletto
di carta nel water, raccolse i capelli davanti con una
pinza e si sciacquò la faccia con l’acqua gelata, un
minimo di conforto la raggiunse e fece un profondo
respiro.
Tornò così a guardarsi allo specchio, domandan-
dosi se era veramente con uno del genere che vole-
va passare la vita.
Forse era vero, era una barca, magari un natante
di lusso in mezzo a tante piroghe, pieno di ogni con-
fort, ma pur sempre alla deriva.
E chi aveva sciolto la cima se non lei? Proba-
bilmente era il momento di smettere di incolpare
gli altri, di invidiare l’amica morta, di esserne ge-
losa, quel sentimento che ogni tanto faceva capoli-
no combinandosi al grande amore che provava per
Chiara e che le aveva fatto fare già troppe scioc-
chezze. Quasi che quel suo andare sopra le righe, o"
..............
Grazie Francesco ed in bocca al lupo. Chi vuole può chiedere a Francesco o anche a me l’intero romanzo giallo in allegato email. È gratis.

- Enzo di e da Acerra, ha avuto per tanti anni un’edicola di giornali ed ora in pensione fa ancora attività sindacale nel settore. Il suo negozio non era come una gioielleria, che ha pochi clienti al giorno, ma centinaia. Ha visto passare davanti a lui un’intera umanità. Ci ha poi fatto una simpatica parodia della sua terra e ci ha letto un indovinato aforisma, ma non me li ha mandati e non li posso qui trascrivere.

Grazie ed alla prossima Enzo.

- Io di Roma, ma da qui da Monaco, ho letto:
"I FIORI ALLA MAESTRA
     Mia madre aveva molte paure e per questo anch’io avevo molte paure. Lei si fidava solo di certe persone ed io mi fidavo solo delle persone di cui lei si fidava. Per esempio lei si fidava della giunonica maestra Monti, a cui altrimenti di sicuro non mi avrebbe mai affidato, della scuola elementare Ugo Bartolomei, su in cima alla salita di via Adigrat e di via Asmara.
     Questo è divertente e ve lo voglio raccontare. Non mi ricordo bene perché, ma un bel giorno mia madre decise di portare alla cara maestra un mazzo di violette. Avrà avuto le sue ragioni. La lasciai fare. Lei le comprò e me le diede in mano ancora fresche, avvolte in carta di giornale, come si faceva normalmente nel dopoguerra. Naturalmente non lo capii affatto il senso di portare fiori alla maestra.
   Eravamo spesso in ritardo. Dal letto la mattina mettevo i piedi per terra, ma con gli occhi ancora chiusi. Poi dovevo solo alzare un piedi dopo l’altro e lei mi infilava i calzini. Mi ricordo che anche quella volta mamma  mi tirava per mano. La salita era lunga. Io seguivo un passo in dietro, passivamente ancora mezzo addormentato. Quando c’era mia madre, ritenevo per lo più superfluo svegliarmi completamente.
     A scuola lei contenta disse alla maestra, che io le avevo portato qualcosa e mi invitò a dargliela. Tutti guardavano me e lì improvvisamente mi svegliai. Ma era troppo tardi. Io le porsi quello che ancora avevo, cioè il cartoccio bagnato del giornale. Le violette non c’erano più. Me le ero perse. Avevano evidentemente preso un’altra strada. Per fortuna loro non ne fecero un gran dramma. Ero in fondo sempre un bel bambino, anche se un po’ confuso e ormai più che sveglio.
 
Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza culturale e formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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