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Resoconto dell’incontro di Letteratura Spontanea del 24 marzo 2023

Resoconto dell’incontro di Letteratura Spontanea del 24 marzo 2023

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 24 marzo 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 15, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 8 dall’Italia e cioè da Caravaggio (Bergamo), da Biella, da Bologna, da Milano, da Cogoleto (Genova), da Sorso (Sassari), da Benevento e da Pieve Ligure (Genova) e 6 dalla Germania, di cui 5 da qui da Monaco, con provenienza da Napoli, da Roma 2, da Monaco 2 e 1 da Eichstetten.
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono quasi dappertutto ormai ed incontrarci diventa sempre più interessante, con tanti punti di vista diversi. Le nostre storie s’intrecciano le une con le altre, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo, se solo potete:

- Così Grazia di Milazzo, ma da Bologna:
   "Scrittrici italiane che vivono altrove,
Intervista ipotetica a Marisa Fenoglio: una vita in equilibrio tra apertura all’alterità e mantenimento delle origini.

“Sono nata ad Alba e faccio un po’ di tutto, prima di tutto faccio la moglie e la madre, la suocera e la nonna e  poi a tempo perduto faccio la corista e la scrittrice, sorella cadetta di Beppe Fenoglio, letterariamente in posizione sottoposta.
Lo scrivere è nato dalla consapevolezza di aver vissuto un’esperienza molto importante qual è l’emigrazione.
Negli anni in cui la parola globalizzazione non era ancora stata neanche inventata, sono partita per accompagnare mio marito, che aveva avuto un  incarico molto importante in Germania.
Sono partita nel gennaio del 1957 e l’emigrazione ai quei tempi per me  è stata quello che è stato per mio fratello la guerra e il partigianato, cioè il mio “fatto straordinario”, da cui è nato quell’ impulso, che ci ha fatto alzare di notte, per andare a scrivere ciò che suggeriva questa enorme esperienza, così coinvolgente dal punto di vista esistenziale, qual è  l’emigrazione, così come per mio fratello la guerra, con la sua crudeltà e l’esperienza partigiana.
Da qui per entrambi è nata  la motivazione fortissima a scrivere. Sono nati così i miei cinque libri: “Casa Fenoglio” che era indispensabile come primo libro, perché segnalava il mio passato italiano Cioè quello da cui io ero partita, una ragazza e una giovane donna profondamente italiana e profondamente radicata, che però è partita per la Germania, giungendo quindi a vivere altrove.
Un cambiamento di scena dunque vissuto come trapianto  in una Germania ancora post-bellic, impreparata a ricevere lo straniero. In guerra aveva avuto prigionieri, deportati, popolazioni in fuga, ma non erano stranieri che andavano a cercare  fortuna.
Casa Fenoglio è quindi anche il passato italiano che vive altrove, ma che pian piano si sovrappone al primo passato tedesco, con cui poi si riappacifica.  
E questa è la terza fase da cui nasce  il terzo libro, quasi un’autobiografia  della mia immigrazione, che giunge al ritorno impossibile, cioè alla consapevolezza che tornare dopo molti anni  non è possibile  per tantissimi motivi. Non è una resa dei conti, ma un bilancio che si fa dopo 50 anni di vita in Germania, per cui si capisce che sono troppe le cose successe: i figli sono cresciuti, si sono sposati, sono nati i nipotini e tornando indietro in fondo si ritornerebbe soli, come quando si è partiti per la Germania, trovandosi in mezzo alla gente, che ha figli, nipoti e parenti che noi non  conosciamo. Il futuro della nostra famiglia si svolge in Germania, perché i figli sono integrati là e sono matrimoni misti: addirittura noi abbiamo una giovane turca in famiglia: uno dei miei figli ha sposato una turca integrata anche lei in Germania, per cui l’idea di lasciare tutta quella base di bella famiglia per tornare da soli, no.
La casa dove sono cresciuta in Italia si trova in un posto della città magnifico, che io ritengo uno dei posti migliori del mondo per crescere. Non so spiegarmi, la bottega del mio mio papà era un negozio di macelleria, che si affacciava sulla piazza del mercato, Piazza Rossetti, ma era anche a cavallo di due piazze. A dieci metri c’era anche la piazza del Duomo di Alba e noi  eravamo in prima fila nel teatrino della vita cittadina, praticamente davanti a casa nostra si svolgeva la vita del paese.
Era una casa modesta, in cui oggi nessuno vorrebbe abitare, ma a noi allora non pesava per niente. Eravamo abituati a considerarci figli della piazza, quindi sempre fuori casa. L’esterno era un prolungamento di casa nostra, non ci voleva niente a raggiungere il Duomo, a vedere e a sentire quello che capitava. Era una casa specialissima.
La vita della famiglia si svolgeva al servizio delle clienti, perché il negozio era la nostra fonte di sostentamento e legato alla vita del mercato. Soprattuto durante  la guerra abbaimo vissuto nella paura. Essendo noti come antifasciti, fummo perseguitati e messi in prigione. La mia nascita come scrittrice viene molto dopo quella di mio fratello e da un’esperienza molto diversa, per lui dalla guerra, per me dall’emigrazione.
La scrittura mi è cresciuta dentro e la determinazione nasceva dal fatto che  ad un certo punto il mio fiume in piena doveva trovare uno sbocco..."

Grazie Grazia, di scoprire tante donne, che sembrano minori, ma spesso non lo sono..Hai proprio fatto bene a parlare di Marisa Fenoglio, specialmente tra di noi.


- Così Alessandro di e da Sorso:
"Roma addio
Brano di Remo Remotti

Negli anni ’50 io me ne andai
Come oggi i ragazzi vanno in India, vanno via
Anch’io me ne andai, nauseato
Stanco da questa Roma del dopoguerra
E io allora a vent’anni mi
Mi trovavo di fronte a questa situazione
Andai via da questa Roma, anni ’50
E me ne andavo da quella Roma addormentata
Da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide
Quella Roma del, "Volemose bene e annamo avanti"
Quella Roma delle pizzerie, delle latterie
Dei "Sali e Tabacchi", degli "Erbaggi e Frutta"
Quella Roma dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini
Dei maritozzi con la panna, senza panna, delle mosciarelle
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli
Dei portieri, dei casini, dei casini
Delle approssimazioni, degli imbrogli
Degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali
Dei pagamenti che non vengono effettuati
Quella Roma dei funzionari, dei ministeri, degli impiegati, dei bancari
Quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse
Dove ci voleva ’na raccomandazione
Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi
Dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto
Quella Roma della circolare destra, della circolare sinistra
Delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura
Quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti
Me ne andavo da quella Roma con gli attici con la vista
La Roma di Piazza Bologna, di Via Veneto
Di Via Gregoriana, quella Dannunziana, quella Eterna
Quella di giorno o quella di notte, quella turistica
La Roma dell’orchestrina a Piazza Esedra
La Roma di propaganda Fide, la Roma fascista di Piacentini
Me ne andavo da quella Roma
Che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi
Del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia
Dell’Altare della Patria, dell’Università di Roma
Quella Roma sempre col sole, estate e inverno
Quella Roma che è meglio di Milano
Me ne andavo da quella Roma
Dove la gente orinava per le strade, quella Roma fetente
Impiegatizia, dei mille bottegai, di Iannetti, di Gucci
Di Ventrella, di Bulgari, di Schostal, di Carmignani, di Avenia
Quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è ’na lira
Quella Roma der core de Roma
Me ne andavo da quella Roma
Della Banca Commerciale Italiana, del Monte di Pietà
Di chi cazzo, di Campo di Fiori, di Piazza Navona
Quella Roma "Che c’hai ’na sigaretta?", "Prestami cento lire"
Quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del foro
Che portava e porta ancora il nome di Mussolini
Me ne andavo da quella Roma di merda!
Mamma Roma, addio!"

Grazie Ale, alla prossima.

- Così Stefano di Mazzarino (Caltanisetta), ma da Biella:
"Questi incontri stanno avendo sempre più successo. Ogni venerdì ci sono sempre nuovi ingressi. Persone che si collegano da  luoghi diversi e che vivono realtà diverse, unite dalla voglia di conoscersi e confrontarsi su svariati temi riguardanti la vita, la poesia e la letteratura.
Sono stato introdotto in questo gruppo dalla carissima amica Lina De Rossi, conosciuta casualmente su Facebook.
Scrisse un post che parlava di emigrazione degli italiani in varie parti del mondo e descriveva la sua situazione personale: figlia di padre piemontese e madre canadese. Un cuore diviso in due.
Anch’io, in un certo senso, sono cresciuto in due realtà.
Mio padre dalla Sicilia emigrò in  Germania. Prima a Monaco, dove lavorava nei cantieri delle ricostruzioni post-belliche e, qualche anno dopo, a Stuttgart, dove fu assunto nelle officine della Deutsche Bundesbahn (le ferrovie tedesche).
Non volle mai portare la famiglia a vivere in Germania.
Nell’ottica, molto diffusa in alcuni emigrati dell’epoca, che i figli dovessero crescere e studiare in Italia.
Noi potevamo andare in Germania solamente nei mesi estivi.
Quindi, dall’estate del 1975 fino all’estate del 1991, andavano in Germania. Anche se stavamo solamente due mesi, si creavano delle relazioni di amicizia e anche di lavoro.
Una volta maggiorenne nel periodo in cui soggiornavo in Germania, andavo a lavorare. C’era l’imbarazzo della scelta: fabbriche, nelle costruzioni o anche un anno assunto dalle poste per lo smistamento.
Anni felici. Una realtà del tutto diversa di quella che vivevo in Sicilia. Erano due mesi intensi.
Grazie al lavoro estivo, riuscivo ad affrontare le spese a Bologna, dove mi iscrissi alla Facoltà di Agraria nel corso di laurea in scienze della produzione animale. Anche nel mio piccolo, sono riconoscente alla Germania.
Grazie a questa laurea, ho potuto abilitarmi alla professione di docente in Scienze degli Alimenti.
Oggi sono professore di ruolo presso l’Istituto alberghiero di Biella, una città del Piemonte in cui vivo, con la mia famiglia, dal 1992.
Prima di insegnare nella scuola pubblica, per quattro anni, ho insegnato presso la casa circondariale di Biella. Tenevo, assieme ad altri, un corso di orticoltura, floricoltura e giardinaggio. Dopo un anno, il ministero di Grazia e Giustizia, finanziò un corso di Apicoltura. Arrivammo a produrre 300kg di miele all’anno.
I prodotti dell’orto e il miele, li vendevamo tramite un Gas, gruppo di acquisto solidale, tramite internet.
La distribuzione è tuttora affidata ad una cooperativa dove operano ragazzi con la sindrome di Down e persone autistiche.
Ha un enorme risvolto sociale.
Anche la scuola dove insegno ha un azienda agraria (poiché nell’istituto c’è un una sezione agraria, con annessa un’azienda).
Me le patate prodotte vengono regalate alla mensa del povero.
Frutta e verdure vengono in parte trasformare dai ragazzi del corso alberghiero e in parte conferite al Gas di cui parlavo poc’anzi.
Anche tanti piccoli produttori, disseminati sul territorio, conferiscono i loro prodotti al Gas. Prodotti biologici a km zero."

Grazie Stefano per questa tua storia, benvenuto!


- Così Maria di Genova, ma da Pieve Ligure che, pur non potendoceli far vedere, ci parla dei suoi ultimi lavori pittorici:
"LE ONDE    
   Questi 11 acquarelli, più che illustrazioni, sono risonanze visive nate in me dalla lettura del libro Le onde di Virginia Woolf.
    Il testo della Woolf fa trascorrere in parallelo l’evolversi di un giorno con quello della vita umana. Le variazioni della luce, dei suoni della natura, dei colori e dei movimenti del mare, evocate in dieci tappe che vanno dall’alba al tramonto, raccontano il tempo della natura e si alternano con il trascorrere dell’esistenza umana, narrata attraverso i soliloqui di sei persone che fanno esperienza del vivere dall’infanzia fino all’avvicinarsi della morte. Il tempo ciclico del cosmo si intreccia così al tempo breve della vita degli esseri umani.
   Ai sei personaggi, tre maschili e tre femminili, Virginia Woolf affida suoi ricordi ed emozioni, tanto che, si tratta sì di sei persone diverse, sei amici i cui vissuti si intrecciano tra loro, ma sembrano poi diventare un’unica voce che racconta la condizione umana e la fatica che, ognuno a suo modo, deve compiere per esistere, per essere se stesso e confrontarsi con la sua solitudine nell’andare, solo, incontro all’ineluttabile frangersi a riva dell’onda.
   Per me questo romanzo è in realtà un poema che è al tempo stesso profondamente mistico e totalmente laico. Per questo, credo, mi ha parlato, tanto da spingermi a realizzare queste opere.
   I primi tre acquarelli si riferiscono all’infanzia: ricordi indelebili, narrati al presente, che conservano la forza emotiva dei traumi infantili o comunque delle esperienze che più ci hanno segnato.
    Il quarto e il quinto narrano il tempo della scuola: il college maschile e quello femminile.
   Il sesto, tra foglie d’autunno e voli di uccelli, è una finestra sul  ciclo della natura e sul legame stretto tra il vivere e il morire.
   Nel settimo c’è la morte di un amico, da tutti mitizzato, che irrompe nella storia dei personaggi, mentre nell’ottavo si descrive come poi la loro vita non possa far altro che andare avanti lo stesso.
   Nel nono acquarello subentra la consapevolezza che, come una goccia è caduta e un’altra si appresta a farlo, il tempo della giovinezza è ormai trascorso.
   Negli ultimi due, dal formato più piccolo, si arriva al tramonto e infine alla notte e all’inevitabile rompersi a riva dell’onda. Onda che ha accompagnato incessantemente tutto il ciclo, ma che qui esprime qualcosa di definitivo."

Grazie Maria e buon successo allora!

    

- Così Susanne della Turingia, ma da Eichstetten con Fabrizio Acanfora, Eccentrico – Autismo e Asperger in un saggio autobiografico, effequ, 2018:

"La scoperta

 A trentanove anni ho scoperto di non sapere chi fossi realmente.

Immagino che una sensazione del genere, più o meno intensamente, possano provarla tante persone in condizioni diverse; la ricerca di sé porta spesso, o almeno dovrebbe, a porci interrogativi, a domandarci a un certo punto della nostra vita cosa abbiamo fatto, che obiettivi abbiamo raggiunto. E, a volte, qualcuno scopre che l’immagine che aveva di sé non corrisponde necessariamente a ciò che è in realtà.

Ora: prendete questo sentimento e moltiplicatelo per mille. Immaginate che, per qualche motivo, alcune vostre caratteristiche, che avete da sempre ritenuto normali, comuni più o meno a tutti, risultino improvvisamente una specie di marchio di fabbrica esclusivamente vostro e di pochi altri come voi. Provate a pensare come vi sentireste nello scoprire, inoltre, che i tormenti di una vita intera – che vi hanno fatto sentire inadeguati ed esclusi dal mondo alimentando una dolorosa solitudine – non siano mai stati una vostra responsabilità; in realtà, non eravate sbagliati.

Ecco: a trentanove anni, all’improvviso ho scoperto che la persona che credevo, o forse in realtà speravo di essere, non esisteva. E al suo posto è ritornato il bambino intelligente ma distratto, l’adolescente solitario e scontroso che trascorreva ore e ore immerso nello studio di argomenti spesso peculiari o appiccicato al suo pianoforte; quello che apparentemente per una sciocchezza, esplodeva in scatti d’ira improvvisi e incomprensibili. È tornato a farsi vedere il ragazzino che veniva ripreso dalla mamma perché fissava le persone per la strada o diceva a volte cose dagli altri giudicate inopportune. E non è che se ne fosse mai andato, quel bambino: piuttosto è stato sepolto sotto un cumulo di obblighi incomprensibili, di regole dedotte osservando ciò che gli altri facevano e dicevano, come si muovevano e parlavano. Per sentirsi meno diverso. Per essere accettato.

A trentanove anni mi è accaduto tutto questo ed è successo rapidamente. Il risultato è stato sconvolgente: ritrovarmi a tu per tu con me stesso, con l’essere che avevo volontariamente e con tanta determinazione nascosto per timore che potesse mettermi ancora in imbarazzo. È stata un’esperienza intensa. Ed è accaduto per caso, in modo quasi naturale.

A trentanove anni ho scoperto di essere autistico."

Grazie Susanne, bella descrizione! Alla prossima.


- Un bellissima realtà. Così Antonio di Napoli, ma da qui da Monaco, dal libro -              Quali Donne, racconti con echi danteschi- di MATILDE TORTORA:
"Rose
Paradiso, Canto XXXII, vv. 49-84
Ove stanno i fanciulli morti anzi tempo,
i fanciulli destinati ad essere beati

La foglia aveva appena avvertito quel noto pizzicore, un solletico imperioso le imponeva, essendo ormai novembre, di staccarsi dal ramo, di cadere. La bambina, il cui nome era Rose, attendeva quella mattina che le altre bambine scendessero in cortile a giocare con lei. Ma non s’era vista nessuna e Rose nell’attesa ciondolava, muovendosi di qua e di là, spostando coi piedi qualche ciottolo che le si parava dinanzi.
Rose alzò gli occhi, fu un lampo, una divinazione da cortile, intuì quello che stava per accadere, si mise a correre agile, divenne lepre, pronta col palmo rivolto all’insù a ricevere la foglia nell’incavo della mano, la foglia fu collaborativa, si staccò in tempo giusto perché Rose la ricevesse in mano.
Dall’altro lato del cortile stavano panchine e alcuni giochi per bambini in acciaio che simulavano montagnole da scalare e avevano incavi necessari ad arrampicarsi, ma non c’era nessuno quella mattina a servirsene.
Erano cominciati i lavori di scavo, dovevano essere impiantate le fondamenta di una nuova costruzione, avrebbero costruito un palazzo uguale a quello in cui Rose abitava.
L’intera notte una gru gigantesca, con una luce rossa che la vinceva sulle luci basse del cortile, svettava col suo annuncio imperturbato, con la promessa che l’indomani altro assordante rumore ci sarebbe stato. Per tutto il giorno non si sarebbe udito altro che il fragore degli scavi.
Il palazzo tremava tutto il giorno e come un maldestro ballerino goffamente consentiva a traballare. Il Comune che s’adoperava per l’edilizia popolare, aveva inviato ai condomini pur essi popolari, una formale lettera ufficiale, comunicando a tutti i residenti che sarebbero seguiti disagi, se ne scusava e invitava a pazientare.
Alla mamma di Rose questa lettera non procurò alcuna reazione, era allenata a immani dolori, altre cose aggiunte le si addossavano senza poterci fare niente: rumori molesti, interferenze, le voci degli operai le penetravano in casa dal cavo del telefono, erano voci in altre lingue, alcune polacche, altre rumene, scosse solo la testa e dalla finestra scorse Rose nell’esatto momento in cui afferrava la foglia che s’era staccata dal ramo.
E intuì che Rose era fiera del gesto compiuto, gioiva dell’esatta geometria di ciò che era appena avvenuto, consapevole di essersi mossa in tempo a raccogliere la foglia prima che precipitasse a terra, che si confondesse con le altre foglie cadute, alcune già ingiallite, alcune già marcite."

Grazie Antonio, speriamo anche che Matilde e Giovanni ritornino un giorno tra di noi.


- Così Loredana di Treviso, ma da Caravaggio:

"Il tema è il ritorno, dopo molto tempo, di un amico con cui si era condiviso il bisogno di partire. La lontananza e le esperienze vissute non hanno intaccato il filo che ci teneva uniti e ora è possibile fare festa per un ritorno felice.     


Siamo partiti all’alba

Felice ritorno,

amico mio!

Sulla soglia lo sguardo

dorato di mare e di sole,

caldo di tempi lontani.

Siamo partiti all’alba,

col viso contro il cielo

chiaro,

ognuno per la sua via.

Torniamo

dal fondo dei ghiacci,

dai dirupi nascosti

tra foglie d’alloro.

Ha tenuto il filo

tra noi,

stretto

per un felice ritorno.

Abbracciami ora.

Felice ritorno,

amico mio!"


Grazie Loredana, forti emozioni in questa tua poesia! A presto.


- Così Emilia di Roma, ma da qui da Monaco con brani tratti da “Cassandra” di Christa Wolf - traduzione di Anita Raja:

Ricordo ancora come la vita mi sfuggisse. Non ce la faccio, pensavo spesso, quando, seduta sulle mura della città, fissavo davanti a me senza sguardo, ma non riuscivo a chiedermi che cosa estenuasse a tal punto la mia facile esistenza. Non vedevo nulla. Sovraccaricata dal dono della veggenza, ero cieca. Vedevo solo quello che c’era, praticamente niente.

Come un naufrago la terraferma salvatrice, bramai il sacerdozio. Non volevo il mondo così com’era, ma volevo servire devotamente gli dei, che lo dominavano: era una contraddizione dentro il mio desiderio. Mi concessi tempo, prima di accorgermene, mi sono sempre concessa questi tempi di parziale cecità. Diventare tutt’a un tratto capace di vedere - questo mi avrebbe distrutta.

Mi ha sempre infastidito quando altri sapevano o credevano di sapere su di me più di quanto ne sapessi io.

Non ci consideravamo un esempio. Eravamo grate perché era concesso proprio a noi di godere del massimo privilegio che esista, far avanzare una sottile striscia di futuro dentro l’oscuro presente che occupa ogni tempo.

Tutto questo, la Troia della mia infanzia, esiste ancora nella mia testa soltanto. Qui dentro, finché ho tempo, la voglio riedificare, non voglio dimenticare nessuna pietra, nessuna lama di luce, nessuna risata, nessun grido.

Voglio vedere questa luce ancora una volta. La luce che vedevo in compagnia di Enea. La luce dell’ora che precede il tramonto. Quando ogni oggetto comincia a brillare autonomamente e a porre in risalto il colore che è suo. Enea diceva: per riaffermarsi ancora una volta prima della notte. Io dicevo: per consumare fino in fondo ciò che resta della luce e del calore e poi accogliere il buio e il gelo dentro di sé.

Quando il cuore, che da lungo tempo non avevo più percepito, si fece di tappa in tappa più piccolo, più stretto, più duro, una pietra dolorante, da cui non fui capace di strappare più nulla: allora il proposito fu completato, fuso, arroventato, battuto e modellato come una lancia. Voglio restare testimone, anche quando non esisterà più un solo essere umano che mi chieda di rendere testimonianza.

Achille restò esterrefatto quando incontrò in battaglia Pentesilea. Cominciò a prendersi gioco di lei, ella allungò un colpo. Achille dev’esserne stato scosso, credette di aver perso la ragione. Andargli contro con la spada - una donna! Averlo costretto a prenderla sul serio fu il suo ultimo trionfo. Combatterono a lungo, Pentesilea allontanò tutte le Amazzoni. Lui la atterrò, volle farla prigioniera, lei allora lo graffiò col pugnale e lo costrinse a ucciderla. Non foss’altro che per questo, siano ringraziati gli dei. Quel che avvenne dopo lo vedo davanti a me, come se ci fossi stata. Achille, l’eroe greco, oltraggia la donna morta. Il maschio, incapace di amare la viva, si getta sulla vittima uccidendola per la seconda volta. E io gemo. Perché. Lei non l’ha sentito. Noi lo sentimmo, noi donne tutte. Che cosa accadrà, se ciò si propaga. I maschi, deboli, ma con il prepotente bisogno di vincere, si servono di noi come vittime per poter conservare il sentimento di sé. Che cosa accadrà. Perfino i greci avvertirono che in quell’occasione Achille aveva passato il segno. E passarono il segno, per punirlo: con i cavalli trascinarono per il campo la morta, che lui ora piangeva, e la gettarono nel fiume. Straziare la donna per ferire il maschio.

Per dodici volte il ferro rovente aveva bruciato a fondo quel punto dentro di noi da cui possono venire dolore, amore, vita, sogni. La tenerezza indicibile che fa di un essere umano un essere umano.

Per molti giorni pensai a una cosa soltanto: una volta dovrà pur finire.

Ma che. Ricordo ancora: all’improvviso mi interruppi, stetti a lungo seduta senza muovermi, fulminata dall’idea: questo è il dolore."


Grazie Emilia, drammatico e tragico insieme!

- Così Lina di Laval, ma da Trois-Rivière:
"Siccome nello scorso incontro ho parlato dei pini grigi, che ho fatto tagliare davanti a casa mia, ho detto una filastrocca per aiutare a distinguere tre tipi di pini. Molto utile quando si cammina nel bosco!
Pino bianco, mano bianca.
Cioè 5 aghi a forma di mano
Pino grigio, topolino
Cioè aghi piccolini
Pino rosso, aragosta
Cioè a forma di V come le sue antenne

Ecco una mia breve novella -LEI-
Tratta di un mio ex impiegato che, in pensione, ha cercato una casa di qualche secolo fa  da restaurare. Ci metterà probabilmente 5 anni, perché fa tutto da solo. Fa anche ricerche per capire come si usava una volta.  Ha trovato un’impresa che fabbrica le pitture all’antica, cioè con il latte. I chiodi li ha presi in una fabbrica negli Stati Uniti, le serrature sono arrivate dalla Francia.  Ero molto incuriosita e gli ho chiesto se la potevo visitare. Ci sono stata in novembre e mi sono innamorata della casa.

Maestosa, è ancorata e pronta ad affrontare le peggiori intemperie.
Nessuna tempesta la farà vacillare.
All’interno si vive bene, nell’inquietudine, nel conforto della fiamma gioia e dal credito della legna che arde, sprigionando buonissimi profumi e creando un’atmosfera di calore.
Poi ci si infiltra nel dedalo delle stanze e ci si ferma in ogni angolino.
I pavimenti scricchiolando sotto i passi, sono il riflesso degli stati d’animo delle persone, tristi o allegri.
Ogni minimo raggio di sole si fa spazio, per penetrare da una finestra o dall’altra oppure da diverse finestre simultaneamente.
Sarà accolto come un benefattore.
Per tornare ad essere bella come lo fu un tempo, occorre raddrizzare i pavimenti,  pitturare le pareti e così potrà accogliere nuovamente i mobili antichi, che le restitueranno la nobiltà. Saranno il gioiello dentro l’astuccio.
È nata borghese e lo diventerà di nuovo.
Vivrà come prima e sarà il testimone della dolcezza di vivere."

Grazie Lina, bello questo vostro sogno-desiderio di riportare in vita cose ormai da tempo abbandonate.


- Così Eva di e da Monaco:
"Eduardo Molente
I Limoni
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro del cielo
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Parte II
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.

Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità."

Grazie Eva, poesia intima, forse addirittura religiosa.


- Dietlinde da Monaco ci ha parlato della Mostra nel Edwin-Scharff-Museum die Neu-Ulm: Kampf um Sichtbarkeit (lotta per la visibilità), Künstlerinnen der Nationalgalerie vor 1919 - 3.12.22 – 7.5.23.
Dietlinde è stata attratta da un articolo esposto in vetrina di un autore della „Die Frauenzeitschrift“, 1878, che sostiene che la capacità artistica delle donne sia uguale a quella degli uomini. Così Dietlinde:
"In questo periodo – la seconda parte dell’ottocento– una tale valutazione da un esperto maschile mi pare essere un caso eccezionale.
Nel suo articolo l’autore presenta alcune pittrici, anno e luogo di nascita, dove vivono, stile e lavoro di esse e come conclusione scrive: Anche se la lista delle pittrici tedesche che ho presentato sembra abbondante, sono sicuro che è incompleta e che ne rimangono fuori tante altre artiste, che con zelo e talento lavorano per dar prova che anche le pittrici sono presenti nelle arti figurative. Quando l’educazione delle ragazze era limitata e superficiale, si potevano schernire le aspirazioni di qualche artista, tacciarla di dilettantismo oppure lodarla con accondiscendenza. Oggi la maggior parte di quegli ostacoli non esiste più e già adesso qualche indizio avvisa i nostri artisti maschi, che sarebbe stupido andare avanti col sentirsi  sicuri, che alle pittrici tedesche il successo sarà rifiutato per sempre.
(il museo si trova vicinissimo al ponte, che collega Ulm con Neu-Ulm – raggiungibile facilmente anche dalla stazione di Ulm)"

Grazie Dietlinde, interessante!


- Così Maria di Napoli, ma da Benevento, tratto da Piccole coincidenze di Angela C.:
"Salgo a piedi per raggiungere il mio appartamento non prendo l’ascensore sono troppo agitata, preferisco le scale, ma non placa la mia rabbia, butto il cappotto sul divano e vado in camera da letto, apro l’armadio, butto tutti i suoi vestiti sul letto, prendo una valigia, ma ci ripenso, la butto di lato.
Vado in cucina, prendo i sacchi di spazzatura, quelli neri e grandi, metto tutta la roba insieme senza fare distinzioni anche le scarpe, le cravatte e tutto ciò che trovo.
Senza ordine né cura,
Passo anche dal bagno, svuoto l’armadietto dentro uno dei sacchi e, alla fine, li trascino uno per uno sul pianerottolo. Ne ho riempiti quattro.
Cerco il cellulare in borsa; vedo ci sono tante chiamate da parte sua e più di dieci messaggi.
Non leggo nemmeno. Anzi! ci penso e senza leggerli li cancello proprio. Poi faccio una foto ai sacchi e gli mando un solo messaggio Whatsapp. La tua roba è pronta. Hai tempo fino alle nove di domani mattina per ritirarla. Non cercarmi più, per me sei morto."

Poi ancora, tratto da Cinisca di Sparta di Alessandra L.:
"Cinisca non uscì di casa per lungo tempo, passando nella sua camera quasi tutte le giornate seguenti. Di notte sentiva il sapore di quelle labbra sulle sue e quel desiderio che l’aveva scossa tornava a strisciare nelle sue viscere, non permettendole di dormire; di giorno rifletteva sulle sue possibilità, chiedendosi se fosse giusto intestardirsi su un sogno che era sempre più lontano e irrealizzabile o avere fiducia negli dei e continuare a credere in se stessa, o ancora arrendersi alla passione e correre tra le braccia di Alcibiade, prima che partisse per magari non tornare più, pur sapendo che in questo modo non sarebbe stato più possibile per lei entrare nelle aree sacre di Olimpia. Un momento le sembrava giusto agire in un modo, un attimo dopo le pareva fosse meglio l’altra scelta e continuava a tormentarsi e chiedere aiuto agli dei."
Angela C. e Alessandra Leonardi aderiscono all’iniziativa  Scrittrici e scrittori per la gentilezza, a sostegno della Piccola biblioteca della gentilezza.

Grazie Maria per il tuo impegno. Buon nuovo lavoro allora!
 
- Così Cristina di Haifa, ma da Milano con -Oltre il crepuscolo-, romanzo di suo marito, Alessandro. È ancora inedito ma ci stanno lavorando:
"Sognò la sua camera da letto immersa in una luce notturna, bluastra, tremolante, come quella del fondale di un oceano. Chi dice che un cieco non possa sognare cose che non ha mai visto ma che può guardare... può guardarle attraverso le mani, attraverso gli odori e i suoni, i propri piedi che toccano le assi lisce del parquet, sfiorando gli impercettibili dossi metallici che dividono una stanza dall’altra, una composizione di assi levigate dall’altra, piastrelle, tappeti, pietra. Attraverso il rimbombo della propria voce nel bagno padronale, nel ripostiglio o giù in cantina dove, prevedibilmente, risuonerebbe lungo la superficie irregolare della grossa caldaia. L’uomo, appunto, sognò una versione della sua camera da letto, senza potersi chiedere quanto fosse simile alla realtà. Le forme tremolanti del mobilio, il soffitto scosceso, in travi di legno, inclinato verso la finestra quadrata che dava direttamente sul tetto. La sagoma della cassapanca ai piedi del letto matrimoniale sembrava una piccola bara scura e squadrata piena di vecchie coperte e biancheria. Dal bosco, là fuori, nemmeno un suono. È notte? Sembra notte, si disse, allungandosi con naturalezza verso la finestra come una strana anguilla umana, i piedi incollati al pavimento, fino ad affacciarsi col volto ruvido alla finestrella. Fuori, solo dune d’erba, il bosco nero e lontano, addormentato, vibrante di una vita che non osava farsi ascoltare nemmeno da lui.
La volpe rossa ha smesso di ridacchiare, pensò. Qualcosa l’avrà rattristata?”

Grazie Cristina e in bocca al lupo a te e ad Alessandro nel mondo dell’editoria.

- Così Anna di Genova, ma da Cogoleto con Gianni Rodari:
""21 Marzo

La prima rondine
venne iersera
a dirmi:” E’ prossima
la Primavera!

Ridon le primule
nel prato, gialle,
e ho visto, credimi,
già tre farfalle”.

Accarezzandola
così le ho detto:
“Sì, è tempo, rondine,
vola sul tetto!

Ma perché agli uomini
ritorni in viso
come nei teneri
prati il sorriso

Un’altra rondine
deve tornare
dal lungo esilio,
di là dal mare.

La  P a c e,  o rondine
che voli a sera!
Essa è per gli uomini
la Primavera”.

Grazie Anna, speriamo.                 

-Io di Roma, ma da qui da Monaco, ho letto la seconda parte di questo mio ricordo da bambino::
"Mia madre si fidava anche della vicina Parrocchia, ma lì un po’ si sbagliava. Forse i preti erano gentili con lei, che era donna, fedele e carina; con me però lo erano meno. Di bello c’era comunque  a maggio, mese per il resto dedicato alla Madonna, il giro d’Italia con le palline di vetro. Ogni giorno facevamo una tappa. Durava, credo, due settimane. I più grandi, diretti dal prete responsabile, scavavano nella terra la grande pista con le curve, i rettilinei e anche le montagne, fatte invece con la creta.
     Proprio le montagne non erano affatto facili, come poi quelle vere per i ciclisti. Anche perché il canale tracciato nella terra era abbastanza stretto e c’erano tante curve. Dovevi calcolare bene, cioè, la forza dell’impulso del dito sulla pallina e la direzione esatta del lancio. La pallina doveva assolutamente salire alta sulla prima curva, ma non troppo, senza uscire. Doveva poi affrontare bene la seconda e la terza e eventualmente la quarta e la quinta curva e rimanere dentro al canale, anche se traballando pericolosamente. Il problema era riuscire in qualche modo a raggiungere la cima della montagna. Altrimenti la pallina sarebbe ricaduta miseramente all’indietro, fino al punto di partenza, se non oltre, tra i ghigni degli altri. Raggiunta la vetta, la discesa poi veniva da sola ed era come un trionfo, anche con battito di mani a volte. Per un bambino non era proprio facile. Ma questo a mia madre non lo dissi.
     Così s’imparava anche un po’ di geografia. Che so?, Roma-Battipaglia per esempio. Lì tutto era come nella cartina geografica, che pendeva invece inerte alla parete della classe nella scuola. Noi invece qui in tanti interessatissimi calcolavamo le distanze ed i rilievi. Qui partecipavamo con passione. C’erano tante palline colorate, rigorosamente tutte un po’ diverse nei fasci di colore, ma non nella grandezza, che era per tutti uguale. C’erano il gruppone multicolore, le fughe e i ritardatari. Era anche esteticamente per me tutto molto bello, come forse nel giro vero, che però non avevamo mai visto, perché allora non c’era la televisione. Quando toccava a te, eri emozionato. Ti guardavano tutti e tutti avrebbero voluto vincere, questo l’avevamo già capito. Era poi anche una buona scuola di vita. Erano infatti pochi, non dico  quelli che facevano il tifo per te (al massimo un paio di amici, se c’erano), ma quelli almeno neutrali. Lì era già completo stress da competizione. La mano che dava la schicchera, noi la chiamavamo così, spesso si vedeva pure ad occhio nudo, che un po’ tremava.
     Ogni corridore-pallina aveva diritto ogni volta a tre tiri. Chi, dopo ore che stavamo tutti accovacciati, arrivava con meno tiri al traguardo, indossava una vera maglia rosa e ci andava in giro fiero, riverito e rispettato davanti a tutti, almeno fino al giorno dopo.. Le ragazze però ancora non c’erano,  La classifica della tappa e quella generale, con i tiri di distacco tra i partecipanti ed i nomi dei ritirati giornalieri, veniva poi affissa nel portico del cortile appena possibile. Lì si formavano allora i capannelli per i commenti a caldo, un po’ come un primo rustico processo alla tappa. Di doping nessuno sapeva niente e non se ne parlava.
     I ritirati erano ogni giorno un discreto numero. La cosa succedeva spesso così. La tappa era praticamente già finita. Si conosceva il nome del vincitore e eventualmente della nuova maglia rosa. I piazzamenti migliori erano già stati assegnati. Intorno già si discuteva accanitamente dei momenti salienti della tappa e degli sviluppi finali possibili del giro. Ed alcuni invece erano testardi ancora lì, davanti alla loro ostica montagna. La pallina non ne voleva proprio sapere di compiere, anche se in gran ritardo, il suo dovere di pallina: inerpicarsi tra le curve della montagna e raggiungere la sospirata cima. Usciva invece regolarmente dalla pista, una volta qua e una volta là, all’apparenza misteriosamente. Il prete custode dopo un po’ s’innervosiva, c’era forse anche da capirlo. E le dita del bambino si rattrappivano allora ancora di più e perdevano quindi in scioltezza. La qualità dei tiri s’incattiviva e perciò peggiorava. Ecco perché ogni giorno c’era un discreto numero di ritirati. Come del resto nella vita, niente di veramente nuovo. Era l’eccessiva pressione complessiva della situazione o, a scelta, anche un po’ la prova definitiva dell’assenza di un vero angelo custode per tutti. E questo lì, non lo si poteva certo dire."

Poi avrei voluto leggere questi pensieri, ma non ce n’è stato il tempo:

"Riflessione
La mia professione è progressivamente diventata insegnare o meglio facilitare agli stranieri, in genere tedeschi, l’apprendimento della nostra lingua. A volte allora mi fermo a riflettere su alcune di queste parole nelle due lingue. Una che spesso mi ha particolarmente attirato è municipio-Rathaus:
In italiano questa parola ha dentro il significato storico di un posto dove si assumono cariche pubbliche e quindi anche doveri, ma anche di un posto fortificato, che all’occorrenza ti possa difendere.
In tedesco la parola invece significa solo un posto dove è possibile ricevere consigli.
Eh sì, le parole sono sempre belle da soppesare.

la luce della ragione, può anche accecare?

La scienza spesso c’è e la coscienza?

È comprensibile.
Chi non ha abbastanza validi elementi suoi per valutare,
si affida in genere al valore di simboli riconosciuti.

Sentirsi utili a qualcuno, sembra spesso già una buona ragione di vita."


Grazie per l’attenzione.

Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa e culturale di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può un po’ sostenerla economicamente anche con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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