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RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 7 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 7 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 7 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 9, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 4 dall’Italia e cioè da Milano, da Bologna, da Cogoleto (Genova) e da Perugia e 4 dalla Germania, di cui 2 da qui da Monaco con provenienza da Monaco e da Roma, 1 da Eichtetten e 1 dal nord della Germania, con provenienza da Roma
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono quasi dappertutto ormai ed incontrarci, con punti di vista così diversi, diventa sempre più interessante, Le nostre storie s’intrecciano le une con le altre, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo, se solo potete:

- Eva di e da Monaco:
Ecco qualche riga tradotta in italiano dal mio manoscritto per il mio documentario su Michelangelo:
"Michelangelo era appena nato, quando suo padre Ludovico Buonarroti, un nobile fiorentino impoverito, affidò il figlio a una balia in una famiglia di  scalpellini in campagna.  Era cosi l’usanza negli ambienti aristocratici, anche se il denaro era appena sufficiente per vivere.
Il bambino è felice a casa con gli scalpellini, dove può giocare con le pietre e osservare il maestro al lavoro.
Il Biografo di Michelangelo, Antonio Forcellini, dice:
-Da adulto  Michelangelo dirà scherzosamente che il suo destino di scultore è stato predestinato da questi anni in cui ha bevuto la polvere di marmo con il latte della sua balia, questi anni in cui il ritmo del martello sembrava un ritmo del cuore per il piccolo Michelangelo.-
Ma il bambino ha solo 2 anni, quando il  padre lo riporta a casa sua a Firenze.
Sono tempi brutti per il piccolino. L’umore nella famiglia impoverita è cupo. A Firenze la dinastia bancaria dei Medici domina la città. Un’aspra lotta per il potere infiamma i clan nobiliari. E anche il Papa intanto vuole possedere la città più ricca d’Italia.
A Pasqua 1478 tutta Firenze si riunisce nella cattedrale per la messa di Pasqua. I fratelli Medici, Giuliano e Lorenzo, i leggendari mecenati delle arti, si preparano per la messa solenne.
In quel momento succede. Due monaci accoltellano i fratelli Medici. Guiliano muore sanguinante a causa di 19 ferite da coltello, Lorenzo, il capofamiglia, riesce a fuggire ferito. L’assassinio è stato pianificato da tempo. C’è anche lo zampino del Papa.
Lorenzo fa massacrare i cospiratori e appendere i loro corpi a Palazzo Vecchio, per farli vedere a tutti.
Questa è l’atmosfera in cui cresce a Firenze il giovane Michelangelo.
Sua madre è morta e suo padre, solo con tre figli adolescenti, non riesce più a pagare le fatture. È fortemente indebitato, ha in pratica rovinato la sua famiglia, un tempo nobile.
Scarica sempre sul giovane Michelangelo il risentimento di una vita. Se lo sorprende a disegnare, lo picchia:
-Siamo nobili, non un branco di straccioni! Dovresti lavorare, imparare come i tuoi fratelli.-
Michelangelo soffre molto per il padre tirannico e collerico.
In seguito farà però poi di tutto per ristabilire la reputazione del padre e l’onore della sua famiglia."

https://www.zdf.de/dokumentation/terra-x/giganten-der-kunst-michelangelo-100.html

Grazie Eva di essere con noi.


- Così Lina da Trois-Rivière, Québec:
"Ma chi sei?
Al tramonto stavo contemplando l’orizzonte, che si era coperto di varie tinte di rosa, quando ho visto apparire un animale davanti alla casa della mia vicina. Pensando che fosse un porcospino, ho preso il telefono per avvertirla di fare entrare il cane in casa, ma poi mi sono accorta che si trattava di qualcos’altro e allora ho preso il binocolo. Ma mano che poi si avvicinava a casa mia, aprivo sempre di più la bocca, stupita.  Non avevo mai visto un essere simile.
Aveva un corpo slanciato grigio scuro, basso come un gatto ma due volte più lungo ed una larga coda come quella di una volpe.
Di fronte a casa mia si è fermato e ci siamo osservati almeno 5 minuti, io dentro e lui fuori. A voce alta ripetevo: ma cosa sarà? Invece lui sembrava che pensasse: ma chi sei?
E dopo ha continuato nella sua strada misteriosa.
Ne ho parlato con diverse persone e quasi quasi, mi ero convinta di aver scoperto una nuova bestia; invece ho poi saputo che si chiamava pékan, animale raro e feroce.


Bruno Villata era professore all’università di Montréal. Ha scritto diversi libri, ma oggi vi voglio parlare di questo: les Piémontais du Québec 1665-2008. Libro scritto in francese, italiano e piemontese.
Quando andavo a scuola, ci dicevano che il reggimento di Carignano era del Belgio, invece lui, Bruno Villata, ha dimostrato che veniva dal Piemonte.
Correva l’anno 1664 quando, rispondendo alle drammatiche ed insistenti richieste provenienti dalla sparuta colonia stabilitasi nella lontana Nouvelle France, Luigi XIV decise finalmente di inviare un reggimento in quei territori, allora poco ospitali per gli Europei. Era il Régiment de Carignan, che doveva avere il preciso compito di pacificare i bellicosi Irochesi e salvaguardare l’esistenza stessa dei sudditi francesi colà residenti.  Com’è noto, gli Irochesi erano i più temuti tra gli Indiani, con cui i Francesi erano venuti in contatto. Le loro imboscate costituivano una minaccia continua per tutti, mentre le incursioni lungo il San Lorenzo suscitavano il terrore, seminando morte e distruzione.
   Giunto in Nouvelle France nell’estate del 1665, il Régiment de Carignan comprendeva mille uomini raggruppati in venti compagnie, a cui se ne aggiunsero altre quattro di altri reggimenti che avevano combattuto nelle Antille. Il loro arrivo a Québec  suscitò naturalmente grande entusiasmo e radiose speranze. Pur senza combattere delle vere e proprie battaglie, il contingente inviato da Luigi XIV portò a compimento la missione che gli era stata affidata e dopo più di due anni rientro in Europa. Il soggiorno in Nord America fu comunque tutt’altro  che piacevole, in quanto il freddo intenso e l’equipaggiamento inadeguato causarono numerose perdite. Alla fine della spedizione parte degli effettivi, forse 400 soldati, decisero tuttavia di abbandonare il reggimento e di stabilirsi nel Nuovo Mondo."

Grazie Lina per queste tue fresche storie dal Canada. Alla prossima. Una domanda: che ne è ora degli Irochesi?

- Così Susanne da Eichstetten:

1) con Mark Haddon - Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (The curious incident of the dog in the night-time)-:
"E mentre dormivo, ho fatto uno dei miei sogni preferiti. Qualche volta lo faccio durante il giorno, ma allora è un sogno a occhi aperti. Ma molto spesso lo faccio anche di notte.
E in quel sogno quasi tutte le persone sulla terra sono morte, perché hanno contratto un virus. Ma non è un virus normale. È come un virus del computer. E le persone ne vengono infettate,  a causa del significato di qualcosa che una persona infetta dice e del significato di ciò che la persona fa con la sua faccia,  mentre lo dice. Il che vuol dire che lo si può contrarre anche solo guardando una persona infetta alla TV, il che vuol dire che si diffonde davvero rapidamente in tutto il mondo.
E quando le persone contraggono il virus restano sedute sul divano e non fanno nulla e non mangiano né bevono e quindi muoiono. … E alla fine non rimane più nessuno al mondo, tranne le persone che non guardano in faccia le altre persone… e tutte queste persone sono speciali come me. E gli piace stare da sole e non le vedo quasi mai, perché sono come gli okapi nella giungla del Congo, che sono una specie di antilope e che sono molto timidi e rari.
E posso andare ovunque nel mondo e so che nessuno mi parlerà né mi toccherà né mi farà nessuna domanda. Ma non devo andare da nessuna parte se non voglio, e posso stare a casa, mangiando broccoli e arance e stringhe di liquirizia tutto il tempo o posso giocare ai videogiochi per un’intera settimana o posso semplicemente restare seduto in un angolo della stanza e strusciare una moneta di una sterlina contro la superficie increspata del termosifone. E non devo andare in Francia. …
E poi trovo le chiavi della macchina di qualcuno e salgo sulla macchina e vado … al mare e parcheggio la macchina e scendo e fuori piove a catinelle. … E non vado a nuotare, nel caso ci siano gli squali. E sto lì e guardo verso l’orizzonte ed estraggo il lungo righello metallico e lo metto su quella linea tra il mare e il cielo e dimostro che la linea è una curva e che la terra è rotonda. …
E poi vado a casa, alla casa di mio padre, solo che non è più la casa di mio padre ma è la mia. E mi preparo un Gobi Aloo Sag e metto del colorante alimentare rosso dentro e mi faccio un frappè alla fragola e poi guardo un video sul sistema solare e gioco ai videogiochi e vado a letto.
E poi il sogno è finito e io sono felice."

 2) con Stefano Benni -Il racconto del bambino serio: Il dittatore e il bianco visitatore- da - Il bar sotto il mare -:
"C’era un dittatore che aveva incarcerato, torturato e ammazzato uomini e donne del suo Paese. Un giorno gli venne annunciata la visita del Capo degli Uomini Buoni.
Poiché questo Capo era molto potente, viaggiava per il mondo e ovunque andasse la gente accorreva a vederlo, il dittatore dovette prepararsi a riceverlo nel modo migliore.
Ammazzò tutti i torturati, perché non si dicesse che c’era la tortura, tutte le mamme dei desaparecidos, perché non dicessero che i figli erano desaparecidos, tutti i prigionieri, perché non si dicesse che le prigioni erano piene  e riempì la città di striscioni di benvenuto.
Ma la notte prima della visita non dormì: sapeva che il Capo degli Uomini Buoni conosceva il bene e il male ed era venuto per rimproverarlo: gli avrebbe detto delle cose terribili davanti a tutti, smascherando i suoi delitti.
Così la mattina all’aeroporto era molto nervoso. Invece della solita divisa con draghi e pugnali, si era messo un completo grigio con la cravatta e al posto dei gorilla generali aveva una scorta di suorine. Ogni suorina teneva in braccio un bambino, di cui il Capo degli Uomini Buoni era ghiotto.
Il Visitatore scese tutto vestito di bianco da un aereo bianco, baciò la terra e i bambini, salutò il dittatore e insieme percorsero i viali della città tra gli applausi della gente, anche perché chi non applaudiva veniva bastonato.
Quando furono nell’appartamento del dittatore, il Capo degli Uomini Buoni chiuse a chiave la porta e disse:
– Adesso io e lei facciamo due chiacchiere.
Il dittatore tremò. Era venuto per lui il momento della verità. Stava per buttarsi in ginocchio e chiedere perdono, quando il Bianco Visitatore disse:
– Mi piace questo paese, è tranquillo.
– Sì, non c’è male – disse il dittatore.
– Si vede che la gente ci sta bene…
– Abbastanza… magari qualcuno si lamenta, ma…
– Anche nel mio paese – disse il Capo degli Uomini Buoni – c’è sempre qualcuno che si lamenta.
– E poi, per la verità, qualche vòlta… ho dovuto…
– Dovuto cosa?
– Ho dovuto… intervenire.
– La capisco.
A quelle parole il dittatore si buttò in ginocchio. Com’era buono il capo degli Uomini Buoni!  Che grande lezione gli dava! Non con anatemi e ingiurie, ma con la forza dell’indulgenza e del perdono. Indicandogli la via… Oh sì! Anche lui sarebbe stato buono e comprensivo come il Capo degli Uomini Buoni! Gli baciò la mano, l’anello, la manica e disse:
– Non arresterò più nessuno, indirò libere elezioni, proibirò la tortura, licenzierò gli squadroni della morte… ho capito la Sua lezione.
Il Capo degli Uomini Buoni ritirò di colpo la mano.
– Lei è pazzo – disse – guai a lei se ci prova!
Il dittatore trasecolò.
Quando il Bianco Visitatore partì, il dittatore ricominciò a imprigionare e torturare e ammazzare, ma non ci provava più lo stesso gusto.
– È vero – pensava – ci sono degli incontri che cambiano la vita."

Grazie Susanne per l’ironia surreale qui suggerita.


- Così Francesco da Perugia con Baudelaire:
1) "La Pipa
Sono la pipa di uno scrittore:
a guardare la mia faccia
di Abissina o di Cafra, si vede
che il mio padrone è un gran fumatore.
Quando è colmo di dolore,
fumo come la capanna
dove si cucina il pasto
per il ritorno dell’aratore.
Abbraccio e cullo la sua anima
nella rete mobile ed azzurra
che sale dalla mia bocca di fuoco,
E spando un potente dittamo
che incanta il suo cuore
e guarisce lo spirito dagli affanni.

Il Gatto
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi
in cui l’agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico
e la mia mano s’inebria del piacere
di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo nello spirito la mia donna. Il suo sguardo,
Come il tuo, amabile bestia,
Profondo e freddo, taglia e fende come un dardo
e dai piedi alla testa 
un’aria sottile, un temibile profumo
Ondeggiano attorno al suo corpo bruno."


2) con l’inizio del suo romanzo:

IL RE HA PARLATO
"Guardo lo zaino della scuola e non resisto all’impulso di aprirlo nuovamente per controllare che i quaderni siano ordinati così come li ho lasciati. Due quaderni a righe seguiti da due a quadretti. Tutti con la copertina rigorosamente blu. Mi rilassa. Gli altri colori non mi piacciono, al limite il verde, quanto a roba tipo il rosso, mi lasciano cattive sensazioni.
Mi tranquillizzo nel constatare che i quaderni non si sono spostati, prima ci sono quelli a righe, poi quelli a quadretti. Davanti, il diario e l’astuccio. Apro anche quello e osservo le penne e le matite al loro posto, fissate dagli elastici alla custodia.
Prima due penne blu, poi una rossa, quindi due matite. Dall’altro lato gomma e temperamatite. Tutto in ordine anche qui.
Lo so che è un astuccio da bambini delle elementari, poco consono a un ragazzo di sedici anni, ma non capisco come facciano i miei compagni a venire a scuola con quelle sacchette in cui le penne sono buttate giù alla rinfusa. Ripongo l’astuccio nello zaino. Sono tante le cose che non capisco di loro e ciò che utilizzano per trasportare la cancelleria è forse il problema minore.
Oggi l’ansia si fa sentire più del solito, domani ricomincia la scuola, con tutto quello che ne consegue. È stata una bella estate, con i miei siamo andati in Valle d’Aosta e abbiamo fatto lunghe passeggiate tra valli e sentieri poco battuti. Molto meno turismo rispetto ad altre zone, significa molta meno gente. Il che per come la vedo io è un gran pregio. Dopo qualche giorno ho anche cambiato la mia play list, basta canzoni arrabbiate, sentivo che non rispecchiavano il mio stato d’animo tra quei boschi. Meglio roba più melanconica, che per me è un bel passo avanti, così sentenzia mia madre quando vuole scherzare. O almeno, quando lei dice che vuole scherzare: io non riesco a decifrare molto bene gli stati d’animo delle persone, con i miei già va meglio, ma con il resto del mondo è un disastro. Non sono nemmeno un gran fenomeno a interpretare quello che sento io stesso, a essere sincero fino infondo."

Grazie Francesco e buona fortuna con le tue storie!


- Così Cristina di Haifa, ma da Milano:
Il primo testo letto è tratto dal mio secondo romanzo, ancora inedito, intitolato “Le notti di Beirut” e ambientato durante la guerra civile libanese:

“Le ragioni di Nadir a sostegno della teoria per cui il Re dei Fenici, loro acerrimo nemico e signore indiscusso della necropoli, non doveva essere sempre stato di indole malvagia non convinsero subito Leila.
I due trascorsero l’intera mattinata e parte del pomeriggio a discuterne vivacemente. Se fosse stato malvagio di natura, sosteneva Nadir, era chiaramente da eliminare. Ma se non lo fosse stato? Se il suo brutto carattere fosse stato solo un risultato dei soprusi subiti nel corso di tutti quei secoli? «Anche io sarei molto infastidito se fossi morto in maniera così violenta» le spiegò con pazienza mentre stavano seduti all’ombra di un albero a pensare al loro piano.
«Ma non sappiamo neanche come sia morto, Nadir!»
«Scommetto che lo hanno assassinato i suoi consiglieri...» «Perché proprio i suoi consiglieri?»
«Perché sono sempre le persone che meno ti aspetti che ti fanno le cose peggiori... l’ho sentito dire alla nostra vicina di casa, khalto Fatima.»
Leila si accigliò.
L’ingresso della necropoli, o quello che avevano stabilito essere l’ingresso della necropoli, si trovava a pochi metri da loro, ma Nadir aveva l’impareggiabile capacità di ritardare ogni operazione con le sue riflessioni filosofiche e ora la loro missione le sembrava più lontana che mai.
«Senti, a me non importa se prima era buono ed ora è cattivo, o se è sempre stato cattivo» lo interruppe Leila «secondo me va comunque ucciso.»
«Ma è già morto, non possiamo ucciderlo!»
La bambina sbuffò.
«Avevi detto che dovevamo sconfiggerlo, Nadir, deciditi.»
«Ho detto sconfiggere, infatti, non uccidere.»
«E come possiamo farlo?»
Nadir si scompigliò distratto i capelli corti e scuri come faceva ogni volta che aveva un grattacapo da risolvere. Leila notò che aveva una faccia molto intelligente quando si concentrava a cercare soluzioni ai loro piccoli problemi; gli occhi neri si stringevano impercettibilmente per inquadrare meglio la questione e gli conferivano un’aria da grande pensatore.
«Dobbiamo attirarlo fuori dalla sua tomba e convincerlo a smettere di infestare la necropoli» decise lui dopo una breve pausa.
«Se accendessimo una torcia qua fuori potrebbe venire a controllare che sia tutto a posto, magari» suggerì cauta Leila. «No, non è possibile. Il Re è cieco.»
La sicurezza dell’affermazione di Nadir la fece sospirare.
«E perché è cieco?»
«È morto, è sicuramente cieco» confermò lui «Deve esserlo per forza.»
«Come fai a sapere con certezza che il Re sia cieco?»
Nadir alzò il volto e le sorrise enigmatico.
«Mio padre dice che se stai troppo tempo con gli occhi chiusi diventi cieco» le riportò fedelmente lui «e il Re ha dormito a lungo nella sua tomba, quindi è sicuramente cieco.»“


Il secondo testo letto è tratto da “Mamma!”, racconto inedito di mio marito Alessandro:

“Il corpo obeso di sua madre strabordava dai braccioli della poltrona come l’impasto pallido e ancora crudo da una teglia da torta troppo piccola per contenerlo. Reggie si chiese da quanto tempo fosse incastrata lì dentro e calcolò una media di almeno tre ore, le stesse passate dal primo pasto della giornata - dal quale dovevano esserne intercorsi almeno altri due.
Prima colazione: caffè, pane fritto e burro. Spuntino numero uno: biscotti Reese’s al cioccolato e burro d’arachidi. Spuntino numero due: pizza al salame piccante e formaggio scongelata al microonde.
Immaginò il contenuto del suo enorme stomaco ribollire sommessamente come l’interno di un vulcano, ma al posto della lava c’era un minestrone di succhi gastrici e cibo indigesto pronto ad eruttare da uno dei due crateri a disposizione. A quale dei due sarebbe toccato oggi, sempre secondo i suoi calcoli, l’avrebbe scoperto non prima di cena.”

Grazie Cristina e buon lavoro a tutti e due!
 

- Così Anna di Genova, ma da Cogoleto con questo suo racconto -Torre Aquila-:
"Mentre Caterina, incerta sul da farsi, teneva tra le mani il sacchetto del pane, Jörg con naturalezza glielo prese dicendo che il coltellino lo aveva lui e che avrebbe preparato due panini per il pranzo, così - imbottendo senza risparmio quello della donna - glielo porse sorridendo al suo tentativo di protesta: "Dai, non vorrai mica che mangi da solo, vero?”.
Lei ricambiò il sorriso, prese il pane e aspettò che anche Joerg fosse pronto a mangiare.
Lui accennò a spostarsi di fronte, ma Caterina gli chiese di rimanere accanto a lei, e si fece più piccola, quasi scomparve tra lui e il finestrino, lasciando sporgere solo i piedi, calzati da sandali leggeri, con un tacco accennato.
Jörg si tolse le scarpe e rimase con i calzini, che lei conosceva bene: non se li toglieva mai, neanche…
“Vedo se c’è un bar nella carrozza avanti”.
Appena si fu allontanato Caterina prese un piccolo specchio dalla sua sacca. Quella andava bene, non era sbagliata come il trolley. Lui aveva portato un borsone.
Avrebbe dovuto pensarci: il trolley faceva così signora…Ma ormai era fatta. Con un gesto automatico sistemò la frangia sulla fronte a nascondere quella ruga che la infastidiva tanto. Portò una mano al foulard che le copriva il collo. A posto.
Jörg stava già tornando, con la sua andatura sicura, strafottente come può essere quella di un quarantenne abbronzato, con un sorriso candido e i capelli lunghi, in parte raccolti in una piccola crocchia, che lo facevano sembrare un samurai.
Caterina lo guardò ammirata. Non poteva farne a meno. E lui lo sapeva, e sorrideva compiaciuto.
Reggeva una bottiglietta di acqua minerale con l’aria di chi stesse portando a dir poco la coppa del Santo Graal.
Anche il più piccolo gesto che compiva lo metteva in scena come si fosse trattato di un’azione grandiosa, pressoché eroica, di cui ovviamente soltanto lui fosse capace e per cui gli altri, Caterina compresa, anzi Caterina in particolare, dovessero provare un’estrema riconoscenza non disgiunta da un’incondizionata ammirazione.
Insicura si sentiva invece Caterina, che alle unghie ben curate non aveva osato dare un colore deciso, molto verosimilmente anche per richiamare meno l’attenzione sulle macchioline sparse qua e là sul dorso delle sue mani.
L’aver nascosto la ruga sulla fronte e quella sul collo l’aveva fatta sentire sia pure solo per una manciata di minuti meno sbagliata.
Ma ora che lui era tornato, le piccole rughe più o meno reali, la sua magrezza e persino il trolley le parevano più inadeguati che mai.
L’acqua fresca le fece piacere, così come la vicinanza dell’uomo, di cui avvertiva la ben nota sensualità.
Il treno, che da Verona aveva ripreso il suo cammino, era poco affollato e nello scompartimento l’unico altro passeggero era una vecchia signora seduta vicino al corridoio, il cui sguardo si posava di quando in quando impercettibilmente su di loro.
Non era soltanto il paesaggio che Caterina vedeva scorrere, quanto piuttosto fotogrammi vividi della sua vita, che dal dicembre di due anni prima aveva subìto un forte contraccolpo.
Casuale il suo dimagramento non lo era, né tantomeno connaturato: poco prima di quel Natale aveva saputo di essere molto malata e si era ritrovata di punto in bianco completamente sola.
Da circa cinque anni aveva una relazione con Jörg, ma proprio quando lei avrebbe avuto maggiormente bisogno del suo sostegno lui era scomparso senza una parola, lasciandola in preda alla disperazione più profonda.
In quei lunghi mesi trascorsi il senso di totale abbandono non l’aveva mai lasciata ed era stato con fatica tanto più grande che aveva affrontato le estenuanti e ripetute terapie che le consentivano di condurre ora una vita accettabile.
…Andiamo per qualche giorno a Trento, devo fare delle riprese nel Castello del Buonconsiglio, sai la Sala dei Mesi di Torre Aquila...
Così, all’improvviso, lui aveva suonato alla sua porta il lunedì precedente come se niente fosse stato e non fosse intercorso tutto quel tempo dal loro ultimo incontro.
E in effetti era proprio come se non fosse trascorso neppure un giorno e quella sorta di presente dilatato in cui si trovavano avvolse Caterina con tutta la sua forza.
Non ci fu neppure bisogno di ulteriori tentativi di convincimento.
Tutto era avvenuto così, semplicemente.
Ora il ritmo cadenzato del treno li accompagnava quasi amico e complice in quella calda giornata di inizio agosto.
Li attendeva il Ciclo dei Mesi di Torre Aquila, la cui particolareggiata e raffinata composizione delle scene affrescate, sottolineando la continuità del paesaggio, richiama l’unità e la circolarità del ciclo stesso.
Il ciclo della vita.
Anche una fase della loro vita si era richiusa, ora poteva aprirsene un’altra…the end is where we start from...
Trento non era lontana."

Grazie Anna di questa tua breve storia. Continua.


- Grazia di Milazzo, ma da Bologna, si è collegata alla fine e ne abbiamo approfittato per parlare con lei dell’annosa questione, se le donne siano in realtà più libere in un harem o se lo siano di più in occidente, quando lavorano, ma sono anche casalinghe, mamme e mogli. Ognuna ha detto la sua e questo è stato importante, senza alcuna pretesa di aver risolta definitivamente la questione.

- Anche Romina di Roma, ma dal nord della Germania, ha partecipato con  slancio alla conversazione, direi con particolare cognizione di causa.


- Io di Roma, ma da qui da Monaco, ho letto alcuni di questi miei ricordi e pensieri. Non tutti, perché non ce n’è stato il tempo:

"Mi ricordo di quando non c’era la televisione.
Il bambino stava in mezzo
e noi tutti intorno ad ammirarlo,
per ore.


Da grande
avrei voluto fare l’ingegnere
mi ricordo
avrei costruito da solo
la mia casa
e molte altre mie cose
mi ero anche iscritto
ad ingegneria
nel ‘67
poi vennero ben altri
tempi
e la vita mi andò
molto
diversamente.


Chi glielo spiega
ai figli di oggi
che allora li abbiamo voluti,
anche per non stare da soli,
per avere finalmente
dei legami
più stretti,
nella speranza
che questi legami
in qualche modo
ci avrebbero
rafforzato
e forse addirittura
responsabilizzato?


Certo che, se Trump verrà condannato per aver pagato tre persone che avrebbero potuto danneggiare le sue elezioni presidenziali del 2016, l’Italia non potrà non sentirsi molto imbarazzata, per non essere stata capace di fare altrettanti con Berlusconi, che anche lui a pagato sempre di tutto e di più.


Le abitudini non cambiano.
Come sempre da 40anni che sto a Monaco,
esco Venerdì Santo per fare la spesa
e matematicamente trovo sempre tutti i negozi chiusi.


Quella certa indulgenza che sconfina a volte nell’incoraggiamento a sbagliare.


Non mi sembra che l’attaccare l’intera Ucraina sia in qualche modo  giustificato da precedenti ingiustizie subite nel solo Donbass.


Una considerazione
Mi ricordo di quando a scuola si parlava delle guerre d’indipendenza dell’Italia e di come mi sentissi fiero, che fossero state allora fatte e poi anche vinte. Già allora mi ricordo che in Europa c’era una certa simpatia per i popoli che combattevano per l’indipendenza.
Poi penso alla guerra ora scatenata dalla Russia in Ucraina, per porre fine alla sua indipendenza.
Ma anche adesso in Europa c’è simpatia, perché l’Ucraina conservi la sua indipendenza.


Paolo Grugni
A proposito di migrazioni, dobbiamo ricordare quando invademmo la Svizzera. Alla fine degli anni Sessanta, c’erano 700mila italiani su meno di 6 milioni di abitanti. Vivevano in baraccopoli, insolentiti e denigrati. Un deputato propose di espellere 450mila immigrati (la maggior parte italiani). In molti in Svizzera insorsero perché non avrebbero più avuto mano d’opera per i lavori più umili."

Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto e a presto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa e culturale  di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c.  HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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