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RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 4 agosto 2023 a Monaco di Baviera su skype, spo

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 4 agosto 2023 a Monaco di Baviera su skype, spo

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 4 agosto 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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  Ci siamo collegati in 6, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 1 dall’Italia, dalla Val di Fassa (Trento), ma di Genova e 5 da qui da Monaco, con provenienza da Napoli, da San Gregorio Magno (Salerno), da Monaco e da Roma:

- Così Antonio di Napoli, ma da qui da Monaco:
"Borsalino, il cappello degli Italiani. Il cappello da uomo più bello e più famoso del mondo è italiano e si chiama Borsalino. Tutti lo conoscono e lo apprezzano: è il cappello preferito dalle stelle del cinema, ma anche dai reali, dai diplomatici e dai politici di tutto il mondo. È il simbolo dello stile e dell’eleganza italiana.
La storia del famoso cappello ha inizio quando il suo creatore, Giuseppe Borsalino, all’età di 13 anni, comincia a lavorare in una bottega di Alessandria come apprendista cappellaio. È così piccolo che deve salire in piedi su uno sgabello, per raggiungere il bancone nel negozio. Ma ha buona volontà e in poco tempo impara tutte le tecniche e i segreti della produzione dei cappelli in feltro che, a quel tempo, sono fatti interamente a mano.
Nel 1850  Giuseppe Borsalino va a Parigi e ottiene il diploma di mastro cappellaio necessario per aprire un suo laboratorio con l’aiuto del fratello. Nel 1857 nasce ad Alessandria l’azienda «Borsalino Giuseppe & fratello» e comincia a produrre cappelli eleganti e di qualità. Le mani di Borsalino sono considerate le più abili mani di cappellaio mai esistite. Giuseppe ama a tal punto la precisione e il lavoro fatto a mano, che insegna personalmente il mestiere agli operai della sua fabbrica.
Il piccolo laboratorio di Giuseppe cresce fino a diventare un’industria. Possiede macchine moderne che arrivano dall’Inghilterra, il cuore della Rivoluzione Industriale, ma una grande parte del lavoro finale viene fatta a mano.
A quel tempo tutti indossano un cappello e il successo del Borsalino arriva subito. Il Borsalino è sopra ogni testa: di chi passeggia per strada, di chi va in ufficio, alle feste e agli eventi importanti.
Giuseppe Borsalino muore ad Alessandria nel 1900, proprio nell’anno in cui l’azienda vince il premio all’Esposizione Universale di Parigi, e il suo cappello diventa famoso in tutto il mondo.
A dirigere l’azienda subentra il figlio Teresio mentre la fama del cappello cresce sempre di più, tanto che nel corso del Novecento a indossare un Borsalino saranno decine di registi, attori, scrittori, politici e capi di Stato. Ogni uomo che conta indosserà un Borsalino, e questo nome diventerà negli anni sinonimo di cappello."

Poi Antonio ci ha parlato del malocchio, che è una delle tradizioni popolari più radicate, che tratta la superstizione del potere dello sguardo, di produrre effetti sulla persona osservata, nella maggior parte dei casi negativi, come portare malasorte per esempio.

Grazie Antonio e alla prossima!

- Salvatore di San Gregorio Magno (Salerno), ma da qui da Monaco, ci ha ancora una volta parlato della sua vita: unico figlio di un terribile padre padrone, violento, pregiudicato, violentatore, truffatore, giocatore di carte e quant’altro.
Il nonno di Salvatore, prima di morire, aveva maledetto suo padre con "possa tuo figlio fare un giorno a te, quello che ora tu stai facendo a me", avendogli questo negato il pane. È per questo che il padre di Salvatore per tutta la vita ha cercato di liberarsi del figlio, Salvatore, senza per fortuna però riuscirci e morendo alla fine impiccato.
Purtroppo Salvatore, a proposito del malocchio e delle fatture di cui sopra, teme  anche lui a sua volta di poter essere vittima di malocchio da parte di suo padre morto. Questa situazione gli impedisce ora di essere felice con la sua nuova compagna.

In bocca a lupo Salvatore! Liberati da questi cappi e sii felice!

- Così Manfred di e da Monaco su Marcovaldo, di Italo Calvino: Il piccione comunale:
"Il libro Marcovaldo ovvero Le stagioni in citta‘ fu pubblicato nel 1963 ed e‘ composto da 20 novelle che descrivono con semplicita‘ quasi infantile la vita del protagonista, un povero-diavolo, insieme alla sua famiglia in mezzo alla citta‘ di cemento e asfalto. Lui va sempre in cerca di una natura, che comunque dove abita non c’è. E‘ un libro per bambini, per ragazzi o per grandi? Non so, l‘ho comprato nel tempo dei miei primi contatti con la letteratura italiana a inizio degli anni 70, però l‘ho letto solo poco tempo fa.":
"Gli itinerari che gli uccelli seguono, migrando verso sud o verso nord, d’autunno o a primavera, traversano di rado la città. Pure una volta un volo di beccacce autunnali apparve nella fetta di cielo di una via. E se ne accorse solo Marcovaldo, che camminava sempre a naso in aria. E era sul triciclo a furgoncino, e vedendo gli uccelli pedalò più forte, come andasse al loro inseguimento, preso da una fantasticheria di cacciatore, sebbene non avesse mai imbracciato altro fucile che quello del soldato. E così andando con gli occhi agli uccelli che volavano, si trovò in mezzo a una crocevia, col semaforo rosso, tra le macchine, e fu a un pelo dall’essere investito. Mentre un vigile con la faccia paonazza gli prendeva nome e indirizzo sul taccuino, Marcovaldo cercò ancora con lo sguardo quelle ali nel cielo, ma erano scomparse.
In ditta la multa gli suscitò aspri rimproveri. „Manco i semafori capisci? gli gridò il caporeparto signor Viligelmo. „Ma che cosa guardavi, testa vuota?“ „Uno stormo di beccacce guardavo“ disse lui. „Cosa?“ e al signor Viligelmo, che era un vecchio cacciatore, scintillavano gli occhi. E Marcovaldo raccontò. „Sabato prendo cane e fucile!“  disse il caporeparto, tutto arzillo, dimentico ormai della sfuriata.  Per tutto quel giorno il cervello di Marcovaldo macinò, macinò come un mulino: „Se sabato come è probabile ci sarà pieno di cacciatori in collina, chissà quante beccacce caleranno in città e se io ci so fare, domenica mangerò beccaccia arrosto.“
Il casamento dove abitava Marcovaldo aveva il tetto fatto a terrazzo coi fili di ferro per stendere la roba ad asciugare. Marcovaldo ci salì con tre dei suoi figli con un bidone di vischio, un pennello e un sacco di granone. Mentre i bambini spargevano chicchi di granone dappertutto, lui spennellava di vischio i parapetti, i fili di ferro, le cornici dei comignoli. Ce ne mise tanto che per poco Filippetto, giocando, non ci restò lui appiccicato. Quella notte Marcovaldo sognò il tetto cosparso di beccacce invischiate sussultanti. Sua moglie Domitilla, più vorace e pigra, sognò anatre già arrosto posate sui comignoli. La figlia Insulina, romantica, sognava colibrì da adornarsene il capello. Il giorno dopo, a ogni ora, uno dei bambini andava d‘ ispezione sul tetto, ma le notizie non erano mai buone. Finché verso mezzanotte Pietruccio tornò gridando: Ci sono! Papà! Vieni! Marcovaldo andò su con un sacco. Impegolato nel vischio c’era un povero piccione, uno di quei grigi colombi cittadini, abituati alla folla e al frastuono delle piazze. Svolazzando intorno, altri piccioni lo contemplavano tristemente, mentre cercava di spiccicare le ali dalla poltiglia su cui si era malaccortamente posato.
La famiglia di Marcovaldo stava spolpando le ossicine di quel magro e tiglioso piccione fatto arrosto, quando sentirono bussare. Era la cameriera della padrona di casa: „La signora La vuole! Venga subito!“ Molto preoccupato, perché era indietro di 6 mesi con la pigione e temeva lo sfratto, Marcovaldo andò all’appartamento della signora al piano nobile. Appena entrato nel salotto vide che c’era già un visitatore: La guardia dalla faccia paonazza. „Venga avanti, Marcovaldo“, disse la signora. „Mi avvertono che sul nostro terrazzo c’è qualcuno che dà la caccia ai colombi del comune. Ne sa niente, lei?“ Marcovaldo si sentì gelare. „Signora, Signora!“ gridò in quel momento una voce di donna. „Che c’è Guendalina?“  Entrò la lavandaia. „Sono andata a stendere in terrazzo, e mi è rimasta tutta la biancheria appiccicata. Ho tirato per staccarla. Ma si strappa! Tutta roba rovinata! Cosa mai sarà?“ Marcovaldo si passava una mano sullo stomaco come se non riuscisse a digerire..."

Poi Manfred ha così continuato:
"Mi permettete qualche considerazione per quanto riguarda la beccaccia?
La beccaccia è una specie migratrice e parzialmente sedentaria o svernante, diffusa quasi in tutta l’Europa. In Italia la regina del bosco nidifica nelle regioni centrosettentrionali. In Germania la Waldschnäpfe si trova quasi dappertutto. Le aree forestali umide dal fitto sottobosco costituiscono il suo habitat preferenziale, cioè laddove vi è la presenza di betulle, frassini, querce, castagni, larici o faggi. La beccaccia è caratterizzata da un lungo becco appuntito, che tiene inclinato verso il basso mentre vola. Di indole solitaria, nidifica tra la primavera e l’inizio dell’estate: la femmina depone 4 uova macchiate di ruggine che si schiudono dopo circa 3 settimane.
La caccia alla beccaccia e‘ consentita in 26 paesi in Europa; il numero totale dei carnieri di quasi un milione di individui all’anno sono riferibili a 21 di questi paesi, inclusa l’Italia con 144000 individui.   Questi dati si riferiscono al 2014/15, in Germania ca. 15.000 beccacce, particolarmente nei Bundesländer settentrionali. Per la Grecia si stima che il numero sia almeno 400.000 individui. E‘ cacciabile p.e. in Baviera tra meta‘ di ottobre fino a metà di gennaio. In Italia, a differenza che in passato, la beccaccia non può essere cacciata durante le ore dell’alba e del tramonto. Questa pratica, definita come posta infame, poneva infatti la beccaccia in una posizione di svantaggio. Durante queste ore, infatti, l’uccello effettua un volo molto regolare, a farfalla, che ne rende fin troppo semplice l’abbattimento. In Italia, è consentita la caccia alle beccacce che prevede l’impiego del cane da ferma. Con questa tecnica, l’aiutante del cacciatore batte il terreno per far alzare in volo la beccaccia. Per quanto riguarda le armi per la caccia alla beccaccia, si puo` dire che dovuto agli habitat in cui la beccaccia si trova, cioè in ambienti con l’orografia complessa, è molto importante la leggerezza e la maneggevolezza del fucile da caccia.
In considerazione dell’andamento dei carnieri negli paesi europei, tuttavia, ci si aspetta un leggiero calo del numero di abbattimenti. Un confronto dei dati provenienti da 16 paesi, di cui sono disponibili una serie di dati di periodi comparativi diversi, mostra una diminuzione del numero degli abbattimenti da 1.300.000 a 800.000 uccelli.
Per quanto riguarda le elevate perdite causate dalla caccia e il fatto che le popolazioni di molte altre specie cacciabili sono sempre più ridotte, non vi è dubbio che la caccia nel suo insieme non possa essere considerata un uso sostenibile. Al contrario, essa probabilmente contribuisce al declino ulteriore di molte specie. Quindi la caccia alle specie in via di estinzione non è quindi eticamente e politicamente giustificabile, soprattutto perché è solo un hobby di una minoranza e soprattutto non soddisfa esigenze di pubblico interesse. Non da dimenticare sono gli altri fattori negativi che incidono sul numero degli uccelli in generale: p.e. il numero ridotto degli insetti, il cambiamento climatico-idrologico, l’agricoltura moderna con l’uso esagerato di pesticidi e nutrienti, il cambiamento di uso del suolo e silvicoltura, gli impianti eolici, ecc. ecc. Sebbene l’abbattimento di uccelli gia‘ mostri una diminuzione di quasi un terzo negli ultimi anni e la caccia non sia la causa principale del declino dell’avifauna, p.e. della beccaccia, alla luce dell’attuale situazione critica delle popolazioni, non sembra comprensibile considerare ulteriori abbattimenti tollerabili per ragioni come sport o tradizione. Attualmente i numeri di cacciatori di uccelli nei singoli paesi sono: 350.000 in Germania, 1.200.000 in Francia e 650.000 in Italia. In questi tre paesi ca. 20 milioni di uccelli vengono abbattuti in un anno, le specie cacciabili sono 30 in Germania, 63 in Francia e 34 in Italia. Meno male che le leggi internazionali proibiscano intanto almeno l’uso di roccoli, bresciane o altre forme di uccellagione. I roccoli  ormai  vengono utilizzati unicamente per scopi scientifici."
Grazie Manfred per l’amore che hai per la nostra lingua.

- Così Lina di Laval, ma da Trois-Rivière, Québec:
"Il buon umore
Paolino chiede al suo papà: "Dimmi un po’, il buon umore si manifesta quando tutte le cose vanno bene?"
"Non necessariamente", risponde il padre.
"Ci può essere il buon umore anche quando tutto va male."
"Ma come è possibile? Non capisco", chiede il figlio.
"Vedi, ci sono diversi modi e situazioni per essere di buon umore."
"Per esempio: puoi fare finta che le cose stiano andando bene.
Se va proprio male, puoi convincerti che non hai voglia di pensarci e così trascorri una bella giornata.
Puoi subito trovare la soluzione a un problema e così hai la soddisfazione di avere risolto.
Fare un piacere a qualcuno, ti metterà di buon umore.
Guardare un bel film e dopo sorridere ripensandoci.
Una persona che ti sorride, un raggio di sole, una bella passeggiata sotto la pioggia, una cosa che ti piace mangiare, un gioco, una bella chiacchierata.
Vedi che ci sono tanti modi per essere di buon umore?:
" Ma, papà," dice Paolino, "Se mi faccio male al piede?"
" Se ti ferisci, puoi dirti che un graffio è meglio di una rottura.
Se sei ingessato d’inverno, pensi che tanto si esce meno d’inverno. Sarebbe stato peggio se fosse stato d’estate."
" E, papà,  puoi essere di buon umore anche con un raffreddore?"
" Certo, quando stai sdraiato, tranquillo, al calduccio, con una copertina e una bevanda calda al miele, pensi che è bella la vita!"
Paolino riflette un attimo e dice:
"Sai, papà,  per via del mio cattivo umore, ho spinto la mia sorellina, che adesso non mi vuole più vedere. Ho capito il mio sbaglio e adesso me ne pento, perché non ho nessuno con chi giocare."
" Vai da lei e chiedile scusa.
Ricordati che il buon umore è il legame più forte che esista tra due persone."

Grazie Lina per la saggezza delle tue piccole storie.

- Così Anna di Genova, ma dalla Val di Fassa con Michele Serra “Chi paga i danni della vita?” (La Repubblica: 14.07.2023):
"La notizia che in Florida una bambina di otto anni ha ottenuto ottocentomila dollari di risarcimento perché un pezzetto di pollo fritto le è caduto su una gamba in un drive-in, rende l’idea del tipo di società che stiamo preparando: tutto il potere è agli avvocati che costruiscono risarcimenti e agli ingegneri elettronici che costruiscono algoritmi, le restanti categorie potranno sopravvivere solo come clienti delle prime due o come loro personale di servizio.
(Avvertenza: la precedente frase è un paradosso.Lo scrivo nel caso che un avvocato americano la legga e mi citi in giudizio).
L’aspetto strabiliante è la motivazione della sentenza.
La giuria ha condannato McDonald’s perché: “non aveva adeguatamente avvertito sui possibili danni causati dai bocconcini di pollo fritto”.
Cioè: non è abbastanza evidente a chiunque che il pollo fritto scotta? Esclusa l’ipotesi che qualcuno, nel drive-in, in un raptus di sadismo abbia volontariamente rincorso la bimba con cibi arroventati, allo scopo di ustionarla, quali margini sono ancora concessi all’incidente, all’imponderabile, se si stabilisce che OGNI evento deve avere per forza un colpevole, un imputabile?
Ogni precipizio andrà dotato di cartelli che avvertono della legge di gravità?
Ogni biglietto di aereo, di treno, di traghetto, di autostrada, sarà accompagnato da una clausola legale che avverte della possibilità di un incidente?
Se tutto ha un colpevole, niente rimane della responsabilità individuale e di quell’evidente fattore di rischio che è la vita.
Portando alle sue conseguenze logiche sentenze come quella del pollo fritto, ogni neonato potrà fare causa ai genitori perché non lo avevano avvertito adeguatamente dei possibili danni che venire al mondo può infliggerci."

Grazie Anna, buona idea, peccato solo che i miei siano già morti...


- Così io di Roma, ma da qui da Monaco:

"Sulla polemica un po’ d’élite che internet abbia dato la parola agli ignoranti, quando prima non si sarebbero mai nemmeno azzardati (scontro tra scienza e ciarlataneria).
   Da 40anni insegno italiano agli stranieri. È un lavoro che richiede molta pazienza. Di frutti però ne ho visti. Nel tempo ho sviluppato un mio metodo. Prima gli faccio ascoltare un po’ la lingua, frasi semplici e dirette. Frasi che capiscono subito, che gli potrebbero ogni giorno essere utili. Se poi il suono gli piace e non ne hanno paura, gliene faccio ripetere alcune e, se ci prendono gusto, continuo. Altrimenti smetto e dico che ho scherzato.
   Ecco, volevo dire che dare voce a chi non ce l’ha ancora, non è mai un processo semplice. Ma non per questo, tanto vale rinunciarci da subito. Nell’usare o nell’interpretare la lingua, loro naturalmente fanno degli errori, che io poi non correggo tutti e subito. Le correzioni non devono mai scoraggiare la voglia d’imparare. La voglia è l’unica da salvare veramente, in ogni caso sempre. Loro s’accorgono subito se tu godi la tua superiorità nel correggerli. E questo potrebbe automaticamente portare all’appassirsi della loro voglia d’apprendimento.
   Ecco, io credo che in generale la “scienza” dovrebbe tener anche un po’ conto di queste riflessioni, se vuole veramente aiutare ad apprendere e non piuttosto godere da sola della sua superiorità culturale. Tra l’altro credo di aver imparato molto sulla mia lingua madre, proprio dai dubbi, dalle osservazioni e dagli errori tipici degli stranieri che desiderano parlarla. In realtà credo che più impariamo ad insegnare meglio e più avremo intorno gente, che parlerà la nostra lingua. Il miracolo si compie solo così o non si compie.
   Dante ha del resto avuto molto coraggio a passare dal latino al volgare, diventato poi la nostra lingua. Ma non aveva altra scelta, credo, se voleva essere capito da molti veramente.


Per amare la lingua italiana
prova a parlare con gli stranieri
identificati con i loro sforzi
pesa le parole
confrontale
riscoprile
io ho scoperto Roma
quando ho cominciato ad avere
amici stranieri
che la volevano vedere
prima era per me
una noia mortale
vedere e rivedere
sempre le stesse cose
sentire e risentire
sempre le stesse storie
nei loro occhi finalmente
ho visto la luce
che ha illuminato
la mia scura città
ora riscopro
giorno dopo giorno
la mia trascurata lingua
nelle loro traballanti
frasi
e la mia lingua diventa
bella."


Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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