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RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 15 settembre 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 15 settembre 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 15 settembre 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.


  

   Ci siamo collegati in 10, di cui 1 da Madrid (Spagna), 1 da Arad (Romania), 3 dall’Italia e cioè da Caravaggio (Bergamo), da Acerra (Napoli) e da Benevento e 5 da qui da Monaco con provenienza da Livorno, da Napoli, da Gravina di Puglia (Bari) da Monaco e da Roma.

- Alessandro di Livorno, ma da Arad (Romania), è stato un conosciuto sosia e imitatore di Adriano Cementano ed ha partecipato a numerose trasmissioni televisive in Italia, in Spagna ed in Romania. È anche un cantante e ci ha cantato a cappella (senza accompagnamento musicale) “I te vurria vasà”, “Malafemmena” con Maria come spalla e “Con te partirò” di Andrea Bocelli. Bravissimo!

I nostri incontri diventano a volte anche spettacoli.

Ti aspettiamo ancora, caro Alessandro, e in bocca al lupo.

- Così Eva di e da Monaco, con un altro frammento del suo bel libro Geräuschskiller, adatto dai 13 anni in poi:

La terra tremò sotto Clara. Si voltò veloce come una freccia. Chandra, l’elefante madre che pesava tonnellate, si precipitò verso di lei con la proboscide alzata. Percepiva il pericolo per il suo elefantino. Il fatto che non avesse sentito il suo stesso grido di allarme la rese furiosa. In un attimo avrebbe scagliato Clara in aria con la proboscide e l’avrebbe calpestata a morte.

"Dietro il pilastro! Presto!" gridò Anton, indicando eccitato con entrambe le mani in direzione della casa degli elefanti. A pochi metri da Clara, il grande pilastro del palazzo indiano si ergeva dal suolo. Clara si mise a correre per salvarsi. L’elefante madre era già così vicino che non doveva far altro che allungare la proboscide verso di lei.

Con un salto, Clara fu dietro il pilastro

Se la madre elefante non mi vede più, potrebbe calmarsi.

 

Il terreno tremò, quando il possente animale rallentò a pochi centimetri dal pilastro e vi avvolse la proboscide a una mano di distanza dalla testa di Clara.

Il pilastro tremò. Clara chiuse gli occhi. Ora era tutto finito!

La proboscide di Chandra scivolava su e giù per il pilastro come se volesse strapparlo dalla terra. Poi il pilastro cedette con uno scossone e si spezzò. Pezzi di roccia colpirono il braccio e la testa di Clara, che si accasciò.

Pedro! No! Sei impazzito?" sentì Anton gridare. Come attraverso un velo di nebbia, vide Pedro correre verso Numbi, urlando e agitando selvaggiamente le braccia.

L’elefante madre si voltò freneticamente

verso il suo elefantino e lasciò cadere il pilastro. Il pilastro colpì il suolo a pochi centimetri da Clara e si frantumò.

"Sta cercando di distrarre Chandra da me!", balenò nella mente di Clara.

"Scappa, Pedro, scappa!" voleva gridare. Ma non riusciva a emettere alcun suono, la testa e la spalla le facevano un male cane e qualcosa le scorreva caldo sul viso. Si afferrò la fronte. Sangue!

Chandra si precipitò verso Pedro, che saltava su e giù rumorosamente e agitava le braccia davanti al cucciolo di elefante. Il cucciolo preso dal panico, fuggì.

In un attimo Chandra avrebbe afferrato Pedro!

Improvvisamente la madre elefante barcollò e cadde a terra. Si agitò ancora un paio di volte, poi non si spostò più.

 Stai bene?" Qualcuno afferrò Clara per la spalla. Anton. Era chino su di lei. In una mano teneva una pistola. "Mio Dio, bambina, come stai sanguinando! Abbiamo bisogno di un’ambulanza immediatamente!"

»Hai... ucciso Chandra?" sussurrò Clara a malapena, con voce troppo debole. Non riusciva a vedere Anton che si chinava verso di lei perché aveva gli occhi iniettati di sangue. Ma lo sentì molto vicino al suo orecchio.

"Cosa c’è, Clara?"

Hai... ucciso... Chandra?". Le era difficile parlare.

"No, è viva, Clara. Le ho sparato due proiettili stordenti, si rimetterà in piedi in due ore. Non preoccuparti per Chandra. Starà bene".

"Chandra... mi conosce. Perché...?", sussurrò. "Mi conosce, Anton!".

"Gli animali sono tutti confusi, Clara, perciò sono imprevedibili".

Grazie Eva, più leggerai in italiano e meglio ti riuscirà. Alla prossima.

- Così Maria di Gravina, ma da qui da Monaco:

“Con Antonio abbiamo parlato di uno scultore che ho conosciuto leggendo su internet, uno scultore siciliano che tra il 1860 e il 1870, creò un capolavoro assoluto. 

Con la sua opera, Salvatore Grita volle scolpire nel marmo il suo disprezzo e il suo dolore contro la sconvolgente usanza dell’epoca di internare in convento le ragazze madri. 

Questo capolavoro in marmo si chiama "Voto contro natura", 

Lo avrà sicuramente dedicato alla madre, perché avrà probabilmente avuto una esperienza simile. Salvatore venne affidato in tenera età alle monache di clausura, e il padre lo riconobbe solo nel 1854, quando Salvatore aveva ben 26 anni.

Poi ho parlato di una scrittrice cilena conosciuta sempre sul web. 

In lei mi ci ritrovo molto. 

Dal web: La scrittura di Teresa Wilms Montt è insieme sublime e semplice.
Raccoglie in sé il prorompente senso di meraviglia della gioventù, quanto la visione amplificata di una maturità travolgente.
Donna appassionata e ribelle, con i piedi puntati contro la generale scivolata dentro al “così sta bene”, alla naturale ricerca di approfondimento delle emozioni, della sapienza.
Cerca di allontanarsi dalla grettezza e brutalità e viene punita con la clausura forzata e la privazione delle proprie figliolette.

Io non sono stata punita certamente con la clausura, ma le necessità della mia famiglia e certe convenzioni nostre, riservate alle femmine, hanno fatto in modo che tutto ciò che avevo dentro restasse soffocato, in clausura appunto e ciò non mi ha fatto bene.

Ho letto una sua  poesia, che mi ha emozionata fino al pianto. 

Eccola:

-Specchio! Perché mi rifletti giovane? Perché quella beffa arlecchinesca?
Tu vedi come sfilano nei miei occhi le mie vecchiaie e stanchezze; vedi come la mia anima tormentata solo ambisce a dormire sognando.
Specchio, tu sei il mio fratello gemello e conosci meglio di Dio la mia vita.
Sai quali chiare purezze cullarono la mia gioventù; sai dell’entusiasmo da uccellino che ebbi per tutto il bello; sai della mia tragica devozione alle leggende di principi azzurri… Sai che una musica melodiosa e un canto delicato mi facevano piangere e che una parola di affetto mi rendeva schiava di un’altra anima, e sai anche che tutto ciò che ho sognato è giunto ad una realtà straziante.
Sono uscita ferita dalla dura prova, sanguinante, perché mi sono lasciata alle spalle pezzi del mio essere.
Tu sai, specchio ironico, che la mia vita non è altro che una lunga agonia con il raro corteggiare di risate carnevalesche.
Ricordati che il rintocco delle campanelle non annuncia solo feste. Dopo di lui solitamente arriva anche il carro dei lebbrosi.-

Poi ho letto un mio scritto. 

-In superficie 

In superficie, 

ho il mio caffè, 

le mie letture, i miei scritti. 

Leggo le mie vecchie note,
rientro nella  donna che allora le scriveva e lo  stato d’animo mio di allora riaffiora. Quasi mi compiaccio a tratti,  per come riesco ad esprimere i miei sentimenti. 

Sempre in  superficie, continuo a vivere il mio primo mattino,
faccio colazione, scrivo altre note,
scrivo ad un’amica e le dico che nulla in realtà dovrebbe mancarmi, che finalmente ho fatto qualcosa per me e cerco di convincere di ciò me stessa più che lei.
In superficie, guardo questa donna nello specchio e le dico che è fortunata, sana, in superficie! 

Improvvisamente attraverso lo specchio i miei occhi mi guardano negli occhi e dal profondo delle mie viscere sale un sussulto, riaffiora quella sensazione che la routine cerca di cancellare,
che la mente cerca di cancellare;
riaffiora e, più forte della mia volontà, mi blocca il respiro, fino a che, in lacrime trasformato, lo libero.

In  superficie sale la mia solitudine, tristezza, malessere, nulla nascondo più e, come posso mentire a me stessa? 

La mia superficie ai miei occhi è devastata. 

Ma in superficie, "l’altra superficie "mi guarderete voi, perché questo io vi permetto, perché questo vi dono. 

Non voglio turbarvi. 

Il profondo è dentro me e se non sto attenta con sé mi porta. In me stessa affondo. Piango e mi chiedo perché!? -“

Grazie Maria di aprire con noi con tanta spontaneità il tuo cuore. Ce ne sentiamo onorati.

- Maria di Napoli, ma da Benevento, ci ha invece parlato della possibilità reale, anche per una donna del sud, di fare quello che lei stessa ama fare. Ora infatti lei si occupa professionalmente di eventi, cosa che prima faceva solo come hobby. Dirige un gruppo di giovani che hanno fatto della gentilezza il loro mantra. Tra di loro c’è un bel rapporto di serena collaborazione, senza invidie e sgarbi vari. In pratica è la gentilezza applicata anche nei rapporti di lavoro e l’essere sereni dentro porta naturalmente la serenità anche fuori, che poi si espande a successivi cerchi concentrici.

   Ora ha un suo quadro, un acquerello, in mostra a Lussemburgo, che poi andrà in Belgio a Bruxelles a una fiera internazionale di arte contemporanea in difesa dei diritti dei bambini, a volte alla mercé della violenza degli adulti. La sua è arte per il sociale.

   Purtroppo, a due anni dalla sua installazione, la biblioteca della gentilezza da lei fondata a Benevento è stata smantellata. Maria è ora alla ricerca di un’altra locazione

Ci ha però letto l’incipit di “Prima la voce” di una scrittrice che ha risposto alla sua richiesta rivolta agli scrittori per la gentilezza di passare all’azione. La scrittrice ha donato il suo primo racconto ed ora Maria lo recensirà.

Un bambino ha finalmente la sua prima bicicletta…..

Grazie Maria ed in bocca al lupo. Non perdiamoci di vista.

- Così Francesco di Melissano (Lecce), ma da Madrid con due sue poesie:

 

“L’estrusione

Dei processi,

che lavorano materia,

me ne piace molto uno,

l’estrusione.

Mi racconta la fatica di cambiare,

il dolore di passare in un pertugio,

la potenza di comprimere e sbocciare,

La forza, può sembrare,

tutta impressa dal di fuori,

ma mi piace immaginare la materia,

ci si infili in quella macchina infernale.

si, le piace estrudere e cambiare.

Si ritrova ora stanca e trasformata.

Degli atomi caotici di prima,

certamente porta ancora proprietà.

Ciò non toglie che la forma 

la costringa a sentirsi nuovamente,

altra cosa, chè grezza solamente.

“Al di là dell’estrusiore

cose nuove mi spaventano oh signore.

Sono sola, stanca, nuda e trasformata.

Chi mi vuole?”

Molto presto, la materia trasformata,

si raffredda e riconcilia,

con le nuove proprietà.

Si adatta alla nuova utilità.

Ha incontrato altri pezzi,

tutti estrusi, tagliati, riscaldati, trapanati, verniciati e macchiati,

se riuscissimo a sentirli, anche immersi in mille olezzi.

Non è facile creare un nuovo corso. 

Quattro colpi di smeriglio,

martellate qua e là.

Tantissimo calore.

Un sapiente artigiano aiuterà.

“Non vedete cosa sono diventata?

meraviglia evolutiva trasformata!”.

Come un sarto
 

Raccolgo parti di vita
le metto nella mia sporta
alcune sono sassi, levigati dal tempo
altre sono argento brunito
altre fiori freschi di campo.

Volevo farne,
senza un disegno,
un’astronave lucente
dal rombo terribile
per salpare alla ventura di nuove sfide,
alla ricerca di amori esotici.

Pensavo di sapere 
cosa serve nel viaggio
ma ho lasciato 
la cosa importante:
l’ago e il filo

per cucire il vestito
di un uomo in un mondo alieno.

Per cucire gli strappi
di un abito che si consuma

Per cucire le trame
di una veste che mi rinnova

Per cucire i ricami
di una identità da ricostruire.”

E con

“La mia pubblicazione: I Poeti di Via Margutta vol.2 2023

La mia raccomandazione letteraria: In cammino alla ricerca della verità. Lettere e colloqui con Benedetto XVI  Un dialogo tra Fede e Scienza durato nove anni, dal 2013 a oggi, tra il papa emerito Benedetto XVI e Piergiorgio Odifreddi, matematico ateo. Si sono incontrati più volte di persona e hanno intrattenuto un’intensa e profonda corrispondenza epistolare.”

Grazie Francesco e benvenuto! Alla prossima allora.

- Così Antonio di Napoli, ma da qui da Monaco, con un capitolo del suo:

I maestri cantori di Napoli:

“PIAZZA MERCATO

Siamo nel 1902 in Piazza Mercato, via Largo al Mercato nr. 17. Un giovane pallido, magro, guarda tossendo e sudando attraverso i vetri della finestra della sua stanza, che è solo poco più di un buco. Con gli occhi febbricitanti, guarda in un altro mondo, come ha fatto per anni. Guarda in una gioielleria, proprio accanto al bellissimo arco dell’orologio di Sant’Eligio. I suoi occhi cercano Enrichetta Marchese, la figlia del gioielliere, perché i loro occhi si sono incrociati un paio di volte (o solo una volta?). Ad un certo punto, en passant per così dire, lei, distratta, si ferma poi riprende a camminare. Lui, dall’altra parte, rimane impietrito davanti a lei ed è convinto di aver trovato la musa della sua vita. E così continua a guardare la gioielleria. Ma lei ormai non si vedeva più. Poi poco dopo passò all’improvviso di nuovo, vestita da sposa, in direzione della chiesa di Santa Croce al mercato. Si era di nuovo fermata? (o è sembrato solo a lui?).

Ebbene, il tutto è bastato a creare versi di incredibile, semplice bellezza, di tenero amore e di approccio, di rinuncia rassegnata, di tenerezza immaginaria, scritti nella paura febbrile e nell’attesa della morte, scritti a una musa il cui breve sguardo deve essere stato pieno di sentimenti ardenti. Quasi un’apparizione divina. Tutto questo è qui,

nella sua più bella composizione :"I te vurria vasà" che ci ha portato in questa piazza,      

           

            Ah! Che bell’aria fresca                                

            Ch’addore ’e malvarosa

            e tu durmenno staie

            Ncoppa’a sti ffronne e rosa   

            ’O sole a poco poco               

            Pe stu ciardino sponte                       

            ’O   viente passa e vasa                                 

            stu ricciulillo ‚nfronte

            I’ te vurria vasà                      

            I te vurria vasà                      

            Ma ’o core nun m’o ddice                             

            ’e te scetà, e te scetà

            I’me vurria addurmi              

            I me vurria addurmi              

            vicino `o sciato tujo               

                                                          

            N `ora pur’i- N`ora pur`i        

Vincenzo aveva la tubercolosi. Così Enrichetta si trasformò in Maria, Rusina e Rosa- e in versi di - come detto - straordinaria bellezza. Vincenzo Russo morì due anni dopo, all’età di 28 anni."

Giovanni Amedeo scriverà di Thanatos (greco: Dio della Morte) e Eros, che hanno accompagnato Russo, della ristrettezza sociale e culturale di una città povera e infelice - senza via d’uscita per lui.

Il Poeta del Mercato (Gargano) morì presto, perché si moriva sempre presto in questa maledetta Piazza Mercato di Napoli.

Fino al 29.10.1268, la piazza del mercato di Napoli era stata un luogo di mercanti, marinai, pescatori e fannulloni. Situata direttamente sul mare, Piazza Mercato era un posto per lo scambio di merci, di notizie, un luogo di piacere mediterraneo, rumori e grida, una piazza allegra, il centro di Napoli.

Dopo il 29.10.1268 fu tutto diverso. La piazza medievale ha perso la sua serenità, i napoletani la evitavano se potevano. Che cosa era successo?”……..

Grazie Antonio ed alla prossima, vogliamo saperne ancora….

- Così Loredana di Treviso, ma da Caravaggio:

Da: Guido Tonelli. MATERIA. La magnifica illusione, Feltrinelli, 2023, 148-149

“Per certi versi la materia è stata per gli umani una meravigliosa illusione. Contrapponendola al mondo delle idee, che non si vedono e non si toccano,  è sempre stata una specie di rifugio consolatorio. Il materialista tradizionale vedeva in essa una componente stabile e duratura, qualcosa di imperturbabile e perenne, che costituisce una base solida per il tutto.  Anche la materia è sottoposta a trasformazioni, ma l’idea che atomi o particelle, indivisibili e indistruttibili, possano spiegare composizione e comportamento di tutte le strutture materiali, dalle più infime alle più mastodontiche, ha rassicurato gli umani per millenni.

La consapevolezza di essere fatti della stessa sostanza dei corpi celesti che illuminano il cielo ci ha consolato e difeso dall’angoscia. É diventata sopportabile persino l’idea della morte, vista come un ritorno alla madre-terra. Il nostro corpo va in disfacimento, la nostra identità svanisce, ma i componenti materiali sopravvivono, rientrano nel grembo della grande madre, la materia indistruttibile ed eterna.

L’illusione che i componenti ultimi della materia siano qualcosa di solido e persistente è stata messa seriamente in discussione dalla scienza contemporanea. I costituenti elementari non solo non si possono vedere, né tantomeno toccare, ma seguono regole talmente differenti da quelle che governano il mondo macroscopico da mettere in crisi qualunque nostro tentativo di afferrarli, anche solo concettualmente. Sono onde ubique che possono trovarsi ovunque e insieme particelle localizzate in un punto molto preciso; sono stati materiali cangianti, che oscillano continuamente fra identità in apparenza diverse, ma sotterraneamente unite da profonde simmetrie; sono particelle legate da relazioni stravaganti con altre particelle, talvolta così distanti dalle prime da sembrare insensibili allo spazio che le separa; stati materiali che compaiono e svaniscono dal vuoto a un ritmo infernale o che scambiano interazioni con tutto quello che li circonda, comprese le forme materiali più distanti.

E se tutto questo non bastasse, molte delle loro proprietà, per esempio la massa, dipendono da delicati meccanismi che potrebbero rompersi all’istante, producendo catastrofi le cui proporzioni sono difficili da immaginare.

Infine tutto, ma proprio tutto, non è altro che una forma di vuoto. Quella che speravamo potesse essere una base materiale solida, da contrapporre all’evanescenza dell’approccio idealistico, risulta altrettanto impalpabile, talmente sfuggente da rischiare di confondersi con un concetto filosofico.

Il nostro mondo materiale è fatto di vuoto. “

Da: Loredana Amalia Ceccon, Arborei. Lalil a Milano, prossima pubblicazione,

La protagonista, Lalil, riceve da un’anziana Arborea l’incarico di governare un territorio e la sua reazione è la seguente:

«Ma non ho idea di quello che dovrei fare! E poi, scusa, perché proprio io?». A quella frase vidi che tutti si mettevano in fila indiana davanti alla madre, anche quelli che prima si trovavano sugli alberi e uno alla volta arrivavano a guardarmi negli occhi scandendo con quelle loro voci ariose, ma ferme e distinte: «Perché proprio io?». Restai esterrefatta a fissare quella lunga fila che arrivava fino ai margini del bosco e lì si arrotolava su se stessa formando dei cerchi concentrici. Il passaggio era velocissimo; in un attimo ognuno scandiva il suo «perché proprio io?» e si dileguava nelle ombre, ma la fila sembrava non si esaurisse mai. Erano sguardi umani quelli che mi fissavano un istante con profonda intensità, ognuno differente dall’altro, eppure ciascuno carico di un messaggio urgente da darmi. Credo che fu circa verso il centesimo che iniziai a sentirmi esausta, col cuore in gola che martellava una filastrocca a ritmo sincopato «perché proprio io?» nelle diverse voci che man mano mi entravano nel cuore attraverso le orecchie. «Bastaaaa!», gridai. E di colpo tutto fu muto e deserto, soltanto la madre e Felifele erano vicine a me. «Ho capito, ho capito! Ditemi cosa devo fare!».

Certo, proprio io, perché «Proprio io» è la parola d’ordine che ciascuno deve pronunciare per vivere e nessuno può dirla al nostro posto: come fai a dire a un altro: «Proprio tu devi vivere al posto mio?». Perché ci sono tanti posti al mondo, ma non sono intercambiabili, ciascuno ha il suo, perché è vero che “morto un papa se ne fa un altro”, ma quest’altro è certamente diverso da quello di prima e quindi anche se abita nello stesso posto suo, non potrà mai essere lui.

Sembra banale, vero? Eppure io ho capito solo in quel momento che non potevo tirarmi indietro, non ci si può tirare indietro, perché vivere è un fatto irrevocabile, cominci e non puoi smettere; oddio, puoi, puoi anche questo, ma dal mio punto di vista anche se te ne vai, se credi di farla finita, non finisce un bel niente, perché finisci solo in un buco nero e dentro non sai più cosa c’è.”

Grazie Loredana, sì, è ancora tutto maledettamente così complicato…

- Enzo di e da Acerra ci ha letto il suo:

“Il centro del tuo cuore

A volte mi chiedo che diritto ho di dirti che ti amo; dopotutto potresti rispondermi che non ci conosciamo così profondamente.

Però poi provo a ribaltare la tua risposta con una domanda che in realtà pongo a me stesso:

"Che cosa mai potrei scoprire su di Te che mi faccia smettere di provare quello che provo ormai dal primo giorno che ti ho incontrata?"

Ho immaginato tutti gli scenari peggiori possibili e nessuno di questi mi è mai sembrato anche solo lontanamente tanto grave da dirti:

"Sai cosa c’è? Scusami, ma mi sono sbagliato, non sei quella che credevo, non mi interessa più nulla di te, addio".

Invece il solo fatto di poter conoscere i tuoi pensieri e poterti guardare negli occhi mi porta a un livello di felicità che non ho mai conosciuto prima e che certamente non conoscerò mai più.

Non sono mai stato geloso pensando che potessi frequentare qualcuno, semmai l’ho invidiato.

Non mi interessano né la tua taglia né le tue misure perché non ti ho mai voluto bene solo perché sei bella come nessun’altra e non c’è niente al mondo che possa accadere che ti possa rendere meno desiderabile ai miei occhi.

E quando parlo di desiderio non mi riferisco al sesso, anche se fare l’amore con te sarebbe come toccare il cielo con un dito.

Quando parlo di desiderio, torno indietro a quando ho capito che avresti segnato per sempre la mia vita.

Vedi, quello che mi ha sempre affascinato di te è che, anche quando eri, diciamo, "impegnata" sentimentalmente, mi è sembrato che tu avessi una tua strada in mente, come quando al talento si unisce l’ambizione,  ed è allora che nascono le persone speciali, magari non sempre comprese, ma che emanano una luce diversa rispetto a tutte le altre.

Quando ti guardo, vedo per te sempre un solo destino possibile: quello di non essere mai una tra le tante, ma la prima tra poche.

Ed è proprio per questo tuo destino speciale, che ho sempre pensato che conquistare il tuo cuore, avrebbe richiesto un’impresa titanica.

Quando parlo di desiderio, mi riferisco al desiderio: occupare un pezzettino del tuo cuore, anche solo nella parte più esterna, dove il bordo è più spesso, restando lontano dal centro.

Poi sì, vorrei anche darti un bacio, non uno qualsiasi, un bacio indimenticabile, ma quella sarebbe  solo la ciliegina sulla torta.

Certo è un amore solamente potenziale, ma quello ormai lo devo mettere in conto.

E delle volte mi viene spontaneo chiamarti "amore mio", ma attenta "MIO" non è un aggettivo possessivo, ma piuttosto una sorta di dativo di relazione (non che io voglia  darti lezioni di latino, anzi...).

"Tu PER ME sei l’amore". I due elementi della frase sono interscambiabili: Non posso riferirmi a te, senza pensare all’amore, così come non posso riferirmi all’amore, senza pensare a te.

E così vado avanti all’infinito, sospeso tra quel bacio pazzesco che non posso darti, e quei preziosissimi millimetri che ancora devo conquistare per raggiungere il centro del tuo cuore.”

Grazie Enzo di averci descritto così precisamente il tuo amore irraggiungibile. Altri lo confronteranno con il loro…

- Così Sergio di Livorno, ma da qui da Monaco:

“Bravo Macron

Papa Francesco atteso a Marsiglia. Il capo della Santa Sede incontrerà,

in data 22 e 23 settembre i 120 giovani di tutte le confessioni religiose

e vescovi venuti da 30 Paesi. L’occasione? Parlare dei rapporti tra le

rive del Mediterraneo e della questione migratoria. Ad accoglierlo ci sarà

ovviamente anche il presidente Emmanuel Macron, ma Francesco ha voluto

precisare che la sua visita sarà a Marsiglia, non in Francia.

I motivi li elenca il Corriere della Sera e vanno dalle divergenze

politiche a piccole gaffe.

In primis a Bergoglio non va giù l’eccessiva insistenza della Francia

sulla laicità nelle scuole, con il divieto di mostrare in classe simboli

religiosi. Non a caso, per non creare imbarazzi, è stato rinviato il

dibattito in Parlamento della nuova legge sul fine vita, che potrebbe

contenere aperture sull’eutanasia. Poi il Papa ha idee differenti in fatto

di immigrazione. Lui intenzionato a difendere gli sbarchi, Macron

intransigente sulla necessità di fermare gli ingressi.

Oltre a queste distanze, non si possono dimenticare i piccoli scivoloni

commessi dal presidente francese durante le visite passate. Nel corso

della sua prima visita a San Pietro, il 26 giugno 2018, Macron prima

sfiorò con la mano la guancia di Francesco, come a volergli dare un

affettuoso buffetto, poi appoggiò la mano sulla spalla del Papa.

Peccato però che sia proibito dal protocollo. E ancora, nella sua seconda

visita, il 26 novembre 2021, Macron diede pubblicamente del "tu" al Papa.

Insomma, il capo dell’Eliseo si è preso un po’ troppe confidenze.

Giovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia,

noto come Pico della Mirandola (Mirandola, 24 febbraio 1463 –

Firenze, 17 novembre 1494), è stato un umanista e filosofo italiano.

Pico compì i suoi studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze;

mostrò grandi doti nel campo della matematica e imparò molte lingue,

tra cui perfettamente il latino, il greco, l’ebraico, l’aramaico, l’arabo

e il francese. Ebbe anche modo di stringere rapporti di amicizia con

numerose personalità dell’epoca come Girolamo Savonarola, Marsilio Ficino,

Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano, Egidio da Viterbo.

A Firenze in particolare entrò a far parte della nuova Accademia Platonica.

Nel 1484 si recò a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro

internazionale di studi teologici, dove conobbe alcuni uomini di cultura

come Lefèvre d’Étaples, Robert Gaguin e Georges Hermonyme.

Ben presto divenne celebre in tutta Europa, e si diceva che avesse una

memoria talmente fuori dal comune da conoscere l’intera Divina Commedia a

memoria.

Morì improvvisamente il 17 novembre 1494, all’età di trentun anni, per un

avvelenamento da arsenico, mentre Firenze veniva occupata dalle truppe

francesi di Carlo VIII durante le guerre d’Italia. Già all’epoca della

morte si vociferò che Pico fosse stato avvelenato: molti sospettarono come

mandante Piero de’ Medici, che temeva l’avvicinamento di Pico e Poliziano,

già suoi amici, al governo di Savonarola. Fu sepolto nel cimitero dei

domenicani dentro il convento di San Marco.

Le sue ossa saranno rinvenute da padre Chiaroni nel 1933 accanto a quelle

di Angelo Poliziano (avvelenato due mesi prima) e dell’amico

Girolamo Benivieni.”

 «Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, non nelle

scuole dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle accolte

dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si discute

sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere,

ma sui principî delle cose umane e divine.»     (Pico della Mirandola)

Grazie Sergio per questi tuoi interessi politici e storici.

- Io di Roma, ma da qui da Monaco ho letto la seconda parte del mio:

-3 settimane e mezzo a Monaco-

“Stamattina sono partiti per la Francia e finalmente sono solo. Detto tra noi, era ormai da anni che aspettavo questo momento. Io non so dove abitiate voi ma, se abitate anche voi come me in un appartamento piuttosto piccolo e con famiglia, sono sicuro che capirete bene quello che qui ho intenzione di dirvi. Il fatto è che 70 mq  per 4 persone sono, secondo me, un po’ pochi. In camera da letto siamo in 3 e questo, lo capite intuitivamente, di per sè già non è troppo bello. Manca lo spazio alla piccola Stella, a Sylvie e naturalmente anche a me. Almeno Alain ha la sua piccola camera, pur se assediata dai giocattoli.

Per viverci non rimane che il soggiorno, non grande e questo è praticamente tutto. In cucina può entrare comodamente solo una persona per volta ed in bagno naturalmente anche. In corridoio si può camminare rigorosamente solo in fila indiana e al rientro della famiglia, quelli che stanno davanti lo sanno, che è  assolutament­e vietato fermarsi, anche se fosse solo per slacciarsi velocemente le scarpe. Altrimenti la fila si bloccherebbe. Ma pensandoci meglio, anche questo della casa piccola non è nemmeno il vero problema. Secondo me infatti questo sarebbe perfino risolvibile.

Il vero problema, quello non risolvibile, è un altro: Sylvie non sopporta l’idea di buttare una qualsiasi cosa. Lei pensa che chissà cambiando un giorno magicamente le cose, ogni cosa un domani potrebbe ancora esserci molto utile. Infatti oggi i nostri cassetti e mobili sono così pieni, che difficilmente ormai ci azzardiamo ad aprirli: tutte le cose inutili conservate ci si riverserebbero subito addosso. Da tempo usiamo quindi solo le cose rimaste in superficie e non approfondiamo più.

Non l’ho ancora detto a nessuno, ma una mia mezza idea segreta, che covavo da tempo, ora ce l’ho. A voi la posso confessare, tanto non potrete più impedirmela: ho deciso di buttare tutto, quasi tutto, approfittando della lontananza„Occhio non vede, dente non duole“, no?

No, Sylvie non è cattiva. Lei in realtà vorrebbe staccarsi, almeno da certe cose. E infatti a volte si mette pure lì da brava, a dividere le cose da conservare, da quelle da buttare. Poi però alla fine, stanca e delusa dopo ore di ricerca, scuote la testa e scende a buttare nella pattumiera solo una bustina. Il fatto è che proprio non ci riesce. Non c’entra la volontà a volte. Questo è più forte di lei e basta.

Perciò lo devo fare io e lo devo fare adesso o mai più. Una cosa è infatti vedersi buttare via, sotto i propri occhi, una montagna di cose nostre, alle quali siamo ancora un po’ legati ed un’altra cosa è tornare da una bella vacanza e semplicemente non trovare tante inutili cose, che poi nemmeno più ci ricordiamo, di avere mai avuto.  Questo è psicologicamente molto diverso, si capisce. Si torna invece. Si trova tutto in ordine e tanto spazio. Non dovrebbe essere troppo importante, se eventualmente una piccola cosa manchi. Vedremo.  Comunque ho già deciso e lo farò. Adesso.

L’ho fatto. Non lo sa ancora nessuno, ma l’ho già fatto. Ho fatto proprio come vi avevo predetto: ho buttato tutto, quasi tutto. Ho finito per buttare 8 grandi sacchi azzurri della immondizia. E’ andata più o meno così. Ho cominciato naturalmente dal fondo, dalla cantina, dove ormai non si poteva più nemmeno entrare. Prima l’ho svuotata tutta. Ho appoggiato provvisoriamente tutte le cose nel corridoio comune alle cantine, tanto erano quasi tutti in vacanza e giù non veniva nessuno. Poi ho rimesso a posto tutte le cose, che avevano anche solo una vaga possibilità di essere da noi ancora utilizzate. Le ho riposte secondo un mio ordine personale, geometrico e fisico: quelle grandi e pesanti sotto e quelle più leggere e più piccole sopra, progressivamente. La costruzione sembra stabile. Qualche volta la notte mi sveglio e vado addirittura ad ammirarla. Ne sono molto soddisfatto. Al centro della cantina ho lasciato perfino un po’ di spazio per un comodo passaggio a piedi fino in fondo. Poi torno a letto e mi riaddormento contento.

E’ stato meno difficile di quanto all’inizio pensassi, anche se faticoso. Ho buttato subito 3 sacchi di cose, diciamo così eufemisticamente, non strettamente necessarie. Fatto posto poi alla base cioè in cantina, ho poi cominciato ad applicarmi con metodo sopra all’appartamentino. Camera dopo camera, giorno dopo giorno, ho passato la mia estate a riempire altri 5 sacchi, alti come me, ma molto più larghi, due diretti in cantina (dove finalmente c’era posto), uno nel contenitore dell’immondizia e due ai più poveri di noi (ma probabilmente con più spazio), che comunque quelli da qualche parte ci sono sempre.

Sempre secondo me, ora è proprio tutto in ordine. In cucina c’è spazio perfino per due persone, se non troppo grasse. Anche il soggiorno sembra un po’ più grande. La libreria di fronte al divano ha addirittura spazi liberi, destinati a nuovi libri, cosa inaudita, mai successa prima. Il mobile vicino in vimini poi, se ve lo dicessi, sono sicuro che non ci credereste, ma ve lo voglio dire lo stesso. E’ completamente vuoto, preparato ad accogliere cose future.

Ho sistemato anche il terrazzino, di cui non avevo parlato, perchè finora impraticabile. Ora che è estate, ci posso anche uscire: i vasi attorno e in un angolo altri giochi d’acqua dei bambini. Al centro ho sistemato anche una poltroncina, dove mi siedo soddisfatto, tempo in Germania permettendo.

Solo per la camera da letto, l’ingresso e il bagno, ho avuto bisogno di più di una settimana. Ho pure sistemato più stabilmente i piani di tutti gli armadi, con le viti nuove e tutto il resto. Ma ne è valsa proprio la pena. Dovreste solo venire a vedere ma subito, perchè poi non garantisco. Ora sembrano posti quasi normali, come uno in genere immagina che lo siano solo quelli degli altri. Infatti si può adesso anche appoggiare da qualche parte una cosa, che si ha in mano ed essere pressocché sicuri poi di ritrovarcela.

La cosa più difficile in assoluto però, a questo punto per onestà ve la devo proprio dire, è stata riordinare la cameretta di Alain ed il corridoio con i giocattoli della Stella. Il fatto è che loro non hanno un album da disegno, come immagino che abbiano tutti gli altri bambini di una certa parte del mondo, ma ne hanno dieci a testa. Non hanno un pupazzo di peluche, magari da stringerselo a sé, soli la notte, ma ne hanno 68, di cui almeno 20 molto grandi. Hanno anche oltre 300 soldatini, altrettante automobiline, grandi e costosi giochi intelligenti (?), eccetera eccetera......

E tutto questo principalmente perchè Sylvie crede che i nostri bambini abbiano un gran bisogno d’affetto e che l’affetto si dimostri essenzialmente con il donare cose. Sì, lei crede fermamente che loro abbiano, come si dice, delle carenze affettive e questo tanto più da quando tra di noi ha cominciato per forza, a non filare proprio tutto liscio. E’ per questo che Sylvie ordina e compra tutte queste cose, per curare a modo suo le carenze affettive. Compra e non butta quasi niente. No, non si tratta di essere cattivi. E’ che lei è fatta così. Prendere o lasciare in blocco, per il resto non ci si può fare proprio niente. Ma questo non è ancora tutto.

C’è un altro piccolo problema lontano, ma evidentemente non ancora abbastanza. C’è che Jacqueline, la madre di Sylvie e quindi mia suocera, che vive in Francia, ha anche lei delle carenze affettive oppure viceversa, lei pensa che le abbiamo noi, questo esattamente non lo so. Comunque in media, almeno due volte a settimana compra cose e le spedisce da noi in Germania. E qui arriva di tutto: vestiti, soprammobili, giornali, riviste, pubblicità, giocattoli, fotografie ecc….

I bambini almeno ormai lo sanno, che io non sono d’accordo. Quando i pacchi arrivano, non si aprono assolutamente, finché non ritorna la mamma dal lavoro. È una questione di principio, come si dice. Soffrono un po’ è vero, però almeno questa cortesia me la fanno. Poi la sera arriva Sylvie. Apre la porta. Per prima cosa guarda per terra, se c’è il caro pacco. Se c’è, non si toglie nemmeno il cappotto. I bambini naturalmente le si fanno eccitati attorno. Allora li sento parlare tutti e tre insieme, senza che nessuno di loro ascolti. Chi in tedesco, chi in francese, mai in italiano in questi casi. Sognano delle cose che forse ci saranno e che poi in genere anche ci sono, ben informati prima telefonicamente. Raggiungono l’estasi, tra tutte quelle nuove cose. Sono tanto contenti, che io ormai non ho più il coraggio di dirgli niente.

Poi, dopo almeno mezz’ora di commenti vari, Sylvie comincia a raccogliere tutto: lo spago, la carta, eventualmente il polistirolo e di sicuro le scatole. Sì, se non proprio Jacqueline, almeno le sue scatole dovreste proprio conoscerle. Sono praticamente come le scatole cinesi. Si scarta e si trova un’altra scatola chiusa. Si apre con attenzione la seconda scatola (non si sa mai, potrebbe anche lei servire) e dentro c’è un’altra scatola, spesso con protezione in paglia e così via, progressivamente.  E’ anche per questo che i bambini si entusiasmano. Il pacco è di per sé già un gioco bellissimo.

Dentro spesso non c’è niente di veramente fragile, sicuramente niente di più fragile ormai dei miei nervi. Ma anche Jacqueline è fatta così. Neppure lei è cattiva. E’ solo che lei le cose le fa così: prendere o lasciare in blocco. No, non necessariamente Jacqueline, né tanto meno le cose che spedisce, ma le scatole cinesi quelle sì, sono proprio sicuro che piacerebbero anche a voi, almeno le prime volte.

Io ora ho finito. Ho messo a posto tutto quello che volevo e potevo. Sono pigro, mi conosco. Però se mi metto in testa una cosa, poi finisce pure che la faccio, anche quando lo so, che la cosa che mi sono messa in testa mi costerà cara. E questa è costata. E’ costata più o meno 3 settimane e ½ di lavoro duro e mio, durante le loro vacanze in Francia al mare. E dire che non ero più nemmeno abituato. Ora infatti ho male ad un piede, alla schiena, alle mani e un po’ a tutti i muscoli del corpo. Però ho finito. Ho passato anche l’aspirapolvere. Domani arrivano. Io li aspetto. In un certo senso ho finito anch’io la mia vacanza.

Ieri sono arrivati alla stazione di Monaco. Sono andato a prenderli in macchina. Da buon romano ho parcheggiato facilmente e mi sono avviato verso il marciapiede annunciato. Poco dopo in orario, è arrivato il loro treno. La gente è scesa. Io ho risalito lentamente il binario, guardando in faccia tutte le persone. Ero arrivato quasi in cima al treno, ma della mia famiglia ancora nessuna traccia. Però ho vagamente notato che, vicino all’ultimo vagone, si vedeva un grande punto nero. Non era chiaro. Non sembravano loro. Comunque non avevo niente altro di meglio da fare ed ho continuato a spingere il carrello vuoto dei bagagli per andare a curiosare.

Mentre procedevo lentamente senza molte speranze, ecco improvvisamente che qualcuno lascia quel punto ancora nero e comincia a correre verso di me. Ora lo riconosco. E’ proprio Alain. Chi altro se no, molto più biondo e abbronzato di quando era partito.  Arriva alla mia altezza. Non mi abbraccia naturalmente. Mi gira solo intorno e s’incammina con me nell’altra direzione. Senza fermarmi gli strillo:“Alain, un bacio, hai dimenticato?“ Lui non ama baciare, questo ormai lo avrete capito. Correndo, mi offre accondiscendente una guancia.

Ora vedo anche la piccola Stella che freme, biondissima e con i capelli lunghi, per non potermi correre incontro. Sylvie la blocca con gli occhi. Non sopporta l’idea di un bambino che corra vicino ad un treno, anche se ormai definitivamente fermo. Questa cosa è così e non ci si può fare niente. Vedo che Stella vorrebbe reclamare, ma poi non lo fa. Conosce bene sua madre e poi adesso è troppo contenta. Ora è già tra le mie braccia. Ci baciamo alcune volte. Stella ha solo 3 anni. Ma a volte si comporta già come una vera donna. Ora si vede bene che è contenta come una pazza.

Quando arrivo da loro, mi cominciano a parlare tutti e tre contemporaneamente in francese, come quando scartano i pacchi di Jacqueline. Ora io una persona che parla semplice in francese la capisco, ma più di una per volta no. Allora mi distraggo e istintivamente mi metto ad osservare meglio il grande punto nero e improvvisamente capisco: è una montagna di valigie, di borse nuove e di bagagli e sono i loro. Però da tempo ben allenato, mi trattengo, lo giuro e da me non traspare alcuna emozione, proprio niente niente.

Stella naturalmente rimane in braccio a me, fino a che non arriviamo alla macchina, faccia contro faccia. Una signora tedesca, che anche lei aspetta, ci guarda complice e sorride. Poi decido improvvisamente di fargli una sorpresa. Cioè gli dico che c’è a casa una sorpresa, ma non gli dico quale. Loro naturalmente si eccitano e cominciano a sognare di regali. E forse a modo mio, anche il mio un po’ lo è. Poi impunito e impertinente come sono di natura, gli dico anche che non indovineranno mai. Loro certo non mi credono e provano inutilmente a fantasticare, fino a che non arriviamo a casa.

Alain si catapulta per primo nell’appartamento. Non si rende subito conto. Va in camera sua e poi torna di corsa strillando:“Grazie, papà!“ e mi bacia, di sua spontanea volontà. Incredibile.

Poi entra Sylvie. All’inizio sembra anche lei contenta, lo vedo. Si muove svolazzando tra le cose con una disinvoltura, che prima non aveva mai potuto avere. Mi dice anche un paio di parole gentili. Dopo però mi metterà il broncio per giorni, perché le sembra che io le abbia inavvertitamente buttato anche un certo ritaglio di rivista, per lei molto importante. A tutt’oggi non ho ancora ben capito se di cucina o di moda. Però Stella rimane a lungo a ballare in braccio a me.”

Grazie per l’attenzione.

Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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