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Resoconto dell’incontro di Letteratura Spontanea del 3 marzo 2023

Resoconto dell’incontro di Letteratura Spontanea del 3 marzo 2023

 

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Resoconto dell’incontro di Letteratura Spontanea
(3 marzo 2023)

*

 

Ci siamo collegati in 6, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 1 dall’Italia, da Biella e 4 da qui da Monaco, con provenienza da Livorno, da Monaco e da Roma 2.
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono quasi dappertutto ormai ed incontrarci diventa sempre più interessante, con così tante storie da raccontare. Le nostre faccende s’intrecciano l’una con l’altra, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo:

- Stefano di Mazzarino (Caltanisetta), ma da Biella, ci ha letto un po’ della sua storia, raccontata nel 2001 da Massimo Carlotto sulle pagine della cultura del Manifesto:
   "Stefano Ingala è stato avvelenato nella comunità San Domenico quando
era studente fuorisede a Bologna. Non è morto, ma ha subito
irreversibili lesioni cardiache. Per i frati domenicani si è
trattato «solo di una goliardata». Lui, testardo, ha continuato ad
indagare da solo, arrivando quasi a scoprire la verità.
Stefano Ingala è un uomo grande e grosso e dal sorriso gentile.
Rifondarolo militante e di animo trotzkista, insegna giardinaggio nel
carcere di Biella. Da diversi anni è protagonista di un incredibile
caso giudiziario e di una causa civile che ha intentato, chiedendo un
risarcimento milionario, a una congregazione religiosa. Una di quelle
potenti e ammanicate, tanto per intendersi. La sua vicenda, nonostante
abbia trovato spazio su la Repubblica e al Costanzo Show, grazie al
giornalismo di inchiesta di Gabriele Romagnoli, continua a rimanere
estranea all’interesse dell’opinione pubblica. Un vero peccato.
Stefano conduce una battaglia per la giustizia e la verità che
meriterebbe maggiore attenzione. E appoggio. In fondo la sua è una
battaglia politica contro lo strapotere del clero. Ingala è uno
abituato a lottare e cerca di far conoscere la sua vicenda con
discrezione forse eccessiva, tra l’insegnamento e le iniziative
politiche. E le condizioni di salute. E’ invalido al 75% e percepisce
una pensione di poco più di 200 euro, utile solo ad arrotondare il
salario basso e precario del lavoro in carcere. Nel suo petto batte il
cuore di un’altra persona. Apparteneva a una donna sarda. Glielo hanno
trapiantato il 17 gennaio 1996. La storia ha inizio nel 1988. Stefano
ha 19 anni e si trasferisce dalla Sicilia a Bologna per seguire il
corso di laurea in scienza della produzione animale della facoltà di
Agraria. Ha difficoltà a trovare alloggio. Grazie a una zia Orsolina
riesce a entrare nella comunità San Domenico. La retta è cara per un
posto letto, in una camera tripla e l’uso della cucina in comune con
altri trenta ragazzi, ma Bologna pullula di studenti fuori sede e
trovare un buco non è affatto facile. La famiglia con grandi sacrifici
riesce a pagare l’intera cifra in anticipo, come preteso dal frate
domenicano Ottorino Benetollo, in religione padre Vincenzo. Stefano,
figlio di un operaio emigrato in Germania, aveva chiesto inutilmente
una dilazione del pagamento. Inizia a frequentare. Quando non è
all’università studia nella biblioteca della comunità. La sera cucina
quanto ha acquistato al supermercato. Tutta la strumentazione della
cucina è in comune e i ragazzi vi trascorrono la serata,
chiacchierando e guardando la televisione.

Nel mese di dicembre in prossimità delle vacanze di Natale, lo
studente statunitense Paul Ludwig inizia ad accusare strani malori:
gonfiore ai piedi, dolori muscolari, perdita dei capelli, vomito e
nausea. Visitato da diversi medici che non riescono a formulare una
diagnosi certa, Ludwig decide di ritornare negli Stati uniti per farsi
curare. Al rientro delle feste, altri tre ragazzi, tra cui Stefano
Ingala, accusano gli stessi sintomi. Ricoverati in differenti
strutture ospedaliere, i giovani continuano a peggiorare fino a quando
dall’America arriva un fax urgente che avvisa che allo studente Ludwig
era stato diagnosticato un grave stato di intossicazione da veleno, il
tallio, ingerito a varie riprese presso la comunità San Domenico. Le
analisi sui tre ospiti ricoverati in Italia danno esito positivo e
quelle effettuate su altri sei dimostrano che avevano iniziato ad
ingerire il veleno. Il pronto intervento del Centro Antiveleni
dell’ospedale Niguarda di Milano scongiura ogni possibile evento
mortale e, nel giro di due mesi, i pazienti vengono completamente
disintossicati. A livello differente però i ragazzi riportano gravi
danni alla loro salute. A Stefano Ingala vengono diagnosticate
irreparabili lesioni cardiache. Padre Benetollo liquida la vicenda
come «una goliardata di pessimo gusto», non informa la polizia e
impedisce l’ingresso ai tecnici dell’Usl 27 che si erano recati per
accertare le cause dell’avvelenamento. Solo dopo due giorni arrivano i
carabinieri del Nas che individuano consistenti tracce di tallio nello
yogurt, latte, biscotti, sale, pasta e altri alimenti conservati nella
cucina della comunità. Addirittura in una confezione di lecitina di
soia conservata nell’armadietto di un ospite. Non vi sono più dubbi.
Qualcuno, volontariamente e premeditatamente aveva tentato di
assassinare una decina di ospiti della comunità. Un serial killer
fallito che per mesi aveva disseminato piccole dosi di veleno nel
cibo. Fallito ma organizzato, come dicono i criminologi quando
delineano la figura di un omicida seriale che vuole farla franca. Se
lo studente americano non fosse stato sottoposto ad analisi
specifiche, i ragazzi sarebbero morti nel tempo per «cause naturali».
La magistratura indaga. Tentato omicidio plurimo. Il colpevole però
non viene scoperto. La comunità viene chiusa e la legge archivia il
caso l’anno seguente e ordina la distruzione dei reperti.

Nel 1991 le condizioni di Stefano si aggravano. Improvvisi e violenti
attacchi di tachicardia ventricolare lo costringono a continui
ricoveri in strutture specializzate. Ma ogni volta è più difficile
salvarlo. Lui si attacca con i denti alla vita e sostiene tre esami in
ospedale. Riuscirà a laurearsi nel `97 dopo l’operazione e anni di
sofferenze. La famiglia è dissanguata economicamente e la causa segue
l’iter normale e infinito dei tribunali civili. Nel frattempo
l’avvocato di Ingala incarica un penalista per chiedere la riapertura
dell’inchiesta sul tentato omicidio senza risultati apprezzabili.
Stefano tenta di ricostruirsi un’esistenza. E’ forte, tenace ma nella
battaglia giudiziaria assolutamente solo. Gli altri ragazzi avvelenati
dal tallio non ne vogliono più sapere. Un altro mistero di questa
intricata vicenda. Lui, invece, decide di uscire allo scoperto, indice
conferenze stampa e ottiene l’aiuto di qualche parlamentare. Ma nulla
è in grado di scuotere lo stato comatoso del processo. Nel luglio del
2001 il colpo di scena.

A Bologna un uomo, con un passato di ricoveri psichiatrici e giudicato
socialmente pericoloso, fa saltare in aria col gas l’appartamento
della madre. Quel giorno, Stefano si trova in città per i periodici
controlli medici. Il nome del tizio non gli è affatto nuovo. Era
ospite della comunità San Domenico nel periodo degli avvelenamenti. Si
viene a sapere che era stato accettato nonostante non fosse uno
studente mentre lo statuto era molto fiscale in questo senso. Le
indagini condotte da Ingala e dai suoi avvocati puntano il dito contro
questa persona. Sono convinti che sia responsabile della
contaminazione di cibi e bevande con il tallio. Il silenzio di padre
Benetollo e dei domenicani continua. La vicenda è veramente
incredibile eppure fatica a trovare uno sbocco giudiziario. La
responsabilità della comunità è evidente e il tempo trascorso per la
causa è scandaloso. Stefano Ingala ha diritto a un risarcimento che
oltre a riparare il danno subito gli garantisca un futuro dignitoso e
tutte le cure mediche di cui ha continuamente bisogno. In questo paese
ottenere giustizia in campo civile è già un’impresa epica ma quando si
hanno di fronte avversari così potenti tutto diventa più difficile.
Quasi impossibile. In questo mese di ottobre si terrà l’ennesima
udienza. Stefano l’attende con impazienza anche se è consapevole che
si tratterà solo di un round. Uno dei tanti. Ma lui, rifondarolo
trotzkista, è tosto. Tra una telefonata all’avvocato e una capatina
dal cardiologo prepara un’iniziativa di 4 giorni sull’Argentina.
Quella dei desaparecidos e dei piqueteros. Perché la sua incredibile
vicenda non gli farà mai dimenticare che un altro mondo è possibile."

Poi Stefano ha così continuato:
"L’autore dell’articolo è scrittore di gialli, noir mediterraneo.
Massimo Carlotto ha anche scitto il romanzo - Le Irrigolari  Buenos Aires Horror Tour -. E’ parente di Estela Carlotto, una delle madres e delle abueles di plaza de Mayo in Argentina.
Dal libro è stato tratto anche un monologo -Più di mille giovedì- recitato magnificamente dall’attrice Gisela Bein.  
Per questo alla fine dell’articolo c’è il riferimento all’Argentina.

Riguardo al mio lavoro di docente e dei rapporti che ho con gli alunni, devo dire che insegnare è il lavoro più bello che ci sia, anche se in Italia siamo pagati meno di un metalmeccanico.
Stare in classe significa essere in un osservatorio dei costumi della società.
I ragazzi, nella loro adolescenza, hanno bisogno di socializzare e imparare. Oltre ad un mestiere (insegno in un Istituto alberghiero, dove i ragazzi imparano a fare i cuochi, gli addetti di sala e gli addetti alll’accogienza) hanno bisogno di cultura. Seguire i ragazzi dal primo anno al quinto, ti fa capire le evoluzione della personalità, durante questi anni, che sono poi gli anni più belli. Entrano mostrando comportamenti infantili, ma dal terzo anno in poi assumono atteggiamenti più responsabili e più maturi.
La popolazione scolastica in una classe è variegata. Essendo l’Italia una società multiculturale, nelle classi abbiamo anche studenti  nati in Italia da genitori stranieri, ma i ragazzi sono molto solidali tra di loro. Nessuno si sente straniero e se ci sono problemi di bullismo, li stronchiamo sul nascere. Per quanto riguarda lo studio, ci sono ragazzi che lavorano bene e qualcuno che ha problemi certificati BES, bisogni educativi speciali, che seguono una didattica diversa dal resto della classe. Si propone un Piano Didattico personalizzato,  https://www.orizzontescuola.it/piano-didattico-personalizzato-pdp-che-cose-e-quando-si-attua-faq-ministero/.
Ci sono  differenze tra gli Istituti Alberghieri della città e quelli della provincia. Quando insegnavo a Torino, alcuni ragazzi erano difficili, poco scolarizzati, famiglie con problemi ecc. In classe non sempre c’era un clima armonioso.Ma poi già al secondo anno, il clima in classe migliorava. Adesso nella scuola dove insegno a Biella, i ragazzi sono diversi. Provengono dai comuni della provincia, molti sono impegnati in oratorio e chi si comporta male viene subito ripreso dal preside o dal vicepreside.
Un episodio che mi colpì moltissimo in una terza classe di Torino: C’era un ragazzo cinese che aiutava i compagni in tutte le materie, italiano e storia compresi. Il padre aveva un ristorante e ogni giorno portava un grande contenitore diviso in scomparti. Conteneva riso e involtini primavera. Almeno metà della classe mangiava assieme a lui. Nella mia materia era bravissimo. A fine anno ebbe nove in tutte le materie.
Ma anche ragazzi/e africani/e danno una mano ai compagni nelle lingue straniere, inglese e francese. E’ bello lavorare in classi dove c’è questo clima di cooperazione e solidarietà.
Ma non sono tutte rose e fiori. I problemi maggiori derivano dai genitori. Alcuni, mi è capitato, sono venuti a minacciarmi di adire le vie legali, perchè il figlio aveva preso un brutto voto. Ma con il diailogo, in modo civile, troviamo una soluzione.
Insegnare è il mestiere più bello del mondo."

Grazie caro Stefano ed alla prossima.

- A proposito di avvelenamenti, Emilia di Roma, ma da qui da monaco ci ha raccontato che nel 1640 Giulia Tofana, cortigiana e chimica originaria di Palermo, mise a punto un veleno che da lei prese poi il nome di acqua tofana. Grazie a questa invenzione divenne ricca e potente: il successo fu raggiunto grazie alla volontà di molti coniugi, soprattutto donne, che sentivano la necessità di divenire vedove, in un’epoca in cui il divorzio non era ancora riconosciuto legalmente.
Ma dopo alcuni anni una cliente della donna, la contessa di Ceri, per liberarsi del marito, utilizzò tutto il liquido della boccetta contenente il veleno, smuovendo i sospetti dei parenti del defunto. Le indagini condussero a Giulia Tofana, la quale venne imprigionata e torturata, ammettendo di aver venduto, soprattutto a Roma, durante il periodo della peste (cosa che rendeva ancora più difficile identificare gli avvelenamenti), boccette sufficienti ad uccidere 600 persone, in un periodo compreso tra il 1633 e il 1651. Il 5 luglio 1659 fu condannata e giustiziata a Roma, in Campo de’ Fiori, insieme alla figlia o sorella Girolama Spera e ad altre 3 donne colpevoli di aver avvelenato i propri mariti. Col tempo altre 41 donne furono strangolate nelle segrete dei palazzi o murate per ordine dell’Inquisizione.
Il fatto ebbe eco anche a Parigi con l’affare dei veleni del decennio 1670-1680: tra il 1666 e il 1676, Marie-Madeleine d’Aubray, marchesa di Brinvilliers, per impadronirsi dell’eredità avvelenò suo padre, i due suoi fratelli e sua sorella prima di essere arrestata e giustiziata.
Verso la metà dell’XIX secolo il ricordo dell’acqua tofana era ancora vivo, come dimostra lo scrittore Alexandre Dumas, che si espresse così nella sua opera Il Conte di Montecristo:
«...Noi parlammo signora di cose indifferenti, del Perugino, di Raffaello, delle abitudini, dei costumi, e di quella famosa acqua tofana di cui alcuni, vi era stato detto, conservano ancora il segreto a Perugia.»
Tra i personaggi famosi che si sospettano avvelenati con l’acqua tofana si ricordano il musicista Wolfgang Amadeus Mozart e papa Benedetto XIII.[1][2]
Composizione chimica
Gli ingredienti del veleno sono noti, ma non se ne conoscono le esatte dosi. L’acqua tofana conteneva acqua, anidride arseniosa, limatura di piombo, limatura di antimonio e succo estratto dalle bacche della belladonna. L’anidride arseniosa, fatta bollire in acqua, crea un ambiente acido e consente lo scioglimento del piombo e dell’antimonio, dando luogo ad una soluzione incolore, inodore e insapore ad altissimo tasso di tossicità.
Una volta somministrata, provoca in breve tempo vomito e in seguito febbre, facendo in modo che il quadro clinico del malcapitato venga confuso con quello di un normale disturbo intestinale; la morte sopraggiunge entro 15-20 giorni, se viene rispettato il corretto dosaggio. L’acqua tofana avvelena le persone un po’ per volta, facendo sembrare la morte apparentemente naturale (il volto del defunto appare roseo), allontanando così i sospetti di un omicidio.[2]
Commercializzazione
Il veleno detto anche ticoxina veniva commercializzato sotto forma o di cosmetico o di fiala recante l’immagine di San Nicola di Bari (quindi conosciuta clandestinamente come "manna di San Nicola"), risultando alla stregua di un oggetto di pseudo-devozione feticista verso il santo. Il prodotto era accompagnato dalle istruzioni per l’uso, allo scopo di evitare avvelenamenti accidentali.

Grazie Emilia, non oso chiedermi del perché di questo tuo interesse...

- Così Eva di Monaco e da Monaco:
"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Eugenio Montale (1896-1981) Nobel per la letteratura nel 1975. La poesia è stata scritta nel 1967 ed è inclusa nella raccolta Satura.
È una poesia d’amore, un omaggio alla moglie scomparsa.


Mistero Buffo - Dario Fo

L’opera nasce nel 1969 come spettacolo aperto, da rielaborare e aggiornare ogni volta. Fo, autore e attore, unico interprete (a eccezione di alcune parti recitate da Franca Rame) su una scena vuota, ricopre il ruolo di vari personaggi, modificando espressione e tono di voce. Il suo lungo monologo propone via via episodi della vita di Cristo, inglobando suggestioni dei Vangeli apocrifi e testi antichi o pseudo-antichi. Il Mistero del titolo va inteso come mistero medievale, cioè rappresentazione sacra, dramma sacro sulla vita di Gesù recitato da attori improvvisati; l’aggettivo buffo dichiara il carattere grottesco dello spettacolo.

Il punto di partenza è il tentativo, da parte dell’autore, d’immaginare come può aver reagito un uomo comune di duemila anni fa davanti ai fatti di cui Cristo fu protagonista. L’obbiettivo è denunciare, con le armi della satira, l’asservimento del popolo alla Chiesa-istituzione, bollata come l’organizzazione che da duemila anni manipola, per fini di solo potere, il consenso delle masse. A tale scopo il giullare-Fo rielabora la narrazione evangelica (nozze di Cana e strage degli innocenti, ladroni in crisi e soldati fanfaroni, Maddalene e Angeli ubriachi, Cristo arrabbiato ecc.), dando voce non al punto di vista della storiografia ufficiale, bensì a quello basso, del popolino. Perciò utilizza una lingua popolare padana nella quale confluiscono dialetti diversi; lo stesso Fo ha curato una traduzione del testo in lingua italiana.


LA RESURREZIONE DI LAZZARO da Mistero buffo
Fo introduce uno dei più noti episodi del Vangelo, la resurrezione di Lazzaro, narrato dal punto di vista di un popolano. Tale punto di vista riduce l’evento soprannaturale al rango di uno spettacolo mondano. Ma non è Cristo ad abbassare la qualità spirituale del miracolo; responsabile di tale riduzione è invece, il punto di vista della folla.

Sono i popolani a vedere nel santo, cioè Gesù, un personaggio che, sostanzialmente, incuriosisce per le sue opere straordinarie. Su queste basi ritroviamo nel testo tutti i cliches di uno spettacolo moderno, ma trasferiti nella Palestina di duemila anni fa.

Il risultato, di grande comicità, porta un’acuta satira nei confronti di chi si accosta agli avvenimenti per la pura curiosità di vedere e si essere presente, più che per principi religiosi o per convinzioni spirituali. Sulla scena emergono i popolani sciocchi, che hanno sempre da dire su tutto:
si preoccupano di chi spinge o di chi si sposta più avanti di loro per vedere meglio;
si mettono a discutere con chi hanno al fianco;
scommettono sulla realizzabilità del miracolo;
e intanto non si accorgono che, nel trambusto, qualcuno ha loro rubato la borsa.

Il testo documenta bene anche il carattere espressionistico dello stile di Fo, il suo radicamento nella cultura popolare, riprodotta non meccanicamente, ma con un abile pastiche, cioè con la consapevole contaminazione di registri linguistici differenti. Lo scrittore-attore non introduce infatti uno specifico dialetto, ma ricrea una parlata padana che mescola i dialetti lombardi con il lessico italiano: secondo tecniche di scrittura tipiche dell’espressionismo, dialettizza l’italiano e, parallelamente italianizza espressioni dialettali (come, per esempio avviene in furbasso).


Parafrasi della resurrezione di Lazzaro
-Scusi! E’ questo il cimitero, camposanto, dove vanno a fare il resuscitamento del Lazzaro?
-Si è questo.
-Ah bene.
-Un momento, dieci soldi per entrare.
-Dieci soldi?
-Facciamo due.
-Due soldi? Boia, e perché?
-Perché io sono il guardiano del cimitero e voialtri venite dentro a schiacciarmi tutto, a rovinarmi le siepi e a schiacciarmi l’erba, e io devo essere ricompensato di tutti i fastidi e i danni che mi impiantate. Due soldi o non si vede il miracolo.
-Bene! Sei bene un bel furbacchione anche tu, va’ là!
-Due soldi anche voialtri, e non m’importa se avete i bambini, non mi importa, anche loro guardano.
Si, d’accordo: mezzo soldo. Vai giù, disgraziato dal muro. Vuol vedere il miracolo gratis, il furbastro! Si paga, no?! Due soldi… no, non hai pagato. Due soldi anche voi due soldi per venire dentro […]
-Non arriva? Non è ora per ‘sto miracolo?
-Non c’è qualcuno che conosca questo Gesù Cristo, che possa andare a chiamarlo, che noi siamo arrivati, no? Non si può aspettare sempre per i miracoli, no?
----------------
-Mettete un orario e rispettatelo, no?
-Seggiole! Chi vuole seggiole? Donne! Prendetevi una seggiola! Due soldi una sedia! Prendete una sedia per sedervi, donne! Quando c’è il miracolo e il santo fa venir fuori il Lazzaro in piedi, che parla, canta si muove, vi prendete uno spavento quando gli luccicheranno gli occhi che andrete a sbattere di dietro e a picchiare per terra su un sasso con la testa e resterete ammazzati! Morti! E il santo ne fa uno solo di miracolo in un giorno. Prendetevi una sedia! Due soldi!
-Ohi, pensa proprio a fare soldi, eh!
-Allora non c’è nessuno che vada…?
-Non spingere! Non mi interressa!
-Non salire sulle sedie! Ah furbo! Avete visto? Il piccolo si piazza in piedi sulle sedie!
-E non ti appoggiare che c’è la tomba davanti che …
-Arriva? Non arriva!
-Sardelle! Dolci le sardelle! Due soldi le sardelle!
Dolci! Abbrustolite! Buone! Buone le sardelle! Che fanno resuscitare i morti! Due soldi!
-Sardelle, le sardelle…danne un cartoccio al Lazzaro che si prepara lo stomaco!
-Arriva! Arriva! E’ qui!
-Chi è qui? Qual è?
-Gesù!
-Qual è?
-Quello nero? Uh, che occhio cattivo!
-Ma no! Quello è il marco!
-Quello dietro?
-Qual è? Quello alto?
-No, quello piccolo.
-Quel ragazzino?
-Quello lì con la barbetta.
-Oh, ma sembra un ragazzino, boia!
-Guarda! Ci sono dietro tutti!
-Ohe, Giovanni! Lo conosco io il Giovanni. [chiamando] Giovanni! Gesù! Che simpatico che è Gesù!
-Oh! Guarda! C’è anche la Madonna! C’è tutta la parentela! Ma va sempre in giro con tutta… (sta gente)? Oheu!...
-Non lo lasciano andare in giro solo, perché è un po’ matto!
-[Chiamando] Gesù! Simpatico! M’ha schiacciato l’occhio!
-Gesù! Gesù, facci il miracolo dei pesci e dei pani come l’altra volta che erano così buoni!
-Zitto! Blasfemo, sta’ buono!
-Silenzio! In ginocchio, ha fatto segno di mettersi in ginocchio, bisogna pregare.
-Dov’è la tomba?
-Eh… è quella là.
-Oh!Guarda! Ha detto di tirare su il tombone (la pietra tombale).
-Oh, la pietra!
-Zitto!
-In ginocchio, in ginocchio, su, giù tutti in ginocchio!
-Io no! Io non mi metto in ginocchio perché non ci credo. Oh bella!
-Zitto!
-Fammi vedere-
-No! Giù di lì, giù dalla sedia.
-No! Lasciatemi salire che voglio vedere!
-Boia! Guarda! Hanno alzato la pietra, c’è il morto, è dentro! Boia, il Lazzaro, che puzza! Cos’è sto tanfo?
-Boia!
-Cos’è?
-Zitto!
-Lasciatemi guardare!
-E’ pieno di vermi, di tafani! Oheu! Sarà almeno un mese che è morto quello, s’è disfatto! Oh, che carognata che gli hanno fatto! Uh che scherzo! Non ce la fa’ sta volta, poveretto!
-Di sicuro non ce la fa, non ci riesce! Impossibile che sia buono di [che riesca a] tirarlo fuori [resuscitarlo]! E’ marcito! Che scherzo! Oh disgraziati!
Gli hanno detto tre giorni che era morto! E’ un mese almeno! Che figura! Povero Gesù!
-Io dico che è capace ugualmente! Quello è un santo che fa il miracolo anche dopo un mese che è marcito!
- Io vi dico che non è capace!
-Vuoi far scommessa!
-Si! Due soldi! Tre soldi! Quello che vuoi scommettere!
-Li tengo io? Ti fidi? Ci fidiamo tutti? D’accordo, li tengo io questi soldi!
- Buoni, ecco, fate attenzione! Tutti in ginocchio; silenzio!
-Cosa fa?
- E’ li che prega.
-Zitto eh!
-Ohia! Alzati, Lazzaro!
-Oh! Glielo può dire e anche cantare, solo i vermi di cui è pieno vengono fuori!...Alzarsi?...
-Zitto! Si è montato in ginocchio!
-Chi? Gesù?
-No! Lazzaro! Boia, guarda!
-Ma và, impossibile!
-Fammi vedere!
-Oh guarda! Và, và, è in piedi, và, và, cade! Và, và, su, su! Và, và è in piedi!..,
-Miracolo! Oh! Miracolamento. Oh Gesù, dolce creatura che sei, che io non credevo!
-Bravo Gesù!
-Ho vinto la scommessa, dai qui. Uehi! Non fare il furbacchione!
-Gesù bravo!
-La mia borsa! Me l’hanno rubata! Ladro!
-Bravo Gesù!
-Ladro!
-Gesù bravo! Gesù! Bravo! … Ladro!... "

Brava Eva, così va la vita.....
 
- Così Lina di Laval, ma da Trois-Rivière, Québec:
"Ho parlato un po’ dell’economia del Québec. C’è alluminio, latte, bosco e sciroppo d’acero.  Adesso è la sua stagione, cioè da marzo fino alla prima metà di aprile. Gli alberi vengono bucati, per fare sgocciolare la linfa. Bisogna che faccia più di zero gradi in giornata e sotto zero di notte. Ci vogliono 40 litri di acqua d’acero per fare un litro di sciroppo.
Per il bosco faccio parte del sindacato dei produttori di bosco. Quando c’è una richiesta per un certo tipo di albero, vengono, lo tagliano e ripiantano. Fra poco taglieranno tutto il pino grigio e rimetteranno del pino bianco."

Poi Lina ci ha letto questo suo abbozzo di novella:
"Il castello stregato
C’era un castello stregato, stregato dai ricordi: il marchese che guarda la duchessa e l’arciduca che fa la reverenza alla baronessa; sulle piastrelle luccicanti quasi a perdita di vista, scintillano i raggi del sole e si abbinano in cadenza i passi dei ballerini di minuetto.
I servi passano tra gli invitati, portando sopra la spalla un vassoio di stuzzichini.
Le risate allegre, gli appuntamenti, i sospiri di contentezza impregnano i muri.
La vita dei castellani è scandita tra periodi di feste e periodi di riposo durante i quali preparano le prossime feste.
Le nascite, le morti in alternanza e i secoli si sgregolano fino all’ultimo erede. Si tratta di un’epoca passata che mai più verrà.  Il castello è venduto tra il rimpianto dei morti impotenti.
Ma chi sono quei giovani senza cervello, che hanno avuto l’audacia  di trasformare il castello in albergo per cittadini di forti sensazioni? Questi credono di sentire di notte dei passi, accompagnati del rumore delle catene, che legano i prigionieri o dei piatti che si fracassano nelle mani dei fantasmi o lo scricchiolio di una porta attraverso la quale sarebbe passato un malefico spettro.
Come sono ridicoli, esclamano i morti. Si sbagliano. Si tratta semplicemente di un povero marchese che striscia col pancione. È sazio e cammina con la speranza di attivare la sua digestione.
A lui piacerebbe ballare il valzer come fanno gli altri, ma, per aver troppo mangiato, è costretto a passeggiare tra i muri del castello.
Quello che è rimasto, quando mi sveglio."

Poi ancora qui queste sue parole sul libro UOMINI di Elda Lanza, che sta leggendo:
"Libro leggero sui rapporti uomo-donna e sulla facilità con i quali si possono guastare.
Una bambina di tre anni e mezzo. Suo padre che lascia la famiglia perché innamorato della sorella di sua madre. Con questo primo, crudele tradimento,  inizia il cammino sentimentale della protagonista di UOMINI.
Un cammino che diventa, grazie ai personnaggi, alle vicende, agli scenari che racconta, un irrestibile romanzo d’amore.  Uomini di talento, di successo, famosi, potenti, ammirati. Per quanto divertissimi, petali della stessa margherita nel gioco m’ama,  non m’ama,  una corolla al centro della quale c’è la protagonista, una donna che non riesce a farsi amare davvero, ma mai abbastanza ferita da arrendersi alle proprie illusioni. Che si racconta con sfacciata ironia, sapendo di aver perduto tutte le battaglie, tranne l’ultima, con se stessa. Un libro aspro e amaro, coraggioso e sincero, scritto con ruvidezza calda e avvolgente. Con voce sicura e timida allo stesso tempo."

Grazie Lina e buon lavoro e buona lettura.


- Così Sergio di Livorno, ma da qui da Monaco:
   "LOREDANA MAGAZZENI
A Marilyn, sulla bellezza

Penso che le donne belle servano a essere esibite.
Avanzano come ambulanti trofei.
Io sono contro la bellezza, ha rovinato troppe vite.
La bellezza mi ha reso schiava,
perché credevo di non possederla.
Chi ama la bellezza non ama se stessa,
perché si guarda in uno specchio deforme
e deforma lo specchio della propria esistenza.
Il confronto con la bellezza è spreco di sé.
Essa si insinua a distruggere,
a dire la perdita e mai l’amore
con cui ogni giorno accudisci e rinforzi,
la tua vera umanità ineguagliabile,
che non sa sorridere della bellezza che possiede.
La bellezza è sempre uguale a se stessa.
Rigida e fredda come una statua greca
congelata nell’eternità di un sorriso.
Tu che muovi le labbra invece puoi
modulare un’ampia gamma di sorrisi,
davanti ad occhi che sanno lo sguardo
irriverente e libero del vero amore di sé.


Alessandra Vignoli.
A volte

Succede a volte, che arriva un momento dove
non sai più cosa vuoi e soprattutto chi sei.
Ti guardi intorno e non hai il coraggio di ammettere
a te stesso che è ora di andare avanti.
Che a volte bisogna solo fare un passo in più,
un passo più lungo dei soliti passetti.
A volte fondamentalmente bisogna prendere in mano
la propria vita e correre, correre come dei pazzi
e sentire il vento tra i capelli e fregarsene
di chi non ti ha amato abbastanza,
di chi hai aspettato tutta la notte ma non ti ha
neanche guardato da lontano.

A volte bisogna fregarsene se facciamo male a qualcuno,
perchè essere sempre pronti a rimuovere
il dolore dalle persone crea dolore a noi.
A volte non è un messaggio di scuse a far passare tutto,
e a volte bisogna incaponirsi che le scusa non bastano,
che bisognava pensarci prima.
A volte, bisogna semplicemente andare avanti."


Grazie Sergio, ottime riflessioni.


- Io di Roma, ma da qui da Monaco, ho letto la seconda parte di questi ricordi:

"1986-2000 – LE VACANZE LINGUISTICHE A BONASSOLA  (vicino alle 5 Terre)

   Conobbi Maria Alacevich e Pippo Figari all’isola di Ventotene all’inizio degli anni ’70. Diventammo subito amici. Era quel periodo magico in cui quasi tutto sembrava possibile. Loro erano genovesi. Li andai a trovare. Un bel giorno, con genuino entusiasmo coinvolgente, mi mostrarono le 5 Terre, che io non conoscevo affatto. Pippo aveva ereditato un capanno da qualche parte sopra Manarola. Poi passarono molti altri anni.
   A Monaco di Baviera a metà degli anni 80’, insegnavo italiano agli stranieri. I partecipanti ai corsi mi chiedevano sempre di organizzare con loro qualcosa al mare in Italia, una cosa, una cosa qualunque, pur di stare al mare, insieme e in Italia. Mi ricordai allora delle 5 Terre. A volte le cose si collegano da sole. Basta saperle riconoscere e seguirle.
   Mio figlio Alain era appena nato. Proprio le 5 Terre con i loro terrazzamenti non erano l’ideale, per chi aveva un bambino in carrozzina. Pippo mi suggerì allora di cercare anche in qualche paese attorno, prima o dopo non importava, ma un po’ più pianeggiante. Così scoprimmo Bonassola. Ci piacque da subito, da quando scendemmo giù nella sua conca dalla collina.
   In quel periodo le vacanze linguistiche erano una cosa abbastanza nuova ed inesplorata. Noi ci buttammo a capofitto, noi, Sylvie mia moglie ed io, con Alain al seguito. Stella venne dopo. Facevamo tutto da soli. Soltanto mia madre veniva ad aiutarci da Roma qualche volta, quando poteva.
   Maria mi disegnò come regalo ed augurio il logo “LUNA-SOLE!”, che esiste ancora. L’idea era di dare la luce del sud, a chi viene dal buio del  nord. Non era una brutta idea, ma neppure tanto facile da realizzare. Il buio poi non sta solo al nord e al sud non c’è neppure sempre la luce. Noi ci abbiamo provato per due o tre mesi all’anno e per 15 anni, diciamo con un migliaio di partecipanti almeno, con alterni risultati. Come sempre poi tutto si potrà vedere e giudicare un po’ meglio dopo, con il trascorrere degli anni. Intanto ne sono già passati una ventina. Ma aspettiamo ancora.
   Facevamo la pubblicità, raccoglievamo le iscrizioni, affittavo gli appartamenti e le case necessarie ed ogni 14 giorni arrivava un nuovo gruppo di partecipanti. Io arrivavo qualche giorno in anticipo, preparavo il materiale didattico, poi insegnavo, cucinavo, facevo da guida turistica e tante altre cose ancora, con il valido aiuto di Sylvie.
   Ma se non hai la casa di proprietà, in realtà non guadagni niente. Ti paghi certo delle belle vacanze di duro lavoro, questo sì. Diciamo allora che ho generosamente contribuito per 15 anni allo sviluppo turistico del paese. Peccato che i bonassolesi se ne siano accorti solo dopo, quando alla fine me ne sono andato ed ho smesso.  
   Far poi conoscere ai tedeschi la Liguria ed ai liguri i tedeschi, si è poi rivelata anche impresa piuttosto ardua. Tutti e due sono abbastanza, come dire, parsimoniosi e diffidenti. La comunicazione è stata spesso difficile. E le buone vacanze linguistiche si fondano principalmente proprio sulla buona comunicazione.
   È però stata un’esperienza importante. Per vivere insieme a così tante persone diverse e per così tanto tempo, ci vuole molto ma molto entusiasmo. Ne abbiamo avuto molto. Poi è progressivamente cominciato a scemare ed alla fine è scemato del tutto. Ora cerco di conservarne i ricordi più belli.
   Un’altra nostra volontaristica idea era di contribuire così, nel nostro piccolo, a costruire un pezzetto d’Europa un po’ unita: Sylvie, francese, Alain e Stella di Monaco ed io italiano. Volevamo dare un esempio da imitare. In pochi per la verità ci hanno finora seguito. Le cose sono andate piuttosto differentemente, si sono rivelate un po’ più complicate del previsto, a cominciare forse proprio da noi quattro.
   Evidentemente non tutto è stato possibile, tra quello che nel periodo magico era sembrato così facile da realizzare. Però ne è insomma valsa comunque la pena. E ora possiamo fare serenamente dell’altro."

Poi ho ancora letto questi brevi considerazioni:
   
"Le cose non dette
Le cose non dette sono quelle che poi contano.
Le cose non dette sono quelle da scoprire
se vuoi muoverti ed andare.
Le cose non dette sono quelle su cui lavorare.
Le cose non dette sono quelle che più fanno male
sia se le rimuovi
sia se anche le lasci lì stare.
Le cose non dette sono quelle del retroterra.
Le cose non dette sono quelle che reggono tutta la costruzione.
Le cose non dette sono quelle accumulatesi.
Le cose non dette sono macigni
formatisi piano piano
progressivamente.
Poi diventano mostruosi scogli.
Le cose non dette sono quelle che non ti lasciano più stare o andare.

Mi ricordo di quando non c’era la televisione.
Il bambino piccolo era la nostra televisione.
Lui stava nel mezzo
e noi tutti intorno
a lusingarlo
a spronarlo
ad ammirarlo
per ore.
Allora lui sorrideva.
Eravamo felici."

Grazie per l’attenzione.

Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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