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Riflessioni storiche conclusive sul primo periodo dello sviluppo dialettico del pensiero di Hegel

Riflessioni storiche conclusive sul primo periodo dello sviluppo dialettico del pensiero di Hegel

 

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Riflessioni conclusive sul primo periodo
dello sviluppo dialettico del pensiero di Hegel

 

I testi 16 e 26 in rapporto
al sistema filosofico maturo

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Il sistema filosofico di Hegel si presenta come la realizzazione dell’ideale giovanile della fondazione di una nuova religione popolare, razionale e naturale. La formulazione di questo ideale, avvenuta in modo compiuto nel semestre invernale 1793/94, chiude il primo periodo dello sviluppo del pensiero di Hegel con la formulazione chiara, esplicita e cosciente del proposito di dare alla religione, che costituiva all’epoca l’oggetto dello studio universitario e anche delle riflessioni personali del giovane filosofo, una propria autonoma dignità. Questo pensiero è espresso in modo chiarissimo nel testo 26. Rileggiamo le sue parole:

“Il sistema della religione, che ha sempre assunto il colore dell’epoca e delle costituzioni statali, la cui più alta virtù fu l’umiltà, la coscienza della propria impotenza, che aspetta tutto, in parte anche il male, dall’esterno, riceverà ora una propria, vera ed autonoma dignità” 
(trad. mia; in SG 1 p. 260, ultimo capoverso del testo 26)

Tale testo chiude la seconda fase del soggiorno di Tübingen, che Hegel aveva lasciato da pochi mesi per trasferirsi come precettore privato nei pressi di Berna a Tschugg. Di tale fase ci sono rimasti per fortuna molti testi, non sappiamo se tutti quelli redatti da Hegel, ma comunque sicuramente in quantità tale da ricostruire nei dettagli le sue riflessioni sul concetto di religione. 
In particolare il testo 16 è fondamentale, non solo poiché è il più lungo, ma anche perché contiene il punto in cui Hegel mostra chiaramente di aver letto il testo sulla religione di Immanuel Kant, “La religione nei limiti della semplice ragione”, che era uscito da poco tra la primavera del 1792 (solo il primo capitolo) e il 1793 (completo). La ricezione di tale testo porta il giovane pensatore ad abbandonare la posizione del tutto rousseuiana, che aveva sostenuto fino a quel momento, fondata sul cuore come sede della religione, per una posizione in cui è la ragione a dover elaborare una religione capace di essere veramente universale. Questa era appunto la concezione di Kant. 
Le riflessioni di Hegel sulla religione sono molto articolate e complesse, ma fondamentali per capire non solo il suo sviluppo giovanile, ma soprattutto la portata religiosa del suo sistema maturo. Ricordiamo, infatti, che Hegel al §554 definisce ancora nell’ultima edizione dell’Enciclopedia, quella del 1830, quindi un anno prima della sua morte, la sfera dello spirito assoluto, che culmina nella filosofia, come ‘religione’ in generale. 

“La religione, come può essere definita in generale questa sfera più alta, […]”
(Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, trad. mia, § 554) 

Inoltre, abbiamo già ampiamente visto come la Scienza della Logica abbia un significato teologico, oltre che logico e ontologico, giacché il suo oggetto, l’Assoluto (o Idea nel linguaggio hegeliano) viene da Hegel anche indicato come Dio “prima della creazione di una natura e uno spirito finiti”. Rileggiamo quanto da lui scritto nell’Introduzione alla Scienza della Logica:

In quanto scienza, la verità è la pura autocoscienza autosviluppantesi e ha la figura del sé, che l’in sé e per sé autosapentesi concetto, il concetto come tale, è l’essente (ciò che è) in sé e per sé.
Questo pensare oggettivo è allora il contenuto della scienza pura. Anziché formale, anziché priva di materia per una conoscenza vera ed effettiva, soltanto il suo contenuto è dunque la verità assoluta, ossia, se ci si vuole ancora servire della parola «materia», la materia vera, – ma una materia a cui la forma non è un esterno, perché questa materia è anzi il pensiero puro, quindi la stessa forma assoluta. 
La logica va quindi presa come il sistema della ragione pura, come il regno del pensiero puro. Questo regno è la verità stessa, come è in sé e per sé stessa senza involucro; perciò si può dire che questo contenuto sia l’esposizione di Dio, qual è nella sua essenza eterna, prima della creazione della natura e di uno spirito finito. 
(Scienza della Logica, ed. Laterza, 1978, p. 41)

Queste indicazioni, che ritroviamo poi anche in diversi altri luoghi delle sue opere e sono uno dei temi sempre ricorrenti, ci conducono a una prima conclusione che possiamo formulare così: il sistema filosofico di Hegel, in particolare la Scienza della Logica, sua prima parte, costituisce la realizzazione dell’ideale giovanile, formulato nel testo 26, del conferimento alla religione di una “propria autonoma dignità”. 

La religione diventa degna di tale nome quando non è più dipendente da fattori ed elementi storici (rivelazione, testi sacri e tutto ciò che il giovane Hegel in modo sprezzante definisce ‘positivo’, quindi istituzionale e storico, di contro a ciò che invece è ‘naturale’, ossia appartenente al mondo in sé, indipendentemente dalle istituzione umane). 
Una religione che non dipenda da fattori storici, è anzitutto universale, quindi non nazionale, poiché razionale, quindi fondantesi sull’essenza umana, comune a tutti gli esseri umani. 
Una religione pienamente razionale e quindi universale, non legata ad alcun popolo e ad alcuna tradizione nazionale specifica, può essere alla fine però soltanto una religione scientifica, come si espresse il compagno di studi di Hegel, Friedrich Niethammer, nel suo libretto “La religione come scienza”. 
Una religione scientifica è quindi una concezione fondata in modo razionale e logico dell’Assoluto, del primo principio e del mondo da esso creato, quindi è una filosofia. 
Quel che Hegel ha dunque realizzato nel proprio sistema filosofico è stata la fondazione della religione come scienza. Dopo di lui non era l’ateismo a dover essere sviluppato (come fece la sinistra hegeliana e in particolare ovviamente Marx) né la religione cristiana a dover essere ritenuta fondata come vera (come fece la destra hegeliana), bensì la religione come tale, nel suo concetto, è stata resa scienza e in quanto tale essa oggi, ossia nel mondo dopo Hegel, coincide con la filosofia, nel senso ovviamente della metafisica idealistica e dialettica. 

Questa è la rivoluzione compiuta da Hegel, l’aver dato vita a una religione adatta ai tempi illuminati, come del resto aveva scritto nelle pagine del diario di Stoccarda. 
Purtroppo il mondo post-hegeliano non ha capito tale messaggio e ha scelto la via dell’ateismo, sia liberale sia comunista, oppure della religione tradizionale (per es. nei paesi islamici ancora teocratici, il che vale però anche per lo Stato del Vaticano, del tutto obsoleto e incompatibile con l’Europa, anche se nessuno osa dirlo). 
Oggi dobbiamo pertanto ripartire dal 1831, quel che è venuto dopo è stato solo un tragico errore storico, che ha certo le sue cause, ma comunque resta un errore. 

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Il concetto hegeliano di ‚religione‘: 
differenza tra religione soggettiva e oggettiva

(testo 16 e precedenti)

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Hegel non pervenne subito dopo il testo 26 a tale importantissima conclusione, ma ci vollero altri 7-8 anni di studi e di riflessioni, prima che poi intorno al 1801-02 formulasse in modo chiaro e distinto la concezione della differenza tra fede e sapere, secondo l’omonimo saggio del 1802. È chiarissimo ora perché tale saggio si chiami Fede e Sapere e non Religione e Filosofia: mentre infatti per Hegel Fede e Sapere sono alla fine inconciliabili, Religione e Filosofia sono al contrario conciliabili. In particolare, la filosofia è la forma più perfetta e compiuta della religione come religione razionale. Le due quindi coincidono, mentre tra fede e sapere non può in alcun modo esserci una coincidenza, ma solo un’opposizione. 
Questa visione hegeliana fu formulata dal giovane pensatore nella seconda parte del periodo di studi tubinghesi e quindi si trova tematizzata e risolta nei testi di questo periodo, antecedenti il testo 26 con il suo programma filosofico. Come ampiamente detto, a tal proposito è particolarmente importante il testo 16. Essa restò poi invariata per tutta la sua vita, per cui quando ancora ormai pochi mesi prima di morire all’età di 60 anni al paragrafo 554 il nostro definisce la sfera dello spirito assoluto in generale come religione, è evidentemente a tale significato di questo termine che egli si riferisce e non al significato come fede che esso ha nella vita quotidiana allora come del resto anche oggi. Se non comprendiamo il significato sedimentato di questo vocabolario specifico hegeliano, non possiamo comprendere la sua filosofia, poiché egli utilizza tali termini in un significato coniato negli anni giovanili, ma non formulato in modo esplicito in alcuna sua opera matura. 
Hegel non redasse una sorta di ‘vocabolario idealistico-assoluto’, forse questo oggi bisognerebbe farlo per facilitare la comprensione delle sue opere sistematiche. Del resto ogni filosofo originale utilizza un proprio linguaggio, formatosi negli anni giovanili come ha ben spiegato Dieter Henrich. Pensare di capire un filosofo senza conoscere tale suo linguaggio e quindi le sue opere giovanili, è un’illusione. 
Nel prosieguo dei nostri incontri sullo sviluppo del pensiero dialettico di Hegel ricostruiremo tutte le varie fasi e gli stadi interni di tale progressivo e costante cammino del giovane pensatore dall’ideale di una nuova religione degna di tale nome alla sua realizzazione nella propria filosofia. Ci saranno tanti scritti da leggere e passaggi logici da ricostruire.  Vediamo oggi soltanto di approfondire il concetto della dignità della nuova religione e quindi perché già in tale ideale giovanile fosse presente in nuce l’idea del sistema filosofico.
Il primo carattere che deve avere la nuova religione è in primo luogo la razionalità, la ‘fondabilità’ logica. Solo una religione razionale può essere degna e autonoma. Questa concezione è chiaramente la ripresa del contenuto fondamentale dello scritto kantiano del 1792-93. Approfondiremo in seguito tale aspetto. Ciò però non bastava a Hegel. La religione del futuro oltre a essere razionale, seguendo Kant, dovrà avere un’altra connotazione: essa dovrà essere ‘popolare’. Nei suoi testi di questi anni tubinghesi Hegel usa sempre l’espressione ‘Volksreligion’, ossia religione popolare.
Egli la contrappone all’idea di una religione dei dotti, ossia alla teologia. Per Hegel non è la teologia a essere importante, poiché essa può riguardare soltanto poche persone dedite agli studi, bensì la religione nel senso pieno del termine, che egli definisce anche ‘soggettiva’. La teologia, intesa come sapere dotto del contenuto della religione, è invece ‘oggettiva’, che nel linguaggio hegeliano di questi anni ha un valore negativo corrispondente al concetto di ‘positivo’, ossia istituzionale e storico. 
Hegel si esprime anche così, che la religione soggettiva è qualcosa di vivente, mentre quella oggettiva di morto. La prima vivifica la spiritualità degli uomini, mentre la seconda l’opprime. La prima corrisponde a un sapere autentico inteso come saggezza (che costituisce l’eredità dell’influsso esercitato dalla lettura di Rousseau negli anni oscuri 1789-92, come abbiamo visto in precedenza), la seconda invece al laboratorio del naturalista dove la vita è conservata solo in forma di reperti biologici ormai morti. Ciò corrisponde a un sapere inteso come statico, fisso, non vitale e vivente. 
Leggiamo a tal proposito alcuni passi hegeliani, molto interessanti.

Testo 12 (v. cronologia)
“In qual misura è da apprezzarsi la religione, come soggettiva o come oggettiva?” 
(SG 1, 159).

Qui Hegel pone una delle questioni fondamentali della propria ricerca e lo fa chiaramente in rapporto al testo di Fichte “Tentativo di critica di ogni rivelazione”, pubblicato nel 1792. 

La risposta a tale domanda si trova nel testo 16, il più ampio ed anche il più conosciuto di questi testi giovanili. Esso è composto di vari fogli manoscritti, che sono stati indicati dai curatori dei Gesammelte Werke con differenti lettere dell’alfabeto dalla a alla l. Esso inizia con le parole famose nell’ambito della ricerca hegeliana:

“La religione è una delle questioni più importanti della nostra vita.” (SG, p. 169)

Nella prima parte del testo, fogli a-b, Hegel sintetizza i suoi pensieri intorno al concetto di religione, come li aveva sviluppati fino a quel momento.
(Lettura dei fogli a-b)

Dalla pagina 173 in poi (edizione italiana del 1993), che si trovano nel foglio c del manoscritto, egli affronta poi tale questione a viso aperto.
(Lettura del foglio c) 

La religione soggettiva, che Hegel indica come l’unica forma di religione ancora valida nel mondo ormai illuminato e secolarizzato, come diremmo noi oggi, è strettamente legata all’agire etico, al comportarsi bene, in una parola alla saggezza. La religione razionale per essere popolare deve quindi essere soggettiva, ossia essa deve essere in grado di promuovere (befördern, concetto che ricorre spessissimo non solo negli scritti hegeliani, ma in quelli di tanti altri giovani studiosi del periodo) un comportamento buono e saggio, ossia etico. 
Il motivo di questa centralità della problematica del promovimento dell’etica oppure, come anche si diceva all’epoca, della ricerca di un Beweggrund, deriva proprio dal venir meno della religione ufficiale (oggettiva) come fondamento dell’etica. Come un palazzo non può sussistere senza fondamenta, così per questi giovani studiosi di teologia che guardavano al mondo nuovo secolarizzato, neanche l’etica avrebbe potuto sopravvivere senza un suo fondamento. Occorreva pertanto cercare un nuovo fondamento dell’etica che non fosse oggettivo e dogmatico, ma soggettivo e fondato. Questa era la problematica fondamentale comune a tutti questi giovani teologi rivolti al nuovo, del cui gruppo faceva parte Hegel (della cui costellazione, potremmo dire, seguendo Henrich). 
Potremmo definire la religione soggettiva anche come religione etica, che non si manifesta in preghiere e atti esteriori, bensì in opere concrete di aiuto al prossimo, anzi in un atteggiamento di vita nel quale, seguendo sempre Kant, potremmo dire che l’altro essere umano viene visto soprattutto come fine, non solo come mezzo. Anche se non troviamo nell’Hegel di questo periodo alcun accenno specifico alla teoria kantiana degli imperativi categorici, nondimeno questo è quel che si può leggere tra le righe. Gli esseri umani ispirati dalla religione soggettiva, operano secondo il bene e lo realizzano sulla terra. Essi si comportano dunque in modo etico. Così aggiungiamo un altro elemento caratterizzante la dignità della nuova religione: essere deve essere etica. Ma cosa significa per Hegel ‘etico’ (o morale) in questo periodo? 
Il concetto che ricorre più spesso è quello di una ‘sensibilità ben ordinata’, ossia di una vita che segua quel che il sentimento e le sensazioni indicano all’uomo, quindi in generale la sensibilità, ma vissuta in modo ordinato, quindi equilibrato, saggio, senza eccessi. 
Leggiamo a tal proposito il seguente passo dal foglio k:

“III. Non appena si verifica una scissura tra vita e dottrina, oppure soltanto una separazione o un ampio allontanamento reciproco, sorge il sospetto che la forma della religione difetti in qualcosa, sia che faccia troppe ciance, sia che faccia agli uomini richieste esorbitanti di falsa devozione, contrastando ai loro bisogno di una sensibilità bene ordinata, τῆς σωφροσύνης, oppure entrambe le cose. Quando la gioia e la letizia umana deve vergognarsi di fronte alla religione, quando colui che ha preso diletto di una pubblica festa deve entrare di soppiatto nel tempio, la forma della religione ha un aspetto troppo tetro perché vi si possa ripromettere di rinunciare alle gioie della vita per le sue richieste”. (SG 1, p.196)

Si tratta dell’ideale di una vita naturale, anch’esso, come abbiamo visto, eredità dell’influsso di Rousseau e della filosofia popolare tedesca, che a lui si era ispirata (Mendelssohn, Nicolai). Hegel sostiene in questi anni, ma non diversa sarà la concezione nel sistema maturo, l’idea di una morale naturale, ossia che renda possibile all’uomo la realizzazione della propria essenza naturale, fatta non solo di ragione, ma anche di corpo. 
Per questo motivo Hegel pur considerando l’uomo come fine per l’altro uomo, non ha mai nutrito una particolare simpatia per la morale kantiana degli imperativi categorici. A suo giudizio se una religione soggettiva e vivente ispira l’essere umano, questi in modo naturale e spontaneo si comporterà in modo etico, quindi considererà gli altri esseri umani come fine, mai solo come mezzo. Non si tratta per Hegel di un dovere da compiere, ma di un piacere, di un diritto, di un senso della vita. 

Per Hegel la convivialità, come abbiamo visto negli scritti di Stoccarda, è un aspetto fondamentale della felicità, anzi la sua condizione imprescindibile. Senza convivialità (Geselligkeit) non ci può essere felicità (Glückseligkeit). Stare con gli altri uomini e considerarli come fine dev’essere una cosa naturale, spontanea, non forzatamente indotta da un dovere intellettuale, quasi che invece la sensibilità ci spingesse a usarli come mezzi. Se un essere umano si comporta in modo non etico e sfrutta altri esseri umani, significa che qualcosa nella sua educazione è andato storto e tale individuo non ha potuto recepire una religione soggettiva, ossia un modo saggio ed equilibrato di vivere la propria sensibilità. Perché è la sensibilità che ci porta ad avere rapporti sociali, non l’intelletto. Il bisogno è di per sé già intersoggettivo e richiede l’altro per essere soddisfatto, come Hegel spiegherà poi molto bene nella matura filosofia dello spirito. 
Se la sensibilità ci conduce direttamente all’altro, occorre che tale sensibilità sia guidata da un modo saggio di viverla, quindi sia ‘ben ordinata’ e questo è il compito principale della religione soggettiva. Non lo si deve fare però come dovere, poiché se l’individuo ha bisogno di avvertire come ‘dovere’ il considerare l’altro come fine, significa che senza tale dovere lo userebbe come mezzo, ma allora egli è già immorale in sé, quindi portatore del ‘male’. Per Hegel invece l’individuo, se gli viene insegnata sin da bambino e da giovane una religione soggettiva, quindi un modo saggio di vivere i propri bisogni e la propria sensibilità, egli poi da adulto automaticamente, naturalmente considererà gli altri come fine e non dovrà farlo in base a un imperativo, a un dovere, poiché per lui sarà un piacere condividere la propria vita e anche la propria sensibilità con i propri simili. 
L’ideale della grecità s’innesta proprio qui: i Greci (politeismo) per Hegel, seguendo Hölderlin, avevano realizzato tale unità di anima e corpo, ragione e sensibilità, che poi il monoteismo ha infranto, attribuendo alla corporeità una connotazione negativa come sede del male. Per Hegel invece il corpo è parte del bene, poiché senza gli istinti e i bisogni non ci sarebbe convivialità e quindi neanche felicità. Occorre solo educare gli individui da giovani a vivere in modo armonico, ben ordinato la propria corporeità, i propri bisogni, e questo è appunto il compito della morale e dell’etica (non troviamo ancora nel giovane Hegel una distinzione tra questi due concetti), quindi della religione in quanto soggettiva, in quanto modo di vivere. 
La nuova religione dovrà pertanto essere: razionale, popolare e fondare un’etica naturale, non intellettualistica, basata sul piacere, moderato e ben ordinato, non sul dovere.

Nel sistema maturo Hegel ha realizzato anche tale aspetto, in particolare nella teoria dell’eticità assoluta (absolute Sittlichkeit). Anche in questo caso la sua formulazione si ha all’inizio de periodo di Jena, intorno al 1802-03 nello scritto Sistema dell’eticità. Nel sistema definitivo è invece la filosofia dello spirito oggettivo a contenere tale dottrina. 
I valori etici della famiglia, del lavoro (società civile) e dello Stato sono l’espressione etica della Scienza della Logica, intesa come religione soggettiva. Un essere umano che ispiri la propria vita alla nuova teologia costituita dalla Scienza della Logica, vedrà nella creatività l’Assoluto e quindi vivrà con gli altri esseri umani in modo conviviale, creando con essi qualcosa in cui siano felici. Tale convivialità si fonderà ovviamente sul corpo e sui bisogni: quello della riproduzione conduce gli esseri umani alla famiglia che è il modo ‘ben ordinato’, armonico di vivere l’istinto sessuale e tutto ciò che appartiene a questa sfera naturale della nostra vita; il lavoro sarà il modo ’ben ordinato’ e armonico di vivere l’istinto dell’assimilazione, relativo alla sopravvivenza individuale, tramite la divisione del lavoro e quindi l’esercizio di un mestiere più o meno creativo; infine, lo Stato è la creazione assoluta poiché esso consente una vita ’ben ordinata’ e armonica degli uomini. Senza lo Stato sarebbe la guerra di tutti contro tutti, è lo Stato alla fine che ha il compito di diffondere e promuovere (befördern) la religione soggettiva, prendendosi cura dell’educazione ‘religiosa’ dei giovani, che per Hegel ovviamente può essere a questo punto solo un’educazione filosofica, in particolare logico-metafisica. 
Lo Stato etico, che spesso viene interpretato in modo sbagliatissimo come stato dittatoriale, è per Hegel invece lo Stato della religione soggettiva, ossia capace di educare gli esseri umani a una vita saggia, filosofica, ’ben ordinata’ in armonia con la natura interna (corpo) ed esterna (ambiente) nonché con gli altri esseri umani. 
Questo è il messaggio che Hegel ha voluto lasciarci sia nel 1794 con l’ideale della creazione di una religione etica degna di tale nome sia negli anni della maturità con l’ideale di un’eticità assoluta da realizzare sulla Terra tramite Stati in grado di educare gli uomini alla saggezza, quindi a una vita filosofica.
Oggi noi dobbiamo proseguire in tale opera magistrale di unificazione di filosofia e vita, di sapere e azione, di soggettività e oggettività, che è stato il Leitmotiv, il motivo fondamentale dell’intero percorso intellettuale e di vita del nostro Maestro. Solo la filosofia assoluta, dunque la logica-metafisica dialettica, può essere la religione degna di questo nome, quindi capace di promuovere saggezza ed eticità negli uomini sin da giovani tramite un’adeguata educazione filosofica, così che poi da ultimi non abbiano proprio bisogno di un imperativo morale, poiché per essi considerare l’altro essere umano come fine sarà un ‘costume’, una Sitte in tedesco, un modo di vivere quotidiano, un’ovvietà.
Rendere l’etica un automatismo in senso positivo, ovviamente, questo mi sembra il senso dell’idealismo dialettico: il saggio realizza il bene senza neanche pensarci, perché egli (in senso neutro, lui o lei) incarna il bene, è il bene stesso diventato vivente. Questo fu il senso della vita e dell’opera di Hegel, ossia come rendere il bene qualcosa di vivente, ed è anche il senso della stessa filosofia in sé. 
Tale concetto di ‘Bene vivente’ è il perno intorno al quale ruota l’intero discorso etico, ma anche giuridico e politico, hegeliano, come possiamo leggere nei Lineamenti di Filosofia del Diritto al §142, introduttivo proprio alla sezione relativa all’eticità:

“L’eticità è l’idea della libertà, in quanto bene vivente. Che ha nell’autocoscienza la sua consapevolezza, la sua volontà e, mediante l’agire di questa, la sua realtà; così come questo ha, nell’essere etico, il suo fondamento che è in sé e per sé e il fine motore, - è il concetto di libertà, divenuto mondo esistente e natura dell’autocoscienza.” (Lineamenti di Filosofia del Diritto, Bari 1979, p. 163).

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