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2022b LA FILOSOFIA DELL’IDEALISMO ASSOLUTO E DIALETTICO COME COMPIMENTO DELLA STORIA DELLA FI

2022b LA FILOSOFIA DELL’IDEALISMO ASSOLUTO E DIALETTICO COME COMPIMENTO DELLA STORIA DELLA FI

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2022b
(luglio)

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La filosofia dell’idealismo assoluto e dialettico
come compimento della storia della filosofia

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Conferenza
(Fern-Universitätdi Hagen, 21 luglio 2022)

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Pubblicazione cartacea: no

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Pubblicazione digitale: sì, qui sotto

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Introduzione alla problematica
Una delle teorie più controverse e fraintese della filosofia di Hegel è quella della fine della storia, che è stata interpretata in vari modi come fine dell’arte, della religione e infine della storia della filosofia. 
L’esempio più lampante è l’interpretazione di Francis Fukuyama che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, ha identificato la fine della storia con il trionfo del liberalismo e delle democrazie occidentali nel suo libro del 1992 “La fine della storia e l’ultimo uomo”, basato sulla “Fenomenologia dello spirito” di Hegel. Tuttavia, le democrazie liberali, come ogni interprete di Hegel dovrebbe sapere, non rappresentano certo il concetto di libertà di Hegel, ma quello che Hegel chiama ‘libero arbitrio’, che è un prodotto dell’intelletto e non della ragione. Sebbene questo libro sia una chiara interpretazione errata della filosofia di Hegel, ha esercitato ed esercita tuttora un’enorme influenza sulla politica statunitense, poiché questa teoria legittima l’Occidente a diffondere nel mondo la propria civiltà come fine della storia in tutte le sue imprese, comprese quelle belliche. 
Quindi, quando si parla di ‘fine della storia’, bisogna sempre tenere presente che si tratta di un termine molto problematico e anche delicato, che va maneggiato con cura.

 

La consapevolezza diffusa tra il XVIII e il XIX secolo dell’emergere di un nuovo mondo
Tuttavia, va anche detto che l’idea di costituire la conclusione di un certo percorso storico dell’umanità è insita nel pensiero di Hegel. Questo è abbastanza generalmente inserito nel periodo storico dell’Illuminismo, che segna l’uscita dell’uomo dallo ‘stato di minorità’ (Unmündigkeit) e quindi, secondo Kant, costituisce un inizio, ma poiché c’è un nuovo inizio, ‘l’epoca della maturità’ (Mündigkeit), ovviamente tutto ciò che è venuto prima di questo nuovo inizio ‘finisce’, cioè ‘l’epoca della minorità’ (si veda il famoso saggio di Kant “Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung”, pubblicato nella Berlinische Monatsschrift del dicembre 1784).
Anche ciò che è stato detto dopo Hegel, ad esempio, sulla morte di Dio (Nietzsche) o da Marx sulla necessaria fine del capitalismo e l’emergere di una società giusta nel socialismo attraverso la rivoluzione come ‘compimento della storia dell’umanità’, presuppone sempre che l’avvento della nuova e ultima epoca della storia umana sia imminente e che ciò che è venuto prima stia per finire. 
Così l’idea di rappresentare contemporaneamente la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, anzi di costituire l’inizio della vera e propria storia umana, come se tutto il tempo precedente non fosse stato ‘storia’ bensì preistoria, è insita nel movimento di pensiero da Kant a Hegel. Anche ial frammento “Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus” (“Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco”), che annuncia chiaramente la fine del vecchio mondo e l’inizio del nuovo, per rendersene conto (questo testo può essere attribuito a Hegel solo con grande difficoltà; si tratta sicuramente di un’elaborazione di Schelling intorno al periodo 1797-1799). La stessa  “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel (1807) si basa proprio sull’annuncio del nuovo mondo, della nuova forma di civiltà che sta prendendo il posto della vecchia e che sembrava essere rappresentata in termini politici da Napoleone.
Tra la fine del XVIII e il XIX secolo si diffuse, dunque, la consapevolezza che il vecchio mondo stava finendo e il nuovo stava iniziando. Insomma, il fatto che si vivesse allora in un’epoca particolare che segnava chiaramente una svolta nella storia dell’umanità era un sentimento e un pensiero diffuso nell’intellettualità dell’epoca, almeno in Germania (ma anche in Rousseau troviamo l’idea che da questo momento in poi l’umanità avrebbe dovuto affidarsi alla natura e quindi avrebbe dovuto abbandonare lo stile di vita tradizionale, che egli giudicava ‘innaturale’. Anche in lui abbiamo l’idea di un mondo nuovo, di una nuova forma di organizzazione dell’umanità che sostituisca quella vecchia).

 

La concezione di Hegel della fine come compimento
In Hegel, tuttavia, abbiamo di più, molto di più. Se nei suoi testi troviamo chiaramente l’idea di un nuovo inizio, vi troviamo anche la consapevolezza che questo nuovo inizio non sia una fine, bensì  il compimento del processo della storia. Il suo concetto di fine, che si ricollega ovviamente alle riflessioni sul finito e sull’infinito contenute nel primo libro “La dottrina dell’essere” (1812, prima edizione, e 1831, seconda edizione) della “Scienza della logica”, è molto più complesso, non solo in relazione al tempo, ma soprattutto in relazione alla logica del tempo.  
Dal punto di vista della logica del tempo, la fine di un processo va considerata come il compimento del suo significato immanente, del suo significato profondo interiore. Naturalmente, ci può essere anche una fine che non sia un compimento, quando un processo viene improvvisamente interrotto prima che possa portare alla propria meta, ad esempio la morte di una giovane vita, e questo è l’aspetto tragico della vita. Ma il fine in quanto tale è insito nella vita, tutto ciò che inizia deve avere una fine, ma che è un compimento e conferisce senso alla vita stessa, allo scorrere del tempo, realizzandone quindi il valore, il significato. Non è la morte, ma la vita stessa, che raggiunge il proprio fine, il proprio scopo, quindi qualcosa di positivo, di buono, non di cattivo.
L’infinito si realizza nel finito, che cessa così di essere semplice finito e si eleva all’infinito: Questa è una delle principali dottrine della logica dialettica di Hegel sulla relazione logica tra finito e infinito. Quindi non ci può essere vita senza fine. Solo la fine rende possibile il compimento e quindi dà senso all’essere, al finito. 
È interessante notare che la lingua italiana usa la stessa espressione "fine" sia per il fine temporale (nel femminile "la fine") sia per il compimento logico (nel maschile "il fine").  Hegel ha spesso sottolineato nelle sue opere, soprattutto nella “Scineza della logica”, che la lingua tedesca è avvantaggiata rispetto alle altre lingue perché è speculativa, dialettica di per sé, e quindi meglio in grado di esprimere il contenuto del vero, che è dialettico e speculativo. 
Così Hegel:
"È il vantaggio di una lingua se possiede una ricchezza di espressioni logiche, cioè peculiari e distinte, per le determinazioni del pensiero stesso; [...] in questo la lingua tedesca ha molti vantaggi rispetto alle altre lingue moderne; addirittura alcune delle sue parole hanno l’ulteriore peculiarità di avere non solo significati diversi, ma opposti, cosicché in questo non si deve nascondere nemmeno uno spirito speculativo della lingua; [...]". (GW21, 11, 4-19).
Aggiungo che la lingua italiana, nata direttamente dal latino e quindi dal mondo classico, è anch’essa dialettica e speculativa, e quindi particolarmente adatta a esprimere la dialettica e la speculazione. 
Nelle nostre riflessioni siamo giunti a una prima conclusione: Quando parliamo di ‘fine’ nell’ambito del pensiero dialettico e speculativo, non intendiamo mai solo l’aspetto temporale, ma sempre e principalmente l’aspetto logico, cioè il compimento: la fine di un essere è il suo compimento e la sua realizzazione. 
Nelle riflessioni di oggi ci occuperemo della fine come compimento nel contesto della storia della filosofia, quindi lasciamo da parte gli altri aspetti di questo tema, cioè la fine della storia generale, dell’arte e della religione.
La domanda che ci poniamo è dunque la seguente: dal punto di vista hegeliano e idealistico-assoluto, cosa significa che un sistema filosofico è il compimento della storia della filosofia? La storia della filosofia ha dunque un obiettivo intrinseco e immanente da raggiungere? 
Si tratta, ovviamente, di una questione filosofica e non storica; qui ci occupiamo, per così dire, di ‘filosofia della storia della filosofia’.
Per rispondere a questa domanda, è necessario riflettere sul concetto di ‘compimento’.


Il termine ‘compimento’
Il sostantivo "compimento" deriva dal verbo compire (o compiere),  che a sua volta proviene dal latino ‘complère’, composto da ‘cum’ e dal verbo antico ‘plere’, dal greco  ‘plethein’, riempire, che significa quindi ‘riempire completamente’ (https://www.etimo.it/?term=compire).
Il corrispondente termine tedesco ‘Vollendung’, dal quale si era partiti nell’elaborazione di questo saggio, ha due significati: l’aggettivo ‘voll’, che indica pienezza, completezza, e il sostantivo ‘Ende’, che indica la conclusione di un processo iniziato in un certo momento. Qui diventa evidente l’elemento speculativo della lingua tedesca, enfatizzato da Hegel. I due significati sono uniti: il fine temporale è anche il fine logico, cioè il raggiungimento della meta, il fine e la meta, ‘la fine’ e ‘il fine’ quindi coincidono. Questo è il compimento nel suo significato originale (fonte, Duden: medio alto tedesco volenden, = portare a termine, https://www.duden.de/rechtschreibung/vollenden).
Dobbiamo quindi chiederci: cos’è che Hegel voleva portare a una fine piena, cioè a una fine non solo temporale ma anche logica? Cosa voleva il filosofo ‘riempire del tutto’, quale vuoto vedeva che doveva essere colmato?
La risposta è in realtà facile: la filosofia, Hegel ha portato la filosofia a compimento, ha riempito completamente il vuoto che vedeva ancora in essa. Ma qual è la filosofia che egli ha portato a compimento? Nella “Fenomenologia dello Spirito”, Hegel ammonisce che ciò che è noto, proprio perché è noto, spesso non è conosciuto. Queste sono le sue parole:
"Il noto è dunque, in quanto conosciuto, non conosciuto".
(GW9, 26, 21)
Per questo motivo, potrebbe valere la pena di riflettere più a fondo sul termine "filosofia". 


Che cos’è in realtà la "filosofia"?
Per comprendere un concetto è necessario, come scriveva il pensatore napoletano Giambattista Vico nella sua opera maggiore "La Scienza nuova" nella Degnità XIV della sezione II "Degli Elementi" del 1744, ricostruirne l’origine, in quanto.
" Natura di cose altre non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose ". 
Anche qui notiamo il lato speculativo e dialettico del linguaggio, "natura" delle cose è allo stesso tempo l’essenza ("natura" come "essentia", essere) e la loro genesi ("natura" come "nascimento", nascita, emergere). L’origine e l’essenza di qualcosa coincidono, così come il fine e lo scopo. Il logico e il temporale sono indissolubilmente legati sia all’inizio che alla fine di un processo di vita sia secondo Vico che secondo Hegel, con la differenza che Vico pone più enfasi sull’emergenza e sull’essenza, Hegel più sul risultato e sul concetto.
Ciò significa che per comprendere l’essenza della filosofia, dobbiamo - seguendo Vico - riflettere sulla natura della sua nascita. Perché è nata la filosofia e con quale scopo?

 

La natura e l’origine della filosofia
L’opera Vite e opinioni dei filosofi famosi di Diogene Laerzio è una delle fonti più importanti sull’origine della filosofia. Diogene ci dice qualcosa di molto interessante nel suo testo sulla vita dei primi filosofi. In particolare, ci dice che la filosofia è nata come "amore per la sapienza", perché nelle primissime fasi della riflessione umana la sapeinza piena e sviluppata era attribuita agli dei. Perciò gli uomini mortali potevano solo aspirare alla sapienza (σοφ?α, sophia), amarla (φιλε?ν, phileîn) e coltivarla, ma mai raggiungerla pienamente. Quindi potevano diventare φιλ?σοφοι (philosophoi), "amanti della sapienza", ma non σοφ?ι (sophoi), "sapienti".
Solo sette persone erano riconosciute in grado di raggiungere tale sapienza, precisamente i sette saggi, tra i quali Talete svolgeva il duplice ruolo di saggio e di filosofo, cioè era l’unico che non solo aspirava alla sapienza, ma la raggiungeva. Questo, tuttavia, ha più a che fare con il mito e la leggenda che con la conoscenza, ma ci fornisce indizi molto rivelatori sulla nascita e al tempo stesso sull’essenza della filosofia. Queste considerazioni ci avvicinano un po’ di più alla mentalità politeista e greca, da cui il pensiero filosofico ha preso le mosse.
A parte Talete, che ovviamente costituiva un’eccezione, secondo gli antichi greci l’umanità era quindi destinata a lottare solo per la sapienza, cioè a perseguire la filosofia senza mai riuscire a raggiungerla. Quindi, potremmo dire, senza la speranza di completare con successo il percorso di ricerca della sapienza, senza poterlo portare a termine, senza realizzarlo. La storia della filosofia inizia quindi con una certa mancanza di prospettive. 
Al contrario, Hegel sottolinea ancora una volta nella Fenomenologia dello Spirito che il suo compito storico è proprio quello di portare a compimento la filosofia, cioè di far sì che essa si trasformi da "amore della sapienza" in autentico sapere, in vera sapienza. 
"La vera forma in cui esiste la verità può essere solo il sistema scientifico di essa. Collaborare ad avvicinare la filosofia alla forma della scienza - all’obiettivo di potersi liberare del nome di amore per la conoscenza e di essere vera conoscenza - è ciò che mi sono prefissato." (GW9, 11, 24-28)
In breve, Hegel è consapevole - a torto o a ragione, lo stabiliremo più avanti - di essere colui che porta a compimento il processo storico della filosofia, trasformandola da amore per la sapienza (o per il sapere) e in sapienza compiuta. Si ricollega così proprio alle origini greche della disciplina, confermando indirettamente quanto scritto da Diogene Laerzio. Egli usa la parola "sapere" e non "sapienza", poiché probabilmente voleva enfatizzare il lato teoretico della "sophia". Nella lingua greca antica, tuttavia, "Sophia" non significa solo conoscenza teorica, ma proprio "Sapientia", cioè unità di conoscenza teoretica e saggezza pratica. Naturalmente, Hegel conosceva il significato più profondo della parola "Sophia". 
L’ulteriore domanda che vogliamo porre è la seguente: Su quale base logica Hegel sostiene che nel suo sistema filosofico la filosofia giunge alla perfezione, cioè che cessa di essere filosofia e diventa vera conoscenza, vera sapienza? 
Sarebbe infatti un errore pensare che questa frase, pubblicata nel 1807, contenga solo un’intenzione che potrebbe non essersi realizzata nella vita di Hegel. Nel 1807 Hegel aveva già elaborato il proprio sistema filosofico, anche se in una forma non ancora completa. Ma la struttura di base era già presente (si vedano i testi sistematici del secondo periodo jenese).


Il sistema filosofico come scienza della sapienza
La risposta a questa domanda si trova in quello che è il principio fondamentale di tutto il pensiero di Hegel, ossia che il sistema filosofico è "scienza", conoscenza oggettiva e non meramente soggettiva del filosofo, autentica episteme (?πιστ?μη) e non mera opinione (δ?ξα), secondo la distinzione fondamentale del filosofo di lingua, ma appartenente all’Italia meridionale, Parmenide. 
Uno sguardo ai titoli delle principali opere di Hegel rivela qualcosa di interessante. La Fenomenologia dello spirito (1807) ha, infatti, il compito di essere la prima parte del "sistema della scienza"; il sistema filosofico di Hegel è l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817, 1827, 1830); alla Logica-metafisica viene dato il titolo di Scienza della logica (1812-16), e infine la Filosofia del diritto (1821) è la Scienza dello Stato (Lineamenti di Filosofia del Diritto ovvero Diritto naturale e Scienza dello Stato in compendio). In breve, il termine "scienza" compare in tutti i titoli delle opere fondamentali di Hegel proprio per sottolineare questo aspetto oggettivo della conoscenza oggettiva e del sapere raggiunto, e non solo la ricerca di essa. La scienza filosofica è una filosofia compiuta, realizzata, che nel frattempo è diventata una realtà compiuta per mezzo dell’impegno. 
A questo punto dobbiamo porci un’altra domanda: Hegel sta peccando contro l’hubris (?βρις), cioè l’arroganza o la perdita della realtà, rivendicando per l’uomo ciò che in realtà spetta solo agli dei, cioè la sapienza? Non si tratta, infatti, di un uomo solo, Hegel, che è contemporaneamente filosofo e saggio, come nel caso di Talete, ma di molto di più: la filosofia come scienza può essere ricercata, insegnata e appresa, cosicché chiunque, a condizione che "prenda su di sé la fatica del concetto", può diventare non solo un filosofo, ma un sapiente, cioè, chiunque può iniziare il cammino di un filosofo, cercando la sapienza, ma poi, dopo essersi appropriato del sistema filosofico hegeliano o in generale dell’idealismo assoluto, ritenersi un sapiente, "sapiens", nel senso proprio della parola dal latino "sapientia". 
Così scrive a tal proposito Hegel:
"Ciò che conta quindi nello studio della scienza è prendere su di sé lo sforzo del concetto". (GW9, 41, 24-25)
Con Hegel, insomma, la sapienza cessa di essere qualcosa di divino, riservato a Talete e a pochi altri, ma può diventare affare di tutti, a patto che si assumano la fatica del concetto. Hegel rende il sapere, ma anche la “sapientia” accessibile a tutti, apprendibile e insegnabile, per così dire "democratica". (Permettetemi di fare riferimento a questo punto al mio libretto Filosofia per tutti (2016), in cui cerco di scoprire quali concetti fondamentali possano essere ricavati dalla storia della filosofia per una teoria attuale della "sapientia").
In questo contesto, è molto interessante notare che già Kant aveva definito la filosofia "scienza della sapienza". 
"Questo [cioè la filosofia] si riferisce tutto alla sapienza, ma attraverso la via della scienza, l’unica che, una volta percorsa, non si allontana mai e non permette aberrazioni".

(Fonte: Critica della ragion pura, 1787, II. Metodologia trascendentale, Terzo pezzo principale, L’architettura della ragion pura, Edizione dell’Accademia, Vol. 3, p. 549).
Esiste tuttavia una differenza essenziale tra Kant e Hegel, il cui approfondimento ci aiuta a compiere il passo logico successivo nelle nostre considerazioni, ossia a rispondere alla domanda: Come può Hegel affermare la filosofia come scienza e quindi come sapienza, come sapere sicuro e non più come semplice ricerca di esso? 

 

Dalla cosa in sé alla cosa stessa: Il giusto punto di vista che fa della filosofia una vera "scienza della sapienza" (monismo anziché dualismo)
Come scrisse il giovane Schelling in una lettera a Hegel del 6 gennaio 1795:
"Attualmente vivo e tesso in filosofia. La filosofia non è ancora giunta alla sua fine. Kant ha dato i risultati; mancano ancora le premesse. E chi può capire i risultati senza le premesse?".
(Fonte: Lettere di e a Hegel, Amburgo1952, vol. 1, p. 14)
Quindi Kant aveva già capito tutto, aveva dato i risultati, ma come si possono capire questi risultati senza le premesse? A partire dal 1793-94 circa, il giovane Stiftler si prefigge il compito di comprendere le premesse dei risultati di Kant. 
Più tardi, intorno al 1800, quando Hegel riprese i contatti con il suo ex amico e compagno di studi, perché voleva tornare a “incidere sulla vita degli uomini” dopo la sua elevazione ai vertici del sistema nei testi di Francoforte, come affermato nella famosa lettera del 2 novembre 1800, poté beneficiare del lavoro dell’amico, che nel frattempo era riuscito a elaborare le premesse dei risultati di Kant. 
I risultati dell’appropriazione da parte di Hegel delle precedenti conquiste filosofiche di Schelling si trovano nel saggio Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosophie (1801).
In questo saggio, Hegel si schiera apertamente con l’amico nella controversia allora in corso sul punto di vista appropriato per la comprensione della verità. Egli sostiene la superiorità del punto di vista dell’indifferenza tra soggetto e oggetto, cioè il punto di vista dell’assoluto, rispetto al punto di vista del soggetto, che è insito nella filosofia di Fichte, ma anche in quella di Kant. Per Schelling e quindi anche per Hegel, un tale punto di vista soggettivo rende impossibile la comprensione della verità, poiché ci si scontra sempre con un limite esterno al soggetto, la cosa in sé di Kant o il non-io di Fichte. Tuttavia, non si tratta di qualcosa che esiste realmente, ma di un errore nella prospettiva della visione della verità.
Kant e Fichte si muovono ancora nell’ambito di una posizione dualistica, secondo la quale l’oggetto è davanti al soggetto, gli si oppone e il soggetto deve in qualche modo riconoscerlo. Da questo punto di vista soggettivo della riflessione esterna, non possiamo mai conoscere pienamente la cosa in sé (Kant) o, al contrario, la cosa in sé non esiste affatto, è un prodotto del nostro io (Fichte). 
Entrambe le posizioni non riescono a comprendere la vera relazione tra soggetto e oggetto, annullano il soggetto a favore dell’oggetto (Kant) o l’oggetto a favore del soggetto (Fichte), ma non riescono a cogliere l’unità e la giusta relazione tra i due.
Secondo Hegel, che interpreta e difende Schelling, è invece necessario passare dalla visione dualistica a quella monistica: soggetto e oggetto sono un’unità, sono entrambi parte dell’essere come sue diverse dimensioni, natura e intelligenza, che tuttavia esprimono la stessa identità assoluta, che è l’unità di oggetto e soggetto, natura e uomo, materia e spirito. 
Così Hegel nel saggio in questione:
"[...] il punto di vista superiore, che in verità abolisce l’unilateralità di entrambe le scienze, è quello che riconosce lo stesso Assoluto in entrambe". (GW4, 68, 1-3) 
Più tardi, intorno al 1803, Hegel si allontana dalla posizione di Schelling, come scriverà poi nella Prefazione alla Fenomenologia, perché essa non coglie adeguatamente la differenza che comunque esiste tra natura e spirito, oggetto e soggetto, ma non abbandonerà mai il punto di vista monistico che l’amico sosteneva e che aveva imparato da lui. Hegel rimarrà sempre uno schellinghiano, uno spinozista, un monista. 
Cerchiamo ora di comprendere l’argomento fondamentale che ha permesso a Hegel di giustificare scientificamente tale punto di vista unitario e monistico.
Il monismo come punto di vista appropriato della scienza: dal punto di vista soggettivo della riflessione al punto di vista oggettivo della speculazione.
Per Hegel, la cosa in sé è la cosa stessa. Il soggetto è già sempre nell’Assoluto, di cui è l’autocoscienza. L’Assoluto non è un oggetto per il soggetto, né la natura è un oggetto, ma è l’Assoluto stesso che si esprime e si presenta inconsciamente nella natura e consapevolmente nello spirito. 
"Con questa introduzione del contenuto nella contemplazione logica, non sono le cose, ma la cosa, il concetto di cose, a diventare oggetto".
(GW21, 17, 13-15)
Hegel trasforma la concezione kantiana della "Ding an sich" nella "Sache selbst" tramite le riflessioni che sviluppa nel periodo di Jena e che sistematizzerà in seguito nelle sue opere mature. Non c’è motivo di supporre che l’uomo non possa comprendere la cosa in sé, perché allora dovrebbe anche capire perché non può capirla, il che è ovviamente contraddittorio. Il punto di vista un po’ scettico che ancora esiste nella filosofia teoretica di Kant non può essere difeso in modo rigoroso. D’altra parte, se soggetto e oggetto sono un’unità, il monos, allora non c’è ragione di pensare che il soggetto non possa conoscere l’oggetto, dal momento che entrambi sono fatti della stessa materia; da un lato, sono fatti di materia, cosicché il soggetto è interamente inserito nella natura e vive della vita della stessa natura, è esso stesso interamente natura nel proprio corpo; ma d’altra parte, è anche vero che la natura, come Schelling argomenta per es. esempio nelle Idee per una filosofia della natura (1797), ha come proprio fondamento la logica e l’intelligenza, le quali non sono quindi soltanto una qualità umana: come l’uomo ha in sé la materia della natura, così la natura ha in sé l’intelligenza, la logica. Solo il grado di coscienza di questa intelligenza nell’uomo e nella natura è diverso, ma che ci sia un logos (λ?γος, lógos) nella natura è un principio fondamentale della filosofia di Schelling e di Hegel. Infatti, se non ci fosse un logos nella natura, come potremmo mai produrre una scienza della natura, che è appunto il logos della natura? Ma se è possibile una scienza della natura, dimostrata anche da vari esperimenti, allora significa che c’è un logos, un’intelligenza nella natura.
In breve, esiste un Logos comune alla natura e all’uomo, che è presente in entrambi, nella natura in modo inconsapevole e necessario, nell’uomo in modo consapevole e libero, ma entrambi sono Logos nel loro nucleo.
Sulla base di questa considerazione di principio, che Hegel sviluppa nella Logica-Metafisica di Jena (1804-05) e poi soprattutto nella Scienza della logica di Norimberga (1812-16), "l’Hegel filosofo" o ora in realtà già "l’Hegel sapiente" giunge alla conclusione che l’approccio fondamentale del filosofo - nel senso dello scienziato, naturalmente - dovrebbe essere quello di lasciar parlare la cosa stessa, che ha una sua razionalità, un suo logos. Se ci si abbandona alla logica dell’oggetto, se ne comprende la razionalità, il logos e quindi la verità. È importante che il filosofo non imponga la propria logica all’oggetto, ma si collochi dal punto di vista dell’oggetto stesso, perché il soggetto e l’oggetto sono la stessa logica, sono il logos assoluto nelle sue due diverse forme di esistenza, natura e spirito.
Hegel ha espresso molto bene questa peculiarità metodologica della logica con l’espressione "una via che costruisce se stessa":
"In questo modo il sistema di concetti deve formarsi in generale, - e in un corso inesorabile, puro, senza prendere nulla dall’esterno, per completarsi". (GW 21, P. 38,14-16)
In questo pensiero abbiamo il concetto di "compimento", che, come Hegel esprime in modo molto preciso, avviene in modo puramente immanente, senza interventi dall’esterno. Questo sarà molto importante per la ricostruzione della logica della storia della filosofia. 
Questo passaggio dalla “Ding an sich” alla “Sache selbst”, dal punto di vista soggettivo della riflessione al punto di vista oggettivo della speculazione, è quindi d’importanza cruciale per la trasformazione della filosofia da ricerca della conoscenza in conoscenza autentica, in scienza della sapienza. Vediamo il passo logico successivo che Hegel compie per raggiungere questo obiettivo. 

 

Dalla riflessione alla speculazione: la dialettica
L’oggetto primario della riflessione filosofica deve allora essere il logos, ciò che è comune all’oggetto, la natura, e al soggetto, lo spirito. Afferrando il logos, le sue strutture e le sue leggi, entriamo in possesso della chiave appropriata per aprire lo scrigno dell’essere, per comprendere il mondo. La scienza del Logos, la logica, è quindi naturalmente anche metafisica, scienza del principio primo dell’essere, dell’Arch? (?ρχ?), e anche teologia, perché il Logos come Assoluto è ciò che Dio è nella religione. 
Il principio fondamentale della logica è la dialettica, cioè l’autosviluppo delle categorie. Questo auto sviluppo non dipende dal soggetto filosofico, ma va per la sua strada, e il filosofo l’esprime soltanto, gli presta  la sua  voce, ma non lo crea. La dialettica, come sappiamo, si articola in affermazione, prima negazione e seconda negazione, che sono quindi i principi fondamentali che determinano tutto ciò che esiste.
Se il filosofo conosce il logos attraverso la dialettica, o il logos conosce se stesso attraverso il filosofo, poiché quest’ultimo è anch’esso logos, allora può comprendere tutto, la natura, la mente, la storia, la vita, tutte le altre scienze. Il filosofo ha quindi smesso di essere un filosofo, cioè qualcuno che cerca la verità, ma è diventato "sapiente" (sophos, sapiens), lui (o lei, il filosofo) è ora in possesso della conoscenza, della verità, dell’autentica "sapientia". 
La comprensione del Logos è il presupposto per trasformarsi da filosofo, ricercatore di sapienza, in sapiente. Chiunque può impararlo, purché si faccia carico della fatica del concetto. Lo studio della scienza della logica è il vero studio che ogni essere umano dovrebbe fare per capire il mondo. È la matematica del mondo, uno studio propedeutico alla vita stessa, la materia che dovrebbe essere appresa a scuola dal primo all’ultimo anno, proprio come si faceva un tempo con la religione e si fa ancora in parte. È, infatti, la religione universale della ragione; da essa dipende tutta la conoscenza ma anche l’azione. Non per niente sia Schelling che Hegel hanno preso spunto dalla Religionsschrift di Kant, che parla di una religione della ragione, cioè di una religione per i tempi illuminati e per tutti gli uomini e i popoli illuminati. La scienza della logica come logica-metafisica-teologia è proprio una religione della ragione, come Hegel sottolinea a lungo nelle due prefazioni. Si tratta, ovviamente, di conoscenza e non di fede, come viene spiegato in dettaglio nel saggio di Jena del 1802, ma in quanto sapienza è molto più che pura conoscenza solo teoretica, è l’autocoscienza dell’Assoluto nell’uomo e questo è proprio il nucleo di ogni religione. L’uomo, che si è elevato all’Assoluto grazie allo sforzo dello studio della dialettica, è l’incarnazione di Dio, è Dio in terra. 
Poniamoci ora l’ultima domanda, o meglio, torniamo alla prima domanda che ci siamo posti: Cosa significa che la filosofia di Hegel, o meglio il sistema filosofico dell’assoluto, è il compimento della storia della filosofia?
La Scienza della Logica di Hegel e, in generale, la filosofia dell’idealismo assoluto come compimento della storia della filosofia. 
Torniamo ancora una volta al concetto di compimento. Abbiamo qui i due termini "pieno" (voll) e "fine" (Ende). Il termine "pieno" si riferisce al concetto d’intero, che è la dimensione in cui il logos va pensato come monos (μ?νος, monos), cioè l’unità di soggetto e oggetto, natura e uomo. Hegel lo chiarisce nella Prefazione alla Fenomenologia, che è il suo scritto programmatico. 
"Il vero è il tutto. Ma il tutto è solo l’essere che si completa attraverso il suo sviluppo. Dell’Assoluto si può dire che è essenzialmente risultato, che è solo alla fine ciò che è in verità; e qui consiste precisamente la sua natura di essere reale, soggetto, o divenire-sé". (GW4, 19, 12-14)
Il tutto, tuttavia, come Hegel chiarisce in questo come in molti altri passaggi, è uno sviluppo che tende a un risultato, a un risultato che da solo spiega il tutto, cioè il percorso completo.
Questo processo di emersione del risultato è il concetto di tutta l’esistenza. Il tutto è un processo che ha un risultato, e questo risultato è proprio il compimento del tutto, che si realizza nel risultato.
Questo processo di emersione dei risultati dallo sviluppo è il concetto di tutto l’essere.  Non c’è nulla nell’essere che sfugga a questa legge fondamentale.
Nel caso della storia della filosofia, quindi, abbiamo a che fare con il concetto di filosofia di cui stiamo ricostruendo il percorso. La filosofia come ricerca della sapienza tende a raggiungerla. La sapienza come conoscenza dell’Arch?, cioè del principio primo del mondo, si raggiunge quando si comprende questo principio. Questo principio è il logos, l’assoluto logico che sta alla base di tutto ciò che esiste. Il logos stesso è costituito da categorie (come in Kant, nella tradizione aristotelica e in quella logica in generale). Tali categorie sono le strutture del pensiero e del mondo allo stesso tempo (ad esempio, il divenire, la finitudine, l’infinito, la causa, la sostanza, l’identità, il terreno, ecc.)
La conoscenza del Logos come Assoluto avviene in diverse fasi di sviluppo, come ogni percorso e processo dialettico. Queste tappe sono i diversi filosofi che appartengono alla storia della filosofia, ma anche alla stessa logica. Ogni filosofo nella storia ha compreso una categoria e ha così preparato il lavoro per l’ultimo filosofo, che mette l’ultima tegola sul tetto della casa, ma non ha certo costruito tutta la casa. Le parole di Hegel, tramandate da Michelet nelle Lezioni sulla storia della filosofia, sono molto chiare:
“In base a questa idea, sostengo ora che la successione dei sistemi filosofici nella storia coincide con la successione nella derivazione logica delle definizioni concettuali dell’idea. Sostengo che se si spogliano i concetti fondamentali dei sistemi apparsi nella storia della filosofia solo di ciò che riguarda il loro disegno esterno, la loro applicazione al particolare e simili, si ottengono i vari stadi della determinazione dell’Idea stessa nel suo concetto logico. Viceversa, prendendo il progresso logico per sé, si ha in esso, secondo i suoi momenti principali, il progresso dei fenomeni storici; - ma bisogna, naturalmente, saper riconoscere questi concetti puri in ciò che la forma storica contiene”. (W18, 49).
Naturalmente, l’ordine logico non corrisponde sempre all’ordine cronologico, Hegel ne è consapevole, come dimostra il prosieguo di questo passaggio:
"Inoltre, però, la sequenza come sequenza cronologica della storia differisce anche da un lato dalla sequenza nell’ordine dei concetti. Dove si trova questo lato, tuttavia, mostrarlo più da vicino ci porterebbe troppo lontano dal nostro scopo".
Nella realtà ci sono elementi di casualità che non seguono la necessità concettuale, ma il fine immanente si afferma nel tempo, la realtà (Realität) è plasmata dal concetto e diventa realtà effettuale (Wirklichkeit). Il vero deve apparire e piega la realtà fino al proprio emergere. 
La storia della filosofia è quindi il processo di trasformazione della filosofia come amore per la sapienza in vera sapienza. Essa termina, cioè giunge a compimento, nel momento in cui gli esseri umani si rendono conto che l’Assoluto, il Logos, è la loro essenza, ciò che li rende esseri umani distinti da tutto ciò che esiste. Questo accade nell’Illuminismo e poi alla fine dell’Illuminismo nella filosofia dell’idealismo classico, in modo particolare in Hegel, perché egli accettò molto pazientemente di essere l’”ultimo muratore” e rinunciò a un rapido successo “alla Schelling”.
In cambio, però, ha ottenuto un successo eterno. In Hegel abbiamo il sistema della scienza della sapienza, che Kant aveva già messo a fuoco, ma che non riuscì a portare a termine, perché guardava ancora al mondo da un punto di vista dualistico. Per questo motivo, il giovane Schelling aveva detto che Kant era stato in grado di dare i risultati senza, però, le premesse. La premessa sarebbe stata il monismo! Schelling e soprattutto Hegel hanno fornito questa premessa.

 

Filosofia, scienza, sapienza e scienza della sapienza oggi
Oggi abbiamo questo tesoro, ma non ne siamo consapevoli. Ad eccezione di alcuni ‘saggi’ che hanno letto e compreso Hegel, tutti gli altri sono ancora ‘filosofi’, cioè dopo 2500 anni di storia della filosofia sono ancora alla ricerca della sapienza. 
Purtroppo il mondo post-hegeliano non ha capito la sapienza, si è abbandonato alla follia dell’ignoranza, le conseguenze (guerre mondiali, catastrofi ambientali, pandemie in tempi di scienza medica molto sviluppata) sono le prime conseguenze di questo allontanamento da Hegel, cioè l’allontanamento dalla scienza della sapienza a favore dell’ignoranza, dell’economia, del potere, insomma della soggettività contro l’assoluto e del libero arbitrio contro la vera libertà. 
Per risolvere gli immensi problemi del nostro tempo, dobbiamo tornare alla sapienza, dobbiamo tornare a Hegel, dobbiamo ricominciare dal 14 novembre 1831, dal giorno della sua morte che, ricordiamolo, non fu un compimento della sua vita perché fu improvvisa. Hegel morì dopo soli quattro giorni di malattia e non fu più in grado di completare la propria opera terrena. Aveva 61 anni, aveva ancora molte cose da fare. Quindi la sua fine non è stata un compimento, è stata una fine tragica. Inoltre, le condizioni politiche dell’epoca dopo gli Editti di Karlsbad, che sottoponevano i professori universitari a un pesante controllo da parte dello Stato anche tramite spie, non erano le migliori per consentire a Hegel di completare in pace il lavoro di una vita. 
A mio avviso, questo è il compito più importante della filosofia come scienza oggi: portare a compimento l’idealismo assoluto di Hegel e quindi la storia della filosofia come "scienza della sapienza".

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