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RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 aprile 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 8, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 2 dall’Italia e cioè da Bologna e da Cogoleto (Genova)  e 5 dalla Germania, di cui 4 da qui da Monaco con provenienza da Napoli, da Monaco e da Roma 2 e 1 da Eichstetten..
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono quasi dappertutto ormai ed incontrarci, con punti di vista così diversi, diventa sempre più interessante, Le nostre storie s’intrecciano le une con le altre, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo, se solo potete:

- Così Antonio di Napoli, ma da qui da Monaco con
"Bene mio e core mio" (1955)  (Umanità e furberia o furberia e ipocrisia)
Commedia in tre atti di Eduardo De Filippo
Cosí parla Eduardo della sua commedia:
Bene mio e core mio è l’espressione abituale con la quale la gente del mio paese diagnostica e sintetizza ironicamente il tiro mancino che di sovente vien praticato ai suoi danni da una insospettabile persona di famiglia,che, valendosi ipocritamente di legami di sangue, assestando il colpo, non  solo si fa attenta nel prodigare tenerezza affetto e bene “disinteressato” ma riesce altresì a far risultare lo spirito di sacrificio che determina il suo gesto, nonchè la colpa totale  e l’intera responsabilità delle  conseguenze che ne deriveranno, a carico del congiunto danneggiato.
Vuol dire che con furberia e ipocrisia mostrando amore e bene disinteressato, uno o una imbroglia inganna e truffa una persona di famiglia e  per di più lo fa anche risultare colpevole delle conseguenze della truffa.
Eduardo definisce Bene mio e core mio -la commedia più napoletana che abbia mai scritto-.
La prima parte della commedia è incentrata soprattutto sul personaggio di Chiarina, la matura sorella di Lorenzo. Nel primo atto vengono sottolineati il suo attaccamento alla casa e la paura  che il fratello, volendosi sposare, la cacci di casa; nel secondo atto invece si scopre la sua femminilità, risvegliata dalla storia d’amore col giovane e aitante Filuccio (diminutive di Raffaele), un venditore di frutta e verdure.
Figura tradizionale all’inizio, Chiarina si rivela nel secondo e terzo atto una donna moderna, combattiva nel ruolo severo di moglie e madre, pronta a difendere gli interessi della sua nuova famiglia. Ma anche Lorenzo non è esente da malizie: sarà proprio lui alla fine a rovesciare a suo vantaggio gli imbrogli messi in atto da Chiarina e dal cognato Filuccio, impadronendosi di tutto il patrimonio di famiglia, grazie al matrimonio con la bella e giovane Virginia, matrigna di quest’ultimo.
Nel terzo atto compare una balia che canta al neonato una nenia “dolcemente lamentosa”
Antichissima ninna nanna nota in tutta l’area campana.
E nonna, nonna nonna,nunnarella,
ca ‘o lupo s’ha mangiat’ ‘a pecurella.
E pecurella mia comme farraje
quanno ‘mmocca a lu lupo te truvarraje?
E pecurella mia comme faciste
quanno ‘mmocca a lu lupo te veriste?
E pecurella mia comme campaste
quanno ‘mmocca a lu lupo te truvaste?
Traduzione:
Ninna, nanna, e fai la ninna e fai la nannarella,
perchè il lupo si è mangiato la pecorella.
E pecorella mia come farai
quando in bocca al lupo ti troverai?
E pecorella mia come hai fatto
quando in bocca al lupo ti trovasti?
E pecorella mia come sei campata
quando in bocca al lupo ti sei trovata?"


Poi Antonio continua, dal Libro QUALI DONNE, racconti con echi danteschi di MATILDE TORTORA, con:

"Efia     
Non mi ero mai mossa dal villaggio e dalla mia casa di fango. Poi d’improvviso, eppure maturata da tanto, covata in petto come un pulcino implume, presi la decisione di andare via, di andare alla ricerca di un luogo dove fosse possibile per me, per i miei figli una vita nuova.
Da quel momento abbiamo tanto errato, camminato, cambiato luoghi, percorso terre inospitali, conosciuto uomini feroci, finché scorgemmo da lontano il mare. Non avevamo mai visto il mare, ci apparve in un baluginio di mattina presto, avevamo i piedi stanchi, i più anziani li avevano arsi e piagati i piedi, i bambini avevano cessato da giorni di lamentarsi, erano ammutoliti ed esausti. Avevamo smesso di contare da quanti giorni, da quanti mesi erravamo muti, in balia degli altri, persino per lunghi mesi eravamo stati imprigionati. Alcuni di noi riuscirono a fuggire. Riprendemmo il cammino. Avremmo potuto tutti impazzire, ma poi scorgemmo il mare, avvicinammo i trafficanti, consegnammo loro ogni nostro risparmio, ci affidammo a loro, ci fidammo.
Al villaggio ero un’ostetrica, mi riconoscevano doti e abilità nell’aiutare le donne a partorire.
Il viaggio su quel barcone sovraccarico dove eravamo stipati in troppi durava ormai da interminabili giorni. Eravamo in balia del nostro essere tanto pesanti. Colpevoli di avere un corpo, di essere venuti al mondo.
Avremmo dovuto però avere delle capacità enigmistiche, esserci esercitati su tanti enigmi per affrontare tutto questo e riuscire a dominarlo.
Oh! allungare la mano e prendere un bicchiere, finalmente bere. Ma non avrei mai creduto di doverne bere così tanto d’acqua. Io sapevo di altre acque quelle che preludevano sì all’arrivo del dolore, ma anche all’arrivo di un nuovo nato, della vita.
Feci di tutto perché almeno loro si salvassero. Li serrai forte con le braccia. Mi sgusciarono via uno ad uno, via come m’erano sgusciati via dal corpo alla nascita. Ma questa volta sgusciarono via per morire.
Io fui l’ultima ad inabissarmi. Faccio parte di quell’enorme coro muto. Vorrei gridare tutto intero il libro della mia memoria, anche se sono morta e giaccio in fondo al mare. Chi mai racconterà di questo immenso mattatoio buio e senza sangue?"

Grazie Antonio di essere con noi.

- Così Emilia di Roma, ma da qui da Monaco:
"Sulle rive del Danubio, nelle vicinanze del Parlamento Ungherese, si trovano 60 paia di scarpe di ferro, puntate verso il fiume. Commovente nella sua semplicità, una storia tragica si cela dietro questo memoriale per le migliaia di persone che persero la vita a causa delle atrocità commesse dai miliziani della Croce Frecciata di Budapest durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nell’Ottobre 1944 Hitler rovesciò il capo del governo ungherese, Miklos Horthy, e lo sostituì con Ferenc Szalasi che governò fino al 28 marzo 1945. Szalasi, la cui ideologia seguiva da vicino quella di Hitler, fondò immediatamente il Partito della Croce Frecciata, un’organizzazione fascista e antisemita che terrorizzava brutalmente e pubblicamente gli ebrei di Budapest picchiandoli e uccidendoli. Quasi 80.000 ebrei furono espulsi dal ghetto in una marcia della morte verso il confine austriaco e circa 20.000 ebrei furono brutalmente fucilati a più riprese davanti alla Sinagoga. Un altro migliaio tra uomini, donne e bambini vennero eliminati, nell’imminenza dell’arrivo dell’Armata Rossa, in modo barbaro: portati sulla riva del Danubio e costretti a togliersi le scarpe – bene prezioso in quel periodo – venivano legati in gruppi di tre. Per risparmiare proiettili soltanto uno dei tre veniva ucciso con un colpo alla nuca e poi venivano gettati nel fiume. Quelli ancora in vita, morivano annegando, trascinati a fondo dal compagno morto a cui erano legati.
Le scarpe rimaste sulla riva venivano poi indossate dai miliziani o rivendute al mercato nero.
Il memoriale è un inquietante tributo a questo periodo orribile della storia, creato nel 2005 dal regista Can Togay e dallo scultore Gyula Pauer. Il monumento è composto da 60 paia di scarpe in stile anni ’40, realistiche per dimensioni e dettagli, scolpite nel ferro. Sono stivali da lavoro da uomo, mocassini da uomo d’affari, scarpe con tacchi da donna ed anche minuscole scarpette da bambino, scelti appositamente per illustrare come nessuno, indipendentemente dall’età, dal sesso o dall’occupazione, sia stato risparmiato. Posizionate in modo casuale, come se le persone ne fossero appena uscite, queste piccole sculture sono un cupo ricordo delle anime che un tempo le occupavano, ma creano anche un bellissimo luogo di riflessione."

Poi ancora Emilia con Chandra Candiani da ’Questo immenso non sapere’ (Einaudi):
   "Sono stata spugna. Per molti anni, quasi tutta la
giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lì e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli
altri si sentono invitati a parlare moltissimo. Quando
poi se ne andavano, ero stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire
raggomitolata sotto il piumino e quando provavano
a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo ancora
piú stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente
mi chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che
era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo piú vedere
nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione
e di approdo a comprendere che stare con il respiro
non è una tecnica ma una storia d’amore, mi sono
tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua
che scorre e la fontana non trabocca. Ma soprattutto,
la fontana è lì a disposizione, chi vuole ci va a bere e
lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è spugna,
è fontana."

Grazie Emilia, chi vuole capire capirà. Non tutti? Non fa niente.


- Così Susanne della Turingia, ma da Eichstetten, con Italo Calvino, Palomar
3.2.1 Del mordersi la lingua

  In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio.
  Buone occasioni per tacere non mancano mai, ma si dà pure il raro caso che il signor Palomar rimpianga di non aver detto qualcosa che avrebbe potuto dire al momento opportuno. S’accorge che i fatti hanno confermato quel che lui pensava, e che se allora avesse espresso il suo pensiero forse avrebbe avuto una qualche influenza positiva, sia pur minima, su quel che è avvenuto. In questi casi il suo animo è diviso tra il compiacimento d’aver pensato giusto e un senso di colpa per la sua eccessiva riservatezza. Sentimenti entrambi così forti, che egli è tentato d’esprimersi a parole; ma dopo essersi morsicato la lingua tre volte, anzi sei, si convince che non ha nessun motivo né d’orgoglio né di rimorso.
  L’aver pensato rettamente non è un merito: statisticamente è quasi inevitabile che tra le molte idee sballate, confuse o banali che gli si presentano alla mente, qualcuna ve ne sia di perspicua o addirittura geniale; e come è venuta a lui, può esser certo che sarà venuta pure a qualcun altro.
  Più controverso è il giudizio sul non aver manifestato il suo pensiero. In tempi di generale silenzio, il conformarsi al tacere dei più è certo colpevole. In tempi in cui tutti dicono troppo, l’importante non è tanto il dire la cosa giusta, che comunque si perderebbe nell’inondazione di parole, quanto il dirla partendo da premesse e implicando conseguenze che diano alla cosa detta il massimo valore. Ma allora, se il valore d’una singola affermazione sta nella continuità e coerenza del discorso in cui trova posto, la scelta possibile è solo quella tra il parlare in continuazione e il non parlare mai. Nel primo caso il signor Palomar rivelerebbe che il suo pensiero non procede in linea retta ma a zigzag, attraverso oscillazioni, smentite, correzioni, in mezzo alle quali la giustezza di quella sua affermazione si perderebbe. Quanto alla seconda alternativa, essa implica un’arte del tacere più difficile ancora dell’arte del dire.
  Infatti, anche il silenzio può essere considerato un discorso, in quanto rifiuto dell’uso che altri fanno della parola; ma il senso di questo silenzio-discorso sta nelle sue interruzioni, cioè in ciò che di tanto in tanto si dice e che dà un senso a ciò che si tace.
  O meglio: un silenzio può servire a escludere certe parole oppure a tenerle in serbo perché possano essere usate in un’occasione migliore. Così come una parola detta adesso può risparmiarne cento domani oppure obbligare a dirne altre mille. “Ogni volta che mi mordo la lingua, – conclude mentalmente il signor Palomar, – devo pensare non solo a quel che sto per dire o non dire, ma a tutto ciò che se io dico o non dico sarà detto o non detto da me o dagli altri.” Formulato questo pensiero, si morde la lingua e resta in silenzio."


Poi ancora Susanne con questo suo nonsense:
Il principe pazzo

"C’era una volta un principe pazzo che viveva in un palazzo.
Il palazzo era composto di tre piani e arredato con antichi mobili veneziani.
Al piano terzo si trovava una grande terrazza, con una splendida vista sulla piazza.
Un giorno ai primi di marzo nella stanza piena di sfarzo
il principe a mezzanotte si svegliò. “Come mai fa un tale freddo?” – egli pensò.
Il termometro segnava 10 sotto zero, non poteva essere vero!
Il principe iniziò a battere i denti – si stava alzando uno di quei venti
che tirano sotto il segno dei Pesci, un vento con cui di sicuro non esci.
Disse tra sé e sé: “Così non si dorme, ma si alza e si mette la calza.”
Ma la calza non fece effetto, il principe sempre tremava nel suo letto.
Allora andò in cucina, pensando alla sua amata nonnina.
Da ragazzo, quand’era solo mezzo pazzo,
per scaldarlo ella gli faceva una tazza di tè, lo abbracciava forte e lo stringeva a sé.
Ma a volte la sorte non conosce pietà, gli aveva tolto la nonna anni fa.
Senza abbraccio tornò a letto, triste, tremante e solo soletto."

Grazie Susanne, bei contributi ed alla prossima.


- Così Anna da Cogoleto con Wislawa Szymborska: “ L’ elogio dei sogni”   (Da: Vista con granello di sabbia / poesie 1957 - 1993):

"In sogno
dipingo come Vermeer.

Parlo correntemente il greco
e non soltanto con i vivi.

Guido l’automobile,
che mi obbedisce.

Ho talento,
scrivo grandi poemi.

Odo voci
non peggio di autorevoli santi.

Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.

Volo come si deve,
ossia da sola.

Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.

Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.

Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.

Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.

Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.

Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.

Qualche anno fa
ho visto due soli.

E l’altro ieri un pinguino.   
Con la massima chiarezza."


Poi ecco un suo nonsense:

"Un giorno una figlia
di buona famiglia
ingoiò una pastiglia
al gusto vaniglia.

Ridotta in poltiglia
la lucida biglia,
partì per Siviglia
vestita in ciniglia.

Ne fece di miglia,
poi giunse a Marsiglia
con una flottiglia:
...ma che meraviglia!

C’è chi ti consiglia
della paccottiglia,
chi casual si abbiglia
e a tutti somiglia;

chi allora si appiglia
ad una maniglia,
chi batte le ciglia,
vede una giunchiglia

e poi se la piglia;
c’è chi gozzoviglia
e per render pariglia
fa un giro di chiglia."

Grazie Anna, forse i sogni e i nonsense sono quelli che alla fine ci salveranno?


- Così Lina da Trois-Rivière (Québec):
"La signora Pierina
La signora Pierina trascorreva le sue ferie annuali in una località di mare.
Affittata una casetta a poca distanza dall’oceano, puntualmente alle 13 ogni giorno si recava in spiaggia con il suo zainetto.
Dentro allo zainetto c’erano delle carte da gioco, due libri, un binocolo, una rivista di parole crociate,  un asciugamano e dei succhi di frutta.
Indossava un costume da bagno, sopra il quale, faceva bella mostra,  un pareo oppure un prendisole. Quel giorno,  il vestitino, aveva stampato un motivo con pesciolini tropicali, molto colorati.
Come al solito si svestiva rimanendo con il costume sotto e disponeva la roba contenuta nello zaino sul tavolino sotto l’ombrellone.
Il vestito che si toglieva lo poneva poi dentro un sacco per proteggerlo dalla sabbia.
Ma quel giorno si stupì del modo strano in cui tutte le persone la guardavano..
Un ragazzino,  indicandola con l’indice, chiese alla mamma: " ma perché è vestita così la signora"?
Pierina, abbassando lo sguardo in direzione del dito, si accorse di aver dimenticato il costume a casa. Era proprio la sua biancheria intima, spaiata, che guardavano.
Superò però subito quel momento d’imbarazzo, dicendo che il suo lavoro di modella la costringeva a seguire la moda, cioè: biancheria intima in spiaggia, al posto del costume.  
Il giorno dopo tutte le donne che si presentarono in spiaggia andavano in giro indossando biancheria intima al posto del costume.
Aveva trasformato una dimenticanza in moda. Chapeau!"

Mi è venuto in mente di scrivere questa breve novella perché  anni fa, è capitato più o meno la stessa cosa al papà di un’amica.
Stava camminando in spiaggia in mutande. Quando si è accorto dello sbaglio, si è vergognato di tornate indietro ed ha continuato.


Poi ancora Lina con la prima pagina del libro "Oscar e la dama rosa" di Eric-Emmanuel Schmitt, un  autore francese naturalizzato belga, conosciuto in Europa:
"Caro Dio,
Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho dato fuoco al gatto, al cane e alla casa ( mi sa che ho pure abbrustolito i pesci rossi) e questa è la prima lettera che ti mando, perché finora non ho avuto tempo, avevo troppo da studiare.
Ti dico subito che odio scrivere. Devo proprio esserci obbligato. Scrivere è una cosa da adulti, è come una ghirlanda, un pompon, una strizzatina d’occhio,  un fronzolo. In parole povere, una menzogna che abbellisce.
Vuoi che te lo dimostri? Presto fatto.  Prendi l’inizio di questa lettera: "Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho dato fuoco al gatto, al cane e alla casa ( mi sa che ho pure abbrustolito i pesci rossi) e questa è la prima lettera che ti mando perché finora non ho avuto tempo, avevo troppo da studiare ". Avrei potuto tranquillamente mettere: Mi chiamano Testa Pelata, dimostro sette anni, vivo in ospedale, perché ho il cancro e non mi sono mai rivolto a te perché non credo nemmeno che esisti".
Ma se srivessi così, suonerebbe male, non ti farebbe venire voglia di occuparti di me. Invece ho bisogno che te ne occupi.
La verità è che mi servono un paio di favori, se hai tempo.
Ti spiego."

Grazie Lina, sei diventata la nostra propaggine oltre oceano!

- Grazia di San Marco in Lamis (Foggia) si è collegata con noi da Bologna. Ha vissuto molti anni in Germania con la famiglia ed ora insegna tedesco in due Licei vicino a Bologna. Ci ha poi raccontato una bella storiella direi didattica: Giorni prima alla stazione aveva incontrato con un suo attuale studente.un suo ex alunno ed avevano trascorso il pomeriggio insieme a chiacchierare. Ha poi avuto  l’idea spontanea di far rappresentare ad una sua classe di studenti la scena/situazione vissuta quel pomeriggio. Ovviamente in lingua tedesca.
Grazie Grazia, anche questa è una buona maniera di attirare l’attenzione degli studenti e di insegnare. Brava. A presto.
 
- Eva di e da Monaco aveva passato un’intera giorrnata con due bambine di 5 e 8 anni ed era troppo stanca per partecipare al nostro incontro, ma si è voluta collegare lo stesso per salutarci. Grazie e alla prossima.

- Io di Roma, ma da qui da Monaco ho letto questi miei pensiei:
"Durante il Lockdown

Certo che,
per quelli che già prima
tendevano ad isolarsi,
ora è diventato proprio una pacchia.

La/il figlia/o
Ti nasce
e ne sei contento,
te ne occupi,
mentre cresce
la/lo curi
e lei/lui anche ti cura,
lo conosci,
ti conosce
e si sa che
non è affatto facile
fare
conoscenza.

Probabilmente è stato Narciso
a fare il primo selfie.

Paolo Grugni
A proposito di migrazioni, dobbiamo ricordare quando invademmo la Svizzera. Alla fine degli anni Sessanta, c’erano 700mila italiani su meno di 6 milioni di abitanti. Vivevano in baraccopoli, insolentiti e denigrati. Un deputato propose di espellere 450mila immigrati (la maggior parte italiani). In molti in Svizzera insorsero perché non avrebbero più avuto mano d’opera per i lavori più umili.

Certo che, se Trump verrà condannato per aver pagato tre persone che avrebbero potuto danneggiare le sue elezioni presidenziali del 2016, l’Italia non potrà non sentirsi molto imbarazzata, per non essere stata capace di fare altrettanti con Berlusconi, che anche lui a pagato sempre di tutto e di più."


Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto e a presto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa e culturale  di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c.  HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

 

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