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RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 luglio 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 luglio 2023 a Monaco di Baviera su skype,

RESOCONTO dell’INCONTRO DI LETTERATURA SPONTANEA del 14 luglio 2023 a Monaco di Baviera su skype,
sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 9, 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 4 dall’italia di cui 3 da Acerra (Napoli) e 1 da Castions di Strada (Udine) e 4 da Monaco con provenienza da Ferrara, da Salerno e da Roma 2.
   I nostri incontri si stanno finalmente allargando, come da tempo speravo. Gli italiani e gli italianofili sono ormai quasi dappertutto ed incontrarci, con punti di vista così diversi, diventa sempre più affascinante. Le nostre storie s’intrecciano le une con le altre, formando la grande storia degli italiani emigrati, degli italiani rimasti e degli italianofili, collegarsi per crederci. La tecnica ci sta aiutando molto.
   Ripeto, non tutti i contributi all’incontro saranno probabilmente di vostro gradimento. Saltatene tranquillamente allora qualcuno, ma andate avanti fino in fondo, se solo potete:

- Carmen Romano ci ha raggiunti per la prima volta, per conoscere meglio i nostri eventi.
Lei vive da 12 anni a Monaco, è originaria di Ferrara e mezza Positanese e si occupa di lavoro di educazione civica per la Petra-Kelly-Stiftung.
A marzo è stata eletta nel Migrationsbeirat di Monaco, un organo rappresentativo delle comunità migranti che vivono qui che fa da ponte tra comunità, amministrazione e consiglio comunale. Carmen insieme agli altri 5 eletti ed elette italiani nel Migrationsbeirat ha organizzato l’evento al quale anche noi abbiamo partecipato del 25 giugno scorso. Qui si può vedere la registrazione: https://www.youtube.com/live/AO4qN_aFLsk?feature=share&t=6040
In pratica questa maratona online e il concerto di beneficenza che poi si è svolto presso l’Istituto Italiano di Cultura sono serviti a sensibilizzare la popolazione e raccogliere fondi per piccole organizzazioni locali, che stanno lavorando per sostenere le persone colpite dalle recenti alluvioni in Emilia-Romagna e Marche. Questo gruppo ha partecipato con diverse letture.
Carmen ha detto che l’atmosfera dell’evento le è piaciuta molto perchè è stato un momento di incontro con quasi tutte le realtà attive localmente, indipendentemente da età, colore politico o altro e che, in una comunità italiana così variegata e complessa come quella di Monaco, momenti così che sottolineano le cose che abbiamo in comune fanno bene. Con gli altri colleghi e colleghe del Migrationsbeirat spera di poter organizzare altri eventi simili anche solo per spiegare come funziona il Beirat, come richiedere da associazione un sostegno economico etc. ma non ci sono ancora date concrete a riguardo.
Dal punto di vista più personale è stato interessante raccontarsi esperienze totalizzanti di attivismo politico, come quelle che possono essere successe all’università (ma anche in centri sociali organizzati, come ad Acerra, indipendentemente dallo studio). Carmen ha studiato a Forlì e fatto parte del Sindacato Universitario (UDU) e ha parlato dell’intensità di condividere tutto con le stesse persone: mangiare assieme, dormire, fare manifestazioni, riunioni infinite, studiare etc. e che certe esperienze a volte mettono la barra troppo alta alle relazioni che ci si aspetta di stabilire altrove, perchè quel tipo di quotidianità - soprattutto una volta che ci si è costruito un nucleo familiare proprio - è difficile da ritrovare."
Benvenuta Carmen e grazie di tutto!

- Ferdinando di e da Acerra (Napoli) ha fondato e conduce lì il teatro Rostocco. Insegna teatro a tutte le età. In fondo si tratta solo di liberare la spontaneità, presente tutto il giorno nel teatro della nostra vita. Come attore  e regista mostra ai suoi concittadini un teatro un po’ diverso da quello così detto commerciale.
   Ci ha poi letto un suo bel pezzo teatrale "Il signore del tempo", un orologio con una lancetta veloce, quella della gioia e con una lancetta lenta, quella del dolore. C’è una lancetta per ogni cosa, che gira alla sua velocità, quella della lusinga, quella dell’adulazione, quella dei ricordi e quella dell’ascolto. C’è anche una lancetta ferma, che sembra ferna, perché si muove al contrario, quella è la lancetta della giustizia e si muove alla velocità della coscienza.

Grazie di cuore Ferdinando e buon lavoro, del tuo ce n’è particolarmente bisogno. A presto!


-Così Emilia di Roma, ma da qui da Monaco, con Antonio Agrestini - "Pressapochismo is the way":
"Quarche anno fa sò morto, ma pe nun sembrà esagerato nun ho detto gnente a nessuno. Der resto esistono du’ modi de morì: c’è ’r modo vistoso e definitivo, cor funerale, ’a gente che piagne, i fiori e ’sta roba qua, e poi c’è er modo defilato, quello che mori e t’o tieni pe te, senza dì gnente a nessuno. È ’n modo ragionevole de morì: nun crei scompijo ne’a vita dell’artri, nun occupi loculi ar cimitero, nessuno posta l’angioletti sur profilo tuo de Facebook, nessuno sente ’a mancanza tua.
Me portavo avanti dentro a ’n purgatorio arternativo, fatto de ’na vita quotidiana senza scopi, de panorami senza gnente da guardà, de pagine d’agenda senza ’mpegni ’mportanti, de orologi senza lancette. Lavoravo, facevo quello che c’era da fà e me n’annavo a dormì prima che ’a notte me cascasse addosso.
In famija nessuno s’accorgeva de gnente, anzi da morto me apprezzavano pure de più perché ero tendenziarmente meno polemico. Capitava che quarcuno più avveduto se ne accorgesse: "Scusa, ma per caso sei morto?"
"No no, è solo ’n po’ de stanchezza" je assicuravo.
"Sicuro? M’eri sembrato morto."
"Tranquillo" dicevo. Poi pe tajà corto je sparavo ’a barzelletta d’o zombie co ’r tanga, quello rideva e se scordava subito de che stavamo a parlà.
Capitò poi che, pe rifà ’n documento, me scattarono ’na foto tessera e questa venne fori ’n bianco e nero. Feci notà er problema ar fotografo.
"A nì, nun te posso fà gnente, sei proprio così, in bianco e nero. Guàrdate a’o specchio!"
Ciavéva ragione er fotografo! Sembravo uscito da ’na pellicola dell’anni trenta. Nun so come, qu’a morte che segretamente me tenevo dentro, che nasconnevo a fatica tutti i santi giorni, ’ncominciò a manifestasse su’a pelle, sui vestiti, su’e cose che toccavo.
Desolato me n’annai a remà co ’na barchetta a noleggio sul laghetto de Villa Borghese. Me guardavano tutti: je sembrava de certo strano ’n omo ’n bianco e nero su ’na barca. Me fermai a penzà davanti ar Tempio d’Esculapio, immerzi ’a mano nell’acqua e tutto er lago, ’e barche, ’a gente su’e barche, tutto diventò grigio. ’Mpressionato ritirai ’a mano e tutto riprese colore. Provai de novo: mano dentro all’acqua, tutto grigio. Mano fori dall’acqua, de novo colori, e provai ancora finché ’n tizio su ’na barca nun me gridò: "A capo, mo’ ciài rotto i cojoni! Ce lasci a colori per favore?"
Passeggiai fino ar Gianicolo. Sur viale arberato, seduta sola su ’na panchina, ce stava ’na ragazza ’n bianco e nero. Feci er vago, je passai davanti du’ vorte, tanto pe faje vedè che ero come lei, ma fece finta de gnente. M’annai a sedè su’a panchina de fronte. I passanti guardavano ’n po’ a me, ’n po’ a lei, e sur viso ciàvevano n’espressione come pe dì: anvedi questi, tutti grigi, ve piasse ’n còrpo! Quarcuno se grattava pure.
N’i giorni successivi, appena avevo staccato dal lavoro, tornavo lungo a’a passeggiata der Gianicolo e trovavo qu’a ragazza seduta là, stessi arberi, stessa panchina. Pe giorni nu scambiammo parola, magari ’ncrociavamo i sguardi ’n modo che sembrasse ’n erore de traiettoria, poi me feci coraggio, m’avvicinai e je domandai: "Scusa, ma a te quanno t’è successo?"
"Successo cosa?"
"Vojo dì quanno sei morta dentro. Quanno è diventato tutto grigio."
"Ah, e chi s’o ricorda! Me pare così da sempre."
Cominciammo a parlà senza smette più. Parlammo er giorno dopo, er giorno dopo ancora. A lei de tanto ’n tanto je sbocciavano sorisi, e pure a me veniva da ride pe certe stronzate che dicevamo. I passanti ce guardavano strano, forse penzavano: chissà che ciànno da ride ’sti du’ pòri mezzi morti sfigati, st’uccellacci der malaugurio brutti e grigi come er piombo!
Io e lei annavamo ’nzieme a passeggià, ar cinema, a piàcce er caffè ar bar, a remà sur laghetto e là ce divertivamo a mette ’e mani dentro all’acqua, a fà diventà tutto grigio, e quanno quarcuno borbottava ce ammazzavamo da’e risate.
Ormai nun penzavo artro che a lei e arivò ’n giorno che me sembrò naturale compraje ’n mazzo de rose, ’e più fresche e belle che trovai. Er fioraio me ’e passò, ’e rose restarono rosse, nun diventarono grige come m’aspettavo. Me misi a còre, ciavèvo ’a smania de raccontà ’sto fatto ’nconsueto. Lei ’a trovai là, su’a solita panchina.
"Madò, ma che t’è successo?"
Penzavo se riferisse ar fiatone, ar fatto che ero arivato de corza.
"Te sei visto? Sei a colori!"
Me guardai er braccio cor quale tenevo er mazzo de rose, l’artro braccio, ’e gambe. Ero de novo a colori, come tanti anni prima.
"Queste sò pe te" je dissi, "nun sai che m’è successo quanno er fioraio...."
Lei m’azzittò co ’n bacio che durò nun sò quanto. Quanno riaprii l’occhi lei, proprio come me, aveva ripreso colore. E da quer momento nessuno s’è più accorto de noi, nessuno de tutto er resto der monno grigio."

Grazie Emilia, bella storia, niente di nuovo!


- Così Roberta di Salerno, ma da qui da Monaco:
"LA. NOTTE
Lungo la riva, ove le onde s’infrangono, il passo mio cadenzato lascia profondi segni.
L’orizzonte sta per essere oltrepassato dal sole ed il rossore del meriggio da inizio alla metamorfosi delle cose.
Cedendo il passo alla sera, tutto lentamente si trasforma. Il buio cala dolcemente sopra la metà del mondo dando origine all’incantesimo, che costante si ripete da millenni.
Spettatrice di panorami diversi, la notte s’impadronisce dell’essenze, rendendole fiabesche ai nostri occhi.
L’incanto mi rapisce e lo splendore di quella vita irreale mi affascina. La notte nasconde, trasforma i contorni, dà nuova luce.
Tra i chiaroscuri, le ombre si muovono con vertiginosa frenesia. I ritmi aumentano con incalzare impressionante.
Se il giorno ci concede il palcoscenico della vita, la notte ne costruisce i presupposti scenografici per il compimento di scene madri.
Le tenebre permettono infinite celebrazioni, per coloro che intendono proclamarsi protagonisti dell’universo.
L’esaltazione del bello, del piacere senza confini è puramente fine a se stesso. Sono unici ed essenziali elementi a quel vivere.
Come le ali della notte incombono irrimediabilmente, con la stessa velocità avviene lo sdoppiamento. L’oscurità s’impadronisce di me. Abbandono allora le vesti diurne, per ricoprirmi del più cupo ed intenso mistero.
Inoltrandomi tra le mille follie, mi faccio largo per impossessarmi della mia porzione di palcoscenico. Difendo lo spazio conquistato, pronta ad interpretare me stessa o uno dei mille personaggi che la mia immaginazione è pronta a porgermi su di un piatto d’argento.
Piena e gonfia d’orgoglio, l’eccitazione del mio intelletto irrompe prepotente, per quella fetta di pubblico, rapita da chi sa quale altra performance. Cerco ispirazioni nascoste, affinché non possa perdere l’attenzione.
Poi d’improvviso capita che il sopraggiungere della noia tronchi di netto il mio parlare. Vengo attratta da altra situazione e lo spettacolo continua altrove.
Senza sosta si susseguono le scene, che comunque non appartengono alle medesima vicenda.
Copioni su copioni creati all’istante si sovrappongono senza una logica apparente. Ma la mia c’é ed è sempre presente.
Senza che alcuna attenzione venga rivolta a ciò che mi circonda, godo di questo ruolo.
Non esisterebbe interruzione, se non per il sopravvenire di eventi che scandiscano il passaggio del tempo.
La notte nel suo schiarirsi e nel suo divenire meno caotica richiama l’attenzione. Il teatro sfolla.
Imperterriti rimangono gli ultimi mattatori. Il giorno incalza senza tregua.
Pian piano, la luce con fare preponderante s’impadronisce della scena. Gli ultimi passi percorsi verso la propria dimora lasciano alle spalle le vicende vissute.
Ritorna il chiaro, ogni cosa al suo posto.
Tutto riprende il significato reale, le assenze cedono il posto alle presenze. La vita continua il suo corso.
E noi poveri attori ambulanti, menestrelli della notte, tolti i costumi, rindossiamo gli abiti dei comuni mortali."

Bella e poetica, Roberta!

- Così  Lina di Laval, ma da Trois-Rivière, Québec:
"Novella scritta anni fa. Ho chiesto a mio figlio di darmi un titolo. Mi ha risposto che non aveva tempo, perché aveva un esame di matematica.
Così, ho dato quel titola alla novella
L’esame di matematica
I ragazzi erano devastati dalla brutta notizia: la loro professoressa aveva appena annunciato un esame fra due giorni. C’era da studiare venti capitoli.
Ma per il giorno dopo avevano programmato di partecipare ad un concerto e ognuno di loro aveva già il biglietto, per vedere il loro gruppo di musica preferito.
Di conseguenza  rimaneva solo una serata da dedicare allo studio. Trigonometria,  algebra e forme esponenziali s’intrecciavano nella loro memoria, perché il loro cervello era impegnato a qualcosa di molto più importante: la partecipazione alla serata dello spettacolo.
Al momento della ricreazione quindi decisero di dividere la classe in cinque gruppi, per discutere la migliore strategia da seguire.
Un capo per gruppo avrebbe dovuto poi comunicare la soluzione agli altri gruppi. E così si riunirono in casa dell’uno o dell’altro per trovare una strategia adeguata.
Antonio spiegò che la materia sarebbe stata divisa in cinque parti. Ogni gruppo l’avrebbe studiata bene e avrebbe trovato il modo di comunicare i resultati agli altri.
Questa soluzione fu rigettata, difficile da mettere in atto in così poco tempo.
Giustina spiegò che la signora Carone doveva essere messa al corrente per commuoverla, con la speranza di un cambiamento della data dell’esame. Gli altri all’unisono spiegarono che la maestra dall’aria severa li spaventava e nessun voleva andare volontario a parlarci.
Il rappresentante del terzo gruppo affermò che tutti avrebbero dovuto studiare durante la notte intera senza dormire, in modo da assimilare al massimo la materia e così ottenere dei bei voti, senza bisogno di perdere lo spettacolo. Ma i genitori non sarebbero stati d’accordo con questo metodo, avrebbero proibito ai figli di uscire di casa in quello stato di stanchezza.
Melania e Roberto avevano la stessa idea, cioè rischiare dei voti brutti, perché tanto ci sarebbero stati altri esami e avrebbero potuto recuperare, superando la sicura insufficienza. Invece lo spettacolo era unico e irripetibile.
I rappresentanti di ogni gruppo si separarono poi dai loro compagni, per annunciare a tutti gli altri, che non c’erano soluzioni miracolose e che bisognava studiare durante l’unica serata.
La sera dopo durante lo spettacolo tutti si sentirono poi in colpa e non godettero appieno della musica, anche se il gruppo suonava molto bene e l’intensità del suono e la luminosità erano perfette. Una serata con i fiocchi.
Di conseguenza la mattina dell’esame gli studenti avevano le facce stravolte. La signora Carone,  di solito ruvida e con lo sguardo arcigno, aveva invece stranamente un sorriso grande e lo sguardo luminoso. Chiese come fosse andata la loro serata di studio e, vedendo la loro delusione, si mise a ridere a squarciagola. Tutti rimasero stupiti.  Fece poi al volo delle domande in merito al programma, che avrebbero dovuto studiare, ma le risposte non uscivano spontaneamente.
Dopo allora distribuì a ciascuno un foglio, sul quale c’era scritto: a causa di circostanze impreviste l’esame avrà luogo il prossimo lunedì.
Quindi era al corrente dello spettacolo!!!
I ragazzi apprezzerano molto questa sua umanità e si misero d’allora ad amare le matematiche ed avere quindi voti eccellenti."

Grazie Lina. Ogni settimana capiamo un po’ meglio, come hai cercato di seguire i tuoi figli nel loro percorso.


- Così Enzo di e da Acerra (Napoli):
"La giraffa incatenata
Sin da piccolo, come tutti i bambini adoravo andare al circo, ovviamente ero attratto da tutti gli animali come era giusto che fosse a quella età.
In particolar modo ero attirato dalla giraffa che, come scoprii con il tempo, era l’animale preferito di quasi tutti i bambini.
Durante gli spettacoli, esibiva tutto il suo  peso e la sua altezza, con una forza davvero fuori dal comune…
Ma prima del suo numero e fino al momento di entrare in scena per lo spettacolo, la giraffa era sempre legata ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che le imprigionava una delle zampe.
Eppure, quel paletto era soltanto un piccolo pezzo di legno conficcato nel terreno per pochi centimetri, e anche se la catena era abbastanza robusta, mi sembrava sin troppo scontato che un animale di quelle dimensioni, potesse liberarsi, in qualsiasi momento avesse voluto, di quel paletto e scappare via.
Che cosa la tratteneva dal farlo?
Chiesi a moltissime  persone che conoscevo, per cercare di capire il mistero della giraffa.
Alcuni di loro mi dissero che la  giraffa non scappava perché era ammaestrata.
Allora la domanda che mi ponevo era:
“Se la vera ragione è che è ammaestrata; perché tenerla legata con una catena intorno al piede?”
 A questa domanda, credo di non  aver ricevuto nessuna risposta, in grado di soddisfare la mia curiosità.
Con il passare degli anni avevo quasi dimenticato il mistero della giraffa e del paletto conficcato nel terreno.
Man mano che diventavo grande, soprattutto conoscendo ed interrogando persone colte e sagge, ho trovato la risposta alla domanda che mi ponevo sin da bambino.
“La giraffa del circo non scappa,  perché è stata legata ad un paletto simile, fin da quando era molto piccola.”
Allora chiusi gli occhi e provai ad immaginare la giraffa, che sin dalla nascita era stata legata ad un paletto e provava a spingere e a tirare insistentemente ed inutilmente, nel tentativo di potersi liberare.
Nonostante gli sforzi, la piccola giraffa non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per le sue esigue forze.
Così dopo innumerevoli sforzi e vani tentativi, piano piano col tempo, si era rassegnata alla propria impotenza.
La giraffa enorme e possente che vediamo al circo, non scappa perché crede di non poterlo fare.
Sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza e del dolore sperimentati; tanto che non è mai più ritornata a provare, non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza, mai più!
A volte viviamo anche noi come la giraffa, pensando che non possiamo fare un sacco di cose, semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa, ci abbiamo provato e abbiamo fallito.
E da  allora sulla pelle abbiamo inciso:
“Non posso, non posso e mai più potrò! ”
“Ma l’unico modo per sapere se puoi farcela; è provare di nuovo, mettendoci tutto il tuo cuore!”

Grazie Enzo per questa tua costruttiva riflessione!

- Così Giuseppina da Castions di Strada (Udine):
"La situazione nella mia area, a causa del maltempo della notte precedente, è in evoluzione per gli accertamenti sui danni ancora in atto.
Sono molto legata al romanzo di Sergio Maldini "La casa a Nord-Est" perché prosegue su un filone mitico di questa mia terra natale, il Friuli. Per arrivare al film di Giuseppe Battiston  "Io vivo altrove!" in cui tutto viene capovolto e dal mito si arriva all’ironia verso un luogo dove tutto abbia una dimensione "umana".
Da Roma al Friuli, il viaggio di Pasolini capovolto."

Grazie Giuseppina, a presto e buona fortuna con il tuo teatro amatoriale casalingo.


- Domenico di e da Acerra ha come sempre ben coordinato gli interventi da lì. Grazie Domenico, nostro agente all’Avana o pardon da Acerra!


- Così Io di Roma, ma da qui da Monaco:
"Recente ricordo
o un’altra operazione

   Un giovane serbo mi ha portato in sala operatoria in sedia a rotelle perché, dopo l’operazione al polpaccio,  non avrei più potuto camminare. Davanti alla sala c’era la fila. Ho salutato con Grüß Gott (che dio vi benedica o saluti) e mi hanno risposto con Grüß Gott  (che dio benedica o saluti me). "Come in una fabbrica", ho detto. La fila ha approvato. Poi è arrivato un altro operando, che non ha fatto neppure in tempo a mettersi in fila con noi, che lo hanno subito portato dentro a una delle sale operatorie libere. “Ha saltato la fila…”, ho detto, scerzando. La fila ha riso divertita.
   Poi è toccato a me saltare la fila. Un’infermiera è uscita fuori chiamando: “Paletti… Balletti”. Solo io potevo avere un cognome simile a questo. Ero io infatti. Il serbo mi ha spinto sulla sedia a rotelle dentro un lungo e stretto corridoio, sul quale si affacciavano altre sale operatorie operative. Dentro la mia, un’infermiera mi prende amichevolmente sotto braccio e tutta contenta mi dice: “Italiano, italiano, dopo andiamo a prendere uno spritz insieme!" Poi mi fanno stendere sul lettino centrale e mi posizionano nella maniera più adatta per operare il mio basalioma..
   Sono tutte donne, anche la chirurga. Non me l’aspettavo. Mi sento rassicurato. L’infermiera dello spritz mi dà gentilmente in mano  una pallina da stringere, per farmi forza in caso di bisogno. La chirurga comincia a disegnare intorno alla ferita. Poi mi avverte che sentirò un pizzico, per la puntura dellla siringa con l’anestesia locale. Io stringo la pallina. Sembra funzionare. Poi altro avviso di puntura ed altra stretta di pallina.
   La chirurga mi chiede se sento ancora qualcosa o se può già cominciare il suo lavoro. Non è una domanda facile. Sento solo un toccamento o il dolore per l’incisione incominciata? Non so rispondere. No, proprio dolore no. Lei capisce e va avanti. C’è un’infermiera italiana naturalmente, nata qui da padre della Basilicata. In italiano mi ripete, se sento solo di essere toccato o un vero dolore. Ma ormai la chirurga va avanti tranquilla, spero, con il suo lavoro. "Comunque per sicurezza io stringo la pallina!", dico. Ridono tutte, anche la chirurga. "Non la lanci in aria però!", risponde lei. Sembra più un gioco, che un’operazione seria.
   Vedo garze con sangue mio buttate nel secchio sotto i miei occhi. Io stringo sempre la mia pallina gialla. Poi l’infermiera italiana mi dice che è quasi finito. Il basalioma asportato almeno non me lo fanno vedere. Cominciano a fasciare e a bendare la ferita, da sotto il piede destro fino a sotto il ginocchio. Alla fine esce fuori una gamba completamente bendata.. "Tutti gli italiani giocano al calcio!", dice un’infermiera "Ma come faccio adesso con questa gamba a giocare con la mia pallina!", dico io. Ridono tutte. "La pallina me la porto?" "No, la deve lasciare, è utile a noi qua!".
   Alla fine ringrazio tutte, specie la chirurga e ricordo all’infermiera lo spritz promesso, seduto sulla sedia a rotelle. Lascio una bella atmosfera."

Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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