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RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 12 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Sky

RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 12 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Sky

RESOCONTO dell’INCONTRO di LETTERATURA SPONTANEA del 12 maggio 2023 a Monaco di Baviera su Skype.

sponsorizzato da Società Dante Alighieri, Monaco di Baviera e.v.
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   Ci siamo collegati in 12, di cui 1 da Trois-Rivière, Québec (Canada), 6 dall’Italia e cioè da Castions di Strada (Udine), da Bologna, da Perugia, da Acerra (Napoli) 2 e da Cogoleto (Genova) e 5 dalla Germania, di cui 4 da qui da Monaco, con provenienza da Livorno, da Monaco e da Roma 2 e 1 da Eichstaett:

- Lina di Laval, ma da Trois-Rivière, Québec, ci ha parlato della sua preoccupazione per l’abbassamento del livello culturale dei giovani.
Ha detto che questo è in parte dovuto al cibo contaminato da conservanti, ma anche dal fatto che i bambini non giocano più fuori come i giovani di una volta. Adesso sono spesso confinati in posti protetti, senza poter fare tante esperienze purtroppo.

Poi Lina ci ha raccontato questa divertente storiella:
"Il ristorante
Quando avevo circa 20 anni, a Montréal,  andavano di moda piccoli ristoranti greci. Servivano i tipici antipasti,  poi le patate cotte al forno con il limone e gli spiedini di carne. Alla fine, immancabile,  c’era la baklava.
Situato in una strada pedonale, poco dopo l’apertura, il primo ristorante era molto frequentato.  Si apriva la porta e subito c’era una scala stretta che scendeva fino ad una saletta senza finestre. Da quella scala passavano sia le persone che scendevano,  sia quelle che uscivano, dopo aver consumato il pasto.
Fuori c’era sempre una fila di persone che aspettava il proprio turno per accedere al locale.
Quella sera invernale,  cenai lì con un’amica.  Dopo un bel pasto soddisfacente,  ci siamo alzate. Il cameriere ci ha dato la fattura, dicendoci che bisognava pagare sopra.
A mala pena riuscimmo a salire la scala, essendo schiacciate da quelli che scendevano. Ad un certo punto, la porta si è aperta e siamo state spinte fuori.
C’era tanta gente che cercava di entrare, allora ci siamo spostate in mezzo alla strada, per discutere e riflettere. Non avevamo visto dove si potesse pagare. Decidemmo di rientrare per cercare di capire.
Ad un tratto però,  il cameriere uscì arrabbiato, gridando e correndo verso di noi.
Impaurite e senza pensarci, ci siamo allora messe a correre e lui correva dietro di noi. Non ho mai più corso così velocemente e mai avuto così tanta paura. Alla fine, lui lasciò perdere.
Noi, senza fiato, ci dicemmo che era stato molto stupido lui a non aver capito le nostre buone intenzioni.
Lì non ci sono mai più tornata e, anni dopo, ho visto di nuovo quel cameriere in un altro ristorante greco. Ancora per la vergogna ho abbassato lo sguardo,  ma lui non mi aveva comunque riconosciuta.
Questa è rimasta l’unica volta in vita mia, in cui non ho pagato qualcosa."

Lina ci ha anche fatto vedere dove abita, la sua casa, il bosco, il fiume, dove d’estate va a fare il bagno e quella che lei chiama la stalla, dove il 28 agosto ospiterà lo spettacolo di Francesco Alessandrini, cantautore italiano. Il forno e la panetteria ce l’aveva già mostrate un’altra volta.

Grazie Lina, beata te. Venerdì scorso il tuo Québec  era l’unico posto caldo e con il sole, mentre in Italia e in Germania faceva freddo e spesso anche pioveva.


- Così Anna di Genova, ma da Cogoleto, con BARICCO, Alessandro, da “Questa storia” - Universale Economica Feltrinelli, MI, 2007:
"…Il futuro arrivò a piedi, nel 1911, un pomeriggio di marzo che pioveva.
Libero Parri lo vide da lontano.
Vide il lungo spolverino e riconobbe gli occhialoni tirati su, sulla cuffia di cuoio.
L’automobile non c’era, ma tutto il resto sì.
- Ci siamo - sussurrò a Ultimo, che stava raddrizzando la ruota di una bicicletta. A scanso di equivoci, nascose il bidone del latte che stava rattoppando, e andò a sedersi vicino a una pila di pneumatici che aveva appena comprato, usati, dalla caserma di Brandate. Facevano la loro figura.
L’uomo con lo spolverino camminava lentamente. Si riparava dalla pioggia con un grande ombrello verde, e questo gli dava una vaga sfumatura irreale. Come di profezia, volendo. Arrivò davanti al garage e per un po’ rimase a guardare, inspiegabilmente, quel ragazzino in bicicletta. poi lesse l’insegna. Lo fece adagio, con l’aria di decifrare un’iscrizione antica. Alla fine abbassò lo sguardo su Ultimo.
- E’ vero che avete benzina, qui?
Ultimo si voltò verso il padre. Libero Parri stava facendo finta di contare gli pneumatici.
- E’ vero -. disse, con il tono di uno che era stufo di rispondere sempre alla stessa domanda.
L’uomo con lo spolverino chiuse l’ombrello e si mise al riparo, vicino agli pneumatici.
Stette per un po’ lì, a guardare la campagna che allagava, intorno. Poi si voltò verso Libero Parri.
- Non voglio essere scortese, ma che cazzo di senso ha aprire un garage in mezzo a questa tanga?
- Facciamo grande affidamento sui coglioni che rimangono senza benzina in mezzo ai campi.
L’uomo fissò Libero Parri come se iniziasse a vederlo solo in quel momento. Poi si tolse un guanto e tese la mano.
- Molto lieto, conte D’Ambrosio. Non si illuda: non sono coglione come sembro.
- Libero Parri, piacere. Non mi illudo.
- Molto bene.
- Molto bene.
Anni dopo sarebbero finiti sui giornali, uno accanto all’altro, quasi ridotti a un solo nome: D’Ambrosio Parri. Ma allora non lo potevano ancora sapere. Erano solo agli inizi.
- Ce l’ha davvero la benzina?
- Quanta ne vuole.
- E un bagno caldo?
Finì che il conte si fermò ad asciugare l’anima davanti al fuoco della cucina.

Il giorno dopo era domenica.
Riempito il serbatoio, il conte D’Ambrosio decise che in una mattina tersa come quella c’era solo una cosa da fare: lezione di guida.
Seduto su una pila di pneumatici, Ultimo vide suo padre infilare gli occhialoni e appoggiare le mani sul volante.. L’aveva già visto, così, in passato, ma quello che seguiva era che il padre faceva il motore con la bocca e mimava le curve, dimenandosi sul sedile: volendosi attenere ai fatti, l’automobile era sempre molto ferma. Quella volta, invece, si faceva sul serio. Libero Parri ascoltò le ordinate raccomandazioni del conte fissando un punto immaginario davanti a sé. Poi fece una domanda che Ultimo non sentì bene.
- Non dica cazzate -, rispose D’Ambrosio, ma sorridendo.
Per un po’ non successe niente. Libero Parri era sempre inchiodato con lo sguardo davanti a sé. Le mani strette al volante, le braccia rigide. Una statua. Florence, che si era affacciata alla porta, con una gallina in mano, morta, scosse la testa.
- Da quant’è che non respira?
Prima che Ultimo potesse rispondere, si sentì uno schiocco meccanico. Poi l’automobile si avviò dolcemente, perfetta, una biglia su un piano inclinato. Imboccò la strada come se l’avesse fatto da sempre e si allontanò senza fretta per la campagna.
Ultimo vide la nube di polvere che si alzava rotonda sulla campagna e per un attimo sentì che per sempre sarebbe stato al sicuro, giacché quello era suo padre, e suo padre era dio."

Grazie Anna, bella storia.


- Così Susanne della Turingia, ma da Eichstaett, con Dino Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1977)
Oscar Junior, Mondadori, 2015:

"Incipit: Una fiaba stupenda in cui si racconta della guerra tra il Granduca di Sicilia e Re Leonzio, sovrano degli orsi. Una guerra in cui saranno coinvolti il sanguinario Gatto Mammone, gli spettri di Rocca Demona e i cinghiali volanti di Molfetta, fino alla vittoria che insedierà Leonzio sul trono di una Sicilia remotissima e fantastica. Me se pensate che la storia finisca qui, vi sbagliate…

Capitolo ottavo

Ahimè, cos’è la vita. Noi si immagina
di avere tempo. Se ci si è adatti
non ci si bada. Poi si volta pagina
e già tredici anni son passati!

Noi qui ci ritroviamo, come niente fosse, dopo tredici anni dall’ultima volta che ci siamo visti e Re Leonzio regna ancora indisturbato in Sicilia perché nessuno ha avuto mai il coraggio di sfidarlo. Uomini e orsi vanno perfettamente d’accordo e i giorni passano placidi, si direbbe che la serenità sia nel cuore di tutti e che debba durare eterna. Per di più studiando e lavorando si fanno progressi, molti nuovi palazzi bellissimi sono sorti nella capitale, si costruiscono macchine sempre più complicate e magnifiche carrozze e straordinari cervi volanti a colori. E si dice perfino che il professore De Ambrosiis, sebbene vecchio come le campane del duomo, abbia ripreso da capo le sue elucubrazioni e si sia costruito (a quell’età, pensate) una nuova bacchettina magica, meno potente di quella consumata per gli orsi ma comunque abbastanza buona; l’astrologo spera di cavarne almeno un piccolo incantesimo per guarire nel caso gli capitasse una malattia, se non gravissima, così e così.
Eppure, guardate negli occhi del Re e vi accorgerete che non è felice. Troppe volte i suoi sguardi, attraverso i finestroni del suo palazzo, corrono tristemente alle montagne lontane che s’innalzano oltre le più alte torri della città. Non erano forse più belli – si domanda in segreto – i tempi passati lassù, nella solenne solitudine delle rupi?

Allora, solo bacche di ginepro;
per dormire, qualche frasca di pino
per bere, il muso alla fonte.
Oggi, bere in coppe di vetro
mangiare paté di bisonte
dormire sotto il baldacchino.
Oh come si stava male allora
e adesso invece come si è contenti!
come una volta: con bufere e venti
e gelo e sassi e spine e cielo nero
ma col cuore leggero!

[E poi a Leonzio dispiace vedere gli orsi cambiare a vista d’occhio. Una volta modesti, semplici, pazienti, bonaccioni: ora superbi, ambiziosi, pieni di invidie e di capricci. Non per niente sono vissuti tredici anni in mezzo agli uomini.
Specialmente dispiaceva al Re che invece di accontentarsi come una volta della loro bella pelliccia, ora la maggior parte delle sue bestie indossavano vestiti, uniformi e mantelli copiati dagli uomini, credendo di essere eleganti; e non si accorgevano di coprirsi di ridicolo. A costo di crepar di caldo, se ne vedeva in giro perfino con dei grossi tabarri di pelliccia, tanto per far sapere al mondo intero che i soldi non gli mancavano.
E fosse solo questo. Ma litigavano per la minima sciocchezza, dicevano parolacce, si alzavano tardi alla mattina, fumavano sigari e pipa, mettevano su pancia, diventavano di giorno in giorno sempre più brutti. Tuttavia il Re pazientava, si limitava a qualche predica bonaria di tanto in tanto e preferiva in genere chiudere un occhio. In fin dei conti non erano mica delitti. Ma per quanto tempo si poteva andare avanti così? Di questo passo dove si sarebbe arrivati?] Re Leonzio era inquieto, aveva l’oscura impressione che qualche cosa di brutto stesse preparandosi.

E cominciarono difatti degli strani fatti.
Primo fatto misterioso fu

il furto della nuova bacchetta magica del professor De Ambrosiis.

Il negromante aveva già finito di prepararla con tutte le necessarie stregonerie, stava proprio dandole gli ultimi tocchi, quando improvvisamente gli fu rubata. Cerca di qua, cerca di là, niente. Ricerche della polizia, niente. Allora il mago andò da Re Leonzio a raccontargli l’accaduto.
Leonzio rimase male. Un furto così grave, da quando lui regnava non era ancora successo.
Leonzio si consultò col gran ciambellano Salnitro (orso molto intelligente che aveva però la debolezza di credersi bellissimo e portava una lunga penna sul cappello) e decisero di convocare la popolazione degli uomini, a cui il Re, dal balcone del palazzo, tenne un bel discorsetto:
⦁    Signori e signore, – disse – al professore De Ambrosiis, che è tanto bravo, qualche malintenzionato ha portato via una bacchetta magica di recente costruzione.
⦁    Cittadini! – continuò – questo è uno sconcio! Chi ha rubato alzi la mano!
Ma la mano non l’alzò nessuno.
⦁    Orbene, – fece Leonzio – può anche darsi che il colpevole non sia presente. E io allora vi dico una cosa: se entro dieci giorni il ladro in un modo o nell’altro non salta fuori, vi terrò tutti responsabili e pagherete all’astrologo un marengo a testa.
⦁    Uuuuhhh! – mugolò la folla spaventata. E vi fu pure qualcuno a sbertucciare il sovrano.
⦁    Ah così! – ribatté Leonzio sentendosi venire la mosca al naso. – Allora faremo: due marenghi a testa. E statevi buoni!
Così detto, si ritirò negli appartamenti mentre uomini e donne se n’andavano tra i più vari commenti.
Senonché l’astrologo venne al palazzo e disse: – Maestà, hai convocato gli uomini e ti ringrazio. Ma perché non hai parlato anche agli orsi?
⦁    Agli orsi? come sarebbe a dire?
⦁    Sarebbe come dire che la mia bacchetta può essere stata rubata da un uomo ma potrebbe anche essere stata rubata da un orso.
⦁    Da un orso? – esclamò Leonzio sbalordito. Da quando in qua le sue bestie facevano delle cose simili?
⦁    Sissignore, da un orso, – ripeté l’astrologo risentito. – Forse che tu credi gli orsi molto migliori degli uomini?
⦁    Spero bene che lo credo! Gli orsi non sanno neppure che cosa significhi la parola rubare.
⦁    Ah ah! – sogghignò il mago.
⦁    Sogghigni, professore?
⦁    Sogghigno, sissignore, – rispose De Ambrosiis. – Ne ho delle belle da raccontarti, se vuoi, sul conto delle tue innocenti bestiole.

E qui udrete, bambini e bambine
Il mistero del parco delle globigerine."


Grazie Susanne. Non conoscevo questa storia.

- Così Emilia di Roma, ma da qui da Monaco, con un articolo dello scrittore romano Marco Proietti Mancini:
"A Napoli al ristorante ho ordinato "una braciola" e quando mi sono visto arrivare un involtino in umido ho chiesto al cameriere "ma io avevo chiesto una braciola..." e quello mi ha risposto "e questa cos’è?". Comunque l’ho mangiata ed era una meraviglia, buona come poche altre cose che ho mangiato.
A Napoli alla cassa del bar ho visto una scatola di vetro piena di cioccolatini a forma di bacio Perugina, incartati nella carta stagnola uno per uno, ho chiesto "ma sono Baci?" e la signora mi ha risposto "certo che sono baci, li facciamo proprio noi!" ed erano buonissimi.
A Napoli sono entrato in una tavola calda, saranno state le quattro del pomeriggio, volevo prendere qualcosa da riportare a mio figlio prima di ripartire, ma avevano finito tutto. Ho chiesto "avete qualcosa di pronto?" il marito della cuoca mi ha risposto "e che problema c’è, glielo prontiamo". Poi è uscita la cuoca e mi ha detto "le faccio una frittata di maccheroni, qualche crocché e un po’ di pasta cresciuta, vabbuò?!". Io le ho detto "ma quanto tempo ci vuole?" e lei ancora "e che fretta avete, vi sedete qui e vi fate compagnia con mio marito, vi bevete una birra intanto che aspettate"
E dopo una mezz’ora io conoscevo tutta la storia della famiglia, fino a quell’infame di uno dei cugini, che San Gennaro gli faccia uscire uno sbocco di sangue. Marcio.
In compenso la roba era buonissima e m’è sembrato che si facessero pagare per farmi un favore, perché pareva mi volessero regalare tutto.
A Napoli ho mangiato una cosa che si chiama "genovese" e l’ho digerita dopo tre giorni, cioè no, a digerire l’ho digerita subito, è che dopo tre giorni ancora mi pareva di averne qualche pezzetto sulla barba per come mi sentivo avvolto dal profumo.
A Napoli mi hanno servito un caffè con la tazzina che mi scottava le labbra e non ho dovuto manco chiedere il bicchiere d’acqua, perché me l’hanno messo davanti direttamente insieme al caffè, però il barista non si fidava, aveva sentito l’accento romano e voleva vedere se l’acqua la bevevo prima o dopo il caffè, pareva che trattenesse il fiato per l’ansia. Quando ha visto che l’ho bevuta prima ha sorriso e io mi sono sentito come se avessi superato un esame all’università.
A Napoli sono andato a pranzo con due amici napoletani e hanno ordinato "pasta e patate" e poi momenti si scannano perché uno diceva "la provola ci vuole" e uno diceva "la provola non ci vuole" e io stavo zitto e temevo che alla fine mi menassero a me. Ma quando è arrivata la mia pizza con i friarielli hanno fatto pace e mi hanno fatto tutto un corso su come va preparata, in che punto del forno va messa perché si cuocia bene, come la ricotta debba fare da ripieno del cornicione, cose così. (La pizza era squisita e pure la loro pasta e patate, che per la cronaca la provola c’era).
A Napoli ho mangiato il casatiello e i ciccioli, una parmigiana di melanzane che quando ho chiesto "ma le melanzane come sono cotte?" mi volevano cacciare dal ristorante e farmi girare con un cartello attaccato al collo con scritto "ha chiesto come sono cotte le melanzane della parmigiana!". Ho scoperto che le ciambelle con lo zucchero le chiamano "graffe" e guai pure quelle se ti azzardi a dire "ma sono cotte al forno?". Ho scoperto che le sfogliatelle e le ricce sono due cose diverse, ma comunque se vuoi mangiare quelle più buone devi andare in un forno che sta a "vico Ferrovia" che se gli passi davanti non gli daresti una lira. Perché a Napoli quello che ti mangi conta più di dove lo mangi.
A Napoli ho capito che mangiare è una religione, ha i suoi riti e le sue cerimonie, è un atto sacro e mangiare da soli è triste, e se stai al tavolo da solo il cameriere si preoccupa e ti viene a chiedere dieci volte "come va? come state?" e dopo viene pure la padrona del ristorante e poi pure suo marito e ti mandano pure i figli, perché tante volte dovessi sentirti triste, non sia mai, come te lo gusti il mangiare?
E poi mi dite perché amo Napoli? Ma come fate voi, a non amarla. Come?"

Poi ancora Emilia ha così continuato:
"El Acebuchal, il cui nome viene dall’arabo ‘acebuche’ ulivo selvatico, e’ un piccolo villaggio situato sulla Sierra de Almijara, al confine tra la provincia di Malaga e quella di Granada. Già a partire dal XVI secolo vi facevano sosta i mulattieri che trasportavano prodotti agricoli e pesce dai paesi costieri a Granada.
La vita degli abitanti di El Acebuchal cambiò drammaticamente nel 1948, quando la Guardia Civil li costrinse ad abbandonare le proprie case. Benché il Generale Franco avesse gia’ vinto la guerra civile, nell’area erano ancora attivi i Maquis, commandos di guerriglia che resistevano in molte parti della Spagna dopo la guerra. In quella zona si trovava il Gruppo Roberto, composto da circa duecento uomini, guidato da Juan José Muñoz Lozano, detto Roberto, che era stato comandante della Repubblica. Le autorità avevano a lungo sospettato che Roberto ed il suo gruppo di ribelli ricevessero supporto ad Acebuchal e pertanto proibirono agli abitanti del villaggio di occupare le proprie abitazioni. Nel 1949 il villaggio fu completamente abbandonato e rimase un villaggio fantasma per circa 50 anni, quando, nel 1998, una coppia decise di iniziare il restauro di alcune abitazioni. Col tempo altri ex residenti decisero di restaurare le loro vecchie case di famiglia e ad oggi sono state riportate in vita 36 case, la cappella, la taverna e le strade.
Questa è la storia che si può leggere su una ceramica posta sul muro di una vecchia casa poco prima di entrare ad El Acebuchal.
STORIA DEL MIO ACEBUCHAL
“Correvano gli anni Trenta. In questo posto viveva una famiglia con cinque figli. Un giorno la madre si ammalò e morì; l’anno successivo morì anche il padre. I bambini rimasti soli andarono a vivere con diversi familiari, tranne la figlia piu’ grande che rimase a vivere da sola a El Acebuchal. Sola, senza i suoi genitori e soprattutto senza sua madre, che adorava, senza i suoi fratelli e senza niente da mangiare.
Un giorno andò a Cómpeta in cerca di cibo e amore, poiché un suo parente viveva in questa città. Il parente non volle sapere nulla della giovane donna, la quale non avendo un posto dove andare iniziò a vivere per strada. Senza cibo e senza amore, la giovane donna si ammalò e decise di tornare al suo Acebucal, per morire nella casa dove era stata felice con la sua famiglia.
Arrivo’ di notte perché nessuno la vedesse. Apri’ la porta di casa sua e disse: “mamma, papà, sono qui, sono venuta perché voglio stare con voi e così non sarò mai più sola”. Fu trovata pochi giorni dopo dai parenti che la portarono a Frigiliana, dove fu seppellita. Dopo cinque anni i suoi resti vennero rimossi e, con grande sorpresa del becchino che aprì la cassa, il corpo della giovane era ancora intatto come nel giorno della sua sepoltura. Spaventato a morte, si fece il segno della croce pensando fosse un miracolo e assieme al suo aiutante presero il corpo della giovane donna e lo deposero sul tavolo di marmo per le autopsie che era nel cimitero. I due uomini andarono a cercare un prete, il quale, dopo aver ascoltato i due uomini spaventati e constatato che quanto detto era vero, disse che nessun altro doveva sapere quello che avevano visto, tanto meno la famiglia. Misero la giovane donna in una cassa di legno e, su istruzioni del vescovo di Malaga, il corpo venne trasferito a Vélez Málaga, al convento delle Carmelitane.
Il caso volle che l’unico mulattiere libero quel giorno a Frigiliana fosse un certo Manuel, un cugino della giovane. A Manuel fu detto che la cassa conteneva oggetti della Chiesa che dovevano essere consegnati alle Carmelitane prima del mattino successivo. A meta’ percorso, verso le due del mattino, Manuel udì una voce che lo chiamava per nome. Si fermò per un momento, si voltò e sentì la voce di una donna che diceva: “! Arrea Manuel che ci bagneremo!” Il pover’uomo, spaventato, inizio’ a guardarsi intorno ma non vide nessuno. C’erano solo lui e il mulo con i pacchi. Guardò il cielo pieno di stelle e senza una sola nuvola. Penso’ che fosse la sua immaginazione e continuò per la sua strada.
Poco prima dell’alba, quando mancavano solo pochi chilometri per raggiungere Vélez Málaga, arrivò improvvisamente una tempesta di pioggia e grandine come Manuel aveva visto raramente in tutta la sua vita. Raggiunto il convento, Manuel racconto’ alle suore cosa era successo e chiese loro di fargli vedere il contenuto della cassa. Quando Manuel aprì la cassa e vide il corpo della cugina, nelle stesse condizioni del  giorno in cui era stata seppellita cinque anni prima, subì un tale shock che cadde a terra e lui, che aveva fama di uomo coraggioso e di poche convinzioni religiose, cambio’ completamente modo di pensare.
Si racconta che la giovane rimase a lungo nel convento e che fu poi fatta santa».

Grazie Emilia, anche per il racconto del tuo recente viaggio in Andalusia con il Caminito del Rey.


- Così Sergio di Livorno, ma da qui da Monaco:

"Aforismi sulla chitarra.

Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra.
(Fabrizio De André)

Suonare la chitarra è come fare l’amore: bisogna essere davvero stupidi per dimenticare
come si fa una volta che si è imparato.
(Frank Zappa)

Tra le creature di Dio due, il cane e la chitarra, hanno le dimensioni e le forma giuste
per non essere separati dall’uomo.
(Andres Segovia)

Qualche volta tu vorrai rinunciare a suonare la chitarra, tu odierai la chitarra.
Ma se le sarai fedele, lei ti ricompenserà.
(Jimi Hendrix)

Le chitarre sono come le donne, non riesci mai a capirle del tutto.
(Slash)

Entro in ascensore. c’è una ragazza bellissima.
mi guarda, mi sorride e sussurra:
– piano?
– no, chitarra, 25 anni.

Alfatena 2010 (J. Morrison)

Chitarra

Lo so, sono il più bravo
sono il migliore
potrei suonarti al buio
per ore ed ore

La musica, lo sai,
è travolgente
e adoro farla amare
a tanta gente

Io sì lo so, che tu
tra le mie dita
è come se ogni volta
prendessi vita

Sono un solista ma,
non sono mai da solo
prendendoci per mano
prendiamo il volo

Ma quella volta no,
ti hanno rubato
e tutto solo a un tratto
mi son trovato

Tutti mi guardavano,
tutti ad aspettare,
e come per magia,
ho iniziato a cantare.

Un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra.”

Grazie Sergio. Aspettiamo di sentirti presto dal vivo alla chitarra.


- Così Eva di e da Monaco con Rainer Maria Rilke "La fontana Romana" (Borghese)                     in traduzione:
»Due vasche, una sovrastante l’altra
da un vecchio bordo rotondo di marmo,
e dall’acqua superiore tranquillamente inclinata
all’acqua che attendeva sotto,

alla voce dolcemente parlando,/ silenziosa.
e segretamente/ per così dire, nell’incavo della sua mano/
che gli mostrava il cielo /dietro il verde/ e il buio
come un oggetto sconosciuto;

se stesso in silenzio nella bella ciotola/
diffondendosi senza nostalgia/
di cerchio in cerchi/
solo a volte sognando e gocciolando.

posandosi sulle ghirlande di muschiomuschio/
fino all’ultimo specchio/
che fa dolcemente il suo bacino
sorridendo/
dal basso con i passaggi sfumature. "

Grazie Eva. Ma aspettiamo di sapere sempre qualcosa di più dei tuoi bei documentari.


- Così Francesco di e da Perugia, prima con queste sue due poesie:
"Balli,
su una foto da bambina,
un colibrì vivace,
nuvola candida e libera,
effimera dispensa dal futuro.
Balli,
sul ricordo della prima
audace pulsione
che ingorda ti travolge,
sudore che bagna la schiena.
Balli,
sul palpitante spartito
di un’ingenua e sensuale
giovinezza mai goduta piena,
imperitura regno del "se avessi".
Balli,
sopra crateri e miserie,
eterne cicatrici donate
dall’insipienza dei meschini,
chiusi nel loro cieco egoismo.
Balli,
oltre il vuoto,
incolmabile distanza fra te
e il sordo ai tuoi bisogni,
spegnimoccolo della tua luce.
Balli,
anche con le ali spezzate,
con l’istinto innocente e gioioso,
smaniosa di amarti,
famelica d’essere amata.

Allunga le labbra,
bevi le mie lacrime,
assaporane la salinità.
Sarà la cosa più vera
che mai riceverai in dono"

Poi Francesco ha così continuato con l’inizio del suo ultimo romanzo:

"- Ma soprattutto, il tuo cazzo deve rimanere, per più di tre giorni filati, là ove il buon Dio lo ha allocato.
- Sì, ma…
- Niente ma, o è sì o è ma!
- Ma…
- No! Niente ma!
- Ok, e allora sì.
- Oh! Finalmente! E prenditi le ferie dalla tua vita.
Questa conversazione, è arrivata alla fine di un periodo decisamente intenso. Favorevole e gratificante, non dico di no, ma febbrile. E colui che mi bistratta, quasi fossi un bambino capriccioso, è il mio migliore amico, e prende molto sul serio questo ruolo. O semplicemente, al momento, non ne può più di un altro mio soliloquio tra l’ironico incensamento per una nuova conquista e il passivo-aggressivo struggimento per averla lasciata subito fuggire via.
Intendiamoci: è chiaro che li diverto, a lui e agli altri amici, portando un po’ di aneddotica colorata nelle loro vite, piene e soddisfacenti, ma decisamente più mono corda della mia. Degli ultimi mesi della mia. Quello che non va, mi sopporto a stento io, è la commiserazione che ne consegue, l’arrampicarsi sugli specchi alla ricerca di una giustificazione che legittimi la mia innata capacità a smontare ogni cosa buona che metto in piedi. Ci sono dei professionisti per questo. Lo so. Dovrei prendere un appuntamento. Dovrei.
A parziale discolpa, posso solo dire che non ero decisamente abituato a tutto questo successo. In ogni ambito della vita, quasi senza alcuno sforzo. E forse questa è la cosa più sorprendente e confondente di tutte: penso e ottengo, il fare è veramente minimo, quasi che non sembra nemmeno che stia realmente impegnandomi per perseguire lo scopo.  Come un calciatore della primavera, che viene aggregato alla prima squadra e a cui viene proposto un contratto milionario. E dall’oggi al domani, si ritrova dover gestire soldi, fama e popolarità. È difficile mantenere un equilibrio. Soprattutto se si è soli.
Oggi poi ho questa alitosi vomitevole, come se una carcassa si stesse decomponendo nella mia bocca. Una cosa insopportabile, che mi rende impossibile anche tenere un’espressione normale. Paolo giura che non si sente nulla. Anzi, quando il sant’uomo si fa sotto, perché lo prego di annusare più da vicino, riferisce di percepire solo un gradevole sentore di collutorio.
Il sole è ancora alto, siamo a metà aprile e sarà perché invecchio, ma ho una dannata necessità di luce, ma più che altro di caldo. Solitamente vengo qui per una pausa pranzo veloce, ma con la bella stagione diventa un luogo ideale anche per gli aperitivi. È un bel posto, con un terrazzato che dà sulla campagna e proprio di fronte c’è una collina col solito paesello abbarbicato, insomma il luogo ideale per lasciare che lo sguardo fugga alla ricerca dell’orizzonte e i pensieri lo seguano. E in effetti i ragionamenti contorti prendono la strada - da qui si vede appena - che sale zigzagando su per il colle; poi vanno oltre, sopra il campanile a fantasticare su cosa ci sarà oltre. Adesso i nostri discorsi hanno cambiato registro; ho di bello che mi ci vuole poco per accantonare i mugugni e ritrovare la voglia di divertirmi."

Grazie Francesco e complimenti per la promozione nel tuo lavoro al mulino.


- Così Enzo di e da Acerra (Napoli) con:
"La virgola,
C’era una volta una virgola,  seccata dalla poca considerazione, in cui tutti la tenevano.
Perfino i bambini delle elementari si facevano beffe di lei.
Che cos’è una virgola dopo tutto?
Nei giornali nessuno la usa più, la buttano a casaccio.
Un giorno la virgola si ribellò.  
Il Presidente scrisse un breve appunto dopo un lungo colloquio con il Presidente avversario:
“Pace, impossibile lanciare i missili” e lo passò frettolosamente al Generale.
In quel momento, la piccola trascurata virgola, mise in atto il suo piano e si spostò.
Si spostò solo di una parola.
Appena un saltino.
Quello che lesse il Generale fu:
“Pace impossibile, lanciare i missili”.
E scoppiò la Guerra Mondiale.
Morale: Fai attenzione alle piccole cose. Sono il seme di quelle grandi.

Il ritratto di Dio
Un uomo anziano, era seduto lungo il marciapiede di una affollatissima strada di una grande città e stava disegnando.
Un passante incuriosito si ferma e gli dice :  "E’ un disegno interessante, cosa rappresenta?".
L’uomo anziano: "È un ritratto di Dio".
Il passante: "Ma nessuno sa come sia fatto Dio".
L’uomo anziano: "Quando avrò finito il disegno, lo sapranno tutti".

"Acerra… Amata Terra.
Mia adorata Città, abbracciata da una parte da immense campagne, dall’altra seduta ai piedi di contrafforti e colline della dorsale appenninica.
Città intrigante, maliziosa e innocente; colta, altera, piena di storia, desiderosa di evoluzione.
Città che ha accolto sempre i figli di tutti e che ha sofferto nel vedere partire i suoi.
Silenziosa e addolorata, li ha benedetti nel vederli emigrare.
Città, padre e madre, tempio sacro dei nostri Santi patroni Cuono e Figlio.
Tu che baci il cielo, tu che ti lasci accarezzare da immense distese, tu che hai incantato artisti e poeti come Raffaele Viviani “Quanno voglio fa’ ’a vita, vaco ’Acerra”, che hai stregato il grande Totò, con la bellezza del tuo paesaggio.
Ricorda che tu sei conchiglia, “Acerra perla e noi figli filigrane d’oro”
Discendenti di Etruschi, Greci, Normanni, Saraceni... filosofi, poeti e matematici.
Non lasciare che la città ai tuoi piedi non sia all’altezza della tua storia; striglia i tuoi figli, ammaliali come solo tu sai fare.
Maestoso Castello Medievale:
Sii tempio degli Acerrani onesti, quelli di buona volontà e aiutaci ad estirpare chi della nostra Terra approfitta e non è degno di appartenere.
Con incommensurabile amore".

Grazie Enzo specie per la passione che hai per la tua terra. Benvenuto tra di noi. Alla prossima.


- Domenico di e da Acerra (Napoli) ci ha parlato della sua città, famosa per avere dato i natali alla maschera teatrale di Pulcinella.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pulcinella

e successivamente ci ha parlato dell’artista acerrano Giacomo Pietoso, anche nostro amico e frequentatore dei nostri incontri.:
https://bitus.it/persone/giacomo-pietoso/

Grazie Domenico, anche per portare tra di noi significative voci della tua terra.


- Giuseppina di e da Castions di Strada (Udine) ci ha con amore parlato del raduno degli alpini, che con i muli salivano dal mare ai monti e scendevano dai monti al mare e della loro importanza specie nella prima guerra mondiale e durante il terremoto del Friuli del 1976.
https://www.facebook.com/messenger_media?attachment_id=1552183925309660&message_id=mid.%24cAAAABoThpgCOQrHHZWIEWx5hHtVs&thread_id=100003656131614

Grazie Giuseppina ed alla prossima per più tempo?  


- Grazia di San Marco in Lamis (Foggia) è potuta rimanere poco con noi questa volta. A presto Grazia.


- Io di Roma, ma da qui da Monaco, ho letto questi miei ricordi:
"Mi ricordo una volta negli anni ’70 andai a Roma in un piccolo teatro alternativo. Ad un certo punto entrò nella sala tra i pubblico una giovane attrice nuda, che non disse una parola. Restò tutto il tempo da un lato, nel corridoio di destra che portava sul palcoscenico. La sua muta presenza fu la più sentita.

Ma i sogni che si ricordano
fanno in qualche modo
già parte del vissuto
o rimangono solo dei sogni.


Ma non sarà che
la depressione viene,
quando all’improvviso
viene semplicemente a mancare
la motivazione ad agire?
Succedono alcuni avvenimenti
per il soggetto traumatici
e alla loro luce
l’agire viene percepito come inutile.
Crolla ad un certo punto
una visione del mondo
e finché non viene sostituita da un’altra
si rimane senza pressione interna
e quindi depressi?

Sor Edoardo
   A volte mia madre mi mandava dal calzolaio non lontano da casa, con le scarpe da risolare sotto il braccio. Quando arrivavo, spesso non mi riconoscevano subito. Allora gli facevo un sorrisetto e loro poi intanto si ricordavano. Ci scrivevano sotto la suola in grande “tasse”.
   Sor Edoardo e la moglie parlavano solo in dialetto ed io con loro ero rispettoso e gentile. Mio padre mi aveva già raccomandato, di non far mai pesare supposte superiorità culturali, cioè di non ostentarle. Le superiorità culturali tra persone, credo che in realtà anche oggi non esistano affatto. Lui poi ne sapeva certamente qualcosa.
   Già lavorava, quando si era presentato privatamente all’esame orale per il diploma. Ma un professore della commissione esaminatrice a un certo punto lo aveva preso in giro. Il professore  rise sguaiatamente per un errore di mio padre. Allora mio padre per la rabbia buttò i libri sul tavolo e se ne andò. Non si diplomò, ma da qui capì come poi avrebbe dovuto fare,  per ben dirigere il suo futuro ufficio. Questa esperienza non la dimenticò mai, anzi ne parlò a volte e così la diffuse, per quanto gli fu possibile attorno.
   Dopo qualche giorno mia madre mi rimandava con una borsa da Sor Edoardo, a ritirare le scarpe risolate. No, non erano sempre pronte. A volte avevano dato la precedenza alle scarpe di altri, a quelle di chi le pagava le riparazioni. Mio padre infatti aiutava Sor Edoardo negli allora già difficili adempimenti della dichiarazione dei redditi e lui per sdebitarsi ci risolava le scarpe gratis. Così nessuno doveva ringraziare nessuno. Nessuno era superiore."

Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto
giulio
ps.. Chi riconosce l’importanza culturale e formativa di questa iniziativa, senza fini di lucro e che dura ormai da 23 anni, può anche un po’ sostenerla economicamente con un piccolo versamento sul c.c. HypoVereinsbank, giulio bailetti, Kontonummer 6860168020, Bankleitzahl 70020270, IBAN DE69700202706860168020, BIC HYVEDEMMXXX oppure sul mio Paypal: paypalme/letteraturaspontanea Grazie, comincio a diventare vecchio e ve ne sarei molto grato!

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