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2000(tutto): SETTIMANE HEGELIANE: Struttura fondamentale del sistema filosofico hegeliano

2000(tutto): SETTIMANE HEGELIANE: Struttura fondamentale del sistema filosofico hegeliano

 

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2000

Struttura fondamentale
del sistema filosofico hegeliano

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SETTIMANE HEGELIANE 
(Hegel-Wochen)

presso il 
Goethe-Institut di Napoli
organizzate da  
Marco de Angelis

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Settembre-Ottobre 2000

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Ciclo di lezioni in lingua italiana

Testo cartaceo non ancora pubblicato
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Testo digitale pubblicato qui sotto
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Nei mesi di settembre e ottobre del 2000 organizzai in lingua italiana presso il Goethe-Institut di Napoli due ’Settimane Hegeliane’ (Hegel-Wochen), con lo scopo da una parte di fornire un quadro generale del significato profondo del sistema filosofico hegeliano, anche interpretandolo alla luce degli scritti giovanili del filosofo svevo, dall’altra di porre in evidenza come la sua trattazione intelligente e scientificamente fondata dei concetti di filosofia, religione e politica non abbia avuto solo un’importanza storica, ma sia ancora oggi fondamentale per comprendere il nostro tempo ed anche per individuare alcune possibili risposte a questioni cruciali della nostra epoca e del futuro dell’umanità.

Qui sotto si pubblica il testo di quelle lezioni.

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SETTIMANA HEGELIANA 1

Presentazione

Senso autentico e attualità
della filosofia di Hegel

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§1. Senso delle Settimane-Hegeliane (Hegel-Wochen) presso il Goethe-Institut di Napoli
Oltre al fatto occasionale e gradito, di aver trovato un’istituzione disposta ad ospitare il progetto ’Settimane Hegeliane’ e per di più poi la fortuna che tale istituzione sia il luogo principe della diffusione della lingua e della cultura tedesca nel mondo, v’è anche un motivo ideale e di contenuto che giustifica l’opzione per tale luogo.
In effetti è un aspetto peculiare del Deutschtum, della germanicità per così dire, comunque si dica della cultura nordica ed in particolare teutonica, la Gründlichkeit (si veda a tal proposito il lavoro dell‘ex-Ambasciatore d’Italia in Germania,...), ossia il fatto che tutto quel che il popolo tedesco fa, sia nel bene sia nel male, sia fatto in modo radicale, in modo ultimativo e definitivo, non provvisorio e temporaneo. 
Si può quindi considerare un qualcosa d’appartenente allo spirito dl popolo tedesco il fatto che lo ’spirito del mondo’, per esprimerci con le parole di Hegel, abbia scelto proprio tale popolo per la formulazione del sistema filosofico che in sé raccogliesse tutto il sapere filosofico, scientifico, religioso, storico dell’umanità coordinandolo in un quadro unico e definitivo, in cui ogni concetto ha il proprio posto ben definito, viene preparato e quindi dimostrato dai concetti precedenti e poi conduce per necessità interna ai concetti ulteriori.
Ovviamente tale significato per così dire etnologico della locazione del momento di sintesi del sapere occidentale nella terra di Lutero non è vincolato esclusivamentealla persona di Hegel, bensì in generale alla sua epoca. È infatti l’intera intellettualità tedesca della seconda metà del settecento fino alla prima metà dell’ottocento che lavora in costante dibattito all’elaborazione di una filosofia ultima ed omnicomprensiva, ad una filosofia che avesse il rango di una vera e propria scienza. Sin almeno da I. Kant è questo l’ideale forte che accomuna i vari pensatori tedeschi dell’epoca, Fichte e Schelling sono gli altri due diventati famosi sulla via che dal Mestro di Königsberg, padre di questa splendida epoca - Vater Kant -, conduce al grande sistematico di Stoccarda. Ma oltre a questi quattro grandivi furono moltissimi altri pensatori di valore - si pensi per esempio ai teologi di Tubinga Storr e Flatt che tanta parte ebbero nell’educazione filosofico-teologica di Hölderlin, Schelling e Hegel, oppure al grande divulgatore della filosofia kantiana Karl Leonard Reinhold.
Fu insomma tutta un’epoca, l’intera intellettualità del tempo che convisse in modo più o meno attivo l’ideale dell’elaborazione di una filosofia sistematica e scientifica. In questo senso è allora forse il Goethe-Institut, ovviamente insieme alla Facoltà di Filosofia, il luogo più adatto per far rivivere quella magnifica epoca della storia del pensiero umano, anche per sottolineare a chi già non lo sapesse che quando si parli del passato della Germania, ’il passato che non passa’, come recita il titolo di un libro sul fenomeno nazionalsocialista, non può venir rappresentato soltanto da quell’epoca senz’altro negativa che vide nel secolo scorso il sopravvento del nichilismo assoluto su qualsiasi altra visione del mondo. Per chi ami la filosofia e l’alto compito ch’essa ha da svolgere nella formazione individuale e sociale dell’umanità ’il passato che non passa’ della storia tedesca è appunto quello dell’epoca kantiano-hegeliana, dell’elaborazione dei grandi sistemi filosofici idealistici. 
Anche questo è ’passato che non passa’, non nel significato negativo di un senso di colpa per qualcosa di cui vergognarsi, bensì nel senso positivo di una qualcosa di cui andare fieri, di un qualcosa che rappresenta forse il più grande contributo del popolo tedesco alla storia dell’umanità.
Veniamo ora ad una breve presentazione del nostro progetto ’Settimane Hegeliane’ (Hegel-Wochen).

§2. Contenuto del progetto Hegel-Wochen 
     2.1 attualità della filosofia di Hegel; (esempi);  
     2.2 necessità di una attualizzazione e riscrittura del suo sistema filosofico

Il progetto ’Settimane Hegeliane’,  partendo  dunque dalla consapevolezza del grande significato storico di quel periodo della storia del pensiero, intende approfondire in modo gründlich, dunque radicale, i vari aspetti del sistema filosofico hegeliano. Ciò sarà fatto sia in modo cronologico e storico, ripercorrendo dunque le varie tappe dell’elaborazione del sistema e così comprendendone le radici e dunque anche il significato autentico, ossia quello che tale sistema aveva per lo stesso Hegel, sia in modo esclusivamente sistematico, quindi analizzando le varie sezioni del sistema ed il rapporto di fondazione tra esse esistente.
Tale programma sarà svolto come realizzazione dell’intuizione di fondo che la filosofia di Hegel abbia un valore ancora attuale, ossia che essa non solo fornisca risposte adeguate e filosoficamente fondate a problemi della nostra epoca (ma non viviamo noi tutto sommato ancora nell’epoca di Hegel?), ma che fornisca anche una serie di categorie chiave anzitutto per ben capire la nostra epoca.
L’intuizione di fondo è insomma che tra fine settecento ed inizio ottocento in Germania si siano gettate le fondamenta filosofiche del mondo a venire, del mondo post-illuministico, e che quindi noi oggi volenti o nolenti non possiamo comprendere il nostro mondo e quindi agire con chiarezza di idee in esso senza esserci seriamente confrontati col quel pensiero filosofico, che ha poi nel sistema hegeliano la sua formulazione sintetica.
Ovviamente tale intuizione di fondo non è cieca, ossia essa non perde di vista il fatto che comunque la filosofia di Hegel sia affetta da limiti sia dovuti all’individualità dello stesso Hegel sia alla sua stessa storicità, al fatto che comunque essa sia stata formulata in un certo tempo ed in un certo luogo e pertanto non può non soggiacere a tutti i limiti propri di quel che ha o ha avuto un’esistenza temporale. 
Si tratta pertanto di separare il contenuto logico a-temporale dalla sua espressione formale datale da Hegel, viziata evidentemente da una serie di caratteristiche legate alla situazione spazio-temporale.
Proprio al fine di tale separazione è indispensabile comprendere il nucleo forte del sistema filosofico hegeliano, ossia quel nesso di pensiero senza i quali non è possibile pensare tale sistema. Vi sono infatti in ogni sistema filosofico pensiero essenziale al medesimo, che l’autore ha elaborato sin dalle origini e non ha mai cambiato nel corso del proprio sviluppo intellettuale, come anche pensieri che invece non hanno tale ruolo determinante, ma sono per così dire accidentali, magari il pensatore stesso li ha spesso cambiati o addirittura eliminati nel corso della elaborazione delle verie versioni della sua filosofia. Ciò significa che lo stesso autore del sistema filosofico non era convinto dell’essenzialità di tali concetti, dunque questi pensiero non costituiscono il nucleo centrale della sua filosofia, bensì solo la scorza esteriore, della quale si può dunque anche fare a meno senza per questo cambiare il significato fondamentale della filosofia in questione.
L’attualizzazione o riscrittura del sistema filosofico hegeliano deve consistere allora anzitutto nel separare il contenuto essenziale dagli elementi non essenziali del sistema, così da lavorare poi soltanto su quel che è veramente ancora valido di tale filosofia. In secondo luogo poi tale nucleo fondamentale dev’essere applicato all’interpretazione del nostro mondo, della nostra epoca, sia all’aspetto teoretico di essa, dunque al sapere, sia al suo aspetto più propriamente pratico, dunque alla vita etico-politica dell’umanità.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello teoretico, il risultato deve essere la riscrittura del sistema filosofico hegeliano anzi, per meglio esprimersi, dell’idealismo assoluto, così da averne una formulazione non solo concettualemente ma anche linguisticamente adatta al nostro tempo. 
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello etico-politico, il risultato dev’essere una vita idealistica, sia a livello etico ed individuale, sia a livello politico e sociale. Se la filosofia di Hegel nei suoi principi essenziale ha colto la verità, occorre evedentemente che l’individuo e la comunità umana nel suo complesso il proprio comportamento a tale filosofia, se vogliono vivere nella verità.
I due aspetti insieme, la riscrittura e l’applicazione della filosofia idealistico-assoluta, costituiscono quella che si può definire l’’attualizzazione’ di tale pensiero (nel duplice senso di ’attualità’).
Ma perché svolgere una tale mole di lavoro proprio sul pensiero di Hegel e non di un altro filosofo, per esempio di Kant?

3. Perché Hegel e non un altro sistema filosofico? 
Se si è scelto proprio Hegel non deve evidentemente essere un caso ma occorre che vi sia una ragione logica, un perché filosofico alla base di tale opzione. Si potrebbe indicare un movente di carattere soggettivo e psicologico, ossia il fatto che nella vita di chi scrive l’incontro con il pensiero di Hegel è stato determinante ed ha fornito quelle risposte che altri incontri - per es. con Vico, Spinoza, Kant e Marx -  non avevano fornito. D’altra parte tale movente non avrebbe valore universale, perché è evidente che le domande, cui la lettura di Hegel ha saputo rispondere, potrebbero essere nel caso di un altro soggetto diverse e quindi potrebbero trovare risposte adeguate in altri pensatori. 
Vi deve essere dunque un movente oggettivo, una ragione logica universale che giustifichi tale scelta e ci assicuri che il nostro progetto ha un valore oggettivo e non soltanto soggettivo.
Nonstante questa pretesa sia giusta e filosoficamente fondata, d’altra parte non è ovviamente possibile esaudirla in modo immediato, ossia non è possibile indicare all’inizio del lavoro, quando si possono indicare soltanto propositi e metodologie, ma certo non verità già accertate. Queste devono essere infatti un risultato del lavoro scientifico e non possono esserne una premessa.
D’altra parte proprio in questo rapporto tra premessa e risultato del lavoro scientifico si mostra la dialettica interna ad esso, che proprio Hegel ha messo magistralmente in luce nelle sue opere, in particolare nelle varie prefazioni ed introduzioni alla Scienza della Logica ed alla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche.
Se è vero infatti che il risultato come tale può apparire soltanto alla fine del lavoro scientifico, è però anche vero ch’esso in forma di intuizione dev’essere già presente al suo inizio. Ogni ricerca comincia infatti con un’idea, un’intuizione che deve poi essere verificata con lo studio, con la fatica del concetto direbbe Hegel. Se essa è verificata appare poi in forma di risultato al termine del lavoro scientifico. 
La struttura del lavoro scientifico è dunque di carattere circolare, all’inizio è già presente in forma non ancora sviluppata quel per verrà poi - forse - alla fine, per cui l’andare innanzi, nell scienza,  secondo le parole hegeliane, - è un tornate indietro al fondamento. 
Per fornire una risposta alla domanda ’perché proprio Hegel ?’ occorre allora esprimere l’intuizione che è alla base del progetto ’Hegel-Wochen’ ed in generale al lavoro scientifico di chi scrive.
Si tratta dell’ipotesi scientifica che la filosofia con Hegel abbia raggiunto il proprio apice, ossia la comprensione dell’assoluto, e pertanto il sistema filosofico del pensatore svevo non rappresenti un sistema tra tanti altri sistemi tutti più o meno validi (ossia tutti più o meno non validi), ma rappresenti invece il momento di sintesi in cui l’intero sapere filosofico raggiunto in più di duemila anni di lavoro intergenerazionale sia stato organizzato organicamente alla luce di un chiaro metodo e di una chiara sistematica.
Nel caso della filosofia avremmo dunque a che fare con la summa del sapere filosofico dell’umanità, con il manuale di filosofia per eccellenza, in cui i vari concetti di questa scienza vengono presentati e esposti in modo non soggettivo e letterario, bensì rigorosamente logico e scientifico.
Da questo punto di vista la filosofia di Hegel, pur fatti i distinguo di cui sopra relativamente alla differenza tra il suo contenuto e la sua forma, costituirebbe la filosofia assoluta, che può essere sicuramente migliorata ancora in diverse parti, espressa in una lingua più moderna, aggiornata confrontandola con il progresso delle scienze dopo la morte del filosofo, ma che in sostanza nei suoi concetti fondamentali così come nella sua struttura portante non può essere più gran che modificata.
Questa intuizione ed ipotesi di lavoro scientifico non è ovviamente improvvisata ma si fonda sulle indicazioni forniteci dallo stesso Hegel, il quale non solo presenta la sua filosofia come scienza dell’assoluto e scienza assoluta, ma nelle lezioni di storia della filosofia inequivocabilmente presenta il proprio sistema filosofico come il momento conclusivo della soria della filosofia, in cui le verità conseguite dai pensatori precedenti, ognuno die quali appunto ha scoperto un aspetto della verità assoluta, vengono conservate e contemporaneamente superate, secondo uno die principio fondamentali, forse quello più importante, della dialettica.
Dinanzi a questa valutazione che lo stesso Hegel dà del ruolo del proprio sistema filosofico all’interno della storia della filosofia si può ovviamente prendere le distanze e considerarla una dimostrazione di scarsa umiltà, oppure la si può anche condividere e verificare con uno studio serio, approfondito. 
In effetti in tutte le sue opere Hegel ha sempre dato grande dimostrazione di umiltà, perché per uno studioso serio l’umiltà non consiste nel negare la verità e perdersi in un facile relativismo, bensì nel lavorare affinche quel risultato che si consegue e si indica come verità sia frutto di un percorso logico e razionale ripercorribile da qualsiasi altro essere razionale che si sottoponga alla ferrea logica di un pensiero serio, scientificamente orientato.
Hegel non ha mai venduto la propria filosofia come qualcosa di legato alla sua persona singola, bensì ha sempre chiarito che il suo pensiero, se è valido, ha un’esistenza per sé indipendente, ed è solo per fatti accidentali storici che sia stato il soggetto particolare G.W.F. Hegel ha formularlo. Esso è un prodotto della storia della filosofia, appunto quel momento sintetico e conclusivo già accennato, e la preparazione a tale sintesi,fornita dai pensatori precedenti, ha almeno lo stesso lavoro della sintesi operata da Hegel. 
L’immagine della costruzione di una casa come opera comune, nonostante solo ad un operaio spetti porre l’ultimo mattone, dà un’idea chiara del modo umile, ma non per questo realtivistico, in cui Hegel considerava il prodotto del proprio lavoro scientifico. In effetti quando si tratta di scienza la parola umiltà non ha alcun ruolo da svolgere: o si hanno argomentazioni forti a sostegno delle proprie tesi, frutto di studio serio ed approfondito, e quindi si riesce a convincere gli altri, sostenendo dunque un pensiero non arrogante ma che ha il diritto di essere forte, oppure tali argomentazioni sono deboli, ma allora non è che si è umili, si è solo scientificamente deboli. 
Non vi è dunque alcun motivo per non prendere sul serio la tesi  di Hegel che il proprio sistema filosofico costituisca il momento apicale e sintetico della storia filosofica dell’umanità, il manuale di filosofia, l’esposizione dell’assoluto.Bisogna soltanto verificare tale ipotesi con un lavoro scientifico serio e disciplinato i cui risultati siano logicamente fondati, in quanto frutto di lavoro razionale, universalmente comunicabili e quindi in linea di principio anche universalmente condivisibili 
È per questo motivo che chi scrive vorrebbe affiancare al progetto ’Hegel-Wochen’ un altro progetto dal nome ’Laboratorio Filosofico G.W.F. Hegel’. Si tratta di creare un gruppo di lavoro che, anche sulla scia di quanto già iniziato (Wandschneider, Schild, de Angelis), si misuri in modo approfondito con i testi hegeliani sottoponendoli a critica serrata ed a verifica sul campo della loro pretesa di assolutezza. In questo laboratorio filosofico occorrerebbe separare nell’intero corpus della filosofia del pensatore svevo quel che vi è di obsoleto da quel che vi è di assoluto e dunqu di eternamente valido, e fondare su quest’ultimo un sistema filosofico adatto alla nostra epoca, un nuovo manuale di filosofia.
Ma ha la nostra epoca bisogno di un tale manuale, di una filosofia assoluta?

4.  Il principio della ’falsa’ modernità: l’indipendenza di religione/filosofia e politica sulla base della resa al nichilismo, al relativismo, alla perdita di valori assoluti
La risposta da dare a tale domanda è evidentemente ed apparentemente una risposta di carattere negativo. Sembra infatti che il nostro mondo, la nostra epoca non abbiano bisogno né di una religione né di una filosofia ufficiali, le quali svolgano la funzione di fondamento teoretico della realtà statuale etico-politica. 
Il principio  della modernità sembra essere infatti l’individuo come valore assoluto, senza che il contenuto della vita dell’individuo venga definito in modo più specifico, e ciò di cui v’è bisogno al di là degli individui è poi la legge che regoli il loro interagire a salvaguardia sembra e solo dell’individuo singolo.
Nel modo più barbaro e materialista, come ’profitto’, questo è il principio dominate delle democrazie occidentali e pian piano sta diventando o vorrebbe diventare il principio dominante sul pianeta Terra.
Dinanzi a tale predominio assoluto dell’individuo e del profitto la religione e la filosofia sono decadute a qualcosa di isolato, di relegato nell’angolino della coscienza singola, ma non di avente una funzione ufficiale istituzionalizzata. 
La religione, pur nel caso di confessioni, quale quella cristiana, che contano centinaia di milioni di fedeli, non svolgono alcun ruolo ufficiale nella direzione della cosa pubblica, pur mantenendo ovviamente inufficiosamente un ruolo importante nell’educazione popolare. È indubitabile comunque che stiano inesorabilmente perdendo la funzione ufficiale che spettava loro in passato.
La filosofia, che avrebbe potuto e dovuto avvantaggiarsi di questa perdita di autorità ufficiale della religione, sostituendola alla guida dello Stato, non vi è riuscita e ciò per propria colpa. Come potrebbe infatti una disciplina dilaniata al proprio interno da innumerevoli posizioni diverse, sentendosi ogni professore di filosofia all’altezza di poter esprimere una propria opinione sulla verità, essere di guida alla società nel suo complesso? 
Proprio il mondo accademico della filosofia è oggi un esempio di quel che non deve essere una disciplina scientifica, quello che non deve essere un lavoro professionale serio e responsabile. Mancando del tutto canoni di giudizio sulla serietà e scientificità delle opinioni soggettive, non si può discernere il pensatore serio da quello improvvisato, il vero filosofo originale dal ripetitore di professione. 
Un primo risultato di questo marasma all’interno del mondo accademico della filosofia è ovviamente una totale perdita d’autorità, per cui in sostanza i filosofi o comunque in generale i pensatori nella società di oggi non contano niente, a meno che non facciano essi stessi politica, ossia non abbandonino in ultima analisi il terreno della ricerca pura.
Un secondo risultato di ciò è poi il totale relativismo o ancor peggio nichilismo che domina la filosofia (almeno in Occidente). Proprio perché non si è stati in grado di elaborare almeno alcune linee di orientamento per distinguere il pensiero autentico, vero, da quello improvvisato, il pensiero serio e responsabile, da quello facilone e salottiero, l’unica teoria che poi si ha potuto in queste condizioni divulgarsi è stata la negazione della verità di qualsiasi teoria, ossia il relativismo assoluto ed il nichilismo che ne rappresenta la diretta conseguenza.
I due pensatori che forse hanno avuto un maggiore influsso nel secolo appena concluso, Marx e Nietszche, non a caso sono stati l’unico il teorico della religione come oppio dei popoli e della filosofia come sovrastruttura non avente un valore di verità in sé, l’altro il teorico della morte di Dio e del superamento di qualsiasi valore assoluto. 
Le vicende storiche del comunismo e del nazionalsocialismo ed i drammi umani e sociali che queste esperienze storiche hanno provocato non possono non essere considerati anche come dirette conseguenze della totale distruzione di qualsiasi valore oggettivo di verità  operato da Marx e Nietzsche.
Ma anche le democrazie capitalistiche occidentali, pur non pervenendo apertamente al totale nichilismo, si basano nondimeno su un relativismo che appoggia solo il libero arbitrio del singolo individuo occidentale, non certo la vera libertà propria di qualsiasi uomo, occidentale e non. Fenomeni come la distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento delle popolazioni industrialmente meno sviluppate potrebbero però anche essere interpretati come conseguenze di un nichilismo di base che, tutto sommato, agisce, sebbene di nascosto, anche nelle democrazie dell’Occidente.
Unica voce dissonate in questo coro di annientamento della funzione ufficiale ed istituzionale della religione e della filosofia sembra essere il mondo islamico, il quale, proprio come reazione al nichilismo relativistico occidentale, cerca di salvare una società saldamente ancorata a valori ufficiali, universalmente validi per tutti i membri della società.
Con ciò ovviamente non significa che il mondo islamico sia l’esempio da seguire, dato che i valori ch’esso sostiene sono evidentemente quelli di una cultura religiosa tutto sommato superata nel tempo. 
Sembra allora che la modernità non abbia bisogno di una religione o filosofia ufficiale, ma che essa se la cavi da sola senza un appoggio di carattere teoretico alla sfera etico-politica della vita. 
Eppure a ben vedere questa è una falsa modernità. Non è infatti sorta la modernità sotto l’impulso del desiderio di conoscere razionalmente, di comprendete i veri principi della natura e della vita umana come anche i veri principi dell’assoluto? Non sono stati per es. fenomeni culturali quali la rivoluzione copernicana e galileiana (la scoperta del metodo scientifico), la rivolta umanistica contro la cultura medioevale alla riscoperta della verità insite nei testi classici, la riforma protestante per una religione seria, fondata sul libero esame e dunque su di interpretazione razionale del messaggio cristiano, ad inaugurare ed a gettare le fondamenta della modernità, della nostra epoca?
Com’è potuto dunque accadere che da un così forte desiderio di sapere scientifico, di conoscenza razionale dell’intera realtà visibile e non visibile e non solo della natura materiale si sia poi pervenuti in sostanza ad una sfiducia nella capacità della ragione di comprendere la realtà nei suoi aspetti più alti, quelli dello spirito e dei valori, dell’assoluto e quindi del legame tra l’uomo e la natura, la ragione ed il mondo?
La risposta che si può dare alla domanda iniziale sul bisogno di un manuale di filosofia da parte della modernità può essere allora così sintetizzata: la falsa modernità, quella che strada facendo ha perso di vista il proprio principio originario di una conoscenza razionale dell’intera realtà, non ha bisogno di un manuale di filosofia, ma la vera modernità, quella che tutto sommata agisce ancora sullo sfondo della cultura umana almeno occidentale, non può fare a meno di una tale manuale, di una visione sintetica egenerale, ma non superficiale, dell’intera realtà, del mondo in cui l’uomo vive e quindi del posto dell’uomo in questo mondo.
È allora proprio su questa nostra reminiscenza di quel che era il principio originario della modernità e che tutto sommato resta il principio base della nostra civiltà occidentale moderna, non possono che farci riflettere le parole del giovane Hegel, il quale in uno frammenti più noti del suo periodo universitario a Tubinga così si esprime in modo chiaro ed inequivocabile:
"La religione è uno degli aspetti più importanti della nostra vita..."
Proprio perché "la religione è uno degli aspetti più importanti della nostra vita", la quale ha il compito di organizzare le fasi più significative della vita dell’essere umano (la nascita, il matrimonio, la morte) come può uno Stato serio, uno Stato non improvvisato ma pensato, farne a meno? Ed infatti il giovane studente svevo nei fogli seguenti di questo frammento riflette su come lo Stato debba organizzare queste funzioni religiose, come le debba incorporare in sé senza lasciarle al caso dell’iniziativa non ufficiale di istituzioni pur affermate come la Chiesa.
Ma quel che il giovane Hegel scrive a proposito della religione, ossia la funzione di questa come l’anima dello Stato, il suo contenuto autentico, non si riferisce soltanto alla religione in senso stretto, dunque alla fede, ma si deve estendere anche alla filosofia. Lo Hegel maturo, infatti, chiarisce che religione e filosofia, pur essendo differenti nella forma, rappresentativa nel caso della prima, concettuale nel caso della seconda,  tuttavia svolgono - o, per meglio dire, dovrebbero e potrebbero svolgere - la medesima funzione di ancoramentoi della vita statuale a saldi valori etici. 
Quel che dunque il giovane Hegel afferma della religione in senso stretto, viene ripetuto con continuità storica dallo Hegel maturo a proposito della religione in senso largo, ossia della filosofia: ad essa spetta il compito nella modernità, dunque nella civiltà che ha superato il modo rapresentativo di cogliere l’assoluto, il compito di fondare lo Stato, di fornite agli uomini il necessario orientamento spirituale e morale.
Ecco perché nelle varie versioni e riedizioni che Hegel ha curato delle propri opere principali, in particolare della Enciclopedia delle Scienze Filosofiche e della Filosofia del Diritto, nelle quali si affronta in modo più diretto il rapporto tra la conoscenza dell’assoluto e la vita etico-politica dell’umanità, ricorre sempre in forma di annotazione, collocata più o meno sempre nei paragrafi di passaggio dallo Spirito oggettivo (il mondo etico-politico) allo Spirito assoluto (l’universo della religione e della filosofia), il tema del rapporto tra Stato e Chiesa.
In questa annotazione Hegel chiarisce, andando chiaramente contro la ’falsa’ modernità, ma annunciando quella vera, che non può esistere uno Stato vero, serio senza una religione (ovviamente nel senso largo, dunque una filosofia) che lo fondi, che ne giustifichi razionalemente, quindi scientificamente, quei valori etici che non possono non esserne a fondamento (incorporati nella costituzione, lo Stato interno).
È allora dalla lettura di queste annotazioni, supportate da quel che di simile e preparatorio si evince dallo studio del giovane Hegel e quindi dello sviluppo della filosofia del pensatore svevo, che emerge in modo chiaro il progetto religioso-filosofico di colui che ha portato a compimento la filosofia idealitstica. Tale progetto può essere definito come l’affermazione scientifica della filosofia come religione razionale assoluta a fondamento della modernità, della vera democrazia (basata questa non sul profitto e sul libero arbitrio, ma sulla vera libertà).
L’analisi approfondita dei tre concetti sottolineati come proprietà essenziali della vera filosofia, ossia anzitutto la sua ’scientificità’, poi la sua  ’religiosità’ ed infine la sua  ’democraticità’, ad ognuna delle quali sarà dedicata una lezione di questa prima Hegel-Woche, può fornire una visione d’insieme sul valore attuale della filosofia di Hegel e contemporaneamente anche indicare alcuni degli aspetti che sarà poi interessante approfondire nelle prossime Hegel-Wochen.

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Filosofia, scienza, religione e politica
nel pensiero di G.W.F. Hegel
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§5 La scientificità della filosofia dell’idealismo assoluto
Voler comprendere la scientificità di una concezione filosofica significa anzitutto ricercare quale sia l’aspetto che contraddistingue la filosofia rispetto alle altre forme di conoscenza, soprattutto ovviamente rispetto alle scienze empiriche. Occorre infatti anzitutto comprendere se la filosofia è o non è una scienza e, in caso di risposta positiva, chiarire quale sia l’oggetto, la problematica di cui essa fa scienza.


§6 L’oggetto proprio della filosofia come scienza
Ad una primo confronto tra la filosofia e le scienze empiriche risulta anzitutto la seguente differenza principale: le scienze empiriche hanno come oggetto soltanto un settore od un aspetto della realtà naturale e spirituale, la filosofia al contrario indaga la realtà in tutti i suoi aspetti e settori. Dunque la filosofia come scienza si caratterizza con l’essere non scienza di un solo settore del reale, ma del tutto naturale e spirituale.
     Naturalmente alla filosofia, se essa vuole avere uno status scientifico proprio, non basta essere semplicemente una somma dei risultati delle scienze empiriche parziali, il che comunque già di per sé è opera meritoria, ma evidentemente non basta a caratterizzare una scienza. Ciò costituirebbe una enciclopedia delle scienze empiriche,  redatta per esempio da una persona con una ottima cultura generale, la quale avesse lo scopo di sintetizzare in un testo unico i risultati fondamentali delle scienze empiriche.
     Se la filosofia vuole essere una scienza ben distinta dalle altre essa deve avere una propria problematica, un punto di vista particolare dal quale considerare la somma dei risultati particolari delle scienze empiriche. Vi è in effetti una domanda scientifica, un perché che non trova risposta e non può trovare risposta in alcuna scienza empirica. Si tratta della domanda relativa al senso della nostra vita e quindi alla direzione che occorre dare al nostro futuro sia individuale (etica) sia sociale (politica) sulla base della comprensione di tale senso.  
     Tale domanda in effetti non riguarda qualcosa di esistente o di già esistito - come sono tutti gli oggetti delle scienze empiriche - ma qualcosa che deve ancora esistere, che noi dobbiamo creare. Il metodo analitico e descrittivo della scienza empirica allora in questo caso non è più adatto, perché non v’è qualcosa da descrivere in quanto questo qualcosa deve ancora essere creato. La questione è appunto comprendere in modo scientifico cosa creare, quale contenuto dare alla nostra vita.
     La domanda sul senso della vita è allora la problematica che costituisce l’oggetto proprio della ricerca filosofica, oggetto che mai potrà essere proprio di una scienza descrittiva.


§7 Il metodo della filosofia come scienza
Il metodo della filosofia nel tentativo di dare una risposta alla questione del senso non può quindi essere quello descrittivo, poiché non v’è  ancora nulla che possa essere descritto, ma deve essere quello deduttivo. Ossia la filosofia, ovviamente sulla base dei risultati globali delle scienze empiriche,  dunque sulla base della conoscenza del mondo naturale ed umano cui tali risultati conducono, deve dedurre quale sia il senso della vita dell’uomo nell’universo per poi indicare all’umanità quale sia il contenuto ch’essa deve dare alla propria vita per essere felice, ossia, semplificando al massimo, per vivere bene, dato che evidentemente l’essere umano non può avere per scopo il vivere male. Il senso della vita dell’essere umano è naturalmente vivere bene, la filosofia ha il compito d’indicargli la via per realizzare tale senso. 
§3 La ricerca dell’assoluto come presupposto della ricerca del senso della vita umana
La comprensione del senso della vita umana nell’universo non può però prescindere dalla comprensione del senso dell’universo. Essendo infatti l’essere umano un parte del tutto la sua vita, se ha un senso, non può che averlo all’interno del tutto. Ogni parte riceve infatti sempre il suo senso all’interno del tutto di cui appunto è parte, all’infuori di tale rapporto tutto-parti non vi potrebbe evidentemente essere un senso per la vita umana.
     Ecco perché ogni concezione filosofica prima di formulare la propria etica, ossia di dare una risposta alla domanda sul senso della vita umana che costituisce l’essenza della filosofia, non può non contenere una parte fondativa, la quale ha il compito di considerare i risultati globali delle scienze empiriche dal punto di vista della ricerca del senso dell’universo, del principio che ne è alla base, l’archè. 
     Questa parte fondativa di una filosofia è la teoretica, mentre la parte poi conclusiva riferentesi al senso della vita umana è l’etica.
§4 Il sistema filosofico come espressione caratterizzante un’autentica filosofia
Dopo aver effettuato questo lavoro deduttivo, che ovviamente presuppone e contiene in sé il lavoro descrittivo degli scienziati empirici, il risultato sarà un sistema filosofico, ossia una concezione sia del senso del mondo naturale e spirituale sia del senso della vita umana individuale e sociale nel mondo. 
     Tutte le filosofie autentiche sono sistemi, filosofie che non assumono la forma di sistemi sono semplicemente riflessioni e pensieri sparsi più o meno interessanti, dunque letteratura, magari anche di valore, ma che non può aspirare al rango di filosofia in senso scientifico, perché non si basa su di una rigorosa deduzione logica fondantesi a sua volta su di una profonda conoscenza dei risultati globali delle scienze empiriche.
§5 La scientificità della filosofia dell’idealismo assoluto
Da questo punto di vista allora il sistema filosofico dell’idealismo assoluto - anche   indipendentemente dalle conclusione cui esso conduce - è già solo per la sua forma sicuramente un’espressione scientifica della filosofia, in quanto esso dà una risposta sia alla domanda circa il senso dello sviluppo del mondo (nella logica, nella filosofia della natura e dello spirito soggettivo ed assoluto) sia alla domanda circa il senso della vita umana nel mondo (nella filosofia dello spirito oggettivo).
     Esso inoltre fonda il proprio procedere scientifico con una chiara indicazione -  a sua volta giustificata in modo deduttivo - dei principi metodologici adottatti (la dialettica), per cui anche da un punto di vista rigorosamente formale esso è scienza e non fantasia soggettiva dell’autore.
[Lettura dalla Scienza della Logica dei passi più importanti relativi ai principi fondamentali della dialettica]
 
2. La religiosità della filosofia di Hegel (dell’idealismo assoluto)
2.1 La religiosità del sistema filosofico maturo
Soffermiamoci ora sul primo aspetto del pensiero hegeliano che abbiamo sottolineato, la sua religiosità.Che s’intende col termine del sistema filosofico dell’idealismo assoluto?
Abbiamo già accennato alla differenza tra religione in senso stretto ed in senso largo, cui Hegel accenna in modo breve ma chiaro al §  ... dell’Enciclopedia. Quando si parla di religiosità della filosofia dell’idealismo assoluto ci si riferisce evidentemente alla religione in senso largo e non in senso stretto.
Per religione in senso largo si deve intendere, seguendo il pensiero di Hegel, l’intera sfera dello spirito assoluto, la quale comprende anche l’arte, come intuizione dell’assoluto, e la filosofia, come sapere dell’assoluto. Nei loro confronti la religione come tale, dunque la religione in senso stretto, è rappresentatione dell’assoluto.
La sfera dello spirito assoluto è dunque quel momento della vita dello spirito in cui l’assoluto - nei tre modi diversi dell’intuizione, della rappresentazione e del sapere - si presenta allo spirito dell’essere umano. 
[annotazione e lettura: concetto di cfr. lezioni jenesi sulla filosofia dello spirito]
Il senso di questa presenza consiste nel fatto che attraverso di essa lo spirito prende coscienza di sé della propria essenza. Infatti se l’assoluto si presenta allo spirito ciò avviene non in modo automatico e meccanico, come per es. avvengono i processi naturali dell’essere umano, ma, per così dire, su sua richiesta, come risultato di un suo lavoro. È proprio dello spirito infatti il suo interrogarsi su di sé sulla propria essenza (chi sono io?) non in senso particolare, ma generale.
La risposta  che l’essere umano ha trovato a questa domanda non è avvenuta subito, in modo immediato, ma ha avuto bisogno di millenni e secoli per raggiungere un grado accettabile di compiutezza. Il processo temporale di questa progressiva risposta costituisce la storia della religione e della filosofia (per il momento si metta da parte la storia dell’arte).
Nel corso di questo processo l’essere umano ha potuto precisare in modo crescente l’assoluto e quindi comprendere in modo sempre più preciso la propria essenza. Ci si può esprimere ance così, che l’assoluto si è presentato non tutto in una volta all’essere umano, ma un po’ alla volta, a spezzoni.
Al termine di questo processo la presenta dell’assoluto nell’uomo si dispiega come Logos, come la ragione assoluta costituita dalle categorie che formano non solo la struttura del pensiero umano, ma anche la struttura dell’essere (unificazione di logica e metafisica). La scienza dell’assoluto è la Scienza della logica.
Il senso più profondo, l’aspetto centrale dell’assoluto come Logos, è la creatività razionale, il suo essere una forza creatrice universale. Quel che è dovunque presente nell’essere e dovunque agisce è dunque una creatività, una produttività intelligente, razionale (il Logos oggettivo), ossia che segue certe regole, certi principi, certe leggi, che poi, conosciute dall’essere umano (dunque dal Logos soggettivo) diventano le leggi della natura.
L’unità di Logos oggettivo e Logos soggettivo, il Logos che emerge pian piano dalle forme meno evolute di materia e della vita e giunge ad esistenza nella forma di vita umana, è il Logos assoluto. Esso può essere anche considerato come il Logos soggettivo, non come isolato dall’essere (Fichte ed idealismo soggettivo) ma come risultato teleologicamente previsto dell’essere.
In questo senso il Logos assoluto è Dio, dunque la causa prima dell’essere, perché tutto ciò che viene all’esistenza in realtà non è altro che un mezzo, una via affinché il Logos presente nella materia in forma necessaria ed incosapevole venga all’esistenza in una forma di vita libera e consapevole: l’essere umano.
L’essere umano nel suo aspetto di ragione, di pensiero è dunque la causa dell’essere non nel senso ovviamente di causa efficiente, ma nel senso di causa sui, perché ha teleologicamente prodotto se stesso. 
È il primo motore immobile, per esprimerci con Aristotele (ed infatti Hegel assegna al relativo passo di Aristotele l’onore di chiudere proprio il capitolo sullo spirito assoluto dell’Enciclopedia e quindi l’intero suo sistema).
Da questo punto di vista allora la Scienza della Logica ci si presenta non solo come una logica ed una metafisica, ma anche e soprattutto come una teologia. Non ci devono quindi meravigliare le relative parole di Hegel, quando afferma che:
"...prima della creazione..."
L’intero sistema filosofico di Hegel, dunque l’Enciclopedia delle Scienze filosofiche,  ci appare come una religione in senso largo, la quale ha nella sua prima parte, la Scienza della Logica, la fondazione teologica o metafisica mentre nella sua ultima parte, la Filosofia dello spirito, sono dedotte da questa fondazone le conseguenze a livello di vita umana (nella terza seduta di questo seminario approfondiremo tale sezione del sistema filosofico dell’idealismo assoluto).
Tornando alla domanda fondamentale della metafisica, dunque l’essere umano che chiede a se stesso in senso universale, la risposta è, il Logos universale.
Abbiamo ora chiarito in che senso la filosofia di Hegel nel suo aspetto teoretico debba essere considerata una religione in senso largo e che quindi anche perché da questo punto di vista vi sia una coincidenza tra religione e filosofia e la filosofia risposta in sostanza alla stessa domanda fondamentale della religione, ma in chiave fondamentalmene razionale ed a-dogmatica.
Pur nella loro coincidenza - se interpretiamo la religione - nondimeno Hegel ben chiarisce anche la differenza tra le due sfere della vita assoluto dello spirito, ossia tra la rappresentazione ed il concetto. 
Hegel stesso però non è stato sempre coerente nel suo definire il rapporto tra la propria filosofia e la religione, in particolare poi in rapproto alla religione cristiana. Ciò ha dato luogo immediatamente dopo la sua morte, ma anche ancora oggi tra i suoi interpreti a diverse interpretazioni, le quali in sostanza o vedono nel sistema hegeliana l’espressione razionale delle verità crisrtiane, dunque un’identità tra i due, oppure al contrario vedono nella filosofia del pensatore svevo un contenuto opposto al cristianesimo, dunque una totale opposizione tra le due concezioni dell’assoluto.
Dare una risposta e chiarire questa problematica soltanto facendo riferimento alle opere mature di Hegel è impossibile, perché in effetti lo stesso Hegel si è più volte contraddetto, a volte appoggiando il Cristianesimo e considerandolo come espressione rappresentativa dello stesso contenuto della filosofia dell’idealismo assoluto (per es....), altre volte esprimendosi in modo molto critico nei confronti della religione (in senso stretto)e quindi mettendo in risalto la superiorità della filosofia nei suoi confronti.
È solo uno sguardo al giovane Hegel ed allo sviluppo del suo sistema filosofico che può gettare luce sul vero significato dell’identità, sicuramente presente in Hegel, tra religione in senso largo e filosofia e quindi anche chiarire il senso profondo della differenza tra la sua  filosofia e la religione cristiana.
2.2 La religiosità degli scritti giovanili presistematici ed il senso autentico della religiosità del sistema
Forse lo sviluppo del pensiero di alcun altro filosofo è maturato tanto lentamente ma anche tanto costantemente e senza alcuna soluzione di continuità come quello di Hegel. Egli ha elaborato la propria filosofia letteralmente giorno dopo giorno aggiungendo ogni giorno un mattone ed alla fine i risultato è stato un edificio estremamente saldo, il sistema, il cui senso e significato deve essere ricercato in quel processo elaborativo.
La lettura degli scritti giovanili di Hegel, i cui relativi manoscritti, posseduti dai primi biografi di Hegel Rosenkranze e Haym, poi andati perduti, sono stati ritrovati e pubblicati da Dilthey e Nohl all’inizio di questo secolo, costituendo da quel momento in poi un continuo oggetto di ricerca proprio per la loro importanta relativamente al significato del sistema, rivela subito che il binomio religione-filosofia - anche in rapporto al concetto si Stato e dunque alla sfera della politica, rappresenta senza dubbio il Leitfaden dello sviluppo del pensiero del filosofo svevo.
Sin dai tempi di Stoccarda, quanto il futuro filosofo era ancora alunno del locale Ginnasio, le sue riflessionio, da lui meticolosamente registrate in un quaderno d’appunti, per fortuna tramandatoci, si soffermano sul concetto di sia dei dotti sia soprattutto dell’uomo comune. Hegel scrive al riguardo che quest’ultimo, che gli stava particolarmente a cuore
".... la religione del tempo..."
Questo tema dell’illuminamento dell’uomo comune, ossia come possa essere possibile illuminare il popoli, dato che i dotti vengono illuminati tramite le Scienze e le Arti, è il tema dominante di questi primi anni dello sviluppo del suo pensiero, come ha ben messo in evidenza già nel 1924 lo Schmidt-Japing, ma resterà il tema fondamentale dell’intero corso del pensiero di Hegel. Infatti che cos’è per es. la tematica della Fenomenologia dello Spirito e quella dello Spirito assoluto se non la presa di coscienza da parte dello Spirito di essere nella propria essenza universale l’assoluto e che cos’è tale presa di coscienza se non, perché evidentemente la scienza filosofica può essere raggiunta da chiunque, purché sia disposto a sottoporsi alla, come il nostro ha chiarito in una delle frasi chiave della Fenomenologia?
Colui che conosca a fondo l’intero corpus del pensiero hegeliano nel suo sviluppo cronologico - e lo conosca nel senso di saperlo proprio, di aver rivissuto con Hegel tale sviluppo - non può dunque non riconoscere tra le prime riflessioni di Stoccarda e la versione definitiva ed ultima del sistema, l’Enciclopedia del 1830, una continuità di contenuto evidente, anche se ovviamente i termini, ossia la forma in cui tale contenuto è esposto sono in partedifferenti.
Ovviamente lo sviluppo di questa problematica fondamentale proprio del pensiero di Hegel, ossia come sia possibile illuminare l’uomo comune, attraversa diversi stadi, i quali costituiscono le varie fasi tramite le quali Hegel costruisce in modo estremamente serio e da vero studioso, la soluzione scientifica di questa problematica.Diamo uno sguardo a volo d’uccello a a tali fasi.
Una prima fase è chiaramente circoscritta al periodo di studi universitari a Tubinga ed al primo anno del precettorato in Svizzera, dunque sono li anni 1788-1794. I frammenti più significativi di questo periodo sono i testi 16 e 26, secondo l’attuale edizione dei Gesammelte Werke. 
Il testo 16, costituito a sua volta da più fogli manoscritti in parte anche lacunosi, quindi in sostanza frammentari, contiene nel modo più dettagliato l’esposizione della problematica fondamentale che agitava l’animo del giovane studente dello Stift. 
Questa frase ci può essere d’’aiuto per comprendere tale problematica:
"...Meine Absicht..."
Il modo stesso in cui Hegel scrive, ("il mio intento etc.), ci rivela un programma, un progetto di lavoro che si sta pian pian andando elaborando.
Il testo 26 poi contiene le conclusione, almeno quelle provvisorie relative a questa prima fase,  cu Hegel perviene.
L’ultima frase di tale testo ci chiarisce quale sia questa conclusione:
"Ora il sistema della religione..."
Da questo momento in poi, siano verso la fine del 1794, lo sviluppo del pensiero di Hegel procede avendo il chiaro scopo di costruire il sistema della nuova religione, la religione che ridarà all’uomo la dignità perduta, che gli insegnerà a cercare l’assoluto ed il vero non più fuori, bensì dentro di sé. 
In questa formulazione originaria del programma filosofico hegeliano occorre mettere in risalto due aspetti, apparentemente contrastanti, ma che al contrario proprio nella loro unità rappresentano quel qualcosa che costituisce la grandezza e l’originalità del pensiero di Hegel e quel fascino che tale filosofia ha sempre esercitato e tuttora esercita non solo ovviamente sui suoi seguaci, ma anche sui suoi oppositori.
Nel programma filosofico hegeliano sono presenti da una parte la tematica - prettamente laica e filosofica - della ricerca dell’assoluto e della verità nell’uomo e fuori dell’uomo. Questo - considerato in sé - non è un prodotto originale di Hegel perché l’intero pensiero illuministico così come anche il pensiero kantiano si era orientato in questa direzione. 
Dall’altra parte però in Hegel è presente l’aspetto della religione, in quanto questa ricerca dell’assoluto da parte dell’uomo deve dar vita ad una nuova religione, una religione della dignità, e non ad un sistema filosofico per dotti. Questo aspetto della religione manca sia nell’illuminismo che in Kant, in quanto per queste visioni del mondo il punto più alto cui il pensiero può pervenire, l’assoluto, è la ragione umana e non un dio, un assoluto, comunque un principio ad essa comunque superiore.
Dunque sin dall’inizio del suo filosofare sono compresenti in Hegel l’esigenza di dignità e contemporaneamente l’esigenza di assoluto. Ma come si fa a coordinare e conciliare queste due esigenze, apparentemente in contraddizione tra di loro, poiché la prima (l’esigenza di dignità) non vuole soggiacere ad alcun assoluto e la seconda (l’esigenza di assoluto) rischia di sottomettere la dignità?
La soluzione di questa opposizione tra religione e dignità  e quindi la realizzazione del proprio programma filosofico originario rappresentano dunque il senso ed il contenuto fondamentale dello sviluppo del pensiero hegeliano a partire dalla fine del 1794 in poi.
I primi anni di questo sviluppo - di 1795 al 1799 - sono dedicati da Hegel allo studio del Cristianesimo. In tale studio il giovane pensatore è mosso dalla domanda sul come sia stato possibile che una religione, quella cristiana, che originariamente - dunque nel messaggio di Gesù rispettava la dignità dell’uomo, sia nel corso dei secoli diventata positiva, ossia abbia assunto forme istituzionali tali da sottomettere la dignità dell’uomo, in quanto alla fine si è perso di vista il messaggio d’amore e ci si è concentrati sull’adorazione di Gesù quale figlio di Dio (il che ha dato inizio alla superstizione).
Hegel rinviene il motivo di questa istituzionalizzazione del cristianesimo in un fattore storico relativo alla nascita di questa religione, ossii#a al fatto che essa si sia diffusa e sia stata diffusa originariamente dal popolo ebreo, il quale sin dalle origini era un popolo scisso, dunque un popolo che non era riuscito a comprendere l’unità tra Dio ed il mondo, tra Dio ed il mondo. Per questo motivo il popolo ebreo aveva riportato tale scissione anche nel messaggio di Gesù, che era invece un messaggio d’amore, dunque di unificazione e  conciliazione e non di scissione.
Sulla base di questa sua interpretazione della storia del cristianesimo Hegel riflette in modo molto approfondito sul concetto di amore al fine di comprenderne la struttura logica, atemporale. Benché infatti egli non ne sia ancora consapevole avviene un fatto molto importante nel pensiero di Hegel intorno agli anni 1796-1799. Da una parte il giovane filosofo conduce serrati studi di storia della religione, in particolare di storia del cristianesimo, dall’altra però riflettendo in modo già filosofico ed anche già dialettico sui concetti fondamentali di tale religione, in primo luogo sul concetto dell’amore, egli trasforma le rappresentazioni basi del cristianesimo in concetti filosofici. 
Così accade un fatto apparentemente strano, che ha fatto parlare di una cesura all’interno dello sviluppo del pensiero di Hegel intorno al 1800, ma che in realtà, a chi conosca approfonditamene l’intero corso del pensiero hegeliano, non appare per niente strano: ancora alla fine del 1800 Hegel scrive che
"... la filosofia deve terminare con la religione..." 14 settembre
Nel "Frammento di Sistema", dal quale è estrapolata la frase, Hegel elabora infatti un primo sistema filosofico, il cui protagonista è il concetto di vita infinita (l’assoluto) contrapposto alla vita finita (il mondo della natura e dello spirito), la quale deve elevarsi alla prima e tale elevazione scrive Hegel è possibile tramite la religione.
Abbiamo dunque in questo primo abbozzo, anch’esso pervenutoci purtroppo monco, già comunque lo schema generale del futuro sistema hegeliano, il finito che si eleva all’infinito, soltanto che Hegel è ancora convinto che tale elevazione debba avvenire tramite la religione.
Già neanche due mesi dopo, il 2 di novembre del 1800, Hegel scrive in una lettera a Schelling che
"...nel cammino 
Dunque già sia tramite questa ammissione che il proprio sviluppo si sta orientandoi verso la scienza, dunque verso il sapere razionale, la filosofia, sia anche tramite la scelta professionale di insegnare tale disciplina a Jena, Hegel mostra chiaramente di star maturando un progressivo allontanamento dalla religione, sia nel senso dell’oggetto fondamentale delle proprie riflessioni sia nel senso - ad esso collegato - del posto da lui dedicato a tale sfera nel sistema che sta pian pian prendendo forma.
Così Hegel passa a Jena e pian piano nei primi anni jenesi in corrispondenza ai propri corsi di lezione su Logica/Metafisica e Diritto Naturale elabora le linee generali del proprio sistema filosofico.
Questo processo lento ma sicuro di strutturazione del sistema definitivamente come filosofia, come pensiero razionale culmina nel 1805-06, quando ormai la logica-metafisica, grazie al manoscritto del 1804-05 è ormai delineata nei suoi principi fondamentali ed anche la cosiddetta filosofia reale, ossia la filosofia della natura e dello spirito nei rispettivi manoscritti sono delineate nei loro contorni ormai definitivi.
Il coronamento di questo lavoro del concetto, di questa costruzione razionale del sapere scientifico, da un punto di vista dello sviluppo del pensiero hegeliano si ha in un frammento probabilmente redatto intorno al 1805 che sembra concludere il Sistema dell’eticità del 1802 - che Hegel voleva orginariamente pubblicare - e che da un punto di vista sistematico contiene la fine del sistema (ossia corrisponde a quel che sarà nell’Enciclopedia il capitolo sullo spirito assoluto.
In questo frammento, tramandatoci ol titolo Continuazione del Sistema dell’eticità ed il cui manoscritto è andato perduto, quel che colpisce è la chiara consapevolezza che Hegel ha nel frattempo conseguita, che la il momento più alto della vita dello spirito non sia la religione ma la filosofia e quindi, ribaltando la frase del Frammento di Sistema del 1800, non è più la filosofia a dover terminare con la religione, bensì quest’ultima a terminare con la filosofia. (Lettura del frammento).
Il disegno che Hegel offre qui della Stories religiosa dell’umnait`aè di grande importanza perché chiarisce quale fosse l’autoconsapevolezza filosofica di Hegel allo stato nascente del suo sistema filosofica. Tale autoconsapevolezza si è in parte perduta poi col passare degli anni e con il tentativo forzato di Hegel di racchiudere qualsiasi contenuto nella camicia di forza del sistema. Qui invece, come negli altri scritti del periodo di Jena, abbiamo il sistema filosofico nella sua formulazione originaria la quale contiene anche il suo significato originario, quello profondo, autentico e quindi vero prima che influenze storiche, psicologiche, sociali, familiari etc. portassero Hegel a mitigare in parte la portata rivoluzionaria ed innovativa del proprio pensiero.
Nella parte conclusiva ricomprare in forma chiara quel binomio, quell’opposizione da cui aveva preso le mosse la costruzione del sistema: la religione e la dignità. In effetti Hegel chiarisce qui la terza epoca della Stories religiosa dell’umanità dev’essere costituita da una nuova religione la quale formi un popolo libero, dove libertà significa avere la forza di sopportare il dolore della scissione tra finito ed infinito, dunque il dolore della morte, restando sul proprio terreno e basandosi sulla propria maestà, sulla propria forza (dunque senza ricorso ad un dio estraneo). Questa conoscenza di comprendere tale dolore (che ha dominato il mondo nel corso degli ultimi due millenni) e contemporaneamente di elevarsi al di sopra di esso (ritorno il concetto della proprio del Frammento di Sistema), come conlude Hegel, può essere fornita solo dalla filosofia.
Così è la filosofia e solo la filosofia, evidentemente Hegel si riferisce qui al proprio sistema filosofico appena elaborato, a poter svolgere la funzione importantissima e decisiva per l’umanità di conciliare religione, ossia bisogno dell’assoluto, e dignità, bisogno che questo assoluto non schiacci l’uomo, ma lo elevi, lo renda degno di avere un valore infinito.
La filosofia dell’idealismo assoluto deve allora assolvere a questo compito importantissimo di conciliare religione e dignità e questo è il senso autentico, il significato originario e profondo del sistema filosofico hegeliano. Tale sistema ci si presenta con la pretesa di essere la religione della terza fase della Stories religiosa dell’umanità, la fase della riconciliazione dell’uomo col mondo secondo lo schema
1 fase - conciliazione originaria - l’assoluto è nel mondo, nella materia - politeismo - 
2 fase - scissione - l’assoluto è fuori del mondo, in forma spiritauale -  monoteismo
3 fase - riconciliazione - l’assoluto è nel mondo come spirito - idealismo
La filosofia filosofico di Hegel o più in generale dell’idealismo assoluto dev’essere dunque la base su cui fondare la nuova civiltà, la prossima civiltà, quella dell’idealismo assoluto.
Questo dev’essere il lavoro dei filosofi nel futuro, una volta compreso l’assoluto tramite Hegel occorre realizzarlo.
Ma come dev’essere costituita tale civiltà? Quali devono essere i valori etici alla sua base? Hegel non ci ha lasciato senza risposta, ma ci ha indicato anche in questo caso quale sia la meta da perseguire, quali debbano essere i lineamenti di una civiltà filosofica, di una civiltà che concili bisogno dell’assoluto e bisogno di dignità dell’essere umano.
*
3. La democraticità della filosofia di Hegel (dell’idealismo assoluto) come fondazione di una vera democrazia
Le riflessioni sinora condotte hanno portato a questa duplice conclusione:
1.  La filosofia dell’idealismo assoluto è fondata scientificamente dunque è sapere, episteme, non opinione e doxa;
2.  La filosofia dell’idealismo assoluto è la nuova religione in senso largo a fondamento della civiltà post-monoteistica, la civiltà idealistica.
Si tratta ora di approfondire quali siano gli aspetti fondamentali di tale nuovo tipo di civiltà.
Come l’intera impalcatura teoretica di una concezione religiosa e filosofica non fa in effetti altro che fornire una risposta alla domanda sul in senso universale (è l’assoluto che si pone tale domanda attraverso l’uomo), domanda che l’essere umano diventato adulto sia al livello filogenetico che al livello ontogenetico inevitabilmente si pone, così ogni concezione religiosa e filosofia seria contiene anche una sfera più propriamente etica, la quale fornisce una risposta alla domanda. Anche in questo caso non si tratta della domanda particolare dell’uomo singolo, bensì della domanda universale posta a livello filosofico, sul senso della vita dell’essere umano in generale.
Evidentemente la risposta che un sistema religioso e filosofico fornirà a tale domanda è in stretto rapporto alla sua struttura teoretica. Nell’ambito del sistema religioso cristiano la risposta non può non avere a che fare con concetti quali,,, etc. tuttti aspetti etici del senso della vita di un cristiano in stretto contatto con la teoretica cristiana, fondata sulla distinzione tra la realtà terrena, imperfetta, e la realtà celeste, perfetta, cui ogni uomo deve aspirare.
All’interno del sistema religioso-filosofico dell’idealismo assoluto si ha evidentemente a che fare con un’altra concezione dell’assoluto, la quale s’incentra come spiegato sul concetto del Logos universale, immanente al mondo e presente nell’uomo quale sua essenza.
Una vita etica, da un punto di vista idealistico-assoluto, consisterà fondamentalmente nel vivere rispettando la propria essenza, dunque il Logos universale creatore e razionale presente in ognuno di noi.
Il primo valore etico assoluto è dunque creare, ideare cose nuove e realizzarle, continuando così in modo libero la creazione meccanica e necessaria della natura materiale. 
Il nostro poeta C. Pavese ha definito in modo a mio avviso molto suggestivo questo concetto racchiuso in generale nel concetto del lavoro:
"Lavorare è vestire la terra"
Bene allora il nostro primo compito da un punto di vista etico è vestire la terra, il pianeta, la casa comune, che ci è stata attribuita dallo sviluppo della natura materiale.
Ma già al proposito di questo primo valore etico, di questa prima determinazione fondamentale ed ancora generale, indeterminata del senso della vita dell’umanità, sorge la necessità di chiarire un concetto, il concetto di.
Sotto questo concetto si potrebbe interpretare l’etica dell’idealismo assoluto come una serie di compiti, di doveri che vengono per così dire imposti dall’alto all’umanità. Questa è però una concezione sbagliata, che appartiene al kantismo e non all’hegelismo. 
Nell’ambito della filosofia di Hegel infatti diritto e dovere, piacere e obbligo coincidono, proprio sulla base della concezione teoretica del Logos come essenza naturale dell’essere umano.
Se infatti la nostra essenza, il nostro vero e proprio essere consiste nell’essere individui creatori e razionali, è evidentemente che sarà la nostra realizzazione, la nostra felicità dunque il poter vivere da creatori, ossia il poter realizzare la nostra vera essenza.
Infatti in molti passi delle sue opere, soprattutto dell’Enciclopedia e della Filosofia del Diritto, Hegel espone sia il concetto dell’identità di diritto e dovere sia quello di felicità (come risvolto psicologico della vera libertà, che consiste appunto nella realizzazione della propria essenza creatrice da parte dell’essere umano).
La filosofia etica dell’idealismo assoluto è una filosofia della felicità, della liberazione e non della limitazione della creatività dell’essere umano, come Hegel chiarisce in diversi passi significativi, sempre ricorrenti e che dunque costituiscono paragrafi fondamentali del proprio sistema filosofico..
Anche il concetto di libertà svolge in questa problematica un ruolo centrale. è all`interno del sistema filosofico idealistico-assoluto infatti una vita la quale consista nella realizzazione della propria essenza creatrice, questa è la vera libertà, la quale si distingue in modo netto dal libero arbitrio, che è invece soltanto la duplice possibilità insita in qualsiasi scelta dell’uomo singolo. 
Certo il libero arbitrio, ossia la possibilità di scelta, è una condizione della vera libertà, perché senza libertà come libero arbitrio l’individuo non potrebbe neanche scegliere di svolgere quelle attività che gli consentano la realizzazione della propria creatività.
Anche su questa distinzione tra vera libertà e libero arbitrio Hegel si è soffermato sempre in ogni sua opere di carattere etico.
Ma evidentemente per fornire una risposta adeguata e soddisfacente alla domanda circa il senso della vita umana nel mondo non è sufficiente indicare tale senso come creatività in generale, ma occorre poi specificare cosa l’uomo debba creare, quali debbano essere gli obiettivi primari di questa attività creatrice.
La risposta fornita da Hegel, seguendo la fatica del concetto, a questa ulteriore domanda è abbastanza complicata, perché l’oggetto stesso è molto complicato. Occorre dunque ricostruirla piano piano.
Per fornire una risposta a tale domanda occorre anzitutto analizzare il concetto dell’essere umano, dunque dello spirito. Lo spirito è in primo luogo formato da una costituzione materiale, da una base non creativa, ma meccanica. Si tratta dell’aspetto biologico dell’essere umano. Tale aspetto ha nel bisogno di assimilazione e di riproduzione i suoi due elementi fondamentali, l’uno necessario ai fini della sopravvivenza dell’individuo, l’altro ai fini della sopravivenza della specie. Senza soddisfaciemento di questi due bisogni elementari non si può avere vita dell’essere umano e dello spirito.
Dunque il bisogno come tale è il primo aspetto fondamentale della vita dello spirito, esso appartiene alla sfera dello spirito soggettivo, la quale contiene gli aspetti ancora naturali ed immediati dello spirito, quelli che ne costituiscono la struttura già data per natura (per es, intelligenza, memoria, sentimenti, ricordi etc.).
Ovviamente su questa base di partenza non è possibile fondare una vita libera e creativa perché i bisogni sia nel loro insorgere sia nella loro soffisfazione sono necessari, essi cioà si impongono all’essere umano, il quale li deve soddisfare pena la sua morte come individuo o come specie.
L’atteggiamento dell’essere umano nell’atto del soddisfacimento die bisogni è di tipo consumativo, non creativo. C’è un oggetto, il mondo, che deve essere consumato e questo consumo permette la sopravvivenza dell’individuo. Il mondo, l’oggetto è mezzo per il fine del soddisfacimento del bisogno.
Fin quando il comsumo riguarda oggetti non spirituali ma materiali, che non si ribellano al loro consumo, non sorgono problemi. Altro è invece nel caso del consumo di oggetti costituiti da altri esseri umani, i quali evidentemente non sono oggetti, ma soggetti, non sono cose ma anime.
Ma sia il bisogno dell’assimilazione (per es. tramite l’inevitabile concorrenza per il procacciamento delle scarse risorse) sia ancor più il bisogno della riproduzione pongono il soggetto direttamente in rapporto ad altri soggetti i quali dovrebbero essere mezzi per il soddisfacimento del suo bisogno.
Emerge così un rapporto soggetto-soggetto inizialmente fondato su di un reciproco bisogno in cui però ognuno dei due soggetti vede l’altro come oggetto, mezzo, e non come soggetto, fine della propria azione.
Questa situazione contiene in sé una evidente contraddizione in quanto i due soggetti sono appunto soggetti e non oggetti. Da ciò nasce una lotta per il riconoscimento, ossia i due soggetti, pur legati da un desiderio reciproco, nondimeno entrano in lotta reciproco al fine di essere riconosciuti come soggetti, dunque come esseri creatori e non come oggetti, mezzi.
Questa lotta attraversa varie fasi, caratterizzate dal momentaneo cedere di una parte e dunque da un riconoscimento solo unilaterale, per giungere poi al momento finale in cui, nel caso il legame fondato sul desiderio reciproco permane e non venga meno, si forma un rapporto di tipo spirituale, nel quale i due sogetti si riconoscono reciprocamente come tali, si vedono non più come mezzi ma come fini, ognuno ha come scopo la realizzazione dell’altro ed essendo ciò reciproco ognuno realizza attraverso l’altro se stesso.
Questo risultato positivo della lotta per il riconoscimento è la autocoscienza universale, uno dei concetti fondamentali della filosofia di Hegel ed uno degli aspetti fondamentali della vita dell’essere umano.
L’autocoscienza universale è la struttura spirituale che fonda dunque la famiglia, lo Stato ed ogni altra istituzione che leghi in modo stabile esseri umani. All’interno di tale rapporto autoriconoscitivo i soggetti vivono ed agiscono come tali, ossia come esseri liberi e creatori, sono fini e non mezzi. L’autocoscienza riconoscitiva è perciò quel che consente il cosiddetto passaggio dalla natura allo spirito, il salto da una vita fondata sulla necessità, in cui si è schiavi di un sempre ricorrente bisogno, ad una vita fondata invece sulla libertà, in cui il bisogno è soddisfatto all’interno però di un’azione libera, di una creazione.
Le forme dell’autoscoscienza riconoscitiva che consentono la vita libera dell’essere umano sono le istituzioni della vita etica, della Sittlichkeit: la famiglia, la società civile e lo Stato.
La famiglia consente un soddisfacimento in forma libera del bisogno pur necessario della riproduzione.
La società civile permette il soddisfacimento in forma libera del bisogno dell’assimilazione.
Lo Stato infine è l’unità della famiglia e della società civile e come tale rappresenta l’autocoscienza universale del tutto libera, lo spirito che si riconosce e progetta la propria vita come essere libero. Lo Stato pertanto è alla base della famiglia e della società civile e si fonda anch’esso su di una forma di riconoscimento, che non è quella intersoggettiva ed interumana (orizzontale), ma quella  con l’assoluto, con l’essenza razionale universale che costituisce lo spirito e si deve autoriconoscere prima di potersi autorealizzare (riconoscimento verticale).
Questo riconoscimento verticale tra l’essere umano e l’assoluto presente in lui è la forma di riconoscimento fondamentale perché senza di essa non si può neanche avere quella intersogettiva. I soggetti possono infatti riconoscersi come liberi, come fini solo se hanno imparato a conoscere lo spirito come libertà, come finalità. Solo se hanno un concetto dello spirito, dell’assoluto come libertà potranno vedere nell’altro soggetto la libertà, la spiritualità e riconoscerlo dunque come tale. 
L’autoriconoscimento verticale dello spirito come nel suo rapporto con l’assoluto fonda pertanto la statualità, ossia il il modo in cui i soggetti si considerano, e ciò fonda poi il rapporto intersoggettivo a livello orizzontale, dunque la vera e propria lotta per il riconoscimento.
Dunque il momento dell’autoriconoscimento dello spirito nel suo rapporto con l’assoluto (l’autoriconoscimento dell’assoluto nell’uomo) è il fondamento dell’eticità e svolge pertanto un ruolo importantissimo nella vita dell’essere umano. Bisogna allora comprendere come esso avvenga.
L’autoriconoscimento dell’assoluto nell’uomo
La sfera della vita dello spirito nella quale si svolge tale riconoscimento è quella dello spirito assoluto. Essa costituisce quel momento della vita dello spirito in cui  questo prende coscienza della propria essenza universale. Non è qui lo spirito individuale il protagonista, come nel caso dello spirito soggettivo, ma lo spirito universale, il logos che permea di sé l’intera realtà naturale e storica. E’ questo logos che prende coscienza di sé, che emerge nell’uomo. Esso prende coscienza di sé in modo graduale, nelle forme dell’intuizione artistica, della rappresentazione religiosa e del concetto filosofico. Quest’ultima forma è quella che corrisponde pienamente al logos, in quanto è la forma razionale.
Hegel ha però fornito in varie altre parti della sua filosofia anche un’altra concezione di tal gradualità, fondata più su di una gradualità cronologica che non su di una diversità di forme. 
Importantissimo a tal riguardo è il frammento Continuazione del sistema dell’eticità, nel quale il filosofo svevo presenta una gradualità della presa di coscienza da parte dell’assoluto di sé che si può suddividere in 3 fasi costituite da politeismo, monoteismo ed idealismo.
A questa differente concezione della gradualità - di tipo maggiormente statico nel sistema, di tipo maggiormente dinamico in vari abbozzi e frammenti come anche nelle lezioni sulla filosofia della religione e della storia, è legata la difficoltà di interpretazione di questa sezione della filosofia di Hegel, in particolare di alcune questioni come quella della morte dell’arte ed anche della morte della religione, ossia del superamento di quest’ultima tramite la filosofia.
Da un punto di vista sistematico infatti, sembra che le tre sfere convivano l’una accanto all’altra, mentre da un punto di vista cronologico al contrario sembra che regni tra di loro il principio dell’Aufhebung, per cui alla fine solo la filosofia resta, pur contenendo in sé il sé l’essenza sia dell’arte sia della religione.
Quel che comunque interessa in questa sede è non tanto il rapporto tra l’aspetto sistematico e quello cronologico dello spirito assoluto, il quale meriterebbe d’essere approfondito in un seminario a parte, ma quello del rapporto tra la sfera dello spirito assoluto in generale, dunque la religione in senso largo, e la sfera dello spirito oggettivo, ossia lo Stato, in cui l’intero spirito oggettivo è sussunto, aufgehoben.
È questa tematica infatti che racchiude uno die concetti più importanti della filosofia di Hegel e probabilmente quello che per il mondo di oggi rappresenta sia qualcosa di unusuale sia anche qualcosa di fondamentale. Si tratta del rapporto tra filosofia/religione da una parte e la politica dall’altra.
In tutte le opere e gli scritti, nei quali Hegel ha trattato dello spirito oggettivo e dello spirito, dunque in tutte le sue filosofie dello spirito, ma anche per es. nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel a cavallo tra le due sezioni spirito oggettivo - spirito assoluto si è sempre soffermato sul rapporto tra Stato e Chiesa, nel senso generale di Stato e Religione/Filosofia.
[Lettura di qualche paragrafo relativo]
Dunque quel che Hegel vuole affermare in questi paragrafi essenziali della propria filosofia è che non vi può essere uno Stato libero, uno Stato autenticamente democratico, senza un riconoscimento religioso/filosofico dei suoi membri anzitutto con l’assoluto, dunque un autoriconoscimento verticale dell’assoluto nell’uomo, e, fondato su questo, un riconoscimento orizzontale intersoggettivo dei membri della società tra di loro. 
I valori di una società, ossia quei principi comuni ai suoi membri, sono appunto fondati da tale riconoscimento ed una società sarà etica solo se si fonderà su valori etici. Questo è il senso dell’espressione hegeliana. Un qualsiasi Stato o è unione di membri non etica, ossia senza riconoscimento orizzontale, allor ain questa società ognuno cercherà di fare i propri interessi contro quelli degli altri, oppure è un’unione etica, nella quale cioè i cittadini si considerano come fini e non come mezzi, in quanto si riconoscono reciprocamente come aventi un valore assoluto, spirituale, superiore alla semplice materialità (si riconoscono come soggetti e non come oggetti, fini e non mezzi). 
Ora è evidente che da un punto di vista hegeliano o in generale idealistico-assoluto soltanto una società etica nel senso appena indicato, ossia fondata sul riconoscimento interosoggettivo orizzontale, può essere una vera democrazia, una democrazia non fondata sul libero arbitrio, secondo il quale ognuno in effetti è legittimato a considerare l’altro essere umano come mezzo, ma sulla vera libertà, la quale presuppone che si consideri sé e l’altro come fine.
Il, come lo aveva definito Vater Kant, questo è il concetto di democrazia al fondo della filosofia dello spirito oggettivo hegeliana e del suo concetto fondamentale dello Stato etico.

I paragrafi sul rapporto tra Stato e Chiesa si rivelano allora essenziali al fine di comprendere il senso profondo del rapporto tra religione/filosofia e politica dal punto di vista della filosofia dell’idealismo assoluto. Per comprendere a fondo tale concetto, occore approfondire la teoria hegeliana del riconoscimento. 


*

SETTIMANA HEGELIANA 2

Riconoscimento Soggettivo, Oggettivo e Assoluto
come struttura concettuale fondamentale
del sistema filosofico hegeliano

*

SCOPO 

Nel corso della prima ‘Settimana-Hegeliana’ non è stato purtroppo possibile approfondire i numerosi ed importanti aspetti del pensiero etico-politico di Hegel, in quanto nonostante le 3 ore di lezione giornaliere (all’incirca metà per la relazione ed un’altra metà per la discussione) la complessità del pensiero teoretico del filosofo di Stoccarda ha impegnato tanto da non lasciare spazio ad un approfondimento della parte più propriamente etica del suo sistema filosofico.
     Così l’intento originario di dedicare soltanto la prima settimana alla presentazione delle linee generali del sistema filosofico di Hegel ha dovuto in itinere essere leggermente modificato. Si è deciso di sviluppare tale presentazione nelle prime due settimane hegeliane, la prima delle quali si è soffermata maggiormente sulla parte teoretica del sistema (logica e filosofia della natura + inoltre una lezione dedicata alle linee generali dello sviluppo del pensiero del filosofo negli anni giovanili), mentre la seconda approfondirà la parte etica del sistema, dunque la filosofia dello spirito (inclusa anche la filosofia della storia).
     Dato che sia le relazioni sia le relative discussioni della prima ‘Settimana Hegeliana’ si sono soffermate con particolare attenzione sul concetto di ‘filosofia come scienza’ nell’ambito del pensiero hegeliano, forse il suo tema andrebbe a posteriori così riformulato: Filosofia, Religione e Scienza nel pensiero di G.W.F. Hegel.
     Inoltre è stata presa la decisione comune di dedicare almeno una seduta di ogni ‘Settimana-Hegeliana’ alla lettura sistematica di un’opera di Hegel, cominciando ovviamente con la versione ufficiale del suo sistema filosofico, l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche (III ed., 1830). Se ne userà la traduzione italiana ad opera di Benedetto Croce (Laterza, BUL).


PROGRAMMA

Lunedì, 16 (SH-2.1): Il rapporto di fondazione tra filosofia teoretica ed etica, 
                               spirito assoluto e spirito oggettivo, Chiesa (filosofica) e Stato
                               secondo Hegel

2.1 Rapporto tra sfera teoretica ed etica all’interno di una concezione religiosa o filosofica

2.1.1 La sfera teoretica
2.1.2 La sfera etica
2.1.3 Il rapporto tra sfera teoretica e sfera etica

2.2 Il rapporto tra teoretica ed etica nella concezione della
      filosofia dell’idealismo assoluto di Hegel
2.2.1 Chiesa e Stato in Hegel
2.2.2 Il problema della forma di Chiesa fondata allo Stato fondato dalla  
         filosofia idealistico-assoluta
2.3   Il concetto idealistico-assoluto di ‘Stato etico’
2.4    I vari livelli di eticità nello ‘Stato etico’ 
                         
Martedì, 17 (SH-2.2):  Lo sviluppo dello spirito oggettivo, la storia (fenomenologia
                                 dello spirito a livello filogenetico) e lo Stato idealistico
                                 assoluto, vera democrazia, come suo risultato
                               
                                 2.2.1 Il riconoscimento verticale
                                 2.2.2 Il riconoscimento orizzontale
                                 2.2.3 La società fondata sul riconoscimento orizzontale
                                          idealistico-assoluto come vera democrazia
                                 2.2.4 La vera democrazia idealistico assoluta come ‘regno
                                         dei fini’ (Hegel e Kant)

Mercoledì, 18 (SH-2.3):   Lo sviluppo dello spirito soggettivo (fenomenologia dello
                                     spirito a livello ontogenetico) e la formazione delle 
                                     ‘autocoscienze universali’ (famiglia, società civile)
                             

                                     2.3.1 Riconoscimento orizzontale assoluto e soggettivo
                                     2.3.2 La lotta per il riconoscimento e la formazione
                                              dell’autocoscienza universale
                                     2.3.3 È necessaria la lotta per il riconoscimento?
                                     2.3.4 La creazione libera come senso della vita
                                     2.3.5 Il concetto idealistico-assoluto di ‘dovere’
                                     2.3.6 Il contenuto della vita etica

Giovedì, 19 (SH-2.4): Il contenuto dell’eticità assoluta come ‘bene vivente’

                                2.4.1 La base biologica dello spirito
                                2.4.2 Le categorie logiche alla base della vita dello spirito
                                  2.4.3 Il contenuto della vita etica: la famiglia e la società civile
                                2.4.4 La storia dell’eticità ed il concetto di ‘Bene vivente’
                                2.4.5 Il giusto atteggiamento etico soggettivo (la moralità)

Venerdì, 20 (SH-2.5): Lettura della Enciclopedia delle Scienze Filosofiche 
                                 (Introduzione, §§ 1-...?)

*

§1 Sintesi del risultato fondamentale della Settimana-Hegeliana 1

Le riflessioni condotte nell’ambito della prima Settimana Hegeliana hanno portato a questa duplice conclusione:

1.  La filosofia dell’idealismo assoluto è fondata scientificamente dunque è sapere, non opinione; essa è scienza nel senso forte di questo termine;

2.  La filosofia dell’idealismo assoluto è la nuova religione in senso largo a fondamento della civiltà post-monoteistica, la civiltà idealistica. Il sistema filosofico di Hegel, ultima grande espressione dell’idealismo assoluto, dev’essere quindi la base sulla quale elaborare a livello teoretico le linee generali di tali tipo di civiltà, per poi poterla realizzare a livello pratico.

Questo nucleo sintetico di pensiero l’abbiamo espresso al termine della Prima Settimana Hegeliana tramite una definizione del progetto filosofico alla base sia del  sistema e della vita intellettuale di Hegel sia anche della nuova civiltà ch’egli riteneva potesse e dovesse venir fondata sulla base di tale progetto:

Il progetto filosofico di Hegel consiste nell‘affermazione scientifica della filosofia come religione razionale assoluta a fondamento di una vera democrazia.

Si tratta ora di approfondire quali siano gli aspetti fondamentali di tale nuovo tipo di civiltà, in particolare per quanto riguarda gli aspetti più propriamente pratici di essa, dunque il mondo dell’eticità.

§2 Rapporto tra sfera teoretica ed etica all’interno di una concezione religiosa o filosofica

§ 2.1 La sfera teoretica

L’intera impalcatura teoretica di una concezione religiosa e filosofica non fa altro che fornire una risposta alla domanda relativa al ‘chi sono io’ in senso universale (è l’assoluto che si pone tale domanda attraverso l’uomo), domanda che l’essere umano diventato pienamente adulto sia al livello filogenetico che al livello ontogenetico inevitabilmente si pone. 
     Questa domanda contiene un’interrogazione sulla costituzione dell’essere, in quanto essa implica, per così dire come sottodomanda, quella riguardante il mondo (che cos’è il mondo, questo qualcosa che continuamente si presenta ai miei sensi, non provenendo dal mio interno, ma imponendosi a me dal di fuori?).
     La domanda ‘chi sono io?’ implica dunque la risposta all’altra domanda ‘cos’è il mondo?’ perché io sono parte del mondo, mi esperisco non solo come soggetto (l’io esperiente, riflettente e parlante) ma anche come oggetto (l’io che scopro in me, l’oggetto soggettivo col quale sono continuamente in rapporto e che devo conoscere, controllare, amare, stimare, ricordare e così via). Si tratta del mondo che è in me, il quale non è però del tutto diverso dal mondo che è negli altri, come mi conferma la comunicazione intersoggettiva. 
     Insomma c’è un mondo, un’oggettività che si presenta in modo intersoggettivo (Kant), la quale però in quanto non è creata dal soggetto (ciò sarebbe l’idealismo di Fichte), ma gli si presenta, gli si impone, è oggettiva (Schelling), anche se non da esso indipendente (Hegel).
     È dunque l’unità mondo-io, oggetto-soggetto che nella filosofia teoretica si interroga su se stessa.

§2.2 La sfera etica
Ogni concezione religiosa e filosofica completa contiene poi anche una sfera più propriamente etica, la quale fornisce una risposta alla domanda ‘che senso ha la mia vita’. Anche in questo caso non si tratta della domanda particolare dell’uomo singolo, bensì della domanda universale posta a livello filosofico sul senso della vita dell’essere umano in generale. Non è l’uomo singolo che si pone questa domanda, ma l’assoluto, che in lui abita, a porsela attraverso l’individuo. 
     La conoscenza del mondo (ognuno di noi ne ha una, per quanto rudimentale ed a-scientifica possa essere - per es. i miti, le superstizioni etc.) forma il presupposto indispensabile per la conoscenza del sé (dell’oggetto soggettivo che ci abita - anche in questo caso ognuno di noi ha sempre una conoscenza del sé per quanto semplice questa possa essere). Quest’ultima a sua volta forma il presupposto per la risposta all’ulteriore domanda, quella di carattere più propriamente etico, circa il senso della vita umana (dunque anche mia individuale) nel mondo. 
     Infatti, quel che poi costituisce il momento apicale di questa costante e profonda interrogazione che continuamente accompagna lo spirito umano non superficiale,  è l’ottenimento, al termine di questa via, di indicazioni di carattere pratico circa il senso da dare alla propria vita, i valori da realizzare in essa, gli scopi da perseguire e, se possibile, da raggiungere. 
     Queste indicazioni sono indispensabili per dare delle risposte pratiche a se stessi quando si tratta poi nella vita quotidiana di fare quelle scelte importanti che inevitabilmente costituiscono i momenti di svolta della nostra vita, quei momenti, spesso irreversibili, nei quali siamo chiamati ad optare per la possibilità A o B ed in base a tale decisione impostiamo la nostra vita in un modo piuttosto che in un altro (e tali impostazioni spesso determinano il corso della nostra vita per anni, decenni, a volte il suo intero corso).
     Si tratta delle decisioni riguardanti per es. la professione, il matrimonio, il luogo dove vivere, anche in generale il modo di rapportarci agli altri e tutte le altre decisioni importanti (si pensi per es. a chi commetta un delitto, magari anche sulla base di motivazione razionali, quale ipoteca metta sulla propria vita futura). 

[Lettura: Hegel, Scritti giovanili, testo 16, inizio]

§2.3 Il rapporto tra sfera teoretica e sfera etica

Alla base di queste decisioni, essendo l’essere umano sempre e comunque un essere razionale, vi sono delle scelte (tranne ovviamente che nel caso della morte naturale) ed alla base delle scelte vi sono dei valori, dunque vi è un’etica; ed alla base dell’etica vi è una teoretica, una concezione del mondo e del posto dell’essere umano nel mondo. Come si fa infatti a rispondere alla domanda circa il senso della vita umana (anche nostra soggettiva) nel mondo, se non si ha una qualche anche rudimentale concezione del mondo? 
     Nell’ambito del sistema religioso cristiano, per esempio, la risposta alla domanda etica circa il senso della vita umana nel mondo non può non avere a che fare con concetti o, meglio, rappresentazioni quali ‘carità’, ‘vita non peccaminosa’, ‘speranza di salvezza’ e così via, tutti aspetti etici del senso della vita di un cristiano in stretto contatto con la teoretica cristiana, fondata sulla distinzione tra la realtà terrena, imperfetta, e la realtà celeste, perfetta, cui ogni essere umano deve aspirare, dalla quale deriva il rapporto tra Dio e Gesù, Gesù e l’essere umano, Dio e l’essere umano e così via.
     Questo aspetto teoretico fondamentale della religione cristiana è quindi alla base di qualsiasi suo valore etico. Una religione quale quella cristiana, basata sulla separazione di due mondi, di due realtà, non potrà mai essere panteismo, mai quindi dare alla realtà terrena l’unica dignità di esistere, come per es. avviene in una concezione di tipo materialistico quale quella marxista. Di conseguenza tutti i valori etici cristiani e le scelte, che ogni cristiano sulla base di quei valori fa, sono in ultima analisi sempre improntate a quella fede di fondo sull’esistenza di una vera realtà, diversa da quella terrena
     Vi è dunque all’interno di una concezione religiosa o filosofica un rapporto inscindibile tra teoretica ed etica e la seconda è sempre saldamente ancorata alla prima, da cui viene fondata. Kant ha cercato di rivoluzionare tale rapporto, fondando la teoretica (religione) sull’etica (morale) tramite la teoria dei postulati, ma ciò è stato a buon ragione immediatamente criticato dai teologi di Tubinga e proprio dalla loro critica sono sorte poi le filosofie di Schelling ed Hegel. La teoria dei postulati, che chiude la Critica della ragion pratica, presuppone infatti il ‘fatto della ragione e della libertà’ che comunque è una verità di carattere teoretico e non etico. Del resto la Critica della ragion pura ha preceduto la Critica della ragion pratica e non poteva essere che così, dovendosi la morale sempre fondare sulla conoscenza del mondo, quale essa sia, anche di tipo fenomenico e non noumenico come in Kant.

§3 Il rapporto tra teoretica ed etica nella concezione della filosofia
     dell’idealismo assoluto di Hegel 

Il discorso di carattere generale sul rapporto tra teoretica ed etica non può non esser valido anche per la filosofia di Hegel e dell’idealismo in generale. In essa questo rapporto compare nella forma del rapporto tra la sfera dello spirito assoluto in generale, dunque la religione in senso largo, e la sfera dello spirito oggettivo, ossia lo Stato, in cui l’intera eticità (anche famiglia e società civile) è contenuta.
     È questa tematica infatti che racchiude uno dei concetti più importanti della filosofia di Hegel e probabilmente quello che per il mondo di oggi rappresenta sia qualcosa di unusuale e quasi di sconcertante sia anche qualcosa di fondamentale, di incredibilmente dimenticato, messo da parte. Si tratta del rapporto tra il binomio filosofia/religione da una parte e la politica (come anche l’etica in generale) dall’altra, che Hegel formula come rapporto tra la Chiesa (la forma reale della religione/filosofia) e lo Stato (la forma reale del mondo dell’eticità).

§3.1 Chiesa e Stato in Hegel

Quasi in tutte le opere e gli scritti, nei quali Hegel ha trattato il concetto di spirito,  dunque in tutte le sue filosofie dello spirito, ma anche per es. nei Lineamenti di filosofia del diritto, il filosofo ha sempre posto nel momento di passaggio dalla sezione dello spirito oggettivo a quella dello spirito assoluto un paragrafo, spesso in forma di annotazione, sul rapporto tra Stato e Chiesa, dove il termine ‘Chiesa’ sta per la forma esteriore, istituzionale della  religione/filosofia in generale (dunque la teoretica potremmo dire). Vediamone la formulazione nel testo ufficiale della filosofia hegeliana.

[Lettura e commento del  passo relativo dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche del 1830, § 552, annotazione relativa, pp. 526-536 dell‘ed. Laterza del 1989]

Dunque quel che Hegel vuole affermare in questo paragrafo essenziale della propria filosofia - perché non occasionalmente legato ad una sola pubblicazione, ma continuamente ricorrente -, è che non vi può essere uno Stato vero, libero, autenticamente democratico (tutte determinazioni queste che devono essere ulteriormente chiarite nel corso di questa seconda Settimana-Hegeliana), senza un riconoscimento religioso/filosofico dei suoi membri anzitutto con l’assoluto, dunque un autoriconoscimento verticale dell’assoluto nell’uomo.  Questo riconoscimento di tipo verticale deve poi fondare il riconoscimento orizzontale intersoggettivo dei membri della società tra di loro (la comunità ecclesiale filosofica, la Chiesa). 
     E’ evidente infatti che i membri di una comunità (quale che sia la sua estensione) si riconoscono ed accettano solo se si stimano e si stimano solo se hanno dei valori fondamentali in comune. Quando sia al giorno d’oggi sia nel passato accadono delle guerre ed ancor più guerre civili (ma non sono tutte le guerre ‘guerre civili’, ossia guerre tra concittadini, non siamo tutti concittadini in quanto cittadini del pianeta Terra?), i motivi occasionali possono ben essere d’ordine economico e materiale, ma al fondo vi è sempre un fattore religioso/filosofico, ossia la mancanza di stima e dunque di riconoscimento per l’altro come soggetto. Solo si considera l’altro come oggetto lo si può combattere, ma se lo si riconosce stimandolo come un soggetto, non lo si potrà mai combattere (dato che il presupposto per il riconoscimento è la conoscenza dell’altro, l’attuale globalizzazione nel senso non economico ma umano - per es. l’enorme faciltà negli scambi con stranieri, il turismo sia commerciale sia ludico, anche l’emigrazione, quando non quantitativamente sproporzionata, sono tutti fattori che, portando alla conoscenza dell’altro, costituiscono la base indispensabile per il riconoscimento dell’altro).

§3.2 Il problema della forma di Chiesa adeguata allo Stato fondato dalla filosofia idealistico-assoluta

Il problema che si è posto a Hegel è quale sia tipo di riconoscimento intersoggettivo comunitario sia adeguato alla forma scientifica della verità propria della filosofia dell’idealismo assoluto. 
     Nelle prime formulazioni di tale problematica, quindi negli anni della libera docenza a Jena (fino al 1806) e nei primi anni del periodo intermedio trascorso come rettore del ginnasio di Norimberga (intorno al 1810) il filosofo svevo sostiene una concezione fortemente rivoluzionaria secondo la quale la forma di Chiesa capace di operare la mediazione tra riconoscimento verticale (filosofia/religione) e riconoscimento orizzontale (Stato, eticità) deve essere una nuova Chiesa, una nuova religione (1805) oppure una Chiesa invisibile (1810). Dunque in questa prima fase Hegel esclude che il riconoscimento verticale possa avvenire nelle forme di una religione istituzionale esistente. 

[Lettura dei seguenti passi:

- frammento Continuazione del Sistema dell’Eticità (1802-05), da Vita di Hegel di Karl 
   Rosenkranz, pp. 153-158, soprattutto le pp. 157-158;
-  Filosofia dello Spirito del 1805/06, pp. 171-173 dell’ed. Laterza del 1983;
-  Enciclopedia delle Scienze Filosofiche del 1808 ss., § 207, pp. 241-243 dell’ed. La Nuova 
   Italia del 1977;

Nelle ultime formulazioni di questa problematica, dunque nel periodo di Berlino,  il pensatore opta al contrario per una soluzione molto più conservatrice, secondo la quale è il protestantesimo a fornire il modello di religione/chiesa corrispondente alla filosofia  assoluta (1830).  La religione pertanto sopravvive accanto alla filosofia,  non viene da questa eliminata (nel senso dell’Aufhebung). 

[v. sopra il passo dell’Enciclopedia]

D’altra parte però nelle lezioni universitarie, pubblicate dai suoi allievi dopo la morte del maestro, per es. nelle lezioni sulla filosofia della religione, anche appartenenti al periodo berlinese, si parla anche di un „perire della religione e di un suo rifugiarsi nella filosofia“.

[Lettura del passo relativo dalle Lezioni sulla filosofia della religione, pp. 424-427]

In conclusione, il rapporto Stato-Chiesa, eticità-teoreticità nell’ambito della filosofia di Hegel in particolare e dell’idealismo assoluto in generale può essere sintetizzata in questo modo: 

-  Hegel ha senz’altro chiarito in modo univoco ed inequivocabile che non è possibile che uno Stato esista senza un fondamento di tipo teoretico, che sia una filosofia o una religione; questo è un principio fondamentale dell’idealismo assoluto e tale filosofia non può venire riformulata oggi senza che di essa faccia parte questo concetto. Ciò vale non solo da un punto di vista teoretico generale, ma anche da un punto di vista storico in riferimento allo stesso Hegel: se infatti questa partedella sua filosofia si ritrova – sebbene in forme diverse – più o meno in tutte le formulazioni, pubblicate e non, del suo sistema, ciò significa che Hegel riteneva tale principio un concetto portante della propria filosofia, che non può essere espunto dalla medesima senza che in essa venga a mancare un pilastro fondamentale;

-  d’altra parte però Hegel non è riuscito a trovare nel corso della propria vita una soluzione definitiva a tale problematica, egli ha cioè lasciato senza risposta la domanda circa la forma di teoreticità e di Chiesa adeguata a fondare lo Stato etico assoluto. In particolare egli si è fermato alla questione del rapporto tra la filosofia, sicura forma adeguata di espressione del vero, e la religione/chiesa come forma rappresentativa della verità. Fino all’incirca ai quarant’anni ed all’ottenimento di una cattedra universitaria il pensatore svevo ha sostenuto in testi pubblicati e non la concezione di una chiesa invisibile non legata ad alcuna religione istituzionale e quindi di un superamento storico della civiltà religiosa ad opera della civiltà filosofica, seguendo in ciò fedelmente sia Kant sia il proprio sviluppo giovanile; dopo i quarant’anni invece ed in particolare  nelle opere maggiori a stampa il pensatore ha optato per una coesistenza di filosofia e religione cristiana protestante come forme di riconoscimento verticale a fondamento dello Stato etico. Anche in questa seconda fase però nelle lezioni universitarie il pensatore si è espresso per un superamento della religione ad opera della filosofia, anche se non ha fornito al riguardo delle indicazioni più precise circa le forme concrete di tale superamento.

Una nuova filosofia dell’idealismo assoluto dev’essere fedele allo spirito autentico dell’idealismo (e dell’hegelismo) che è evidentemente quello presente nei primi scritti e nelle lezioni, mentre nelle opere pubblicate sembra che Hegel abbia cercato di non urtare la suscettibilità del suo pubblico, in particolare della censura prussiana, evitando accenti troppo rivoluzionari e soprattutto un’aperta critica della religione. Da ciò il suo voler rassicurare le autorità statali presentando la propria filosofia come il migliore fondamento dello Stato – il che è vero – identificando però in figure storiche, per es. nella religione protestante e nel regno germanico, concetti solo teorici, per es. il concetto di religione in senso largo e di Stato assoluto in generale.
     Così il filosofo da una parte si è assicurato un’autorevole posizione universitaria, protetta dallo Stato, nel corso degli ultimi dieci anni della sua vita, dall’altra ha però inquinato il proprio sistema filosofico con elementi storici che non gli appartengono. Per quanto riguarda il rapporto tra Stato e Chiesa uno di questi elementi è l’identificazione della religione protestante come religione assoluta. La religione assoluta può essere invece solo la filosofia e la Chiesa vera solo quella invisibile di coloro che vivono seguendo i principi etici della filosofia assoluta. 


§4 Il concetto idealistico-assoluto di ‘Stato etico’

Il rapporto tra Stato e Chiesa, eticità e filosofia, nel senso appena spiegato, costituisce senz’altro il primo concetto fondamentale della filosofia etica idealistico-assoluta. I valori di una società, ossia quei principi fondamentali comuni ai suoi membri, che trovano poi espressione nel costume della società, nelle leggi non scritte come anche nella costituzione e dunque nelle leggi scritte, sono infatti fondati dal riconoscimento verticale ed a loro volta fondano il riconoscimento orizzontale intersoggettivo. In questo senso una società è sempre dunque una ‘società etica’ ed uno Stato è sempre uno ‘Stato etico’ perché inevitabilmente si fonderanno su valori, quali essi siano. Una società ed uno Stato senza riconoscimento orizzontale, fondato a sua volta dal riconoscimento verticale, sono impensabili come reali; ciò sarebbe lo stato di natura dal quale gli uomini per fortuna sono usciti.
     Questo è pertanto il senso dell’espressione hegeliana ‘Stato etico’. Un qualsiasi Stato o è un’unione di membri non etica, ossia senza riconoscimento orizzontale, allora in questa società ognuno cercherà di fare i propri interessi contro quelli degli altri e prima o poi il caos metterà fine allo Stato, oppure è un’unione etica, nella quale cioè i cittadini si considerano come fini e non come mezzi, in quanto si riconoscono reciprocamente come aventi un valore assoluto, spirituale, superiore alla semplice materialità (si riconoscono come soggetti e non come oggetti, fini e non mezzi, spirito e non materia). 
     L’eticità è dunque la prima determinazione del concetto idealistico-assoluto di Stato. Vediamo come Hegel formuli tale concetto.

[Lettura della sezione relativa nei Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§ 257, 258, 260, 261, 264, 265, 266, 268 sul patriottismo]

Non vi è pertanto nulla di più sbagliato che criticare la concezione hegeliana dello ‘Stato etico’ e considerarla come un precedente del nazismo. Quel che Hegel vuole dire è semplicemente che o uno Stato esiste veramente come tale, ossia si fonda su valori comuni ai suoi membri, dunque su di una eticità, un ethos fondamentale comune, allora non può che essere uno ‘Stato etico’ (noi oggi, anche se forse ne siamo ignari, viviamo in uno ‘Stato etico’ e nessuno tocca gli Ebrei!); oppure uno Stato non riesce a cementare la vita sociale dei propri cittadini tramite valori comuni ed allora sarà uno Stato non etico, non perché sarà cattivo o una dittatura, ma perché non riuscirà proprio a costituirsi come Stato, quindi prima o poi crollerà. 


§5 I vari livelli di eticità nello ‘Stato etico’ 

Ovviamente, pur essendo ogni Stato capace di sopravvivere come ‘Stato etico’, esistono vari livelli di eticità come del resto esistono vari livelli di teoreticità. Nessuno contesterebbe il fatto che la teoreticità attuale, ossia l’attuale comprensione del mondo e dell’essere umano grazie alla scienze naturali ed umane, sia superiore alla teoreticità del passato (per es. la nostra concezione evolutiva ed eliocentrica del mondo  in rapporto alla concezione statica e geocentrica tolemaica antica e medioevale).
     Quindi, se esiste una storia come progresso della teoreticità, deve esistere anche una storia come progresso dell’eticità, se abbiamo visto sopra che il legame tra teoreticità ed eticità è tanto stretto. Evidentemente per gli esseri umani passare da uno stadio teoretico precedente ad uno successivo più preciso e quindi fare un progresso nella verità teoretica (per es. il progresso dalla concezione geocentrica a quella eliocentrica) è molto più facile, pur essendo ben difficile, che non compiere il passo corrispondente nella verità etica. In questa infatti sono in gioco fattori vitali (senso della vita, valori, speranze nella vita futura, quindi anche paure, emozioni ed altri fattori di carattere anche non razionale) che non sono presenti o lo sono in minura minore a livello di verità teoretica.
     Ammettere per es. che sia la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa è sconcertante, perché siamo noi stessi in movimento, ma dopo tutto non più di tanto se si considera che di questo movimento non abbiamo alcuna percezione; esso quindi tutto sommato non ci riguarda direttamente. Concludere però da questa concezione teoretica che l’essere umano nell’universo è un granello di polvere insignificante, che l’universo certamente non è stato creato per lui, anzi non si può proprio parlare di creazione, e che dunque siamo del tutto soli in un’immensità di cui non conosciamo né l’inizio né la fine, rappresenta un passo in avanti ben più sconcertante e difficile da tollerare per lo spirito umano, il quale evidentemente deve essere ben forte per sopportare tale conoscenza.
     Non c’è dunque alcun motivo per ritenere che non vi sia un progresso nella storia etica parallelo, anche se non contemporaneo ma nel tempo leggermente sfasato, a quello della storia teoretica dell’umanità, anzi, se non vi fosse tale parallelismo, ciò sarebbe in contraddizione con l’assunto idealistico-assoluto dello stretto rapporto tra la sfera teoretica e quella etica della vita umana (improvvisamente avremmo una teoretica che progredisce ed un’etica che resta ancorata alla teoretica precedente, il che sarebbe un’aberrazione).
     Anche su questo aspetto della gradualità dell’eticità Hegel si è espresso nelle sue opere, per es. nei Lineamenti di Filosofia del Diritto. 

[Lettura del § 274]

Naturalmente a partire da questa concezione storicistica dello Stato potrebbe venir dedotta una concezione relativistica, ossia secondo la quale ogni popolo come ogni epoca storica ha la propria forma di Stato e pertanto non vi è una forma vera, migliore delle altre, assoluta di costituzione statale. Nonostante alcuni passi isolati dei testi hegeliani possano condurre a tale interpretazione (anche per es. il § 274 appena letto), è però sicuro e documentabile che la concezione idealistico-assoluta come tale non conduca ad un relativismo storico ma ad una concezione che potrebbe essere definita come ‘storicismo fenomenologico’. 

Secondo tale concezione la verità, per es. la vera forma di Stato, quella adeguata al suo concetto, lo Stato della libertà per tutti,  si realizza nel tempo, dunque nella storia, essa pertanto ‘appare’ secondo varie fasi e gradi (percorso fenomenologico) fino ad uno stadio ultimo, nel quale essa si costituisce nella sua forma più completa e perfetta. L’apparizione nel tempo non è quindi dominata dal caso (relativismo storico), ma retta da un senso dello sviluppo, da una logica immanente la quale si afferma e raggiunge il proprio scopo dominando il caso proprio della realtà bruta.

[Lettura dei §§ 548-549-550 dall’Enciclopedia del 1830]

[eventualmente: influenza di Kant sulla concezione fenomenologica hegeliana, lettura dei passi relativi dalla Religionsschrift]

Il senso della storia è allora, come affermato all’inizio del § 550, la liberazione dello spirito grazie alla quale esso perviene a se stesso ed a realizzare la verità, l’assoluto. Ciò significa che il culmine dello sviluppo storico-universale, la meta della fenomenologia dello spirito, sarà da una parte la sua autocoscienza assoluta, ossia l’elaborazione di una teoria nella quale lo spirito conoscerà se stesso come l’assoluto, dall’altra parte la comunità assoluta o Stato assoluto, ossia la forma sociale in cui lo spirito realizza se stesso.
     Il primo aspetto è l’oggetto della filosofia dello spirito assoluto ed in particolare della storia della filosofia (storia dello spirito che conosce se stesso, del riconoscimento verticale), il secondo della filosofia della storia (storia dello spirito che realizza se stesso, del riconoscimento orizzontale).


§6 La filosofia dello spirito assoluto o storia del riconoscimento verticale

La sfera della vita dello spirito nella quale avviene il riconoscimento verticale è quella dello spirito assoluto. Essa costituisce quel momento della vita dello spirito nel quale questo prende coscienza della propria essenza universale razionale. Non è qui lo spirito individuale il protagonista, come nel caso dello spirito soggettivo, ma lo spirito universale, il logos che permea di sé l’intera realtà naturale e storica. E’ questo logos che prende coscienza di sé, che emerge nell’essere umano. Esso prende coscienza di sé in modo graduale, nelle forme dell’intuizione artistica, della rappresentazione religiosa e del concetto filosofico. Quest’ultima forma è quella che corrisponde pienamente al logos, in quanto è la forma razionale. 
     Hegel ha però fornito in varie altre parti della sua filosofia anche un’altra concezione di tale gradualità, fondata più su di una gradualità cronologica che non su di una diversità di forme, tutte restanti poi l’una accanto all’altra.
     Importantissimo a tal riguardo è per es. il frammento Continuazione del Sistema dell’Eticità, risalente al periodo della nascita del sistema a Jena (tra il 1802 ed il 1805), nel quale il filosofo svevo presenta una gradualità storica del conseguimento dell’autocoscienza da parte dell’assoluto. Essa si articola in 3 fasi costituite dal politeismo (religione naturale), monoteismo (religione rivelata) ed idealismo (religione razionale o filosofia).

[Lettura della parte conclusiva del frammento]

Anche la filosofia ha però una sua storia, una sua fenomenologia, perché anche lo sviluppo della filosofia, come del resto da un punto di vista idealistico-dialettico ogni sviluppo, tende a raggiungere una meta immanente prefissata. Lo scopo immamente della filosofia, la sua idea, è evidentemente la conoscenza dell’assoluto. Che tale scopo venga realizzato tramite il proprio sistema filosofico non viene mai ammesso esplicitamente da Hegel nelle sue lezioni relative, ma lo si evince dal contesto delle due ultime lezioni quelle relative a Schelling ed all‘‘attuale punto di vista della filosofia’ come Hegel si esprime a proposito del proprio sistema filosofico, anche se non fa esplicitamente riferimento a se stesso.

[Lettura delle Lezioni di Storia della Filosofia, ed. La Nuova Italia del 1981, pp. 406-407 + 410-418]

Alla differente concezione della gradualità - di tipo maggiormente statico nel sistema, maggiormente dinamico in vari abbozzi e frammenti come anche nelle lezioni sulla filosofia della religione e della storia -, è legata la difficoltà di interpretazione di questa sezione della filosofia di Hegel, in particolare di alcune questioni come quella della morte dell’arte ed anche della morte della religione, ossia del superamento (nel senso dell’Aufhebung) definitivo di quest’ultima da parte della filosofia. 
     Da un punto di vista sistematico infatti, sembra che le tre sfere convivano l’una accanto all’altra, mentre da un punto di vista cronologico al contrario sembra che regni tra di loro il principio dell’Aufhebung, per cui alla fine resta solo la filosofia, pur contenendo in sé l‘essenza sia dell’arte sia della religione.
     Qualunque sia il tipo di interpretazione che si privilegi, la statica o la dinamica, è comunque evidente e fuori di alcun dubbio che Hegel (ed in generale l’idealismo assoluto) ponga il punto più alto di comprensione dell’assoluto, quello nel quale si ha la vera e propria autocoscienza assoluta, ossia l’uguaglianza di soggetto ed oggetto, contenuto e forma, nella filosofia, in particolare nella logica-metafisica.
     Questa disciplina, quale conoscenza delle categorie formanti la struttura del Logos assoluto, rappresenta l’unica forma adeguata di conoscenza dell’Assoluto, e sia l’arte che la religione come anche il politeismo ed il monoteismo nei confronti della logica-metafisica vengono ad essere soltanto stadi preparatori e forme inferiori.
     Dunque il momento più alto del riconoscimento verticale è segnato dall’apparizione della logica-metafisica, ossia dalla conoscenza delle categorie logiche (quali si aveva già per es. in Aristotele e poi in Kant) accompagnata però dalla consapevolezza che queste categorie sono non solo soggettive, ma anche oggettive, sono dunque il Logos assoluto che à al fondo del reale. 
     Vediamo ora quale debba essere il grado parallelo al livello di riconoscimento verticale, ossia il senso della storia dello spirito oggettivo.


§7 La filosofia dello spirito oggettivo: filosofia della storia o storia del riconoscimento orizzontale

Se il soggetto umano riconosce in sé, nel proprio spirito universale, l’assoluto, è evidente che non potrà non riconoscerlo anche nell’altro essere umano, essendo lo spirito, cui egli si riferisce, quello universale e non quello individuale suo proprio. 
     Le categorie logico-metafisiche infatti non agiscono solo in me, ma anche nella natura ed a maggior ragione agiscono anche negli altri esseri umani con i quali posso comunicare proprio perché al fondo dei nostri spiriti individuali agiscono le medesime strutture logiche universali. C’è insomma una comunicazione universale tra l’essere umano, la natura e l’altro essere umano che è fondata e resa possibile dalla presenza delle medesime strutture logiche.
     Se pertanto riconosco la presenza dell’assoluto in me, non posso non riconoscerla nell’altro essere umano, il quale quindi viene ad assumere ai miei occhi un valore infinito, il valore di soggetto libero e non di un oggetto necessario.
     Ogni essere umano è infatti un essere creatore, l’incarnazione dell’assoluto, dunque la divinità, il senso dello sviluppo dell’essere, il momento più alto  dell’emersione del Logos dalle catene della materia.
     Da questo „punto di vista superiore“ - come Hegel per la prima volta nello scritto sulla Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling definisce il punto di vista speculativo dialettico del suo idealismo assoluto proprio in rapporto ai punti di vista ‘inferiori’ in quanto limitati dei due suoi colleghi -, il soggetto umano nella propria universalità spirituale viene ad assumere il valore di essere l’assoluto, l’espressione più alta del Logos.

[Lettura dalla Differenzschrift delle pagine 82-83, 91-93]

Il riconoscimento orizzontale fondato dal riconoscimento verticale dell’idealismo assoluto sarà dunque ispirato da tale enorme valore attribuito all’essere umano e da questo valore saranno poi derivati i singoli principi etici che devono governare la società idealistico-assoluta, dunque la società filosofica, in cui regna la religione razionale, l’ultima forma di autoriconoscimento dell’assoluto nell’essere umano.
     Tale punto di vista superiore, dal quale occorre considerare la realtà sia naturale sia soprattutto umana, rappresenta nell’ambito della filosofia idealistico-assoluta il culmine della storia, il punto di arrivo dello sviluppo filogenetico che porta dai primordi della costituzione della specie umana alle società in cui regna quella che Hegel definisce la libertà per tutti e che il filosofo svevo, ancora una volta compiendo l’errore di individuare una figura filosofica e concettuale in un’apparizione storica concreta, identifica con il regno germanico.

[Lettura dal primo volume delle Lezioni di Filosofia della Storia delle seguenti pagine: 8-9 (sulla considerazione filosofica della storia); 46-47 (sul corso della storia); 60-61 (sul fine ultimo della storia)]

La forma di Stato in cui regna la libertà per tutti rappresenta dunque il senso, la meta della storia. Ciò ha fatto parlare di ‘fine della storia’ nella prospettiva della filosofia dell’idealismo assoluto. Ciò è solo in parte vero e questo concetto deve essere approfondito non tanto sulla base dei testi hegeliani, i quali a dire il vero non sono sempre molto espliciti a tal proposito, quanto sulla base dei principi dell’idealismo assoluto ripensati da noi, dunque secondo una prospettiva di attualizzazione di tale filosofia (si ricordi inoltre che le Lezioni sulla filosofia della storia a rigor di termini non sono un testo hegeliano, per cui una vera e propria filosofia della storia idealistica dev’essere ancora scritta). Poniamoci dunque la domanda come noi tratteremmo la filosofia della storia, in particolare il suo inizio, il suo principio (che è diverso dal mero inizio cronologico), la sua fine ed il suo fine (anch’esso ben diverso dalla fine in senso cronologico), se volessimo oggi (ri)scrivere tale sezione del sistema dell’idealismo assoluto.

L’inizio della storia è evidentemente non identificabile perché non può più essere ricostruito. Il fatto che il ritrovamento di documenti scritti segni il passaggio dalla preistoria alla storia è evidentemente un criterio estrinseco e non filosofico, non fondato in modo logico. Lo spartiacque tra la preistoria e la storia vera e propria, ossia tra un periodo intermedio nella differenziazione dell’essere umano dalle forme animali, dalle quali esso deriva, la preistoria, ed il periodo della vera e propria vita creativa da essere umano, la storia può essere soltanto fondato sul concetto, ossia sulla libertà. La vita secondo necessità è la vita ancora animale (per es. la vita dei primati); la vita secondo libertà è la vita dello spirito (la storia); il passaggio dalla prima alla seconda è la preistoria.
     Domandiamoci: viviamo oggi già nella fase della libertà, nella quale tutti gli esseri umani possono vivere in modo creativo, nella società fondata dal riconoscimento orizzontale assoluto? Evidentemente no, soprattutto se consideriamo tutto il pianeta e non solo la sua parte nord-occidentale.
     Così possiamo già pervenire ad una prima considerazione interessante: l’umanità attuale, considerata nel suo complesso, vive ancora nella preistoria, ossia nella fase di differenziazione dallo stato di necessità (primati) a quello di libertà per tutti (riconoscimento assoluto, Stato etico).
     Da questo punto di vista allora scopriamo già un errore commesso da Hegel, il quale, considerando il concetto di Stato da un punto di vista nazionale e non sovranazionale - il che non è filosoficamente giusto perché il riconoscimento orizzontale assoluto non può conoscere confini -  ha ritenuto di poter individuare in una sola compagine statale e comunque in un sola regione del pianeta Terra (il regno germanico) la realizzazione della libertà per tutti, il che evidentemente, anche oggi a duecento anni di distanza, risulta essere falso.
     Ovviamente, pur vivendo oggi l’umanità ancora nella preistoria, nondimeno a partire dall’età dell’illuminismo sta facendo sforzi enormi per uscirne (ricordiamoci la definizione kantiana dell’illuminismo!). Questo è il senso filosofico di tutti i tentativi degli ultimi due secoli di creare nuove compagini statali, sia a sfondo liberale, sia a sfondo socialista. Ciò infatti rende simili i sistemi statali liberali e quelli socialisti: entrambi si fondano sul concetto, sulla ragione, sebbene non su quela assoluta. L’illuminismo segna infatti la presa di coscienza dell’essere umano della propria razionalità come criterio ultimo, dunque segna un primo passo sia verso il riconoscimento verticale puramente razionale e non più religioso sia verso il riconoscimento orizzontale intersoggettivo assoluto, anche se ancora viziato dall’intellettualismo della ragione non dialettica, non ancora compresa come spirito.
     Dunque oggi ci troviamo sulla via verso il superamento della preistoria, alcuni popoli sono già usciti dalla preistoria, altri no, l’umanità nel suo complesso si trova in questa contraddizione tra una parte evoluta storica o comunque quasi storica ed un’altra ancora preistorica. C’è ancora molto cammino da fare soprattutto a livello globale, perché il futuro dell’umanità, la sua entrata nella storia si gioca a livello globale e non a livello nazionale. Solo a livello globale può infatti avvenire il riconoscimento orizzontale assoluto.     
V’è però un altro aspetto che resta da spiegare relativamente alla questione sul come sia da intendersi il concetto di fine, senso o meta della storia da un punto di vista di filosofia dell’idealismo assoluto. Che accadrà quando un giorno l’umanità riuscirà, se vi riuscirà, a fondare uno Stato, ovviamente mondiale, nel quale viga il riconoscimento orizzontale assoluto, ossia nel quale gli esseri umani si considerino reciprocamente come fine e non come mezzo? Sarà finita la storia, sarà concluso lo sviluppo dell’umanità, sarà fermato il tempo? Evidentemente no, il tempo andrà avanti, nasceranno nuove generazioni e così via. Cerchiamo dunque di definire in modo concettualmente preciso questo stadio storico „ultimo“ di sviluppo dell’umanità. Per farlo partiamo da un esempio particolare concreto e poi traiamone delle conclusioni a livello generale. 
     Già oggi, come detto, esistono società storiche, ossia Stati nei quali gli individui possono vivere realizzando la propria libertà creativa, dunque Stati in cui esiste la libertà per tutti (anche se ovviamente da perfezionare e migliorare, comunque essa già esiste). Si tratta fondamentalmente degli Stati appartenenti alle regioni nord-occidentali del pianeta. Facciamo l’esempio di Stati a noi familiari, l’Italia e la Germania (comunque in generale gli Stati dell’Unione Europea). Nel caso dell’Italia non consideriamo ovviamente tanto il meridione, bisognoso di un massiccio ulteriore sviluppo per uscire completamente dalla preistoria, quanto il settentrione e nel caso della Germania si consideri per gli stessi motivi la parte occidentale più che quella orientale.
     In questi Stati si vive sicuramente già nella storia, ossia vi è libertà per tutti, possibilità di una vita creativa, anche se molti aspetti della vita civile devone essere migliorati (per es. in Italia dev’essere sconfitta la corruzione, radice di tutti gli altri mali; in Germania la tendenza arrogante al nazionalismo, una certa estrema rigidità nelle leggi che conduce più alla legalità che non alla moralità etc.). 
     Ciò significa che questi Stati, pur avendo raggiunto indiscutibilmente un grado elevato di libertà, nondimeno devono ancora perfezionare il proprio sistema sociale. Inoltre le nuove generazioni devono essere educate a conservare il risultato del lavoro dei genitori ed a non distruggere lo Stato (si pensi per es. al fenomeno terroristico proprio italiano e tedesco). Questo è evidentemente un punto molto importante. L’insegnamento della filosofia (i valori del riconoscimento orizzontale fondati sulle conoscenze del riconoscimento verticale) dev’essere un punto centrale nello Stato etico, nello Stato libero. Naturalmente scopo dello Stato, una volta liberatosi della lotta interna (tramite l’insegnamento) ed esterna (tramite l’estensione globale del modello di Stato etico) dev’essere poi la lotta alle malattie ed alla morte (sviluppo della medicina, della scienza, della tecnologia), la salvaguardia dell’ambiente, la creazione delle strutture sociali per la vita libera (teatri, stadi, musei  etc. per l’intera umanità), insomma la creazione delle condizioni a tutti i livelli per l’espansione della vita spirituale libera totale (anche scuole, ospedali). Si tratta insomma di quel che oggi si suol definire come ‘civiltà’.
     Ciò significa che il lavoro creativo dello Stato per i suoi cittadini non finirà mai come anche non finirà mai la realizzazione libera da parte dei cittadini della propria creatività, della propria fantasia, della propria libertà vera.
     Ecco allora che pian piano emerge il senso vero e profondo della concezione idealistico assoluta implicita, anche se non del tutto resa esplicita, nel sistema filosofico hegeliano: il raggiungimento della forma di Stato in cui viene realizzata la libertà per tutti non segna la fine dello sviluppo, del lavoro creativo, ma il suo vero inizio. Nel momento in cui gli esseri umani vivono in una tale forma di Stato smettono di dedicare la propria vita ad attività insulse (lavori alienanti che prendono tutto il tempo di vita a disposizione, polemiche e lotte politiche che frenano lo sviluppo,  guerre che tolgono la vita a milioni di innocenti, malattie vincibili che invece uccidono e così via) e possono dedicare il proprio tempo alla realizzazione del proprio spirito, alla vita creativa (tempo di lavoro intelligentemente limitato, tempo libero sufficiente, vacanze garantite e retribuite etc.).
     Da questo „punto di vista superiore“ il discorso sulla fine della storia dev’essere allora del tutto capovolto: il raggiungimento dello Stato etico idealistico non segna la fine della storia, ma il suo vero e proprio inizio, e contemporaneamente la fine (ed il fine) della preistoria. Tale fine della preistoria è temporanea perché uno Stato etico (che dunque vive già nella Storia) può sempre ricadere in una situazione preistorica per es. se la generazione dei genitori non è capace di trasmettere ai figli i valori fondamentali a sostenere tale forma di Stato (pensiamo al terrorismo, se non si fosse riusciti a sconfiggerlo, oppure alla mafia, quale pericolo essa rappresenti per la civiltà); inoltre nessuno Stato etico storico nazionale può essere sicuro di sopravvivere come tale se al suo esterno esistono Stati non etici e preistorici perché sarà sempre presente il pericolo sia della guerra sia dell’emigrazione di massa (la situazione attuale è un chiaro esempio di ciò).
     Insomma il raggiungimento, mai irreversibile e sempre passibile di ricaduta nella preistoria,  del fine della storia segna l’inizio della vita storica dell’uomo, non la sua fine. Occorre distinguere dunque in modo chiaro tra il fine e la fine della storia: 

1.  il fine della preistoria è lo Stato mondiale etico in cui venga realizzata la libertà per tutti, la quale à il fine della storia (lo spirito che sa e realizza se stesso); 
2.  la fine della preistoria segna dunque il passaggio alla storia (passaggio reversibile); 
3.  la fine della storia come tale non esiste, perché non può esistere una fine della libertà (perché e come la libertà dovrebbe finire?) e soprattutto non può esistere una fine della creatività umana (solo un suicidio di massa di tutta l’umanità terrestre potrebbe segnare la fine della storia, peraltro temporanea, perché prima o poi la vita umana sulla Terra si riformerebbe, e comunque essa sarebbe limitata al nostro pianeta, perché in ogni caso altra vita razionale spirituale creativa è verosimilmente esistente anche su altri pianeti (affermazione questa sostenuta al giorno d’oggi dagli scienziati – per es. Paul Davies - e non solo dalla filosofia – si pensi ai mondi infiniti di Bruno).

§8 La società fondata sul riconoscimento orizzontale idealistico-assoluto come vera democrazia

Ora è evidente che da un punto di vista hegeliano o in generale idealistico-assoluto soltanto una società etica nel senso appena indicato, ossia fondata sul riconoscimento interosoggettivo orizzontale di tipo filosofico-idealistico, può essere una vera democrazia, una democrazia non fondata sul libero arbitrio, secondo il quale ognuno in effetti è legittimato a considerare l’altro essere umano come mezzo, ma sulla vera libertà, la quale presuppone che si consideri sé e l’altro come fine.
     Il primo e fondamentale corollario di quanto detto è infatti il principio assoluto della libertà. Se infatti l’individuo assume un valore infinito come incarnazione dell’assoluto e l’assoluto, come è stato detto nella prima Settimana-Hegeliana, è fondamentalmente creatività, la creatività evidentemente è anche la determinazione caratterizzante l’essenza dell’essere umano.
     Come potrebbe infatti l’essere umano, la cui essenza è il Logos creatore, avere un’altra caratteristica fondamentale che non sia la creatività?
Ma parlare di creatività, nell’ambito dell’idealismo assoluto e nella terminologia hegeliana, non è qualcosa di diverso dalla libertà. ‘Libertà’ non significa infatti nel sistema filosofico dell’idealismo assoluto fare quello che si vuole quando si vuole, bensì realizzare la spiritualità, ossia la creatività in sé e negli altri, quindi realizzare la creatività assoluta del Logos, attualmente emersa in alcuni individui, ma anche presente nella natura e che in futuro emergerà negli individui che nasceranno, le future generazioni.
     Si tratta di un amore totale per il Logos e quindi di un’opera di vita completamente dedicata a far fiorire e sviluppare il Logos in tutte le molteplici e variopinte forme nelle quali esso appare (anche come natura, da qui la cura della natura che uno Stato idealistico-assoluto deve assolutamente assumersi – nella natura è presente il Logos, l’assoluto, l’essere umano non può fare della natura quello che vuole, c’è un progetto immanente alla natura che dev’essere rispettato – salvaguardia dell’ambiente, ossia del Logos oggettivo). Il Logos in noi aiuta dunque a svilupparsi e ad emergere il Logos fuori di noi, nella consapevolezza che siamo una parte del tutto e nel nostro piccolo possiamo contribuire a far sì che il tutto, l’assoluto, il mondo, la vita continui a svilupparsi nel migliore dei modi.
     Ognuno di noi è una scintilla del Logos, una sua ramificazione, ed è responsabile nella sua sfera d’azione della realizzazione del Logos, ossia dell’assoluto nel mondo.
     Creativo è l’essere umano che comprende quale sia il suo compito in questa azione totale e lo adempie, non solo eseguendo un compito già prefissato (quel che si potrebbe definire ‘creazione eteronoma’, messa in rilievo da Hegel), ma anche creando qualcosa che sia del tutto nuovo, di non ancora esistente, dando dunque realtà a qualcosa di possibile (‘creazione autonoma’, dimenticata dal nostro „maestro“).
     La società o Stato che si fondi su di un tale riconoscimento verticale ed orizzontale è allora la vera democrazia, nella quale ogni essere umano, indipendentemente da luogo e condizioni di nascita, razza e da tutti i vari fattori casuali possibili, ha la possibilità di vivere da creatore, dunque realizzando la propria essenza spirituale assoluta.
     Questa vita creativa nel senso appena spiegato è la vera libertà, la quale si distingue in modo netto dal libero arbitrio, che è invece soltanto la duplice possibilità insita in qualsiasi scelta dell’uomo singolo.  Certo il libero arbitrio, ossia la possibilità di scelta, è condizione necessaria ma non sufficiente della vera libertà, perché senza libertà come libero arbitrio l’individuo non potrebbe neanche scegliere di svolgere quelle attività che gli consentano poi la realizzazione della propria creatività. Il vero fine è però la libertà vera, la propria autorealizzazione creativa.

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del Diritto delle pagine 103, 109, 115, 117] 


§9 La vera democrazia idealistico assoluta come ‘regno dei fini’ (Hegel e Kant)

Anche nella concezione della società etica fondata sulla vera libertà emerge in modo chiaro l’influenza enorme esercitata da Vater Kant su Hegel, come del resto su tutti gli altri pensatori del periodo, nessuno dei quali ha elaborato la propria filosofia senza avere i testi del filosofo di Königsberg come costante punto di riferimento.
     Il ‘regno dei fini’, come lo aveva definito Kant nel secondo degli imperativi categorici, questo è il concetto di democrazia al fondo della filosofia dello spirito oggettivo hegeliana e del suo concetto fondamentale dello ‘Stato etico’.

[Lettura dalla Fondazione della Metafisica dei Costumi di I.Kant delle pagine 89-91]

Esiste però anche una grande differenza tra Kant e Hegel a tal riguardo, una differenza che è poi quella essenziale tra l’etica trascendentale e quella idealistico-assoluta. Per Kant il ‘regno dei fini’ è un imperativo, dunque contiene in sé comunque una separazione tra soggetto ed oggetto, ragione e sensibilità, ossia è un comando che l’individuo deve dare a se stesso, autocostringendosi a realizzarlo. Per Hegel invece il ‘regno dei fini’, lo ‘Stato etico’, la ‘vera democrazia’ è l’espressione della creatività, dell’amore per la vita del singolo individuo, il quale tramite il riconoscimento verticale si è identificato con il Logos in sé.  Nel momento in cui l’individuo è cosciente di sé come Logos, come l’assoluto e ‘si sente’ come tale, allora spontaneamente sarà portato a vivere così da amare e rispettare tutti gli altri esseri umani (come anche la natura) perché in essi vedrà se stesso. Non dovrà dunque autocostringersi a farlo, ma lo farà di sua spontanea volontà, anzi dovrebbe in linea teorica costringersi ad odiare gli altri, perché, odiandoli, odierebbe se stesso.
     L’individuo, il quale riconosca se stesso come Logos, considera gli altri spontaneamente come soggetti e non come oggetti, come spirito e non come materia, dunque come fini e non come mezzi. Quel che in Kant e nella filosofia trascendentale  in generale è un imperativo, in Hegel e nell’idealismo assoluto è una manifestazione spontanea del Logos autoriconoscentesi nell’essere umano, una „liberazione“ e non una „limitazione“, come il filosofo svevo saggiamente si esprime.

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del Diritto della pagina 299 (§149)] 

Ovviamente non bisogna essere ingenui e credere che ciò avvenga automaticamente. La condizione necessaria perché ciò avvenga, ossia affinché l’essere umano consideri spontaneamente i suoi simili come fini, è che sia avvenuto il riconoscimento verticale di tipo idealistico-assoluto. Dunque l’educazione alla filosofia ed in particolare a quella dell’idealismo assoluto è la chiave di volta della costituzione di una società etica, il suo presupposto indispensabile.
     I paragrafi sul rapporto tra Stato e Chiesa, nei quali Hegel appunto chiarisce l’indispensabilità che lo Stato sia fondato da una Chiesa (ovviamente filosofica) si rivelano allora essenziali al fine di comprendere il senso profondo del rapporto tra religione/filosofia e politica dal punto di vista della filosofia dell’idealismo assoluto. 
     Non vi può essere uno Stato etico libero, ovviamente mondiale, che non si fondi su di una Chiesa filosofica idealistico-assoluta anch’essa universale. Questo è in sintesi il senso di quanto finora detto. Alla filosofia e solo ad essa spetta l’onore e l’onere di condurre l’umanità alla Storia, allo Stato etico, alla vera democrazia. 


§10 Lo sviluppo dello spirito soggettivo (fenomenologia dello spirito a livello ontogenetico) e la formazione delle ‘autocoscienze universali’ (famiglia, società civile, Stato) 

Una volta approfonditi sia la costituzione dello Stato a partire dal riconoscimento verticale come suo fondamento sia la dinamica evolutiva di tale riconoscimento come anche del riconoscimento orizzontale, occorre ora comprendere la vita interna dello Stato, ossia la vera e propria eticità.
     Lo Stato infatti, in quanto unione dei cittadini ed organizzazione pacifica della loro vita, è per così dire la forma dell’eticità, il recipiente all’interno del quale si svolge la vita etica, ma come tale lo Stato, pur essendo ‘Stato etico’, non costituisce il vero e proprio contenuto dell’eticità. 
     Naturalmente ciò vale se si intende lo Stato in senso astratto, ossia come l’aspetto dell’organizzazione dell’etico (costituzione, leggi etc.), perché se invece s’intende lo Stato come anche famiglia, anche società civile, allora esso è anche il contenuto dell’eticità. Dato che stiamo analizzando il concetto dell’etico, dunque stiamo isolando vari elementi che lo costituiscono, allora astraiamo e perciò consideriamo lo Stato qui come la forma, il recipiente dell’eticità.

§11 Riconoscimento orizzontale assoluto e soggettivo

Il riconoscimento verticale fonda il riconoscimento orizzontale intersoggettivo, che a sua volta costituisce il presupposto per l’esistenza stessa della comunità, quindi per lo Stato. A questi due tipi di riconoscimento se ne deve aggiungere un terzo, anch’esso di tipo orizzontale, quindi avvenente tra i soggetti umani, ma non di tipo meramente spirituale-assoluto, bensì di tipo materiale-naturale. 
     I soggetti infatti non sono legati soltanto dal riconoscimento verticale fondato dalla concezione religioso-filosofica che fornisce loro valori simili, ma sono anche legati da fattori di carattere emotivo, sentimentale, istintivo, passionale etc., ossia da quel  che Hegel a livello di filosofia dello spirito soggettivo definisce appetito o desiderio (Begierde) o, in una fase meno elevata ossia a livello di natura, istinto (Trieb).

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 426,427,428,429]

Questi sono fattori soggettivi che muovono gli individui gli uni verso gli altri e che costituiscono il presupposto genetico, non quello logico-metafisico, dell’intersoggettività. 
     Infatti il riconoscimento di tipo verticale può essere definito come presupposto logico-metafisico dell’intersoggettività, nel senso che, affinché tra due soggetti vi sia comunicazione, comprensione reciproca, vi deve essere una comunanza seppur minima di valori etici, concezioni di vita. Se per es. si incontrano due individui, uno dei quali vede l’altro come fine e lo rispetta, mentre l’altro vede il primo come mezzo e lo usa, evidentemente non potrà svilupparsi un rapporto intersoggettivo duraturo e prima o poi nasceranno conflitti insuperabili. 
     Il riconoscimento orizzontale di tipo materiale-naturale (che potrebbe anche venir definito ‘soggettivo’, al contrario dell’altro che lo si potrebbe definire di tipo ‘assoluto’), è fondato sul desiderio individuale ed è invece il presupposto di tipo genetico o storico dell’intersoggettività. Un rapporto intersoggettivo, quale che esso sia (di amore, amicizia, lavoro, collaborazione politica etc.) nasce sempre a partire da un desiderio dell’altro, ovviamente reciproco (la reciprocità può essere iniziale o venir raggiunta nel corso del rapporto). 
     Pertanto si può sintetizzare così: il riconoscimento orizzontale assoluto, fondato dal riconoscimento verticale, rappresenta la condizione della stabilità nel tempo di un rapporto intersoggettivo; il riconoscimento orizzontale soggettivo, fondato sul desiderio, è invece la condizione della nascita di un rapporto intersoggettivo. 

§12 La lotta per il riconoscimento e la formazione dell’autocoscienza universale

Poste queste due premesse, il riconoscimento orizzontale assoluto e soggettivo, il rapporto si può sviluppare secondo la sua propria dinamica. Hegel definisce questa dinamica intersoggettiva come ‘lotta per il riconoscimento’. Per il filosofo svevo non può trattarsi che di una lotta, perché tramite il desiderio ognuno tende a vedere inizialmente l’altro come mezzo, appunto al fine della soddisfazione del proprio desiderio. Essendo ciò reciproco, ossia considerando entrambi i soggetti l’altro come mezzo per la soddisfazione del desiderio, ma essendo ciò in contraddizione con il fatto di essere soggetti, quindi di voler essere riconosciuti come tali, aventi una propria spiritualità, una propria creatività etc., inevitabilmente nasce un conflitto, una lotta. Attraverso questa lotta ognuno dei due soggetti combatte per essere riconosciuto come tale dall’altro, per non essere utilizzato come oggetto della soddisfazione del desiderio dell’altro.

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 430,431,432,433,434,435]

Questa lotta, le cui due figure sono definite da Hegel ‘signore’ e ‘servo’, può avere due esiti: uno è la fine del rapporto, dovuta al mancato conseguimento del riconoscimento intersoggettivo stabile per esempio per il venir meno del desiderio, oppure perché uno dei due non riconosce l’altro come soggetto e il non-riconosciuto non accetta ciò; un altro esito invece, quello felice, è la formazione di un rapporto intersoggettivo stabile, all’interno del quale entrambi i soggetti soddisfano il proprio desiderio reciproco, considerando l’altro non come mezzo, ma come scopo, come fine. 
     Tale risultato positivo viene definito da Hegel come ‘autocoscienza universale’, in quanto ognuno dei due soggetti si sa ora come tale soltanto all’interno del rapporto e quindi tramite l’altro, la coscienza di sé è pertanto possibile soltanto tramite il superamento dell’individualità, dunque nell’universalità (ecco perché ‘autocoscienza universale’). Questo è uno dei concetti fondamentali della filosofia dell’idealismo assoluto, senz’altro il concetto fondamentale dell’etica idealistico-assoluta.

[Lettura del § 436 dell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche sull’autocoscienza universale]

§13  È necessaria la lotta per il riconoscimento?

Prima di passare all’approfondimento delle due forme principali del contenuto dell’eticità, ossia della famiglia e della società civile, occorre affrontare in modo critico un problema dell’interpretazione della filosofia dell’idealismo assoluto nella versione datane da Hegel.
      Per il filosofo svevo infatti la lotta per il riconoscimento è necessaria per rendere possibile il passaggio dallo stadio del desiderio (il soggetto considera l’altro soggetto come un oggetto) a quello dell’autocoscienza riconoscitiva universale (i soggetti si considerano reciprocamente come tali). A ben vedere però, essendo il riconoscimento orizzontale assoluto, fondato dal riconoscimento verticale religioso-filosofico, il fondamento a-temporale ed immateriale del rapporto intersoggettivo, quando tale riconoscimento assoluto abbia raggiunto lo stadio ultimo di sviluppo del riconoscimento verticale, nel quale il soggetto vede nell’altro soggetto se stesso, dovrebbe dedursi da ciò che automaticamente, ossia senza bisogno di lotta, i due soggetti si considerino come soggetti liberi (il regno dei fini) e non come mezzi di soddisfacimento del proprio desiderio soggettivo egoistico. 
     Ciò significa che, a ben vedere, la lotta per il riconoscimento è un fattore di tipo storico e non filosofico, che vale soltanto fin quando l’umanità non ha raggiunto lo stadio del riconoscimento verticale ultimo ed è destinato a venir meno per quei soggetti che in base alla loro educazione religioso-filosofica già in partenza accompagneranno il loro desiderio con la considerazione dell’altro come fine e non come mezzo.
     Insomma si tratta di quella condizione spirituale di armonia con se stessi, formulata da Schiller nel suo ideale della Grazia, nella quale il desiderio non è più fattore istintuale bruto, ma è già educato per cui quel che si desidera non è il corpo, la materia, l’oggetto, ma il soggetto stesso, la sua spiritualità (nella quale è aufgehoben, superata e conservata, anche la materialità, la corporeità del soggetto desiderato).

Esempi: 

1.  nel rapporto uomo-donna non si desidera il corpo dell’altro come oggetto di soddisfazione sessuale, ma lo spirito dell’altro come compagno/a di vita. Ovviamente in ciò è contenuto anche il desiderio sessuale ma sublimato, incluso nell’amore, non isolato come sesso bruto; esso è così aufgehoben (superato e conservato);

2.  nel rapporto di lavoro non si deve produrre per il guadagno ma per creare qualcosa di utile all’umanità, si considerano dunque i soggetti cui si rivolge il nostro lavoro non come mezzi per guadagnare ma come scopi, come fini i cui bisogni devono essere soddisfatti tramite il nostro lavoro; ovviamente anche in questo caso il guadagno è ‘aufgehoben’ nel lavoro, ossia si riceve il denaro necessario a vivere, ma ciò non può essere il fine del lavoro (nello Stato libero).

Nella società fondata dal riconoscimento verticale di tipo idealistico-assoluto dunque la lotta per il riconoscimento a dir la verità non dovrebbe essere necessaria, in quanto l’eticità verrebbe realizzata spontaneamente, senza esservi costretti da un rapporto inizialmente conflittuale che deve poi pian piano risolvere i propri conflitti conducendo alla ‘autocoscienza universale’. 
Sembra dunque che anche questa parte del sistema filosofico hegeliano debba essere corretta e riformata, avendo Hegel contraddetto uno dei principi impliciti della filosofia dell’idealismo assoluto, ossia la spontaneità del comportamento etico all’interno della società fondata dal riconoscimento verticale di tipo idealistico.

§14 La creazione libera come senso della vita

Ma veniamo ora al contenuto vero e proprio dell’eticità, ossia quale sia poi la forma che acquista la vita umana all’interno dello ‘Stato etico’. All’interno del sistema religioso-filosofico dell’idealismo assoluto si ha evidentemente a che fare con una concezione dell’assoluto, la quale s’incentra - come spiegato nella prima settimana hegeliana - sul concetto del Logos universale, immanente al mondo e presente nell’uomo quale sua essenza.
     Una vita etica, da un punto di vista idealistico-assoluto, consisterà fondamentalmente nel vivere rispettando la propria essenza (in noi e negli altri), dunque il Logos universale creatore e razionale presente in ognuno di noi.
     Il primo valore etico assoluto è dunque creare, ideare il nuovo e realizzarlo, continuando così in modo libero la creazione meccanica e necessaria della natura materiale. 
     Il nostro poeta Cesare Pavese ha definito nel racconto La vigna, pubblicato in Feria d’agosto, in modo molto suggestivo questo concetto racchiuso in generale nel concetto del lavoro:

"Lavorare è vestire la terra" (ed. Einaudi 1973, p. 165)

Bene allora il nostro primo compito da un punto di vista etico è vestire il pianeta Terra, la casa comune, che ci è stata attribuita dallo sviluppo della natura materiale.
     Ma già al proposito di questo primo valore etico, di questa prima determinazione fondamentale ed ancora generale, indeterminata del senso della vita dell’umanità, sorge la necessità di chiarire un concetto, il concetto di ‘compito’, ‘dovere’.


§15 Il concetto idealistico-assoluto di ‘dovere’

Secondo questa prospettiva si potrebbe interpretare l’etica dell’idealismo assoluto come una serie di compiti, di doveri che vengono per così dire imposti dall’alto all’umanità. Questa è però una concezione sbagliata, che appartiene al kantismo e non all’hegelismo. 
     Nell’ambito della filosofia di Hegel infatti diritto e dovere, piacere e obbligo coincidono, proprio sulla base della concezione teoretica del Logos come essenza naturale dell’essere umano.
     Se infatti la nostra essenza, il nostro vero e proprio essere consiste nell’essere individui creatori e razionali, è evidente che il poter vivere da creatori, ossia il poter realizzare la nostra vera essenza, sarà la nostra realizzazione, la nostra felicità. 
Infatti in molti passi delle sue opere, soprattutto dell’Enciclopedia e della Filosofia del Diritto, Hegel espone sia il concetto dell’identità di diritto e dovere sia quello di felicità (come risvolto psicologico della vera libertà, che consiste appunto nella realizzazione della propria essenza creatrice da parte dell’essere umano).
     La filosofia etica dell’idealismo assoluto è una filosofia della felicità, della liberazione e non della limitazione della creatività dell’essere umano, come Hegel chiarisce in diversi passi significativi, sempre ricorrenti nelle sue opere e che dunque costituiscono paragrafi fondamentali del proprio sistema filosofico.

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 479-480 sul concetto di ‘felicità’ e dai Lineamenti di Filosofia del Diritto del § 149 sul concetto di ‘dovere’]

Anche il concetto di libertà svolge in questa problematica un ruolo centrale. ‘Libera’ è all’interno del sistema filosofico idealistico-assoluto infatti una vita la quale consista nella realizzazione della propria essenza creatrice, questa è la vera libertà, la quale, come già detto,  si distingue in modo netto dal libero arbitrio, che è invece soltanto la duplice possibilità insita in qualsiasi scelta dell’uomo singolo.
      Ma evidentemente per fornire una risposta adeguata e soddisfacente alla domanda circa il senso della vita umana nel mondo non è sufficiente indicare tale senso come creatività in generale, ma occorre poi specificare cosa l’uomo debba creare, quali debbano essere gli obiettivi primari di questa attività creatrice.
      La risposta fornita da Hegel, seguendo la fatica del concetto, a questa ulteriore domanda è abbastanza complicata, perché l’oggetto stesso è molto complicato. Occorre dunque ricostruirla piano piano, seguendo i vari passaggi logici costituenti la ‘fatica del concetto’. 


§16 La base biologica dello spirito

Per fornire una risposta a tale domanda occorre anzitutto analizzare il concetto dell’essere umano, dunque dello spirito. Lo spirito è in primo luogo formato da una costituzione materiale, da una base non creativa, ma meccanica. Si tratta dell’aspetto biologico dell’essere umano. Tale aspetto ha nel bisogno di assimilazione e di riproduzione i suoi due elementi fondamentali, l’uno necessario ai fini della sopravvivenza dell’individuo, l’altro ai fini della sopravivenza della specie. Senza soddisfacimento di questi due bisogni elementari non si può avere vita dell’essere umano e dello spirito.

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 357-366 sul concetto di ‘assimilazione’ e dei §§ 367-370 sul concetto di ‘riproduzione’ o ‘processo del genere’]

Dunque il bisogno come tale è il primo aspetto fondamentale della vita dello spirito, esso appartiene alla sfera della natura e dello spirito soggettivo, la quale contiene gli aspetti ancora naturali ed immediati dello spirito, quelli che ne costituiscono la struttura già data per natura (per es. intelligenza, memoria, sentimenti, ricordi etc.).
     Ovviamente su questa base di partenza non è possibile fondare una vita libera e creativa perché i bisogni sia nel loro insorgere sia nell’atto del loro soddisfacimento sono necessari, essi cioè si impongono all’essere umano, il quale li deve soddisfare pena la sua morte come individuo o come specie. 


§17 Le categorie logiche alla base della vita dello spirito

L’atteggiamento dell’essere umano nell’atto del soddisfacimento dei bisogni è quindi di tipo consumativo, non creativo. C’è un oggetto, il mondo, che deve essere consumato e questo consumo permette la sopravvivenza dell’individuo. Il mondo, l’oggetto è mezzo per il fine del soddisfacimento del bisogno.
     Nel caso in cui l’oggetto del desiderio sia un altro soggetto si sviluppa la lotta per il riconoscimento, la quale conduce, nel caso di esito positivo, alla formazione della ‘autocoscienza universale’. L’autocoscienza universale è la struttura spirituale che fonda la famiglia, lo Stato ed ogni altra istituzione che leghi in modo stabile esseri umani. 
     All’interno di tale rapporto autoriconoscitivo i soggetti vivono ed agiscono come tali, ossia come esseri liberi e creatori, sono fini e non mezzi. L’autocoscienza riconoscitiva è perciò quel che consente il cosiddetto passaggio dalla natura allo spirito, il salto da una vita fondata sulla necessità, in cui si è schiavi di un sempre ricorrente bisogno, ad una vita fondata invece sulla libertà, in cui il bisogno è soddisfatto all’interno però di un’azione libera, di una creazione.
     I due tipi di rapporto intersoggettivo, quello materiale finalizzato al soddisfacimento del bisogno e quello spirituale finalizzato al riconoscimento stabile reciproco ed alla formazione della autocoscienza riconoscitiva, si fondano su due categorie logico-metafisiche completamente diverse.
     Al di fuori dell’autocoscienza riconoscitiva, dunque nel rapporto materiale basato sul soddisfacimento del bisogno, il soggetto è dominato dal bisogno, il quale è contraddistinto dalla categoria della ‘falsa infinità’; esso infatti una volta soffisfatto, si ripresenta continuamente e ciò dà luogo ad un progresso all’infinito che non raggiunge mai una fine, una conclusione ma si ripresenta sempre allo stesso modo (es. assimilazione, riproduzione). Si tratta dunque di un infinito falso, non autentico.
     Il vero infinito si raggiunge soltanto all’interno dell‘autocoscienza riconoscitiva, nella quale  il soggetto non è dominato dal bisogno bensì lui domina la creazione ed agisce pertanto seguendo la categoria della ‘vera(ce) infinità’, la quale non è contraddistinta da un progresso all’infinito, da un bisogno sempre rinascente, ma dalla creazione fondantesi su di uno scopo (es. lavoro, famiglia). 

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 92-95; v. anche la Scienza della Logica, vol. I, cap. II, sezioni B e C]

Ora questo salto dalla falsa alla vera infinità, dal bisogno dominante e sempre ricorrente alla creatività teleologica libera,  rappresenta la chiave di volta della vita etica, della vita creativa, della vita felice per l’essere umano. In quanto l’essere umano è sottomesso al bisogno non può infatti essere felice, perché è schiavo della necessità corporea; solo se esso se ne libera, non reprimendola, ma riducendola a momento di un qualcosa di spirituale più alto che la contenga in sé e  le dia un senso, l’essere umano può vivere la propria natura anche corporea in modo libero.


§18 Famiglia e Società civile (lavoro) come contenuto fondamentale dell‘eticità

Le forme dell’autoscoscienza riconoscitiva, che consentono la vita libera dell’essere umano, sono le istituzioni della vita etica, della ‘Sittlichkeit’: la famiglia e la società civile. Esse costituiscono il contenuto dello ‘Stato etico’.
     La famiglia consente un soddisfacimento in forma libera del bisogno pur necessario della riproduzione.
     La società civile permette il soddisfacimento in forma libera del bisogno dell’assimilazione.
     L’amore ed il lavoro sono i due valori soggettivi che sono alla base reciprocamente della famiglia e della società civile.
     Studiamo ora in modo approfondito tali due figure fondamentali della Sittlichkeit.

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 518-522 sul concetto di ‘famiglia’ - v. anche i Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§ 158 ss.]


§19 La società civile

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§ 523-534 sul concetto di ‘società civile’ - v.  anche i Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§ 182 ss.]

Anche a proposito del concetto di società civile c’è prababilmente una critica da muovere a Hegel ed una riforma da apportare al sistema filosofico dell’idealismo assoluto nella versione datane dal pensatore di Stoccarda. Egli infatti in diversi punti della sezione dedicata alla società civile chiarisce come l’eticità in essa vada persa.
     D’altra parte ciò è in contraddizione col fatto stesso che essa si trovi all’interno del capitolo sull’eticità e presupponga pertanto la figura della autoscienza universale, la quale, come si è visto, è alla base e fonda il concetto generale dell’eticità e tutti i vari concetti ad essa appartenenti.
     Allora occorre concludere che vi sono due possibilità:

-  la società civile, in generale come mondo del lavoro e dell’economia, è fondata dall’autocoscienza universale ed allora appartiene con pieno diritto all’eticità. Ciò significa che il mondo dell’economia nello Stato etico dev’essere anch’esso retto dalle leggi dell’etica (dunque dev’esserci un’etica economica idealistica);

-  oppure l’economia non appartiene all’etico, allora il lavoro non avrebbe come fine l’umanità ma il profitto individuale, ed in questo caso l’essere umano non uscirebbe dal dominio del bisogno.

Essendo la seconda possibilità filosoficamente non corretta - ovviamente dal punto di vista dei principi dell’idealismo assoluto -, in quanto il rapporto economico è sempre un rapporto tra soggetti, per cui si deve sempre pervenire ad un’autocoscienza riconoscitiva universale affinché il rapporto come tale sussista in modo stabile e libero (errore di Adam Smith a tal proposito e giusta correzione di Marx), occorre concludere che Hegel anche in questo caso ha ceduto alla realtà storica del tempo (capitalismo incipiente per es. in Inghilterra, che egli aveva studiato a fondo, basato sulla negazione dell’eticità dell’economia e sul profitto individuale quale senso del lavoro) conferendo valore filosofico ad un fenomeno storico (come per es. ha fatto per la monarchia costituzionale e per il protestantesimo). 
     Naturalmente né l’esclusione della società civile dal mondo dell’eticità né l’affermazione della monarchia costituzionale come forma di Stato adeguata al suo concetto né la religione protestante quale forma vera, ultima ed assoluta di religione sono concetti fondamentali ed ineliminabili dell’idealismo assoluto, essi sono solo presenti per motivi storici nella versione datane da Hegel, devono però essere espunti dalla nuova versione dell’idealismo assoluto.
     Comunque, anche in questo caso, Hegel non era poi così ingenuo e stupido da fare tali errori senza esser preso egli stesso da insicurezza al proposito, per cui nelle sue opere vi sono diverse parti di chiara critica al capitalismo, ossia all’economia svincolata dall’etica, per cui si può ben affermare che i presupposti per la critica a Hegel e per il superamento della sua versione dell’idealismo assoluto si trovano nello stesso sistema filosofico del pensatore svevo come anche negli scritti presistematici, nella sua officina, come l’ha definita Rosenkranz.


§20 La storia dell’eticità ed il concetto di ‘Bene vivente’ 

Lo Stato, la società civile e la famiglia sono le tre istituzioni intersoggettive nelle quali lo spirito si realizza come spirito creatore. Il fondamento filosofico di ciò è che lo spirito, nel momento in cui agisce in queste istituzioni, non è più consumatore, ossia non agisce più come spirito soggettivo mosso dal desiderio e dalla passione, o ancor peggio, come spirito naturale mosso dall’istinto dell’assimilazione o della riproduzione, ma come spirito libero, oggettivo, mosso dall’avere uno scopo. Esso agisce come ‘concetto’ usando i termini della logica. 
     Ovviamente il presupposto dell’eticità è il riconoscimento orizzontale, ossia lo spirito dev’essere riconosciuto come tale da un altro spirito (o da altri spiriti) per entrare in un’istituzione dell’oggettività. Senza riconoscimento vi è evidentemente solitudine e non creatività. D’altra parte il fondamento del riconoscimento orizzontale è il riconoscimento verticale perché senza valori comuni non vi può essere riconoscimento orizzontale duraturo.
     Naturalmente l’eticità è qualcosa che accompagna l’essere umano da sempre, l’uscita dallo stato di natura non può che avvenire con il riconoscimento dell’altro come soggetto e quindi con l’affermazione di un rapporto di tipo etico. È chiaro che vi è una storia dell’eticità la quale segna lo sviluppo dell’umanità e corre parallela alla storia della teoreticità, ossia alla storia della religione in senso largo. La storia dell’eticità si articola in storia politica (storia dello Stato o storia del riconoscimento orizzontale assoluto fondato dal riconoscimento verticale), storia economica (storia della società civile o storia del riconoscimento orizzontale vincolato al soddisfacimento del bisogno dell’assimilazione per l’assicurazione della sopravvivenza dell’essere umano individuale) ed infine alla storia familiare (storia della famiglia o storia del riconoscimento orizzontale vincolato al soddisfacimento del bisogno della riproduzione per l’assicurazione della sopravvivenza della specie).
     Questi tre aspetti singoli, considerati nella loro globalità, costituiscono la storia etica, la storia del riconoscimento orizzontale all’interno dell’umanità. Soltanto una storia scritta trattando tutti e tre questi aspetti può essere una storia completa dell’essere umano, come per es. la scuola delle Annales ha giustamente inaugurato all’inizio del secolo passato. La storiografia delle Annales è profondamente hegeliana o idealistico-assoluta, anche se i fondatori di questo metodo (Bloch, Lefebvre, Braudel) non ne erano consapevoli. Ma essi, reagendo alla storiografia tradizionale, la quale trattava in modo unilaterale la storia dell’uomo privilegiando ideologicamente uno degli aspetti sopraindicati (per es. la storia politica o la storia economica) hanno messo in evidenza come il mondo etico dell’essere umano debba essere trattato come unità, della quale lo Stato e l’economia non sono gli unici aspetti e neanche i più importanti. 
     La storiografia delle Annales, oltre ad avere dato alla storia della famiglia il rango di vera e propria disciplina scientifica e di parte irrinunciabile di una storiografia radicale (gründlich) della comunità umana, ha avuto inoltre il grande merito di aver elaborato il concetto importantissimo di storia della mentalità (l‘immaginario collettivo), la quale altro non è che quel nel nostro linguaggio hegeliano o idealistico-assoluto abbiamo definito storia teoretica dell’essere umano, ossia storia della religione in senso largo. 
     Ad Hegel mancava l’apporto empirico di studi approfonditi di storia della mentalità e storia della famiglia come quelli di cui si dispone oggi, per cui la sua filosofia della storia è ancora fondamentalmente una storia politica, ossia tratta eminentemente delle vicende degli Stati. Nondimeno Hegel ha trattato tale storia come storia della libertà, quindi ha cercato di mettere in luce attraverso la storia delle istituzioni statali, delle guerre, dei rapporti diplomatici etc. il significato umano di tali vicende (storia filosofica). In questo senso gli è riuscito di scrivere una vera e propria ‘storia etica’, ovviamente come ogni primo tentativo ancora incompleto e manchevole in diverse parti anche importanti, che però si presenta a noi come un ottimo punto di partenza ed esempio per scrivere una nuova filosofia della storia, una nuova storia etica dell’umanità, la quale si basi sui risultati più recenti e validi della storiografia (per es. appunto quelli degli storici delle Annales) e li inglobi in una visione d’insieme del percorso finora compiuto dal riconoscimento orizzontale intersoggettivo. 
     Dunque l’eticità si svolge nel tempo, ha una storia, la storia etica, fondata dalla storia teoretica. Ciò significa che, nonostante l’individuo umano intenda e creda di fondare una famiglia, dar vita ad uno Stato secondo le proprie idee, avere una lavoro che corrisponda al proprio ideale, ossia giustamente voglia subito, non appena diventato adulto, realizzare la propria creatività, il proprio spirito, inevitabilmente esso viene a scontrarsi con la società del proprio tempo, la quale è già realizzazione di creatività a lui precedenti, è già eticità.
     Il mondo sociale che si presenta all’individuo non è un mondo non etico, non è il mondo della natura, ma è già un mondo etico, una comunità fondata sul riconoscimento orizzontale, quale esso sia. Secondo la definizione molto pregnante che ne dà Hegel è il ‘Bene vivente’, l’eticità vivente, contrapporta evidentemente a quella astratta contenuta solo nei desideri e nelle utopie soggettivi (quel che Hegel definisce ‘moralità’).

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del diritto dei §§ 142-145 sul concetto di ‘Bene vivente’]

Il concetto di ‘bene vivente’ è uno dei concetti centrali del sistema filosofico dell’idealismo assoluto, ma purtroppo non è stato per niente preso in grande considerazione dalla critica. Quando si parla della filosofia del diritto, ossia della filosofia etica di Hegel, si fa riferimento a concetti che non sono affatto centrali, come per es. le varie frasi sul reale e razionale, sulla nottola di Minerva etc., le quali sono sì suggestive, ma che un profondo conoscitore dell’intero pensiero hegeliano, anche nel suo sviluppo, non può non considerare del tutto occasionali e accidentali rispetto ai principi veramenti fondamentali del sistema. 
     Quelle frasi ricorrono infatti soltanto nelle prefazioni ed introduzioni, che Hegel ha sempre considerato ‘esterne’ al sistema, mentre concetti quali quello di ‘Bene vivente’ si trovano nelle parti centrali del sistema filosofico, il quale, senza di essi, assumerebbe un significato del tutto diverso e sarebbe incompleto. Senza quelle frasi suggestive il sistema filosofico di Hegel invece non perderebbe proprio niente, anzi ne guadagnerebbe perché tramite quelle frasi, scritte spesso con l’intento di rassicurare i politici, i quali, come si sa, allora come oggi non leggevano altro che le prefazioni (nella migliore delle ipotesi!), e dopo averlo fatto erano persuasi che si trattasse di un’opera non pericolosa (anche se poi il contenuto interno era ben diverso, come dimostra il fatto che il moto rivoluzionario più forte del periodo posthegeliano sia partito proprio da un’interpretazione di una delle categorie centrali del suo sistema filosofico, la dialettica).

§21 Il giusto atteggiamento etico soggettivo (la moralità)

Il ‘Bene vivente’ è dunque l’eticità concreta, esistente nella quale noi già siamo quali membri di una famiglia (che ha una certa storia), uno Stato (che ha anch’esso una certa storia), di una società civile, anch’essa avente una certa storia, per il fatto che tramite il nostro lavoro partecipiamo ad una parte del lavoro totale della comunità di cui siamo parte. 
     Il singolo individuo per realizzare la propria creatività, dunque il proprio spirito, se stesso, deve entrare nel riconoscimento orizzontale della propria comunità, se ne condivide i valori etici, ossia il riconoscimento verticale, deve riconoscere e farsi riconoscere, partecipando così all’opera comune della costruzione del mondo etico in quella particolare comunità nella quale esso casualmente o volontariamente vive.
     Il giusto comporamento soggettivo, giusto nel senso di razionale, filosofico, consiste dunque non nell’idealizzare una realtà familiare, lavorativa e politica diversa da quella nella quale si vive, ma, sempre se si condividono i valori fondamentali della propria comunità, nell’entrare nel riconoscimento orizzontale alla base delle suddette istituzioni e poi dall’interno nel modificarle, se lo si ritiene opportuno, facendole ulteriormente sviluppare, ossia rendendole più consoni al concetto del concetto, alla libertà. 
     Tali istituzioni sono infatti, secondo il loro principio realizzazione, del concetto, della libertà, ma non lo sono ancora del tutto nella loro realtà storica, perché l’ideale filosofico, che è al fondo della realtà storica costituendone il senso, deve essere realizzato in essa e tale realizzazione avviene gradualmente e non in un giorno.
     Il senso della creatività consiste allora nell’agire all’interno delle istituzioni etiche portando avanti in esse la realizzazione della libertà. Questo è da una parte il nostro dovere come filosofi, ossia come persone che vivono la vita pensandola, dall’altra parte è il nostro diritto quali semplici individui, che, come tutti gli altri, ambiscono ad autorealizzazione e felicità.
Così attraverso il nostro comportamento etico da filosofi, ossia fondato su di un riconoscimento verticale scientifico non dogmatico, diamo il nostro importantissimo contributo alla comunità nella quale ci riconosciamo e, se siamo fortunati, dalla quale veniamo riconosciuti; se invece non veniamo da essa riconosciuti, pur riconoscendola, come purtroppo la storia della filosofia mostra essere la regola e non l’eccezione per i veramente grandi e coraggiosi (Socrate, Bruno), nondimeno vivremo nella consapevolezza che siamo noi e non la comunità a seguire il concetto, a vivere nella verità e ciò per un vero filosofo è l’essenziale (non il riconoscimento esterno, ma quello interno, l’autoriconoscimento). E, se la comunità non ci riconosce e non segue la verità, che noi portiamo, tanto peggio per lei!

Questa è la forza che dà la filosofia!

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