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A11:. La struttura logica dell’etica: il riconoscimento 

A11:. La struttura logica dell’etica: il riconoscimento 

 

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Lezione 11

La struttura logica dell’etica: il riconoscimento 

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Il fine dell’etica è individuare il senso della vita umana nel mondo, deducendolo dal concetto di ‘essere umano’, la cui essenza è la Ragione Assoluta, il Logos. Evidentemente questa es-senza è la stessa in tutti gli esseri umani, indipendentemente dal luogo, del tutto casuale, dove essi sono venuti al mondo. In conseguenza di tale luogo essi hanno poi un certo colore della pelle ed altri connotati somatici come anche connotati psichici quali la religione, i valori di vita ereditati e così via. Tutto ciò dev’essere messo in secondo piano, se considerato dal punto di vista dell’assunzione della visione del mondo razionale e scientifica propria della filosofia dell’idealismo e quindi del suo concetto fondamentale dell’Assoluto come essenza razionale dell’essere umano.

Alla base del concetto di etica c’è il riconoscimento tra gli esseri umani come Assoluto, dun-que il fatto che ogni essere umano, adeguatamente educato nel modo precedentemente descritto, vede in se stesso e nell’altro essere umano l’Assoluto, un essere razionale creatore. Da questo punto di vista superiore, allora, il soggetto umano considererà non solo se stesso (in quanto cerca di autorealizzarsi come ente creatore), ma anche gli altri essere umani come enti creatori, soggetti e non oggetti. Egli quindi farà di tutto affinché gli altri esseri umani possano anch’essi autorealizzarsi, possano vivere in modo creativo.

Questa impostazione di vita, che vede lo spirito umano sforzarsi per promuovere la realizza-zione della ragione assoluta in ognuno, dunque indipendentemente dal fatto che essa si trovi in se stessi o negli altri, è appunto l’atteggiamento morale di chi agisce secondo i principi dell’eticità assoluta.

Kant ha espresso questo concetto molto chiaramente nel secondo imperativo categorico, nel quale esorta l’essere umano a considerare l’umanità in sé e negli altri come fine e mai come mezzo:

"Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo."

(Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. Bari 1997, p. 91).

Egli però non ha precisato in cosa poi debba consistere tale umanità come fine, ossia il contenuto della vita etica del soggetto che deve essere scopo delle nostre azioni. Ciò è, invece, proprio quel che ha fatto Hegel, ossia individuare il contenuto dell’etica, ossia in cosa consista l’esser fine l’un per l’altro. Egli ha individuato nel riconoscimento dell’altro come spirito il fondamento dell’etica. Il filosofo definisce tale riconoscimento come ’autocoscienza riconoscitiva’, che esprime con le seguenti parole:

"L’autocoscienza universale è il sapere affermativo di se stesso in un altro se stesso; ciascuno dei quali come individualità libera ha indipendenza assoluta, ma, in forza della negazione della sua immediatezza o appetito, non si distingue dall’altro, è universale ed oggettivo, e ha l’oggettività reale come reciprocità; cosicché esso si sa riconosciuto nell’altro individuo libero, e sa ciò in quanto riconosce l’altro e lo sa libero."

(Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, trad. it. Bari 1989, p. 428).

Tale riconoscimento tra essere umani senza vincoli di alcun tipo potremmo definirlo come ‘riconoscimento orizzontale’, in quanto tra esseri aventi lo stesso livello di esistenza, enti simili. Rispetto a tale riconoscimento orizzontale potremmo definire invece quello tra l’uomo individuale e l’universale, che è in lui, come ‘riconoscimento verticale’, in quanto l’Assoluto, ossia l’universale presente come Ragione Assoluta nell’essere umano individuale, è qualcosa di superiore, di più alto rispetto all’esistenza umana individuale. In questo senso l’essere umano riconosce in sé la presenza di qualcosa di più alto che la mera individualità, ossia appunto la presenza della Ragione Assoluta. 

Possiamo anche definire il riconoscimento orizzontale come riconoscimento etico, in quanto tra esseri umani, ed il riconoscimento verticale come riconoscimento teoretico, in quanto tra l’essere umano e l’Assoluto. Il primo fonda l’etica, ossia la concezione del senso della vita umana nel mondo, il secondo la teoretica, la concezione del senso del mondo. Il riconosci-mento teoretico fonda quello etico, che da esso dipende. Ciò vale non solo per la filosofia idealistica, ma per qualsiasi altra filosofia e religione, compreso anche l’ateismo, nel quale manca tale riconoscimento teoretico, nondimeno anche tale mancanza fonda un’etica, dunque un riconoscimento etico, per quanto si tratti di un’etica non definibile in termini oggettivi, ma solo soggettivi. Proprio la mancanza di un qualsiasi assoluto, lascia il soggetto individuale come ultima fonte della morale, quindi ognuno alla fine può dare a se stesso i propri valori del tutto indipendentemente da qualsiasi fondamento, ed anche darsene di diversi e contraddittori ogni giorno, se vuole.

Il riconoscimento etico razionale, propriamente filosofico ed idealistico si fonda allora sul principio della reciprocità dell’autocoscienza universale, ossia sul fatto che si abbia coscienza di sé come marito, moglie, padre, madre, figlio, figlia, ma anche nel mondo del lavoro come medico, paziente, insegnante, allievo ecc. ecc. sempre e soltanto tramite il riconoscimento dell’altro ed il riconoscimento nostro da parte dell’altro. Tale riconoscimento implica il fatto che l’altro si sia reciprocamente fine e non mezzo. Quindi il marito è fine per la moglie e viceversa; il figlio è fine per il genitore e viceversa, e così via. In tutte le relazioni umane in generale l’altro va visto sempre come fine mai come mezzo, non va mai usato, e ciò deve essere reciproco, per cui si crea un’autocoscienza universale, ossia un rapporto stabile di fiducia, una relazione in cui ognuno si prende cura dell’altro secondo le modalità specifiche del rapporto.

Vediamo quali siano in concreto le forme etiche che assume il meccanismo logico del riconoscimento, quindi quale sia il vero e proprio contenuto dell’eticità assoluta, quella che si fonda dunque sulla determinazione della Ragione Assoluta creatrice quale essenza dell’essere umano.

Soltanto se riconosciuto il soggetto umano può vivere, infatti, come razionalità creatrice, in quanto passa dalla propria esistenza come corpo (natura, materia), oggetto quindi della necessità dell’istinto e del bisogno, che si ripropone incessantemente dopo la soddisfazione, alla propria esistenza come spirito (appunto razionalità creatrice), la quale non mira al soddisfacimento passeggero del bisogno, bensì alla costruzione creativa di qualcosa insieme all’altro. In tale costruzione, che è processo, l’essere umano può realizzare la propria essenza, ossia la razionalità creatrice e quindi vivere da Assoluto, nella libertà, e non da Natura, nella necessità.

Nel primo caso, ossia nella vita organica della Natura, quale si presenta nei bisogni (bisogno di assimilazione, ossia di sopravvivenza individuale tramite le funzioni corporee e biologiche indispensabili per la vita), il soggetto umano è esso stesso oggetto di tali bisogni e, pur soddisfacendoli, vive secondo la categoria del falso infinito, che abbiamo visto essere la modalità non autentica dell’infinito. I bisogni, infatti, continuamente ritornano secondo la modalità del progresso all’infinito, quindi soddisfacimento del bisogno, sua ripresentazione, nuovo soddisfacimento ecc. ecc., in un processo che non perviene mai ad un fine, ad un senso, a qualcosa di stabile. Nel secondo caso, invece, ossia come vita razionale dello spirito, qual è a fondamento dell’autocoscienza universale e quindi del riconoscimento reciproco, l’essere umano vive come soggetto creatore, pertanto soddisfa anche i propri bisogni, il che naturalmente fa parte della vita, ma all’interno di strutture sociali stabili, il cui scopo è spirituale (avere figli, educarli, eseguire un lavoro per qualcuno ecc. ecc.), in quanto esso non è il soddisfacimento del bisogno proprio quanto di quello dell’altro (ciò ovviamente in modo reciproco). Così si crea un legame, si costruisce insieme qualcosa che ha un senso. In tale processo di costruzione non agisce la categoria del falso infinito, bensì quella del vero infinito, si realizza qualcosa di compiuto, di stabile (una famiglia, un’opera lavorativa, un’istituzione sociale e statale ecc. ecc.), all’interno della quale gli esseri umani possono vivere da soggetti liberi e non da oggetti dei bisogni, sempre ricorrenti, della natura materiale. Nondimeno tali bisogni vengono ugualmente soddisfatti, ad un livello spirituale e non puramente materiale, perché ovviamente la propria vita naturale viene superata, ma anche conservata, in quella spirituale, secondo il principio dialettico dell’Aufhebung. 

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