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2002: Johann Friedrich Flatt, Hegel’s teacher  The debate on Kantian moral theology in Germany

2002: Johann Friedrich Flatt, Hegel’s teacher The debate on Kantian moral theology in Germany

 

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2002

Johann Friedrich Flatt, Hegel’s teacher

The debate on Kantian moral theology in Germany between 1785 and 1795

by

Marco de Angelis

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Book in Italian

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Paper text not yet published

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Digital text: below in italian
(please use the google translator on the left side)

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PREFAZIONE

§1 L’importanza della comprensione dell’influenza esercitata dal dibattito tubinghese relativo alla filosofia della religione di Kant sulla formazione del pensiero di Hegel

Sin dal lontano 1965([1]) la ricerca hegeliana (Hegel-Forschung) ha individuato un periodo nello sviluppo del pensiero di Hegel, la cui conoscenza, a causa della mancanza di manoscritti, è praticamente nulla. Si tratta del periodo 1789-1792, indicato prima da Henrich, poi anche da Brecht([2]) e Ripalda([3]), come il periodo degli ‘anni oscuri’ (‘die dunklen Jahre’).

Questa lacuna è tanto più dolorosa, in quanto tale periodo sembra esser stato particolarmente importante per lo sviluppo filosofico del pensatore di Stoc­carda. Lo stesso Henrich asserisce a tal proposito che Hegel proprio, in questi anni, è diventato filosofo.([4])

Indipendentemente dalla condivisione di quest’interpretazione, non si può nondimeno negare che proprio al termine di questo periodo, quindi nell’ultimo anno dello studio universitario a Tubinga (1792/93) e nel primo anno del sog­giorno bernese (1793/94), il filosofo, tramite l’elaborazione dell’ideale della fon­dazione di una nuova religione popolare e razionale, abbia posto le basi fonda­mentali per lo sviluppo successivo del proprio pensiero. Questo consisterà infatti nella realizzazione di tale ideale, la cui forma definitiva sarà poi il sistema filo­sofico. Che tale sistema debba essere interpretato come ‘religione popolare e razionale’ è reso evidente tra l’altro dal frammento jenese Fortsetzung des Systems der Sittlichkeit,([5]) nel quale Hegel assegna alla filosofia, naturalmente alla propria filosofia, il compito di sostituire la religione.

Sulla base di queste considerazioni preliminari risulta allora chiaro che un’approfondita conoscenza di questi quattro anni, almeno nella misura in cui le fonti conservate la rendano possibile, consentirebbe da una parte di comprendere meglio le motivazioni etico-religiose del pensiero hegeliano, e dall’altra renderebbe possibile la comprensione delle radici che tale pensiero affonda nella cultura filosofica tedesca di quegli anni.

La ricerca di una nuova religione popolare e razionale non fu infatti una problematica toccata soltanto dal giovane Hegel, ma un tema comune alle menti più sensibili ed illuminate del periodo.([6]) La critica alla reli­gione tradizionale nella dialettica trascendentale della Critica della ragion pura (1781) e, soprattutto, la presentazione da parte del maestro di Königsberg nella Critica della ragion pratica (1788) di una concezione etico-religiosa (‘Moral­theologie’) fortemente rivoluzionaria, in quanto invertente il rapporto di fonda­zione tra religione e morale,([7]) diede uno scossone alla teologia cristiana e divise il mondo della teologia e della filosofia tedesche in due partiti chia­ramente contrapposti:

- coloro i quali, seguendo Kant, sostenevano limpossibilità dellautonomia della religione e la fondazione di questa tramite la morale (per es. Reinhold, Tieftrunk);

- quelli che, vedendo in questa teoria un pericolo per la religione tradizionale ed anche una concezione valida soltanto per alcuni dotti - ma non certo per tutto il popolo, incapace a loro giudizio di elevarsi alla morale auto­noma del sommo bene - sottoponevano il filosofo a serrata critica, cercando di dimostrare lesistenza di contraddizioni insolute all’interno della sua concezione etico-religiosa e quindi il fallimento del tentativo di ribaltamento del rapporto tradizionale di fondazione della morale tramite la religione (per es. Storr, Flatt, Rapp).([8])

Questo dibattito fu particolarmente acceso nello Stift di Tubinga. Il motivo di ciò è che qui insegnò, a partire dal 1785, Johann Friedrich Flatt, uno dei più impegnati critici di Kant. I programmi d’insegnamento (‘Magisterprogramme’) e gli atti dello Stift, tuttora conservati presso l’archivio dell’università di Tubinga (‘Universitätsarchiv’), consentono di ricostruire il successo acca­demico ch’egli ebbe tra gli studenti. In effetti, a partire dal 1787, pressoché tutti gli studenti frequentarono le sue lezioni.([9])

L’importanza di Flatt consistette in ciò: egli difese l’idea fondamentale che la religione fosse da salvare di fronte alla critica rigorosa del kantismo ed alla sua riduzione a postulato della ragion pratica. Il teologo di Tubinga impostò tale difesa soprattutto sostenendo la tesi secondo cui la filosofia kantiana è adatta per i dotti, ma non per il popolo, il quale a suo parere non può fondare la propria moralità su principi astratti, come per es. quello del ‘sommo bene’, ma, al contrario, ha bisogno di una morale le cui massime fondamentali siano presentate in forma ‘sensibile’, concreta, come fa la religione, e non ‘pura’, astratta, come fa la filosofia (in particolar modo quella trascendentale).

Questa concezione ‘flattiana’ della necessità del salvataggio della reli­gione di fronte alla critica del kantismo deve aver avuto un’influenza decisiva sulla formazione del pensiero di Hegel negli anni 1789-1792, dunque proprio nel periodo degli ‘anni oscuri’, perché il giovane pensatore, nei frammenti dei due anni immediatamente successivi (1793-94), elabora proprio l’ideale della fonda­zione di una nuova religione che fosse da una parte ‘razionale’, secondo la conce­zione kantiana della Religionsschrift, e dall’altra ‘popolare’, secondo la conce­zione flattiana.

Il giovane Hegel ha pertanto operato una mediazione tra il kantismo ed il ‘flattismo’, ossia tra la critica razionale alla religione tradizionale ed il salva­taggio della medesima per la sua funzione di fondazione della moralità del po­polo. Tale mediazione si ritrova non a caso anche nella filosofia matura del pen­satore svevo, in particolare nella Filosofia dello spirito assoluto. In questa parte del sistema il filosofo presenta infatti la religione secondo due significati: la re­ligione in senso stretto, consistente in quella ben precisa sfera dello spirito fon­dantesi sulla rappresentazione dell’assoluto, e la religione in generale, che consi­ste, in pratica, nell’intera sfera di presentazione dell’assoluto nello spirito (inclu­dente quindi arte, religione in senso stretto e filosofia).([10])

Il salvataggio della religione, dunque, avviene anche nel sistema filosofico maturo di Hegel, non però come salvataggio della religione in quanto tale, ossia in senso stretto, essendo questa destinata ad essere ‘superata’ dalla filosofia,([11]) ma della religione in senso largo, la quale invece continua a vivere proprio nella e grazie alla filosofia. Ciò è possibile perché la stessa filosofia, nella forma da­tale da Hegel, non dev’essere interpretata e vissuta come semplice disciplina scientifica, bensì deve diventare un modo di concepire il mondo e di impostare la propria vita in esso, assumendo così essa stessa una valenza etico-religiosa.

L’influenza di Flatt si rivela essere ben presente e determinante an­che nella filosofia matura del filosofo svevo, il quale della concezione del suo maestro di Tubinga ha mantenuto l’insegnamento fondamentale della necessità di salvare la religione di fronte alla critica del kantismo, ma ne ha trasformato il senso, interpretando tale insegnamento come salvataggio della religione in senso largo e non in senso stretto.([12]) L’indagine storica sulle fonti del pensiero hege­liano a Tubinga si rivela pertanto anche un’illuminante chiave di lettura del si­stema filosofico maturo.

Al fine della comprensione degli ‘anni oscuri’ è importante inoltre anche lo studio e la valutazione scientifica di altre fonti. Nel reparto manoscritti (‘Handschriftenabteilung’) dell’università di Tubinga sono conservati due qua­derni d’appunti delle lezioni di Flatt redatti da Friedrich August Klüpfel, un compagno di studi di Hegel.([13]) Si tratta delle lezioni di metafisica e psicologia tenute dal docente nel 1790. Tali lezioni non sono state ancora pubblicate, nono­stante si tratti di materiale importantissimo (non senza motivo Hegel ha conser­vato per tutta la vita i propri quaderni d’appunti delle lezioni di Flatt, distrutti poi dopo la sua morte dai figli, com’è stato ricostruito da Dieter Henrich e Willi Ferdinand Becker nel saggio Fragen und Quellen zur Geschichte von Hegels Nachlaß).([14])

Nel medesimo reparto è conservato anche un manoscritto dello stesso Flatt riguardante un argomento esegetico (Historisch polemisch-exegetische Ab-handlung), risalente all’incirca al 1790.

Un altro manoscritto, attribuito a Flatt, dal titolo Actenmäßige Nachrichten von der neusten philosophischen Synode, und von der auf derselben abgefaßten allgemeingültigen Concordienformel für die philosophischen Gemeinden si trova infine presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera.([15])

La pubblicazione totale o parziale di questi manoscritti, accompagnata da un’ampia introduzione, la quale illustri l’influsso determinante di Flatt sulla ge­nesi del pensiero hegeliano e, più in generale, sullo sviluppo della filosofia dell’idealismo classico tedesco, rappresenterebbe, sulla base di quanto chiarito in precedenza, un grande contributo alla Hegel-Forschung.([16])

Per ricostruire il dibattito filosofico-teologico dello Stift sarà senz’altro utilissimo l’approfondimento di altre figure di quest’istituzione, per esempio dei ‘Repetenten’ (ovvero gli studenti più anziani che offrivano a quelli più giovani ripetizioni circa il contenuto delle lezioni dei professori). Alcuni di essi infatti presero posizione nel dibattito filosofico-religioso e pubblicarono libretti e saggi riguardanti direttamente od indirettamente tale argomento.

Per es. Christian Gottlob Rapp pubblicò due interessantissimi saggi: nel 1791 Über die Untauglichkeit des Prinzips der allgemeinen und eigenen Glü­ckseligkeit zum Grundgesetz der Sittlichkeit (Jena) e nel 1792 Über die morali­schen Triebfedern, besonders der christlichen Religion (quest’ultimo venne pubblicato nella rivista di psicologia del Mauchart - v. sotto). In questi libretti egli sostenne e corroborò le tesi di Flatt.

Un altro ‘Repetent’, Immanuel David Mauchart, pubblicò a partire dal 1792 la rivista di psicologia Allgemeines Repertorium für empirische Psycholo­gie und verwandte Wissenschaften (Nürnberg e Tübingen 1792-1801), la quale è da considerare in stretto rapporto all’insegnamento di Flatt sulla psicologia.([17]) Anche tali libretti si trovano presso la biblioteca universi­taria di Tubinga.

Infine anche la ricostruzione della posizione presa in questo dibattito da al­cuni compagni di studi di Hegel può fornire ulteriori elementi per la compren­sione della problematica filosofico-teologica che animava allora gli Stiftler. A questo proposito de­gno di nota è il fatto che molti specimina - brevi lavori che gli stu­denti dovevano svolgere a casa su di un tema legato alle lezioni - riguardano proprio il rapporto di fondazione tra religione ed etica e quindi manifestano uno stretto collegamento con la problematica cara a Flatt ed a Hegel.

Questi quattro elementi (lezioni e pubblicazioni di Flatt, pubblicazioni di altre personalità dell’epoca che parteciparono al dibattito teologico-morale, pub­blicazioni dei ‘Repetenten’, specimina e pubblicazioni posteriori degli studenti) rappresentano dunque altrettanti chiari percorsi di ricerca, il cui approfondi­mento consentirebbe di ricostruire il dibattito teologico-filosofico nello Stift tra il 1785 (anno di pubblicazione della Fondazione della metafisica dei costumi di Kant) ed il 1794 (anno della stesura da parte di Hegel dei testi nr. 24, 25 e 26, nei quali è formulato esplicitamente il proposito della fondazione di una nuova reli­gione popolare e razionale).

Una tale ricostruzione renderebbe possibile anche la comprensione delle ra­dici storiche del pensiero di Hegel tramite il collegamento al dibattito filosofico-religioso tedesco dell’epoca del suo sistema filo­sofico ed in particolare delle motivazioni etico-religiose, che ne sono alla base.

In tal modo potrebbe esser fornito indirettamente un ulteriore([18]) con-tributo alla comprensione degli ‘anni oscuri’, in quanto si potrebbero indivi­duare alcuni degli elementi fondamentali che hanno contribuito alla formazione della personalità filosofica di Hegel in quegli anni, che per noi sono oscuri, ma per lui sono senz’altro stati di grande ispirazione e quindi di decisiva impor­tanza.

INTRODUZIONE

§2 La connotazione filosofico-religiosa dell’illuminismo tedesco

Prima di affrontare il vero e proprio tema della ricerca, dunque il dibattito filoso­fico-religioso innescato dalla pubblicazione della concezione teologico-morale di Kant, è senz’altro opportuno soffermare la nostra attenzione sul clima cultu­rale che precedette l’elaborazione di tale dottrina, dunque precedente il 1785, anno di pubblicazione della Fondazione della metafisica dei costumi (e quindi prece­dente anche il 1788, anno di pubblicazione della Critica della ragion pratica).

Sono gli anni della diffusione dell’illuminismo in Germania. Tale diffu­sione avvenne in modo prorompente; fu una vera e propria ‘rivoluzione dello spi­rito’, non meno gravida di conseguenze della rivoluzione politica che contemporaneamente aveva luogo in Francia. Vediamo dunque quali furono gli aspetti peculiari dell’illuminismo tedesco.

Come ha ben illustrato Pütz nella sua ottima guida all’illuminismo tedesco (Die deutsche Aufklärung, Darmstadt 1987), tale movimento si sviluppò soprat­tutto a partire da un ambito di pensiero a cavallo tra la filosofia e la religione, che si potrebbe definire ‘teologia’ o ‘filosofia della religione’.

Il pensiero teologico, nel senso ampio di filosofia della religione e non ne­cessariamente vincolato ad una particolare confessione religiosa, costituiva in­fatti il perno intorno al quale ruotava il dibattito culturale nella Germania del tempo.([19]) Ogni nuova idea, ogni nuovo pensiero, così come anche ogni nuovo evento, avevano prima o poi delle ripercussioni sul pensiero filosofico-religioso e da qui si irradiavano ad investire tutti gli altri aspetti della vita dello spirito. In Germania la teologia o filosofia della religione non era dunque all’epoca una disciplina tra le altre, ma era il punto di riferimento generale dell’intero universo culturale, il sole intorno al quale ruotavano tutte le varie scienze.

Fatta questa premessa fondamentale, risulta allora ben comprensibile come la pubblicazione delle opere fondamentali di Kant, avvenuta a partire dal 1781, con le conseguenze che esse avevano anche e soprattutto sui principali temi filosofico-religiosi (esistenza di dio, immortalità dell’anima, fondazione della morale etc.), non potesse non avere delle ripercus­sioni rilevanti anche sul dibattito culturale allora in corso. La filosofia critica trattava infatti i temi filosofico-religiosi tradizionali da un punto di vista del tutto nuovo, ossia secondo la prospettiva trascendentale. Inoltre anche i risultati, cui essa perveniva, erano decisamente nuovi e rivoluzionari rispetto alla tradizione.

Il confronto-scontro tra la filosofia di Kant e la teologia dell’epoca consistette fondamentalmente nell’applicazione della prima - nel senso generale della filosofia([20]) - alla seconda. Tale applicazione prese subito l’aspetto di un contrasto fondamentale, quello tra illuminismo (o ragione) e rivelazione.

Caratteristica fondamentale dell’illuminismo fu (com’è del resto ancora oggi, quando necessario) la lotta a qualsiasi forma di autorità esterna alla ra­gione umana, secondo il “postulato della conoscenza autoattivantesi”.([21]) Da que­sto punto di vista, l’autorità per eccellenza della religione, contro la quale all’epoca occorreva combattere, era senz’altro quella della rivelazione, il dogma dei dogmi, il fondamento assoluto di fronte al quale si arresta qualsiasi critica razionale, in cui si può credere o non credere, ma su cui c’è ben poco da discutere.

L’illuminismo tedesco, come hanno messo bene in evidenza diversi studiosi ed in modo particolare Heinrich Hoffmann,([22]) non ebbe un carattere radicale e materialista, come per esempio in Francia.([23]) Esso, pur criticando la religione e la teologia, cercò di trovare un accordo, un’armonia tra la ragione e la rivelazione. Vi era insomma nell’ambito dell’illuminismo tedesco una chiara consapevolezza dei propri limiti, ovvero della propria problematicità. Si era co­scienti del fatto che non si poteva spingere la critica razionale fino al punto in cui poi ci si sarebbe trovati di fronte al nulla, ossia fino al nichilismo assoluto. Occorreva mantenere il senso di responsabilità, il quale suggerisce - allora come oggi - che la religione, in effetti, risponde ad un’imprescindibile esigenza dello spirito, ossia la ricerca di una concezione del mondo e dell’orientamento dell’uomo in esso. Distruggere il quadro di riferimento offerto dalla religione tradizionale senza so­stituirlo adeguatamente, appariva a gran parte degli illuministi tedeschi una ma­nifestazione di più scarsa responsabilità filosofica che non di spiccato acume intel­lettuale.([24]) Quando si criticava la religione, dunque se ne criticavano soprattutto gli aspetti maggiormente dogmatici e non la sua funzione essenziale.

In sintesi dall’evoluzione del dibattito emergeva in modo chiaro dall’evoluzione del dibattito che la religione, se non ne usciva del tutto sconfitta, era più per clemenza e senso di responsabilità dei suo avversari, disposti a criticarla ma non a distrug­gerla, che per le proprie intrinseche capacità di difesa.

Di fronte alla critica della filosofia, del pensiero razionale, la difesa della religione, che tutto sommato costituiva scopo comune a gran parte degli intel­lettuali di lingua tedesca dell’epoca, era dunque estremamente difficile, poiché le mancava del tutto un solido fondamento razionale, il quale potesse resistere senza vacillare alla critica del ‘tribunale della ragione’ e sul quale poi potesse venir edificato in modo stabile l’edificio religioso ed in particolare la mo­rale. In quanto poi quest’ultima riguarda il modo di vita degli uomini ed soprattutto le relazioni interpersonali, la sua critica e la sua crisi apparivano partico­larmente pericolose ai fini del mantenimento di una coesione sociale, indispen-sabile alla sopravvivenza della comunità umana.

Gli anni tra il 1788 ed il 1792, forse non a caso gli ‘anni oscuri’ dello svi­luppo del pensiero di Hegel,([25]) sono proprio gli anni ‘illuminatissimi’ della polemica filosofico-religiosa concernente il fondamento della religione. Come ha ben sottolineato Flügge, questa ‘querelle’ si sviluppava tra il pensiero filoso­fico da una parte e quello teologico dall’altra. ‘Filosofia’ significava allora fon­dare la religione sulla morale, come aveva insegnato Kant, mentre ‘teologia’ significava fondare la morale sulla religione, secondo la dottrina tradizionale.

L’intellettualità di lingua tedesca dell’epoca dovette schierarsi dunque su uno di questi due fronti: da un parte Reinhold ed i sostenitori del primato della filosofia, i quali ponevano a fondamento della religione la teoria kantiana dei postulati; dall’altra Flatt ed i sostenitori del primato della teologia, i quali mette­vano a fondamento della morale la rivelazione, ossia la religione.

Come sempre nella vita dello spirito e quindi nella storia, periodi di crisi e di dubbio producono grande fervore intellettuale, indispensabile alla soluzione della crisi, e tale fervore la sua volta lascia emergere, formandole, grandi perso­nalità Il fervore intellettuale percorrente l’asse costituito da Kant (fondatore del nuovo punto di vista trascendentale della filosofia), Reinhold (divulgatore in terra tedesca del profondo e rivoluzionario significato etico-religioso del kanti­smo) e Flatt (uno dei più intelligenti critici di Kant e suo indiretto divulgatore nello Stift di Tübingen attraverso tale critica) raggiunse il punto di massima intensità proprio nella rinomata istituzione della tranquilla cittadina sveva. Qui infatti Flatt, criticando sia il maestro di Königsberg sia il suo pala­dino di Weimar, stimolò inevitabilmente anche i propri studenti ad assumere una chiara posizione al riguardo.

Ciò non tardò ad accadere, come dimostra l’esplosione di creatività intellet-tuale collegata alla famosa triade Hölderlin-Hegel-Schelling, i più originali ma di certo non gli unici giovani intellettuali di valore dello Stift d’allora (si pensi per es. a Rapp, Diez e Niethammer).

Infatti, come si è felicemente espresso W.G. Jacobs, uno dei più capaci stu-diosi di questo affascinante periodo della storia dello spirito umano, è ben vero che

“[...] anche coloro che sono dotati di gran talento devono imparare, prima di offrire presta­zioni autonome”.([26])

Proprio sulla scia delle fruttuose ricerche di Jacobs([27]) s’innesta il presente lavoro. I suoi capitoli infatti tratteranno alcuni tra i momenti fondamentali del dibattito relativo a tale rivoluzione filosofico-religiosa; in special modo ci si soffermerà sulla risonanza che tale dibattito ebbe nello Stift di Tubinga grazie all’insegnamento di Flatt.

 

§3 Situazione delle fonti e stato della ricerca

Prima di inoltrarci in quest’analisi, occorre premettere alcune considerazioni importanti in riferimento allo stato attuale della ricerca e soprattutto alla situa­zione concernente le fonti.

Per quanto riguarda il primo punto, v’è da dire che fino ad oggi è stato condotto soltanto uno studio sistematico ed esauriente riguardante in modo specifico questa problematica. Si tratta del già citato lavoro di Christian Wilhelm Flügge Tentativo d’esposizione storico-critica dell’influsso esercitato finora dalla filosofia kantiana su tutti i rami della teologia scientifica e pra­tica([28]). Questo lavoro, apparso in prima edizione nel 1796,([29]) prende in considerazione soltanto scritti filosofico-religiosi pubblicati fino a quella data e rivelanti un chiaro influsso della filosofia kantiana. Esso non esamina altre fonti, di cui noi oggi siamo a conoscenza e che il Flügge ancora ignorava, come per esempio lezioni universitarie, manoscritti inediti, lettere etc. Pertanto per questi motivi si tratta  di un lavoro che forse ha più il valore di fonte che non di uno stu­dio esauriente sull’argomento, o - per essere più precisi - si colloca a metà tra i due.

Vi sono poi diverse ricerche specifiche concernenti l’uno o l’altro aspetto della problematica in questione. I lavori più importanti tra questi sono senz’altro quelli già citati di Brecht, Henrich e Jacobs. Tali scritti s’occupano principal­mente del dibattito nello Stift di Tubinga e in modo particolare dell’influenza ch’esso esercitò sulla formazione del pensiero di Hegel (Brecht, Hen­rich) o Schelling (Jacobs).

Manca dunque al momento attuale uno studio che affronti in modo detta­gliato ed approfondito il peso che ebbe in quegli anni il dibattito filosofico-religioso ed in parti­colare teologico-morale e che, partendo dall’individuazione di quelle parti della filosofia pratica di Kant che maggiormente stimolarono critiche o adesioni, ne esamini tutte le principali fonti a nostra disposizione, per rico­struirne in modo quanto più esauriente e minuzioso possibile lo sviluppo.

 L’inizio del lavoro simile viene fornito col presente studio. Si tratta soltanto di un ‘inizio’ giacché la massa del materiale bibliografico allora prodotto - e per fortuna in buona parte ancora conservato - è enorme, e pertanto le forze di un unico individuo non possono esaurirne la valutazione scienti­fica. Nondimeno spero che in questa sede si riesca a fornire almeno un ‘esempio’ della ricerca che occorrerebbe svolgere nei prossimi anni, in quanto per la prima volta il suddetto materiale viene catalogato (cfr. le appendici 1 e 2) e, soprattutto, l’argomento principale del dibattito dell’epoca viene trattato sulla base di alcuni dei contributi più significativi del periodo. La stessa cosa si potrebbe e dovrebbe fare in futuro in riferimento sia ad altri contributi al dibattito sulla problematica teologico-morale sia ad altri temi filosofico-religiosi che furono allora oggetto d’accesa discussione, sempre sulla scia della rivoluzione provocata da ‘Vater Kant’.

In riferimento allo stato delle fonti, come già detto, disponiamo di molto materiale, in parte in forma di opere pubblicate, in parte in forma di manoscritti. Tale materiale si trova quasi del tutto in biblioteche ed archivi tedeschi.([30])

Le appendici 1 e 2 al presente lavoro contengono rispettivamente una lista alfabetica e cronologica di tali fonti. La maggior parte del materiale bibliogra­fico riguardante la questione nelle sue linee generali si trova presso la ‘Staatsbibliothek’ di Berlino,([31]) mentre per il materiale bibliografico relativo al dibattito sviluppatosi nello Stift occorre far riferimento soprattutto alle varie istituzioni di Tubinga (biblioteca universitaria, archivio dell’università, biblioteca dello Stift etc.).

Per quanto riguarda i vari tipi di fonti a disposizione, occorre distinguerne diversi generi.

Le pubblicazioni (libri, saggi, articoli etc.) che apparvero negli anni in que­stione, con l’autore quindi ancora in vita, hanno pertanto valore di fonte primaria. Esse infatti da una parte contengono la presa di posizione uffi­ciale dell’autore in riferimento alla problematica teologico-filosofica in questione, dall’altra influenzarono più o meno intensamente il dibattito in corso.

Vi sono poi altre fonti, soprattutto manoscritti allora non pubblicati, i quali non divennero conoscenza comune, ma per vari motivi, di volta in volta differenti, furono divulgati soltanto in una cerchia limitata di persone inte­ressate. Si tratta per esempio di lezioni universitarie, quaderni d’appunti di studenti, lettere etc. A volte è tramandato soltanto il titolo di una lezione o del lavoro di uno studente, mentre il testo è andato perduto. In que­sti casi, se si deduce dal titolo che la fonte in questione può essere d’aiuto nel-l’approfondimento della nostra tematica, si può cercare di ricostruirne il conte­nuto sulla base di opere pubblicate dall’autore poco prima o poco dopo la reda­zione del testo perduto e riguardanti un tema simile o addirittura identico. Di alcuni studenti dello Stift sono tramandati per esempio soltanto i titoli dei loro ‘spe­cimina’ (lavori universitari), ma i testi sono per il momento andati perduti (ov­viamente non è escluso che possano essere ritrovati, in una delle bibliote­che della ex-RDT). Molti di questi specimina trattano temi riguardanti diretta­mente il rapporto tra la religione e la morale, a volte addirittura con esplicito ri­ferimento a Kant, e sono pertanto d’immenso interesse per il tema qui trattato. Sarebbe importantissimo, dunque, riuscire a gettare uno sguardo nel loro conte­nuto, sebbene attraverso la via indiretta sopra descritta. Infatti alcuni di questi studenti hanno pubblicato, qualche anno dopo la redazione dello specimen, uno studio avente più o meno lo stesso titolo e quindi trattante lo stesso tema. Si suppone pertanto che questi lavori successivi costituiscano un’elaborazione ed un approfondimento di quei lavoretti universitari, che per la loro stessa natura non potevano andare oltre un certo livello di approfondimento. Sebbene alcune di queste rielaborazioni siano avvenute dopo il 1794, esse nondimeno consen­tono uno sguardo retrospettivo a pensieri e conclusioni contenuti in quei lavori universitari e appartenenti quindi al periodo in questione.

Come già detto nella prefazione, lo studio ed eventualmente anche l’edizione delle pubblicazioni e dei manoscritti conservati, come anche la ricerca di quelli perduti, rappresenterebbe un contributo importantissimo alla compren­sione della storia della formazione dell’idealismo classico tedesco. Pertanto de­sidero sottolineare qui il desiderio che l’analisi condotta in questo studio, in buona parte pionieristico, e la luce fatta sulla centralità di queste fonti all’interno di quella storia, costituiscano uno stimolo sufficiente alla loro futura edizione e ad un loro accurato studio analitico; un lavoro tale, ovviamente, data l’enorme quantità del materiale esistente, non può essere gestito sol­tanto dalle forze, necessariamente limitate, di un unico studioso, per quanto que­ste possano essere generose ed animate da intenso amore per un periodo forse irripe­tibile della storia del pensiero filosofico.

 

§4 Periodizzazione

L’accurato lavoro del Flügge costituisce il punto di riferimento principale non solo relativamente alla determinazione della tematica centrale del dibattito e delle principali personalità che vi parteciparono, ma anche in relazione alla pe­riodizzazione interna del medesimo. Al §6 Sull’influsso esercitato finora dalla filosofia critica sulla teologia in generale, lo studioso si esprime in modo molto chiaro a tal riguardo. Egli individua due periodi nello sviluppo di tale influsso:

- un primo periodo, che si dalle prime applicazioni del kantismo alla teo­logia immediatamente successiva alla pubblicazione delle opere principali del filosofo (dunque a partire all’incirca dalla metà degli anni ‘80, fino all’apparizione della Religionsschrift nel 1793);

- un secondo periodo che va dal 1793 fino agli anni della redazione del lavoro del Flügge stesso, dunque al 1795/96.

Nella pubblicazione della Religionsschrift viene individuato dal Flügge il ‘Wendepunkt’, ovvero il momento di svolta all’interno dello sviluppo della tematica dell’applicazione del kantismo alla teologia. Flügge, a dire il vero, non si sofferma in modo particolare sui motivi di tale scelta; nondimeno sembra che egli abbia avuto effettivamente un occhio felice al riguardo - probabilmente il suo scrivere durante lo sviluppo di tale dibattito - se ciò da una parte gli ha impedito quel distacco necessario per diventare pienamente e lucidamente consapevole d’ogni aspetto della questione trattata e dall’altra gli ha fornito una sensibilità tale da renderlo capace di individuarne subito gli aspetti essenziali. L’individuazione della pubblicazione della Religionsschrift come momento di svolta è senz’altro un’intuizione corretta; infatti da questo momento in poi si passa ad una critica soprattutto negativa nei confronti della religione tradizionale si passa ad una critica positiva, ossia all’elaborazione di un’alternativa consistente nella formulazione di alcune caratteristiche capaci di rendere una religione accettabile alla ragione. Si parla dunque di una ‘Vernunftreligion’, ovvero per fare ricorso alle categorie filosofihe tradizionali, da una fase ‘destruens’ si passa dunque ad una fase ‘construens’.

Nel presente lavoro vedremo come questa svolta sia rinvenibile non solo nello sviluppo del pensiero di Kant, ma anche del giovane Hegel, il quale pro­prio in quegli anni si andava formando nello Stift di Tubinga sulla scia dei pro­gressi interiori compiuti nella lontana Königsberg da ‘Vater Kant’.

La periodizzazione di massima offerta da Flügge dunque è valida e merita di essere adottata. Essa può essere ulteriormente perfezionata ed adattata alla pro­blematica specifica della teologia morale, approfondita nel presente studio con particolare riferimento al giovane Hegel, attraverso leggere modifiche dei momenti fondamentali della periodizzazione, vale a dire:

- assumendo come momento di partenza e terminus a quo il 1785, anno di pubblicazione della Fondazione della metafisica dei costumi, opera nella quale Kant, per la prima volta in modo sistematico, applica le conclusioni filosofico-religiose della Critica della ragion pura all’ambito della filosofia morale;

- individuando il momento di svolta nel periodo a cavallo tra il 1792 ed il 1793, in quanto il primo capitolo della Religionsschrift, quello più importante ed innovativo, apparve già per la Pasqua del 1792 e conobbe una risonanza immediata, consolidata poi dall’apparizione, dopo precisamente un anno, del testo intero;

- ponendo l’anno 1794 come terminus ad quem e momento conclusivo dello sviluppo di tale dibattito, secondo la nostra ottica particolare del modo in cui il giovane Hegel applicò il pensiero di Kant alla problematica teologico-morale. In tale anno, infatti, Hegel redasse infatti i testi conclusivi del blocco di manoscritti relativi al periodo di Tubinga e del passaggio a Berna. In questi testi il giovane pensatore elaborò il proprio ideale della fondazione di una ‘Vernunftreligion’ e si presentò dunque quale realizzatore del progetto kantiano, rivelando pertanto di aver del tutto assimilato il messaggio filosofico del maestro di Königsberg e diventandone in senso filosofico l’esecutore testa­mentario.

Con questo, per quanto riguarda la formazione del pensiero di Hegel, lo sviluppo della tematica dell’applicazione del kantismo alla teologia può conside­rarsi concluso, anche se essa ovviamente continuò ad avvincere altre menti e quindi a svilupparsi per altri percorsi filosofici.

 

A. I PRESUPPOSTI

§5 Immanuel Kant e l’origine della problematica teologico-morale

La problematica teologico-morale è formata in linea generale da due questioni particolari: la questione riguardante la fondazione della morale e quella riguar­dante la promozione (‘Beförderung’) della medesima.([32])

La questione della fondazione della morale viene trattata da Kant soprat­tutto nella Dialettica della ragion pura pratica, mentre la problematica della ‘Beförderung’ della moralità negli esseri umani forma il contenuto fondamen­tale dell’Analitica della ragion pura pratica ed in particolare del terzo capitolo Dei moventi della ragion pura pratica.

Entrambe le questioni stimolarono un serrato dibattito nella Germania d’al-lora e, per ben comprendere tale dibattito, è necessario in primo luogo riper­correre analiticamente il differenziato ragionamento kantiano.

 

§6 Il ribaltamento del rapporto di fondazione tra religione e morale operato da Kant

L’aspetto principale della filosofia kantiana, in relazione alla tematica della fon­dazione della morale, è senz’altro il suo ribaltamento nei confronti della tradi­zione, sia filosofica sia religiosa. Di particolare importanza è, per la tematica qui trattata, il ribaltamento nei confronti della tradizione religiosa.

Nell’ambito della teologia cristiana v’è un chiaro rapporto di dipendenza della morale dalla religione. L’esistenza di Dio come creatore del mondo costi­tuisce infatti il presupposto per tutte le varie indicazioni morali che, in forma di precetti, vengono fornite agli uomini. Nel Cristianesimo la religione fonda la mo­rale, un’autonomia della morale è nell’ambito di tale religione del tutto impen­sabile ed inaccettabile.

Questo saldo ed inscindibile legame tra religione e morale viene completa-mente meno nell’ambito della filosofia kantiana. Poichè la critica della ragion pura, nella dialettica trascendentale, ha condotto alla conclusione logica che l’esistenza di un dio non ha alcun fondamento razionale e scientifico ed è solo un ideale della ragione, è evidente che su tale base, estremamente fragile, non possa venir fondata alcuna morale.

A Kant pertanto, per essere conseguente nel punto di vista trascendentale adottato, non restava che scegliere la via dell’autonomia della morale. L’alternativa sarebbe stata il rinunciare alla morale.

La via dell’autonomia della morale si rivela praticabile e percorribile, come dimostrano sia la Fondazione della metafisica dei costumi (1785) sia la Critica della ragion pratica (1788).

Il nuovo fondamento della morale diventa il fatto della ragione e della li-bertà, come lo definisce il maestro di Königsberg. Che l’uomo sia razionale e che in base a tale razionalità sia capace di scegliere e sia dunque libero, è un dato di fatto, qualcosa che non ha bisogno di essere dimostrato, ma si dimostra da sé.([33]) Tale ‘fatto’ può far da fondamento all’intero edificio della morale che neppure esisterebbe se non si basasse proprio su di esso, presupposto indispen­sabile d’ogni morale.

Su tale principio autodimostrantesi Kant fonda la propria morale, i cui con­cetti fondamentali, ben noti, sono esposti soprattutto nel testo del 1788. L’intero svolgimento del discorso morale kantiano si snoda senza alcun bisogno di far ri­corso né alla religione né all’esistenza di un dio in qualsiasi altra forma. Kant elabora una morale completamente autonoma, autofondantesi ed autoesplican­tesi. Anzi, al termine dell’elencazione dei vari concetti ed aspetti della morale, egli, attraverso la teoria dei postulati, trova il modo di recuperare la religione, concedendo ad essa, priva di fondazione autonoma, una fondazione tramite la morale. Il postulato dell’esistenza di Dio e quello dell’immortalità dell’anima giustificano - ma non dimostrano - la religione. L’esigenza presente negli uomini di poter credere alla realizzabilità dell’ideale morale della santità, tramite la propria perfettibilità all’infinito, richiede infatti la fede in un mondo che effettivamente sia tale da render ciò possibile. Occorre postulare un dio che abbia creato il mondo in modo tale che in esso possa esser realizzabile quella morale le cui leggi, autofondantesi, sono deducibili dalla ragione umana.

In sintesi, secondo Kant, la morale è autonoma, poiché si fonda sulla ragione e sulla libertà in quanto ‘fatti’, mentre la religione, al contrario, può essere  ammessa soltanto come postulato necessario a dare una prospettiva di realizzabilità alla morale.

 

§7 La questione della ‘Beförderung’ della moralità

Il secondo aspetto della problematica teologico-morale sollevata da Kant ri­guarda il lato più propriamente soggettivo ed umano della morale, ossia il con­cetto di ‘movente’ (Triebfeder). Kant lo definisce nel modo seguente:

“[...] il motivo determinante soggettivo della volontà di un essere, la cui ragione, già per sua natura, non è conforme necessariamente alla legge oggettiva [...]”

(trad. it. p. 89).

“[...] der subjektive Bestimmungsgrund des Willens eines Wesens [...], dessen Vernunft nicht, schon vermöge seiner Natur, dem ob­jektiven Gesetze notwendig gemäß ist [...]” (or. ted. p. 127).

Tale concetto svolge un ruolo centrale nella costruzione della filosofia morale kantiana, in quanto vi è una discrepanza tra la legge morale oggettiva e la ragione umana soggettiva, che occorre eliminare.

Il tema fondamentale del terzo capitolo Dei moventi della ragion pura pra­tica è proprio la determinazione della modalità con la quale questa discrepanza possa venir eliminata senza che vada perduta l’autonomia della ragion pura pratica, esposta e dimostrata da Kant nel primo e nel secondo capitolo. Con le parole del filosofo:

“[...] il motivo determinante oggettivo dev’essere sempre e nello stesso tempo il solo motivo determinante soggettivo sufficiente dell’azione, se questa non deve osservare sol­tanto la lettera della legge senza contenerne lo spirito” (p. 89).

“[...] der objektive Bestimmungsgrund je­derzeit und ganz allein zugleich der subjek­tiv - hinreichende Bestimmungsgrund der Handlung sein müsse, wenn diese nicht bloß den Buchstaben des Gesetzes, ohne den Geist desselben zu enthalten, erfüllen soll.” (127-128)

Secondo il filosofo di Königsberg occorre dunque comprendere

“[...] in che modo la legge morale diventi mo­vente, e cosa avvenga quando essa è tale, nella facoltà di desiderare, come effetto di quel motivo determinante su questa facoltà”

(p. 90).

“[...] auf welche Art das moralische Gesetz Triebfeder werde, und was, indem sie es ist, mit dem menschlichen Begehrungsvermö­gen, als Wirkung jenes Bestimmungsgrundes auf dasselbe vorgehe.” (p. 128)

Tale questione viene trattata da Kant distinguendo tra sentimento morale e sentimenti patologici. I sentimenti patologici hanno origine nel senso interno dell’essere umano e sono indipendenti dalla sua ragione. Si tratta dei differenti istinti e delle varie inclinazioni costituenti la sua sensibilità. Il sentimento morale, al contrario, ha origine nella stessa ragione e consiste fondamentalmente nel rispetto per se stesso che prova l’essere umano, il quale ha agito nel rispetto della legge morale.

Il sentimento morale è quindi un movente soggettivo all’azione, stret-tamente collegato all’oggettività della legge morale. Chi vive secondo i principi della legge morale perché è convinto della loro validità oggettiva e di conseguenza sente rispetto per se stesso, agisce in modo puramente morale([34]) e non meramente legale, dal momento che il rispetto per se stesso come premio dell’agire morale è una sua conseguenza e non un suo presupposto.

Pertanto la legge morale, che ha in sé validità oggettiva, diventa pertanto soggettiva tramite il sentimento morale e questo è l’unico movente soggettivo al comportamento morale che Kant riconosca come moralmente valido.

Kant ritiene di aver risolto in tal modo la questione fondamentale del terzo capitolo della sua opera, cioè la questione della discrepanza tra l’oggettività della legge morale e la soggettività della volontà umana. La legge morale - avente validità oggettiva - ed il rispetto per se stessi - che viene provato soggetti­vamente - sono le due facce di un’unica medaglia, costituita dal comportamento morale dell’essere umano.

Così il filosofo ha chiarito in qual modo “[...] il motivo determinante oggettivo dev’essere sempre e nello stesso tempo il solo motivo determinante soggettivo sufficiente dell’azione”, così come egli formula la questione fondamentale di questo capitolo al suo inizio.

 

§8 Karl Leonhard Reinhold: la difesa e divulgazione della filosofia di Kant e l’affermazione del primato della morale sulla religione (1786-1789)

Un pensatore che visse in prima persona - non solo da intellettuale, ma anche nella propria vicenda biografica - la lotta interiore propria dell’illuminismo tedesco, tra il bisogno di religiosità ed allo stesso tempo il desiderio di razionalità, fu Karl Leonhard Reinhold (Vienna, 26 Ottobre 1757; Kiel, 10 Aprile 1823).([35])

La sua vicenda biografica([36]) è estremamente interessante in quanto fornisce il modello di un percorso spirituale esemplare per la Germania del tempo. Come si esprime von Schönborn:

“Si potrebbe senz’altro definire Reinhold come tipo ideale (Idealtypus) dell’illuminismo” (1991, p. 10).

 

§9 Lo sviluppo intellettuale

I primi studi sono caratterizzati dalla frequenza del noviziato gesuita (dalla fine del 1772 alla fine del 1773) e poi del collegio barnabita (a partire dalla fine del 1774).([37]) Il rapporto tra Reinhold e l’ambiente religioso sembra essere stato al­meno in questi anni di soddisfazione reciproca.([38])

Nel 1780, all’età di 23 anni, Reinhold divenne insegnante di filosofia presso lo stesso ordine dei Barnabiti, dove aveva studiato. Le discipline propriamente filosofiche, ch’egli dovette trattare, furono logica, metafisica ed etica.

Proprio l’approfondimento dello studio della filosofia con buona probabilità diede inizio ad un processo di crisi interiore rispetto al valore assoluto di verità della religione ed in particolare del cattolicesimo che portò Reinhold nel giro di pochi anni su di un terreno speculativo del tutto nuovo.

Tale processo si articolò in due fasi principali: nella prima fase - all’incirca dagli inizi degli anni 80 sino al 1785 - Reinhold si schierò su posizioni filosofi­che vicine alla corrente massonico-illuminista della Vienna di quegli anni; nella seconda fase - a partire dal 1785 - il pensatore aderì al kantismo, divenendone il paladino ufficiale ed il maggior sostenitore.([39])

 

La prima fase

Zwi Batscha, studioso che ha approfondito con particolare attenzione i primi anni della formazione del pensiero di Reinhold, ben definisce l’atteggiamento intellettuale del filosofo in questa fase come quello di un “cattolico critico” (1977, p. 11).

A partire dal 1782 fino ancora al 1785 - quando egli aveva ormai la­sciato Vienna e si era trasferito a Weimar - l’ancor giovane monaco barnabita, ma allo stesso tempo anche filosofo, pubblica infatti diversi lavori di varia na­tura (recensioni, articoli, saggi) sulle due riviste della loggia massonica Zur wahren Eintracht,([40]) della quale era membro: Journal für Freymaurer (Giornale per Massoni) e Wiener Realzeitung (Giornale Reale Viennese). Ovviamente egli pubblica celandosi dietro uno pseudonimo (Dr.).

In questi primi lavori Reinhold, in modo sempre più deciso, prende posizione a favore dell’illuminismo, in tutti i suoi vari aspetti, e contro l’oscurantismo, soprattutto del cattolicesimo dell’epoca.([41])

Questa posizione fortemente critica nei confronti del cattolicesimo istitu­zionale, che pian piano si stava delineando nell’animo del Reinhold, col passare del tempo non poteva non portare alla ferma decisione di abbandonare l’ordine, cosa che avvenne nel maggio del 1784 con la fuga da Vienna a Weimar.([42])

 

La seconda fase

Con l’arrivo a Weimar cominciò la seconda fase di questa prima evoluzione filo­sofica del Reinhold. Essa fu dominata dal kantismo. Come già nella prima,  anche in questa fase Reinhold svolse un’immensa attività pubblicistica. Il pulpito, dal quale egli diffuse le sue idee, fu la rivista Teutscher Merkur, diretta dal Wieland([43]) e della quale egli divenne dall’estate del 1786 coeditore.([44]) A partire dal 1787, soprattutto grazie al successo delle prime Lettere sulla filosofia kantiana, apparse sin dal 1786 sul Teutscher Merkur, Reinhold venne chiamato all’università di Jena come professore di filosofia.

Gli anni immediatamente seguenti segnano sicuramente il momento culmi­nante della fase kantiana di Reinhold e quindi rappresentano anche gli anni di maggior interesse per quanto riguarda la problematica teologico-morale qui trattata. Sono gli anni del completamento della pubblicazione delle Lettere sulla filosofia kantiana nonché della pubblicazione degli altri lavori nei quali Reinhold cercò non solo di difendere e diffondere il kantismo, ma anche di perfezionarlo tramite spunti per­sonali. Si tratta in particolare delle seguenti opere:

- Versuch einer neuen Theorie des menschlichen Vorstellungsvermögen (or. Praga e Jena, 1789; it.: Tentativo di una nuova teoria della facoltà rappre­sentativa umana);

- Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen (Jena, 1790; it. Contributi alla correzione di malintesi verificatisi fino ad oggi tra i filosofi);

- Ueber das Fundament des philosophischen Wissens (Jena, 1791; it.: Sul fon­damento del sapere filosofico).

Questi lavori, i cui singoli capitoli sovente apparvero come saggi nel Teutscher Merkur, rappresentano senz’altro i momenti più significativi del contributo reinholdiano alla discussione sulla filosofia kantiana, stimolata ed avviata proprio dall’ex-monaco.

In riferimento alla tematica teologico-morale sono rilevanti soprattutto i la­vori pubblicati fino al 1789, poiché nelle pubblicazioni del 1790 e 1791 Reinhold, invece, si sofferma principalmente su questioni di carattere eminentemente teoretico, in particolar modo riguardanti la teoria della conoscenza.

I lavori citati, con buona probabilità, costituiscono - anche considerando l’intera opera del Reinhold - il contributo filosofico più interessante da lui lasciato ai po­steri.

 

§10 Il senso dello sviluppo intellettuale di Reinhold e la ‘ricerca di un saldo Erkenntnisgrund’

L’importanza della biografia di Reinhold in riferimento alla problematica teologico-morale non è ovviamente da vedere nelle mere vicende personali (frequenza di questo o quel collegio, appartenenza a questa o quella loggia etc.), bensì nel significato esistenziale che si cela dietro queste vicende, costituendone da una parte il fattore attivo, dunque il motore e la causa di quei cambiamenti, dall’altra però, per così dire, il sensore, ossia il fattore passivo, riflettente quei cambiamenti.

Infatti Reinhold fu una persona umanamente squisita, illimitatamente gene­rosa e desiderosa di contribuire al progresso dell’umanità, quindi estremamente sensibile e pertanto quasi predestinata a rispecchiare nella propria personalità la problematica di un’intera generazione, di un’intera cultura.

Questo valore esistenziale - ed in tal senso quindi anche profondamente storico-filosofico - dell’esperienza di vita del Reinhold, ossia del modo in cui egli visse in sé il proprio tempo, si rivela non tanto attraverso le sue biografie, le quali, per quanto possano essere redatte da studiosi attenti e vicini emozio­nalmente ed intellettualmente al filosofo, comunque risultano sempre scritte da un punto di vista esteriore ed estraneo rispetto alla vita interiore del pensatore, quanto dalle sue note autobiografiche, come per esempio quelle redatte, per così dire ‘a caldo’,([45]) nella parte centrale([46]) della prefazione al libro del 1789 Versuch ei­ner neuen Theorie des menschlichen Vorstellungsvermögen, il cui titolo è Ueber das bisherige Schicksal der Kantischen Philosophie (Sul successo ottenuto fino ad oggi dalla filosofia kantiana).([47])

In queste pagine Reinhold inizia anzitutto col rivelare i motivi profondi che lo indussero ad approfondire lo studio della filosofia di Kant. Egli confessa esplicitamente che tali motivi furono d’ordine religioso - cosa che del resto non ci stupisce, considerato lo ‘spirito dell’epoca’ nella Germania di quel tempo.

Il pensatore racconta di essersi confrontato per diversi anni con la filosofia di Leibniz e Locke, prima di passare allo studio di Kant, e di aver in tal modo “preparato la propria testa” (p. 52) alla filosofia trascendentale. A questa precondizione di carattere speculativo Reinhold ne aggiunge un’altra, re­lativa non alla testa ma al cuore: si tratta del bisogno di trovare pace nel cuore, dopo averla persa sul terreno della speculazione. Come infatti egli scrive, par­lando di sé in terza persona:

“Gli era diventato impossibile credere cieca­mente come prima [...]” (p. 53).

"Es war ihm unmöglich geworden, blind, wie vorher, zu glauben […]"

Reinhold si riferisce dunque alla pace religiosa, ossia relativa alle domande ed ai dubbi riguardanti l’esistenza dell’uomo, come egli si esprime in modo molto chiaro nel passo immediatamente successivo:

“Tramite la sua educazione la religione gli era diventata non solo la prima, ma in certo modo l’unica occupazione([48]) dei suoi primi anni di vita. Educato asceticamente ad asceta, coltivò quel che egli chiamava l’opera della sua sal­vezza con tutta la vivacità giovanile del suo temperamento; e così sentimenti, che di certo non sono del tutto estranei ad alcun cuore umano, ma che dalle circostanze esteriori delle persone vengono favoriti in modo così disuguale, nel suo [cuore] divennero salde e indelebili inclinazioni” (p. 52).

"Durch feine Erziehung war ihm Religion nicht nur zur ersten, sondern gewisser maffen zur einzigen Angelegenheit feiner früheren Lebensjahre gemacht. Asceti ch zum Asceten gebildet trieb er das, was er das Werk feines Heils nannte, mi taller jugendlichen Lebhaftigkeit feines Temperaments; und fo wurden Gefühle, die wohl keinem menfchlichen Herzen ganz fremde find, aber die von den äuffern Umftänden der Per onen fo ungleich begünftiget werden, in dem feinigen zu feften und unvertilgbaren Neigungen."

Da queste considerazioni autobiografiche preliminari si può dunque ricavare una prima immagine della condizione spirituale del giovane filosofo intorno al 1785 (v. p. 51 dell’autobiografia), quando egli cominciò ad approfondire lo studio della Critica della ragion pura. Tale immagine si basa sul binomio testa-cuore:

- ‘testa’ sta per ragione, approfondimento di tutte le questioni, anche di quelle religiose formanti “l’unica occupazione” del giovane Reinhold. In questo senso ‘testa’ indica dunque filosofia, speculazione, metafisica;

- ‘cuore’  sta per sentimenti, anzitutto quelli di carattere etico-religioso, che Reinhold ci confessa essere stati il perno della sua personalità e della sua educa­zione giovanile. ‘Cuore’ indica dunque ascetismo, religione, morale.

Risulta evidente dal racconto di Reinhold che prima di dedicarsi allo studio di Kant tali due dimensioni della sua personalità intellettuale erano scisse, ovvero la ‘testa’, nonostante lo studio di Leibniz e Locke, non riusciva a fornire delle risposte adeguate alle domande del ‘cuore’. Da ciò nasceva evidentemente uno stato d’insoddisfazione intellettuale, un bisogno

“[...] di ritrovare la pace del proprio cuore per una nuova via [...]”

 

come il giovane pensatore felicemente si esprime (p. 52).

Questa nuova via gli viene offerta a partire dal 1785 dalla lettura approfon­dita della Critica della ragion pura. Egli si confrontò con la Critica in quanto

“[...] riteneva d’aver percepito in essa infatti tra gli altri anche il tentativo di rendere i fon­damenti conoscitivi (‘Erkenntnisgründe’) della religione e della morale indipendenti da qualsiasi metafisica” (p. 54).

"[…]nachdem er an derselben unter andern auch den Versuch wahrzunehmen glaubte, die Erkenntnissgründe der Grundwahrheiten der Religion und der Moral von aller Metaphysik unabhängig zu machen." ctrl

Alla pagina precedente Reinhold racconta dello studio infruttuoso della metafi­sica dell’epoca, i cui diversi sistemi ad uno studio approfondito non gli erano sembrati essere più che progetti non sviluppati. Essa pertanto non aveva potuto soddisfare al suo bisogno di risposte razionali alle questioni religiose.

Ciò, evidentemente, è proprio quel che il nostro filosofo ottiene dalla lettura di Kant. Infatti alla pagina 56 dell’autobiografia egli apertamente confessa che

“[...] tutti i suoi dubbi filosofici hanno trovato tramite i principi recentemente ricevuti una ri­sposta in un modo pienamente soddisfacente per la testa ed il cuore, per sempre decisivo, sebbene del tutto inaspettato.” (p. 56)

"[…]dass ihm durch die neuerhaltenen Principien alle feine philosophischen Zweifel auf eine Kopf und Herz vollkommen befriedigende, für immer entscheidende, obwohl ganz unerwartete Weise beantwortet sind;"

L’ultima cosa da riferire relativamente all’autobiografia reinholdiana, per quanto riguarda gli anni intorno al 1785, è costituita dalle modalità secondo cui queste esperienze intellettuali sfociarono, a partire dal 1786, nella pubblicazione delle Lettere sulla filosofia kantiana.

Anche in questo caso le motivazioni di fondo sono di carattere religioso. Dopo aver manifestato ancora una volta il proprio carattere generoso,([49]) Rein­hold rivela che, dopo la comprensione del tesoro filosofico-religioso pre­sente nell’opera di Kant, nacque in lui l’esigenza che

“[...] un bene, nel cui possesso egli si sentiva tanto felice, venisse conosciuto ed utilizzato anche da altri” (p. 57).

"[…] ein Gut, in deffen Befitze er fich fo glücklich fühlte, auch von andern erkannt und benutzt würde."

A tal riguardo il pensatore esprime in modo estremamente esplicito quale fosse la motivazione di fondo delle Lettere, ossia questo ‘bene’ ch’egli inten­deva dividere con i propri simili:

“Egli cercò nelle sue Lettere sulla filosofia kantiana di attirare l’attenzione sulla Critica della ragion pura, specialmente tramite quei risultati che derivano dalla stessa per le verità fondamentali della religione e della morale” (ivi).

Er fuchte in feinen Briefen über die kanti che Philo ophie auf die Kritik der Vernunft vorzüglich durch diejenigen Refultate aufmerkfam zu machen, die fich aus derfelben für die Grundwahrheiten der Religion und der Moral ergeben.

Così le Lettere sulla filosofia kantiana, prima opera importante di Reinhold che lo rese famoso e gli valse la chiamata all’università di Jena, contengono la solu­zione razionale e filosofica dei dubbi d’ordine morale e religioso coi quali si era già confrontato il giovane monaco.

 

§11 L’idea fondamentale delle ‘Lettere sulla filosofia kantiana’

Le Lettere sulla filosofia kantiana sono, per così dire, una professione di fede. Reinhold tramite esse intende comunicare ai propri contemporanei i risultati della scoperta, ossia il fatto che la filosofia kantiana contenga in sé la solu­zione di quello che gli sembrava essere, almeno da un punto di vista filosofico, il problema più grande dell’epoca, la situazione di divisione dell’intellettualità tra coloro che affermavano la fondatezza delle verità etico-religiose fondamentali e coloro che invece la negavano.

Questa situazione gli sembrava molto grave per una ragione fondamentale: nessuno dei due ‘partiti’([50]) a suo parere coglieva la verità, ma entrambi sostene­vano concezioni filosoficamente errate. Il motivo di ciò risiedeva a suo giudizio nel fatto che entrambi i partiti non fondavano le proprie teorie su di un saldo ‘Erkenntnisgrund’, termine che in italiano si può rendere letteralmente con l’espressione ‘fondamento conoscitivo’.

Questa condizione d’insufficienza a livello logico o, per meglio dire, gno­seologico, appariva a Reinhold particolarmente pericolosa, in quanto il risultato di una diatriba, nella quale nessuna delle due parti riusciva ad argomentare in modo scientificamente corretto e dunque convincente, era l’impossibilità di per­venire ad una conclusione stabile ed universalmente riconosciuta, dunque, in ul­tima analisi, la totale perdita di fiducia nella religione.

In effetti proprio questo è quel che Reinhold - non a torto generalizzando la propria esperienza interiore - ritiene di individuare nello spirito del proprio tempo. Nella filosofia di Kant egli, al contrario, trova proprio quel che a suo pa­rere mancava alle altre concezioni filosofiche, ossia il saldo ‘Erkenntnisgrund’. Si tratta della fondazione della religione sull’etica, ossia della dottrina kantiana dei postulati della ragion pratica. A giudizio di Reinhold tale dottrina è adatta a costituire la fondazione filosofica delle verità fondamentali della religione, ossia dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. Dunque il contenuto del kantismo e quello del cristianesimo, a suo parere, finiscono col coincidere. La dif­ferenza consiste nella fondazione a livello logico-filosofico, presente nel kanti­smo ed assente nel cristianesimo.

Così Reinhold ritiene di aver trovato il saldo ‘Erkenntnisgrund’ della reli­gione e quindi d’averla salvata dalla crisi in cui essa versava.

È appunto questa la scoperta fondamentale che il pensatore tramite le Lettere intende comunicare ai contemporanei, i quali - come già sappiamo dallo scritto Sul successo ottenuto fino ad oggi dalla filosofia kantiana - non avevano ancora compreso tale senso profondo ed innovativo del pensiero del maestro di Königsberg.

 

B. IL DIBATTITO A TUBINGA

§ 12 Considerazioni introduttive

Con la propria concezione teologico-morale Kant aveva preso una chiara posi­zione a favore dell’autonomia della morale rispetto alla religione ed a favore della supremazia della ragione sulla sensibilità nella costituzione dell’essere umano. Ciò provocò immediatamente un vivace dibattito, rafforzato dalla chiara ed esplicita difesa del kantismo ad opera di Reinhold. Diversi teologi e filosofi presero posizione appoggiando o contrastando la concezione della coppia Kant-Reinhold. Si trattò di un dibattito molto vivace, la cui questione fondamentale fu quella del rapporto tra religione e morale.

Questo dibattito si sviluppò con particolare intensità nello Stift di Tubinga tra professori (Flatt, Storr), ripetitori (Rapp, Diez. Süßkind) e studenti (Hegel, Hölderlin, Schelling). Pertanto si capisce per qual motivo una profonda analisi di tali ‘discussioni kantiane’ nello Stift costituisca il presupposto indispensabile per una comprensione precisa del pensiero delle tre personalità destinate poi a diventar famose, ossia dei tre giovani Stiftler Hegel, Schelling e Hölderlin.

Il dibattito nello Stift dev’essere ricostruito tenendo presente che vi erano tre diverse tipologie di partecipanti: i professori, i ripetitori (Repetenten) ed infine gli studenti.

Per quanto riguarda i professori, soprattutto Flatt e Storr, essi vanno consi­derati all’interno del quadro più generale del dibattito in Germania, poiché già pubblicavano ed erano in stretto contatto filosofico con i loro colleghi di altre università.

I ripetitori e gli studenti, al contrario, o non avevano ancora la possibilità di partecipare tramite pubblicazioni al dibattito più generale, o, anche se lo face­vano, come nel caso di Rapp e Mauchart, erano in stretto contatto più con gli studenti che non con i docenti delle altre sedi uni­versitarie tedesche. Essi potevano avere un’influenza diretta e personale sugli studenti dello Stift.

In effetti il ripetitore era una figura molto importante in quanto rappresenta-va l’anello di congiunzione tra il docente, che, come nel caso di Flatt, era in ge­nere pienamente coinvolto nel dibattito a livello nazionale, e lo studente, che tramite l’insegnamento accademico recepiva indirettamente i temi e le proble­matiche del dibattito ed aveva l’occasione di discuterne con il ripetitore ([51]) oltre che con gli altri studenti.

Così poteva sorgere un clima di discussione intellettuale e gli studenti, sia tramite l’insegnamento dei docenti, sia tramite i colloqui coi ripetitori, potevano formarsi una propria opinione rispetto alle problematiche costituenti il dibattito a livello nazionale.

Al fine di comprendere quali fossero le tematiche principali oggetto delle discussioni filosofiche nello Stift di Tübinga intorno al 1790, è estremamente illuminante la lettura della lista degli specimina, ossia quei brevi saggi che gli studenti redigevano a casa relativamente ad un tema stabilito con l’insegnante. Essa, infatti, rivela che gran parte degli specimina elaborati a cavallo del 1790 riguardavano la problematica teologico-morale, con particolare riferimento alla filosofia pra­tica kantiana. Si tratta di un genere di documento molto importante, in quanto tali compiti, svolti a casa dagli studenti su di un tema concordato con gli inse­gnanti, offrono un quadro ben preciso degli argomenti che allora erano all’ordine del giorno e sui quali evidentemente si discuteva nello Stift.([52])

Tali lavori si suddividono in due gruppi: le dissertazioni e gli specimina veri e propri. Le dissertazioni erano redatte quasi prevalentemente dagli insegnanti e venivano solamente discusse dagli insegnanti;([53]) gli specimina invece erano realizzati sempre dagli stessi studenti.

La situazione relativa alla conservazione dei manoscritti, purtroppo anche nel caso degli specimina non è molto confortante. Infatti gran parte di questi scritti, tra i quali i due redatti da Hegel,([54]) è andata perduta.

Alcuni anni fa sono stati ritrovati – per la gioia degli studiosi - presso la biblioteca universitaria di Tübingen diversi specimina. Essi appartengono al lascito di Schnurrer, il cui campo di ricerca era l’esegesi biblica. Per tal motivo quasi tutti gli specimina trattano temi di questo tipo.

I manoscritti sono distribuiti complessivamente in 8 cassette (‘Kapsel’) e catalogati con la segnatura ‘Mh III 68’. Ogni cassetta contiene all’incirca tra i 30 e 40 specimina. A tali specimina è inoltre da aggiungere un gruppo di speci­mina, quadernetti e fogli a parte, i quali non sono stati ancora catalogati in quanto non ne è stato appurato l’autore o per lo meno il titolo.

Al reparto manoscritti della biblioteca universitaria di Tubinga può essere richiesta una lista degli specimina conservati sotto questa segnatura. Al momento della redazione di questo lavoro mancano in tale lista gli specimina contenuti nella cassetta 8, come alcuni dei lavoretti, quaderni e fogli non ancora catalogati.([55])

Presso l’archivio universitario di Tubinga sono conservati inoltre i ‘Magi­sterprogramme’ (segnatura: 21/4 fascicolo V). ([56])

Nel suo libro Jacobs ha pubblicato una lista, tratta dai ‘Magisterpro­gramme’, degli specimina redatti tra il 1785 ed il 1795 (pp. 259 ss.). Tale lista, qui riportata all’appendice 4, è molto utile. Una sua attenta lettura rivela infatti che gli specimina su temi relativi all’esegesi costituiscono soltanto una parte de­gli specimina composti allora dagli studenti. Molti specimina riguardano argo­menti del tutto diversi, per esempio la morale, la teologia, la storia della filosofia etc.

A tal proposito ci si può porre la domanda se tramite la lettura della lista sia possibile riconoscere una questione fondamentale oppure una problematica do­minante, la quale attraversi i diversi temi trattati e istituisca un collegamento tra i medesimi.

A tale domanda si può rispondere affermativamente. In effetti sembra che la problematica del rapporto tra religione, teologia, morale e filosofia rappresenti un tema comune a buona parte degli specimina.

Questa problematica può essere descritta come la ricerca di un principio primo o fondamento della morale. Questo è infatti il tema esplicito dei seguenti specimina:([57])

Anno

Autore

Titolo

1787

Hopf, Hermann Ferdinand

Über den Einfluß der Religion auf den sittlichen Zustand des Men­schen

1787

Wunderlich, Immanuel Gottlieb

Über den ersten Grundsatz der Moralität

1787

Wider, Christian Friedrich

Über die letzten Gründe des menschlichen Willens

1787

Bühler Johann Friedrich

Vom Verhältnis der Religion un­serer Alten zu ihrer sittlichen Cultur

1788

Zeller, Magnus Friedrich

Über den Ursprung und Nuzen des moralischen Gefühls

1788

Faber, Johann Eberhard

Über den Einfluß der Religion auf die Ausübung der moralischen Geseze

1788

Authenrieth, Christian Friedrich

Über den Grund der Sittlichkeit

1790

Klüpfel, August Friedrich

Von der Unzulässigkeit des Prin­cips der Glükseligkeit als erstes Sittengesez betrachtet, und den Vorzügen des Kantischen Moral-Princips

1790

Reyscher, Karl Ludwig

Über die Quelle menschlicher Glükseligkeit

1790

Helferich, Johann Karl Christoph

Über das Princip der Moral

1790

Schmid, August Heinrich

Von dem Hauptinnhalt der practi­schen Philosophie

1790

Flatt, Carl Christian

Parallele zwischen den Kanti­schen und Stoischen Moral-Prin­cipien

1791

Wilhelm, Johann Christian Gottlob

De philosophia morali

1791

Reiniger, Georg Michael

Wie ist das höchste Gut practisch möglich?

1791

Reiniger, Georg Michael

Über das Fundament des reinen Vernunftsglaubens

1791

Griesinger, Johann Jakob

Versuch einer kurzen Geschichte der practischen Philosophie

1791

Fischer, August Friedrich

Über die Verbindung der Religion mit der Moral

1792

Schelling, Friedrich Wilhelm
Joseph

Über die Übereinstimmung der Critik der theoretischen und praktischen Vernunft, besonders in Bezug auf den Gebrauch der Categorien, und der Realisirung der Idee einer intelligibeln Welt durch ein Factum in der lezteren

1792

Beck, Friedrich Jakob

Über die Frage, ob es für unsere Moralität zuträglicher wäre, wenn wir einen apodictischen Beweis für die Unsterblichkeit der Seele hätten

1792

Steinkopf, Karl Friedrich Adolph

Über die Vereinbarkeit des Kanti­schen Moralprincips mit dem Princip des Willens Gottes

1793

Zeller, Christian Friedrich

Über das Verhältniß der Religion zur Moral

1793

Bilfinger, Karl Christoph Friedrich

Vergleichung der Hauptsäze in der Stoischen und Kantischen Sittenlehre

1793

Fehleisen, Karl Friedrich

Von dem Einfluß der Religionen auf die Sitten und den Karakter der Menschen

1793

Reuss, Jeremias Friedrich

Über den ersten Grundsaz der Moral

1793

Moegling, Christian Friedrich

Über Moralität und Glükseligkeit, mit Beziehung auf die Unsterb­lichkeit der Seele

1793

Rau, Karl Friedrich

Widerlegung einiger Moral-Prin­cipien

1794

Hochstetter, Eberhard Friedrich

Über den ersten Grundsaz der Moral

1794

Niethammer, Jakob Benjamin

Über das Verhältniß der Religion und Moral zueinander

Nell’individuazione della problematica fondamentale che costituiva il nucleo centrale delle discussioni filosofico-teologiche presso lo Stift occorre distinguere in primo luogo due livelli:

- il livello del rapporto tra teoria e pratica, tra religione/teologia/filosofia da una parte e la morale dall’altra (come i campi del sapere che particolarmente sti­molarono intellettualmente gli Stiftler);

- il livello costituito dalla questione fondamentale relativa al fondamento della morale. Tale questione mosse gli Stiftler ad interessarsi in modo particolare proprio di quei campi del sapere.

Sulla base di alcune osservazioni di Jacobs nel quinto capitolo Die philosophi-schen Themen der Specimina del suo studio possiamo andare ancora più al fondo di tale questione. Jacobs perviene infatti alla conclusione che gli specimina a carattere filosofico riguardano soprattutto di Kant. Egli si esprime così:

“Come era da aspettarsi, la trattazione di Kant occupa grande spazio” (p. 80).

E, continuando, precisa:

“A partire dal 1787 la trattazione di Kant prende più spazio ed interessa soprattutto la filosofia pratica” (ivi).

La centralità della trattazione di Kant non viene soltanto testimoniata dalla let­tura della lista degli specimina, ma anche da alcuni manoscritti conservati tra gli specimina, benché di natura leggermente diversa.

Si tratta di piccoli quaderni, dal titolo Theses Philosophicae o Theses inau­gurales, che furono redatti in buona parte dagli studenti francesi dello Stift, pro­venienti soprattutto da Montbéliard.([58])

Tali quaderni sono simili agli specimina, ma un po’ più piccoli (in media costituiti da circa 5-6 pagine). Essi sono suddivisi in piccole sezioni, trattanti quasi sempre argomenti filologico-critici, fisici, metafisici, morali e storici. Alcuni di questi quaderni hanno anche una sezione psicologica. Altri presentano una parte in ge­nerale filosofica, la quale include le sezioni metafisica, fisica e morale. Ogni se­zione consiste di poche tesi numerate.

Non tutti i quaderni sono altrettanto importanti in rapporto alla trattazione di Kant ed alle tematiche teologico-morali ad essa collegate, o perchè redatti prima della pubblicazione delle opere maggiori kantiane, o, se pubblicati dopo, in quanto non rivelano tracce di un influsso da parte della filosofia del maestro di Königsberg.

I quaderni, che al contrario mostrano senza ombra di dubbio la ricezione del pensiero kantiano, sono i seguenti:

Anno

Autore

Titolo

Segnatura

senza data

Bernard

Thesium pars moralis

5.18

senza data

Bouillon

Thesium pars critica

7.24

1785

Goguel, Charles Frederic

Theses philosophicae

6.9

1786

Cuvier, Ludwig Christoph

Theses philosophicae

5.16

1786

Fallot, David Frederic

Theses philosophicae

6.28

1792

Morel, P.C.

Theses inaugurales

4.38

1792

Jeanmarie, Eberardus Frede­ricus

Theses inaugurales

8.29

In via preliminare occorre dire che tesi interessanti in rapporto a Kant si trovano soprattutto nella sezione filosofica, morale e metafisica. Nelle sezioni filologico-critiche e storiche non mi è stato possibile rinvenire alcuna traccia di un confronto con Kant.

In riferimento alle sezioni metafisiche e filosofico-teoretiche si deve dire che è possibile riconoscere in modo inequivocabile la ricezione di Kant soprat­tutto per quanto riguarda la teoria della conoscenza ed in particolare la teoria dello spazio e del tempo.

Nel quaderno 8.29([59]) (1792) di E.F.Jeanmarie si può per esempio riconoscere la presenza della teoria kantiana dello spazio e del tempo nella prima tesi:

“Omnia Phaenomena non nisi in spatio & tempore apparens”.

Nel quaderno 7.24([60]) (senza data) di Bouillon appare la teoria kantiana dello spazio nella parte metafisica, per esempio nella seconda tesi:

“Spatium est ordo rerum vel vere existentium, vel modo possibilium”.

La lettura dei diversi quadernetti come anche degli specimina, in particolare di quello di Hesler Über den Kantischen Purismus und Lokischen Empirismus (1790), ([61]) rivela che lo studio della teoria gnoseologica di Kant veniva trattato nello Stift soprattutto in rapporto all’empirismo ed in particolare a Locke.([62])

Questa tematica, come Jacobs dimostra in rapporto allo specimen di Hesler (p. 81), dovrebbe esser posta in collegamento alle lezioni di metafisica di Flatt, per fortuna conservate, sebbene non ancora decifrate e pubblicate, ed al suo in­segnamento in generale.

In rapporto alla filosofia teoretica ed in particolare alla teoria della cono­scenza si deve dunque concludere che gli Stiftler vennero sicuramente stimolati a prendere posizione nei confronti della concezione kantiana.

Per quanto riguarda la filosofia pratica, dunque il campo del sapere che formava il nucleo centrale della discussione filosofico-teologica nello Stift dell’epoca, e le sezioni morali dei vari quadernetti, è il concetto di ‘libertà’ come presupposto della morale a svolgere un ruolo principale.

Nel testo 6.28 (1786), che fu redatto da Fallot, la sezione morale è aperta dalle seguenti, eloquenti parole:

“Sine libertate Scientia Moralis supervacua est”.

Questa tesi è estremamente esplicita nell’affermare che la libertà è presupposto e fondamento della morale.

Anche il quaderno 5.16 (1786) di L.C. Cuvier è a tal riguardo molto interes­sante. La terza tesi della sezione fisica recita così:

“Prescientia Dei, actionum contingentiam ac libertatem non tollit”.

Dato che entrambi i quaderni risalgono al 1786, non devono esser messi in rela­zione alla Critica della ragion pratica (1788), bensì alla Fondazione della metafisica dei costumi (1785). ([63])

Nel quaderno 5.18 (senza data) di Bernard è la terza tesi della sezione morale a rinviare a Kant:

“Ex gradu libertatis fluit gradus moralitatis”.

Le tesi qui presentate non sono le uniche che possono essere molto istruttive ri­guardo al tema della ricezione di Kant nello Stift. In effetti potrebbero esser ci­tate anche altre tesi. Esse sono comunque una prova del fatto che gli Stiftler, relativamente ad alcune delle questioni centrali sia della filosofia teoretica che di quella pratica, si confrontavano soprattutto con il pensiero di Kant.

Pertanto va senz’altro interpretato come uno dei prossimi compiti della ricerca sulla genesi del pensiero di Hölderlin, Schelling e Hegel, il fatto che gli specimina e gli altri quadernetti conservati vengano completamente decifrati e pubblicati. Sol­tanto su questa base sarà possibile giudicare in modo definitivo la portata del contributo ch’essi possono apportare alla ricerca sulla formazione della filosofia dell’idealismo classico tedesco. Lo studio di Jacobs è da vedere in questo senso come un ottimo inizio.

Nel presente lavoro è possibile trattare gli specimina soltanto in rapporto alla tematica del dibattito su Kant nello Stift. Proprio questa particolare prospettiva di lettura ed interpretazione dei manoscritti, unita alle altre ricerche qui presentate, dovrebbe nondimeno rivelare cosa sia da cercare nelle prossime indagini relative agli specimina ed agli altri manoscritti simili. Si tratta di indivi­duare in essi le tracce del confronto degli Stiftler con Kant, in modo particolare con la sua filosofia morale. Perché è proprio questo confronto a costituire l’elemento di maggior interesse in questi quadernetti, specchio del dibattito che allora si svolse nello Stift sul pensiero di ‘Vater Kant’.

La trattazione di Kant ed in particolare della sua filosofia morale costituisce dunque il terzo livello del dibattito tra gli Stiftler. Ciò significa che la questione principale del fondamento della morale era in un rapporto assai stretto con la ricezione della filosofia di Kant.

Questa considerazione è molto importante poiché per il suo tramite si ha a disposizione un punto di vista filosofico che rende possibile ricostruire il dibat­tito filosofico-teologico tra gli Stiftler in modo più preciso di quanto fosse stato possibile fino ad oggi.

Sintetizzando e concludendo si può affermare che l’analisi critica della lista degli specimina - sulla base anche degli studi di Jacobs - nonché la lettura degli altri quadernetti e manoscritti conservati a Tübingen, rivela la struttura triplice, ma al contempo anche unitaria del dibattito che si svolse nello Stift intorno al 1790. Tale dibattito si svolse su tre livelli, aspetti diversi di un’unica problema­tica:

- ci si confrontò in generale con il tema del rapporto tra teoresi (filosofia, reli­gione, teologia) e prassi (etica, morale);

-  si rifletté in particolare sulla questione del fondamento della morale;

- il punto di riferimento di queste riflessioni fu la filosofia pratica di Kant e la sua nuova concezione della fondazione della morale.

Seguendo le relative considerazioni di Jacobs nel suo studio del 1989 inoltre è possibile determinare il punto d’inizio di un confronto serrato nello Stift con que­sto aspetto del pensiero di Kant. Si tratta dell’anno 1787.[64])

Anche l’ulteriore questione - cosa sia successo in quest’anno o in questo pe-riodo, che abbia poi dato inizio a tale confronto – analogamente può ricevere una risposta tramite il ricorso ad una considerazione di Jacobs relativa all’analisi dei Magisterprogramme.([65]) Lo studioso tedesco nota a questo riguardo che il suc­cesso accademico di Flatt fu “altamente considerevole” (p. 87) e ciò, a dire il vero, non a partire dall’inizio della sua attività accademica - ossia dal marzo 1785, quando venne nominato professore straordinario di filosofia -,([66]) bensì a partire dal 1787.

L’inizio di un confronto serrato con la filosofia pratica di Kant nello Stift ed il successo accademico di Flatt presso gli studenti dunque coincidono. Si tratta di una traccia molto importante, il cui percorrimento potrebbe render possibile la scoperta di una chiave per la spiegazione della nascita e dello sviluppo del dibattito filosofico tra gli Stiftler: proprio da questo dibattito, - che non lo si dimentichi!, Hegel trasse il nutrimento per il proprio spirito.

 

§13 Johann Friedrich Flatt: la critica a Kant e l’affermazione del primato della religione sulla morale (1789-1792)

Proprio alla concezione reinholdiana del saldo ‘Erkenntnisgrund’ della religio-ne presente nella filosofia di Kant si collegano direttamente le riflessioni teolo­gico-filosofiche di Johann Friedrich Flatt. L’approfondimento del suo pensiero in stretto collegamento al rapporto con Reinhold può consentirci di rispondere alla questione di storiografia filosofica relativa al rapporto esistente tra il pensiero di Flatt e la filosofia di Kant. La risposta a questa domanda potrebbe rivelarsi illuminante per l’ulteriore questione, ossia ‘quale Kant Flatt abbia tra­smesso agli studenti e come egli pertanto li abbia formati.([67])

Una via molto promettente, che può condurre a questa meta, è gettare uno sguardo nella produzione filosofica del Flatt di quegli anni, in particolare in rap­porto alla problematica teologico-morale.

Nelle sue lezioni, che sono parzialmente conservate presso la biblioteca universitaria di Tubinga in forma di quaderni d’appunti di uno studente dello Stift, anche se purtroppo non sono state ancora decifrate e pubblicate,([68]) Flatt([69]) ha sicuramente esposto e trasmesso ai suoi allievi gli stessi pensieri che si possono leggere nelle opere pubblicate da lui in quegli anni.

Si tratta in particolare dei seguenti scritti: Briefe über den moralischen Er­kenntnisgrund der Religion überhaupt, und besonders in Beziehung auf die Kantische Philosophie del 1789 e Beyträge zur christlichen Dogmatik und Mo­ral und zur Geschichte derselben (1792).([70]) Queste due pubblicazioni di Flatt sono connesse l’una all’altra in modo molto stretto. Il primo scritto svolge infatti una funzione fondamentalmente ‘negativo-di­struttiva’, in quanto Flatt cerca di mostrare come la filosofia pratica di Kant e soprattutto la sua concezione teologico-morale siano in sé contraddittorie e pertanto non possano costituire un idoneo fondamento per la religione.([71]) Per questo motivo tale filosofia non può in alcun modo essere il fondamento di conoscenza (‘Erkenntnisgrund’) della religione e dev’essere pertanto sostituito da un altro ‘Erkenntnisgrund’.([72])

Il secondo scritto svolge al contrario una funzione ‘positivo-costruttiva’, poichè Flatt presenta la religione cristiana come avente in sé il proprio ‘Erkenntnisgrund’, fondato sulla rivelazione, e pertanto capace di essere essa stessa il fondamento della morale.

Di seguito sarà esposto analiticamente il contenuto di questi due scritti, per poi passare alla trattazione dell’influsso che Flatt tramite la propria attività teologica (sia orale attraverso le lezioni universitarie sia scritta attraverso le pubblicazioni) esercitò sul dibattito filosofico-teologico interno allo Stift.

 

§14 Le Lettere sul fondamento morale di conoscenza della religione in gene­rale ed in particolare in rapporto alla filosofia kantiana

Questo scritto di Flatt del 1789, come il titolo chiaramente esprime, è redatto in forma epistolare, analogamente alle reinholdiane Lettere sulla filosofia kantiana, cui Flatt evidentemente si riferisce.([73])

Dopo aver presentato nella prefazione l’intenzione al fondo del suo lavoro, Flatt sviluppa i propri pensieri nelle varie lettere come segue:

- le lettere I e II contengono l’esposizione della teoria kantiana della deduzione dalla morale sia dell’esistenza di Dio che dell’immortalità dell’anima (dunque la concezione teologico-morale di Kant);

- nelle lettere III e VII Flatt espone la propria critica relativa alla concezione kantiana;

- nelle lettere VIII e IX Flatt offre una versione leggermente modificata della concezione teologico-morale kantiana (lettera VIII) ed esamina se questa possa venir eventualmente fondata da altri sistemi filosofici diversi da quello kantiano (lettera IX).

- tale tentativo fallisce e per tal motivo Flatt presenta nella lettera X la propria teoria circa l’’Erkenntnisgrund’ della religione.

L’intenzione di Flatt in questo scritto è fondamentalmente quella di esaminare se la filosofia di Kant sia veramente così “incrollabile”“ (‘unerschütterlich’) ed “incontestabile” (‘unwiderleglich’), “come alcuni sembrano ritenere” (“als einige anzunehmen scheinen”, p. III).

Ciò non significa per lui criticare questa filosofia, quanto piuttosto porne la verità in una luce ancor più chiara (“in ein noch helleres Licht zu sezen”; p. IV).

Già in questo pensiero, che si trova immediatamente all’inizio della prefazione, appare in modo chiaro quale fosse la corrente teologico-kantiana della teologia tubinghese dell’epoca, contro la quale presero posizione Schelling ed Hegel nel loro carteggio di qualche anno dopo.([74])

Dopo aver offerto nella prima e nella seconda lettera uno schizzo esauriente della filosofia kantiana e soprattutto della sua concezione teologico-morale, Flatt sviluppa nelle lettere seguenti (fino alla settima) la propria critica di questa filosofia. Di seguito verranno sintetizzati i concetti fondamentali di questa critica.

L’accusa fondamentale che Flatt rivolge a Kant è quella di essere caduto in alcune contraddizioni; ne consegue che alla concezione teologico-morale, culmine della filosofia critica, venga a mancare un solido fondamento. Da ciò deriva che la religione, la quale secondo Kant si deve fondare sulla morale, viene ad avere un fondamento estremamente fragile (‘gebrechlich’).

Le contraddizioni, che Flatt ritiene d’individuare nella filosofia di Kant, sono in tutto quattro, che meritano di essere esposte singolarmente.

Anzitutto, l’idea la convinzione che un interesse pratico come quello della possibilità per l’uomo di partecipare ad una “felicità precisamente proporzionata all’eticità” (“der Sittlichkeit genau proportionierten Glückseli­gkeit”, p.18) non possa mai avere il valore di una verità teoretica. Così si esprime Flatt a tal proposito:

“[...] il desiderio stesso, per quanto esso possa essere forte e razionale, non può tuttavia mai prendere in me il posto di un argomento ra­zionale, fin quando il mio intelletto rispetta le leggi che appartengono alla sua natura.”

“[...] der Wunsch selbst, wie stark und wie vernünftig er auch seyn mag, kann doch nie bey mir die Stelle eines Wahrheitsgrundes vertreten, so lange mein Verstand den Gese­zen gemäß würkt, die zu seiner Natur gehö­ren.” (p. 19)

In secondo luogo, il docente tubinghese ritiene che nella filosofia di Kant non venga dimostrato che il comportamento etico dell’uomo resterebbe senza impulsi soggettivi qualora non venisse postulata la coincidenza di eticità e della felicità ad essa proporzionata.([75]) Tale considerazione, a suo giudizio, contraddice il principio kantiano dell’autonomia della ragione, secondo il quale l’uomo non ha bisogno d’alcun sostegno alla ragione per comportarsi seguendo i principi dell’eticità.([76])

In terzo luogo, Flatt ritiene d’individuare una differenza  tra le conclusioni della Critica della ragion pura e quelle della Critica della ragion pratica, in particolare la concezione del ‘sommo bene’.([77]) A tal proposito egli afferma che la possibilità oggettiva della realizzazione del sommo bene come principio primo del comportamento umano - che Kant dà per dimostrabile apoditticamente - in realtà è “un principio soltanto problematico” (“ein bloß problematischer Saz” - p. 36), che ritiene di poter formulare nel modo seguente:

“Se v’è un mondo degli spiriti, allora io sono in dovere di promuovere il sommo bene.”

“Wenn es eine Geisterwelt gibt, so bin ich zur Beförderung des höchsten Guts verbun­den” (p. 32).

Il motivo di ciò è che il concetto di ‘sommo bene’ si riferisce ad un mondo de­gli spiriti, la cui esistenza, secondo i principi della Critica della ragion pura, non può venir dedotta. Le conclusioni della parte pratica della filosofia di Kant non vengono pertanto sostenute e fondate da quelle della parte teoretica; ciò si verifica in relazione al concetto del sommo bene fatale, in quanto si tratta del principio fondativo “sul quale deve venir sostenuta la teologia morale”.([78])

Infine, la quarta obiezione di Flatt a Kant riguarda la non tra­sferibilità del principio della concordanza tra eticità e felicità dalla dimensione soggettiva a quella oggettiva (pp. 37 ss.). In rapporto a tale principio Flatt si esprime nel modo seguente (pp. 37-38):

“Con qual diritto Kant presuppone che quella idea della ragione sia in armonia con quel che è reale al di fuori della nostra rappresenta­zione? Con qual diritto egli presuppone che essa non sia una semplice rappresentazione soggettiva, una semplice, benché inevitabile illusione della ragione?”

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Da questa quarta contraddizione deriva una conclusione molto importante: poiché la concordanza tra eticità e felicità come contenuto del sommo bene costituisce il fondamento della possibilità dell’introduzione dei postulati dell’esistenza di Dio([79]) e dell’immortalità dell’anima([80]) - dunque dei concetti fondamentali della religione – se ne deduce che, se il concetto di sommo bene è proble­matico e può valere soltanto soggettivamente, lo stesso deve dirsi dei due postulati da esso fondati (p. 41).

Da ciò Flatt ricava la propria critica fondamentale al sistema filosofico kantiano ed alla sua difesa come ‘Stütze’ (sostegno) della religione, sostenuta da Reinhold nelle sue Lettere. Egli, infatti, conclude che la teologia morale di Kant non può in alcun caso assumersi il compito di far da sostegno alla reli­gione, in quanto a causa delle contraddizioni indicate ha bisogno essa stessa di una fondazione.

Con questa conclusione termina la critica di Flatt alla teologia morale di Kant. Nelle ultime tre lettere del libro Flatt intraprende il tentativo di ‘salvare’ la teologia morale, partendo dalla prospettiva di altri sistemi filosofici.([81]) Egli approfondisce in modo particolare il sistema del determinismo (pp. 95-96) e dell’indeterminismo (pp. 96-101).

Per il nostro scopo sono particolarmente importanti non tanto le sue conclusioni quanto le sue intenzioni. Per Flatt si tratta soprattutto del ‘salvataggio’ (‘Rettung’) del collegamento istituito da Kant tra il principio morale del sommo bene come scopo supremo della vita umana e le verità fondamentali della religione, ossia l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.

Flatt dimostra d’apprezzare profondamente la concezione morale kantiana, che egli ritiene conciliabile con la morale cristiana, si pronuncia però contro la fondazione di questa religione tramite la teoria dei postulati (dunque contro il principio fondamentale della teologia morale kantiana).

Per questo motivo Flatt si pone alla ricerca di un’altra fondazione, dapprima in altri sistemi filosofici, ovvero nel determinismo e nell’indeterminismo. Dal momento che anche questi sistemi si dimostrano incapaci di assol­vere tale compito, Flatt elabora una propria concezione, ch’egli espone nell’ultima lettera.

Secondo questa concezione il compito della ‘promozione’ (‘Beförderung’) del sommo bene può essere svolto soltanto dalla stessa religione.

Flatt adduce due argomenti a sostegno di ciò: quello della concordanza tra la rappresentazione soggettiva dell’uomo e la realtà oggettiva degli oggetti rappresentati (pp. 101-104) e quello della prova teleologica e cosmologica dell’esistenza di Dio (pp. 104-110), che Kant, com’è noto, aveva contestato nella Critica della ragion pura. Entrambi questi argomenti, secondo il parere di Flatt, conducono alla deduzione dell’esistenza di un ‘autore’ (‘Urheber’) della natura, dunque all’esistenza di Dio. Questa teoria viene da Flatt soltanto accennata e non esposta in modo esauriente. Egli promette di far ciò in futuro (p. 109).

La cosa più interessante e più importante, dal punto di vista della compren­sione del contributo di Flatt al dibattito filosofico teologico nello Stift, è che Flatt, non solo nella sua critica a Kant ma anche nella parte propositiva del suo libretto, conserva praticamente la terminologia della morale kantiana e la strumentazione concettuale in essa contenuta, come per esempio il concetto centrale della promozione del sommo bene quale dovere supremo dell’uomo,([82]) ma capovolge del tutto la fondazione di questi concetti.

Mentre per Kant l’unica fondazione possibile è quella della religione tramite la morale, il rapporto tra questi due ambiti del sapere e dell’esperienza è in Flatt precisamente opposto: è la religione che può e deve fondare la morale e quindi promuoverla nell’uomo.

Questo capovolgimento è accompagnato da un’ulteriore cambiamento, anch’esso molto importante, che Flatt introduce nella filosofia pratica kantiana. Esso riguarda il rapporto tra eticità e felicità come contenuto del sommo bene.

Mentre nella filosofia pratica di Kant l’eticità, quale dovere morale dell’uomo gioca un ruolo di primo piano, ed all’uomo è permesso sperare nella felicità soltanto in una misura proporzionale all’eticità, Flatt pone entrambe le componenti del sommo bene sullo stesso livello (p. 89, nota).

Egli intraprende, per così dire, un’umanizzazione della concezione del sommo bene, secondo cui il bisogno umano di felicità è tanto importante quanto il dovere di comportarsi secondo i principi dell’eticità, soltanto in base al rispetto della legge morale.

Tale ‘riforma’ della filosofia morale di Kant, operata da Flatt, è collegata al già esposto distacco relativamente alla questione della fondazione, in quanto Flatt, attraverso di essa, si propone di rendere accessibile la promozione del sommo bene, dunque della moralità, anche agli uomini che non hanno la necessaria predisposizione filosofica per inoltrarsi nel sistema kantiano, oppure non sono d’accordo con il rigore etico di tale filosofia (ossia non sono di­sposti ad assegnare al senso del dovere un’importanza maggiore rispetto alla soddisfazione del desiderio di felicità).

La religione, in quanto fondazione o promozione della moralità, può venir recepita ed assunta come fede dall’uomo comune, che così può esser condotto attraverso di essa al soddisfacimento del suo desiderio di felicità in modo morale.

Questa concezione viene ulteriormente sviluppata da Flatt nel suo secondo libretto, pubblicato tre anni più tardi, ossia nel 1792.

 

§15 I Contributi alla dommatica ed alla morale cristiane ed alla storia delle medesime

Alle prime pagine di questo lavoro Flatt espone i motivi per i quali a suo giudizio l’’Erkenntnisgrund’ filosofico della religione non è sufficiente e questa pertanto ha bisogno di un sostegno da parte della rivelazione. A tal riguardo è molto importante la distinzione ch’egli fa tra uomini che hanno bisogno più degli ‘Erkenntnisgründe’ della religione che di quelli della filosofia ed altri per i quali vale il contrario.

Nel seguente passo è espresso in modo chiaro ed esplicito il proposito di Flatt di conciliare gli ‘Erkenntnisgründe’ della filosofia, relativi all’esistenza di Dio ed all’immortalità dell’anima, con quelli della religione e della rivelazione, al fine della fondazione della morale:

“Non è allora inconseguenza se si nega neces­sità([83]) assoluta ed universale a qualche fonda­mento conoscitivo (‘Erkenntnisgrund’) di quella verità,([84]) tratto dalla Bibbia, e pur tuttavia gli si concede in relazione a determi­nati uomini una necessità relativa ed in rela­zione a parecchi altri un’utilità.([85]) Non è inconseguenza, se da una parte si riconosce il valore che effettivamente hanno gli argomenti prodotti dalla natura a favore dell’esistenza di Dio e si sostiene l’adeguatezza degli stessi per coloro che hanno ricettività per essi, ma non­dimeno dall’altra parte si dichiara del tutto superflua una conferma del risultato di tali argomenti stessi attraverso una qualche auto­rità superiore oppure attraverso fatti che la ragione tanto poco può produrre da se stessa quanto poco può trovare nel corso abituale della natura”.

“Inconsequenz ist es also nicht, wenn man irgend einem aus der Bibel hergenommenen Erkenntnisgrunde von jener Wahrheit) absolute uns allgemeine Unentbehrlichkeit abspricht, aber doch, in Absicht auf gewisse Menschen, eine relative Unentbehrlichkeit, und in Hinsicht auf mehrere andere, Nüzlichkeit zugesteht. Inconsequenz ist es nicht, wenn man einestheils den Werth, den die aus der Natur geschöpften Gründe für das Daseyn Gottes wirklich haben, anerkennt, und die Zulänglichkeit derselben, für diejenigen, die Receptivität dafür haben, behauptet, aber anderntheils doch eine Bestätigung des Resultats derselben durch irgend eine höhere Auctorität, oder durch Thatsachen, welche die Vernunft eben so wenig aus sich selbst erzeugen, als in dem gewöhnlichen Naturlaufe finden kann, für Nichts weniger als für ganz überflüssig erklärt” (pp. 11-12).

Questo passo è molto importante in quanto pone in evidenza l’equilibrio con cui Flatt affrontò la questione della fondazione della morale tramite la religione o viceversa della religione tramite la morale. Si può leggere attraverso le righe ch’egli ben sapeva che coloro, i quali son pervenuti alla filosofia, non hanno bisogno della rivelazione. Egli però era anche cosciente che ciò non vale per la gran parte dell’umanità; per tale motivo la rivelazione deve assumersi nei riguardi di questi uomini il compito della fondazione e della promozione della moralità.

La ‘corrente teologico-kantiana’ della scuola di Tubinga d’allora, cui si riferiscono Schelling ed Hegel nel loro epistolario,([86])  consisteva in questo collegamento di filosofia kantiana e religione cristiana.

Sia concesso d’affermare a tal proposito che per la prima volta nell’ambito della ricerca sulle origini della filosofia idealistica appare evidente, tramite l’analisi qui condotta degli scritti di Flatt, che tale direzione di pensiero era strutturata in modo molto logico, in quanto essa era sorta tramite un approfondito confronto con gli scritti di Kant e disponeva inoltre di grande flessibilità, poiché sapeva distinguere tra uomini che hanno bisogno di filosofia e uomini che, al contrario, hanno bisogno di religione.

Sono la serietà metodologica del confronto con Kant e con l’abbondante letteratura d’allora su tale problematica,([87]) nonché la flessibilità con cui Flatt e gli altri docenti dello Stift affrontarono la medesima, ad aver dato un contributo decisivo affinché Hegel, Schelling ed Hölderlin ricevessero proprio da tale istituzione essenziali impulsi al proprio sviluppo intellettuale.

La conclusione alla quale Flatt perviene in queste prime pagine del suo scritto, è dunque che anche la Bibbia contiene ‘Erkenntnisgründe’ per l’esistenza di Dio e pertanto la ragione deve prenderla in aiuto (‘zu Hülfe’), com’egli letteral­mente s’esprime (per es. alla pagina 15). ([88])

Gli ‘Erkenntnisgründe’ della religione, che la rivelazione cristiana può mettere a disposizione, sono individuati da Flatt in tre aspetti: nella dottrina di Gesù, nei suoi miracoli ed infine nel rapporto tra i due, ossia nei miracoli considerati come miracoli propri di Gesù.

Tale problematica costituisce il contenuto del primo capitolo dello scritto in questione e conduce alla seguente conclusione: i miracoli di Gesù sono in quanto ‘moventi’ (‘Triebfeder’) della moralità molto importanti e tramite essi Dio sostiene l’uomo nei suoi sforzi per comportarsi moralmente (pp. 87 ss.). La loro importanza vale soltanto per l’aspetto soggettivo, cioè non per la de­terminazione di ciò che oggettivamente sia il sommo bene - il che viene eviden­temente da Flatt affidato alla filosofia ed in particolare alla filosofia kantiana - bensì per la soluzione della questione relativa al modo in cui l’uomo possa venir aiutato nella sua messa in pratica del sommo bene. Ciò per esempio può essere l’effetto dei miracoli, i quali, in quanto costituenti una prova dell’esistenza di Dio, sostengono anche il postulato dell’immortalità dell’anima e della speranza umana ad esso connessa, relativa ad una vita dopo la morte. Con ciò viene messo a disposizione dell’uomo un motivo soggettivo in più per comportarsi in modo morale.

Tale pensiero viene espresso in modo esplicito da Flatt a conclusione di questo primo capitolo tramite le seguenti parole:

“In quanto dunque i miracoli, [...], sono fatti, attraverso i quali è stata insegnata la natura divina di Gesù e della sua dottrina, essi sono anche per noi un sostegno molto importante alla speranza, la quale ha il più benefico in­flusso sul cuore([89]) ed in più d’un aspetto con­tribuisce al rafforzamento della virtù ed alla stabilizzazione di sentimenti ben voluti a Dio”.

“Inwiefern also die Wunder, [...], Thatsachen sind, durch die das göttliche Ansehen Jesu und seiner Lehre bewährt worden ist, insofern sind sie auch für uns eine sehr wichtige Stüze einer Hoffnung, die den wohlthätigsten Einfluß auf das Herz hat, und in mehr als einem Betrachte zur Stärkung der Tugend und zur Befestigung Gottgefälliger Gesinnungen beyträgt” (p. 95) .

In questo pensiero appare ben chiara l’intenzione di Flatt di fondare i postulati sulla fede e non la fede sui postulati, come nella filosofia kantiana e nella sua difesa da parte di Reinhold.

Il secondo capitolo del libro di Flatt affronta la questione seguente:

“In quale rapporto sta la speranza della felicità futura, che Gesù promette, con la virtù?”

“In welchem Verhältnis steht die Hoffnung der künftigen Glückseligkeit, die Jesu Lehre verheisset, zur Tugend?” (p. 96).

Si tratta evidentemente del rapporto tra felicità ed eticità, che costituisce il nucleo centrale della teoria del sommo bene ed era stato trattato da Flatt anche nel suo testo del 1789.

La conclusione, cui Flatt perviene in riferimento a tale questione, è la seguente: tramite la dottrina di Gesù e la fede in essa vengono messi a disposizione dell’uomo più moventi (per es. la speranza in una vita futura, fiducia, amore e venerazione nei confronti di Dio etc.), i quali possono contribuire in modo decisivo alla messa in pratica della legge morale, dunque alla promozione della moralità. Ciò vale in modo particolare in quei casi nei quali il rispetto per la pura legge morale da solo non basta. Ciò è molto importante, spiega Flatt,

“[...] in quanto l’uomo non è soltanto ragione; poiché, come lo stesso Kant afferma, essere felici è necessariamente il desiderio di ogni essere razionale ma finito e dunque un motivo determinante inevitabile della sua facoltà di desiderare”.

“[...] da der Mensch nicht lauter Vernunft ist; da wie Kant selbst sagt, glücklich zu seyn, nothwendig das Verlangen jedes vernünftigen, aber endlichen Wesens, und also ein unvermeidlicher Bestimmungsgrund seines Begehrungsvermögens ist”

(pp. 111-112).

Il concorso dei moventi messi a disposizione dalla religione alla promozione dell’eticità, in considerazione della natura non esclusivamente razionale dell’uomo, è un contributo essenziale e per la maggior parte degli uomini indispensabile alla promozione in essi della virtù, ossia, nel linguaggio di Kant, del sommo bene.

Nell’ultimo capitolo del suo lavoro Flatt tratta un tema che è d’interesse soprattutto storico: egli opera un paragone tra la filosofia e la teologia di Socino e la concezione kantiana della ragion pratica. Non trovandosi in tal capitolo nulla di nuovo e di decisivo rispetto alla problematica qui trattata, la sua esposizione può essere tralasciata.

 

§16 Considerazioni conclusive su Flatt

L’analisi degli scritti più importanti di Flatt conduce alle seguenti riflessioni.

Anzitutto, appare evidente per qual motivo Flatt ebbe un considerevole successo presso gli Stiftler. Nonostante egli si opponesse alla filosofia di Kant, il che avrebbe potuto generare una reazione per così dire di ‘rigetto’ da parte degli Stiftler più intelligenti ed aperti, la sua critica era così seria ed in tal misura fon­data su di una precisa conoscenza delle opere del maestro di Königsberg e della letteratura relativa, che la frequenza del suo insegnamento offriva agli Stiftler la possibilità di:

- penetrare in modo accurato ed anche critico([90]) nella filosofia di Kant;

- venire a contatto anche con la problematica, allora attualissima nella filosofia della religione, della ‘Moraltheologie’, ossia dell’influsso reciproco tra reli­gione e morale.

La posizione di Flatt all’interno della vita intellettuale dello Stift dell’epoca può essere dunque giudicata in questo modo: egli fu la porta aperta dello Stift nei confronti della discussione teologico-morale relativa ai fondamenti della reli­gione, allora dominante anche nel resto della Germania e stimolata dalla pubbli­cazione delle opere kantiane e reinholdiane. Flatt infatti mise gli studenti in contatto non soltanto con Kant come fonte di tale discussione, ma anche con molti altri pensatori, i quali parteciparono a questo dibattito al di fuori di Tubinga.

Non deve quindi meravigliare se da un così attivo e ben informato maestro ed attraverso il dibattito filosofico, ch’egli collaborò in modo decisivo a stimo­lare nello Stift, non solo furono formate tre grandi personalità come Schelling, Hölderlin ed Hegel, ma anche diversi altri buoni pensatori, come per esempio il ‘Repetent’ C.G. Rapp, i cui contributi filosofici, benché non raggiunsero l’altezza delle opere della ‘triade’, nondimeno ebbero un significato rile­vante nel dibattito filosofico in corso.

 

§17 La posizione dei ripetitori (I): I sostenitori del primato della religione (Gottlob Christian Rapp)

Una delle figure più interessanti tra i ripetitori attivi nello Stift dell’epoca è senz’altro quella di Gottlob Christian Rapp.([91])

Nel caso della formazione della filosofia di Hegel, Rapp ebbe grande impor­tanza quale possibile mediatore tra il giovane studente ed il suo maestro Flatt. Egli redasse due scritti sulla problematica teologico-morale: Ueber die Untauglichkeit des Prinzips der allgemeinen und eigenen Glückseligkeit zum Grundgesetze der Sittlichkeit (1791) e Ueber die moralischen Triebfedern, besonders die der christlichen Religion (1792). ([92])

Come si può dedurre già dai titoli, si tratta di scritti che riguardano diretta­mente la ricerca di un idoneo fondamento della morale. Il riferimento della kantiana Critica della ragion pratica al capitolo terzo Dei moventi della ragion pura pratica, nonché alla posizione di Flatt a riguardo, è evidente.

Una lettura attenta di ambedue gli scritti conferma pienamente questa prima impressione. I lavori sono in una stretta connessione reciproca: il primo costitui­sce infatti il presupposto del secondo, che ne trae praticamente le conclusioni.

 

§18 Sull’inadeguatezza del principio della felicità universale ed individuale come fondamento dell’eticità (1791)

In questo primo scritto Rapp tratta il tema del fondamento dell’eticità. Egli lo tratta nella forma di un paragone tra la relativa concezione kantiana e quella contenuta in alcuni saggi apparsi in anonimo nella rivista Braunschweigisches Journal (1788). ([93]) In essi viene sostenuta la concezione secondo la quale è la felicità a poter costituire il fondamento dell’eticità. Rapp compara questa concezione con quella di Kant, secondo la quale invece soltanto il rispetto per la legge morale può co­stituire il fondamento dell’eticità, pervenendo alla conclusione che la prima concezione, da lui definita ‘eudemonismo’, contraddice se stessa. Il motivo di ciò è che questa concezione da una parte riconosce la libertà dell’uomo, ovvero la possibilità che l’uomo possa e debba determinare da se stesso il proprio comportamento, dall’altra parte fa dipendere questo comportamento dal soddisfacimento del de­siderio di felicità. Dal momento che però la felicità dipende da fattori esteriori, questo ‘sistema’, come era solito negli scritti dell’epoca,([94]) si trova in contraddizione con se stesso.

Rapp riconosce comunque all’eudomonismo la giusta pretesa di fondare una morale, la quale conduca gli uomini non solo all’eticità, ma anche alla felicità e quindi una morale che non sia valida soltanto per i dotti, ma possa rivolgersi in linea di principio ad ogni essere umano.

Questo aspetto positivo dell’eudemonismo, a parere di Rapp, dovrebbe essere conservato nella concezione kantiana, pur non potendo in alcun caso la felicità costituire il fondamento dell’eticità a causa della sua autocontrad-dittorietà.

Secondo il giovane ripetitore, il giusto fondamento della moralità può per­tanto essere costituito soltanto dal principio kantiano del sommo bene, dunque dalla santità. Questa consiste fondamentalmente in un comportamento che segua i principi della ragione, com’essi sono stabiliti nella Critica della ragion pratica.

Nel sistema kantiano, proprio in quanto esso si fonda sulla libertà dell’uo-mo e non entra in contraddizione con se stesso, come invece fa il sistema del-l’eudemonismo, può essere assicurata all’uomo la felicità. Ovviamente non si tratta di una felicità che venga provocata dall’esterno, dunque di una felicità ‘materiale’, bensì di una felicità interiore. Essa consiste nella consapevolezza di comportarsi moralmente, cioè razionalmente, ossia nella santità.

Questo è in sintesi il contenuto dello scritto di Rapp.

Di primo acchito il ra­gionamento di Rapp e soprattutto la sua teoria dell’eticità non sembrano essere diversi da quelli di Kant. Una riflessione più attenta conduce però alla conclu­sione che vi sia una chiara differenza tra Rapp e Kant. Essa riguarda il punto di vista dal quale i due pensatori considerano l’intera problematica dell’eticità.

Nella filosofia morale kantiana si tratta soprattutto di trovare un saldo fon­damento alla morale; la felicità trova qui il proprio posto soltanto alla fine, quasi casualmente.

L’interesse di Rapp è invece rivolto sin dall’inizio a trovare la strada giusta che possa condurre gli uomini alla felicità. Il ripetitore trova questa strada nel-l’eticità e per questo motivo segue Kant. Il suo scopo ed interesse filosofico principale è però lo stesso degli eudemonisti, ossia la ricerca della via che conduca gli uomini ad una vita felice.

V’è infatti un’espressione che ricorre continuamente in questo scritto e di cui Rapp sempre si serve a proposito della felicità: quel che principalmente gli sta a cuore è la ‘promozione’ (‘Beförderung’)([95]) della felicità ed il più grande merito dell’eticità è a suo avviso quello di promuovere negli uomini la felicità.

La ricerca di una forma giusta ed adeguata di promozione della felicità ne­gli uomini può dunque essere considerata come l’intenzione principale dello scritto di Rapp. Egli deve criticare gli eudemonisti perché questi vogliono fare della felicità il fondamento della morale e ciò ha per conseguenza il risultato opposto, ossia che l’uomo diventi schiavo dei propri istinti e quindi in ultima analisi infelice. Si può però notare in ogni pagina di questo scritto come il suo autore aspiri in primo luogo alla comprensione della promozione della felicità degli uomini ed secondariamente alla loro eticità.

 

§19 Sui moventi morali, in particolare quelli della religione cristiana (1792)

In questo secondo scritto Rapp prosegue le proprie riflessioni. La questione principale, ch’egli qui si pone, è la seguente: mentre i dotti possono raggiungere una condizione di felicità per la via dell’eticità e della ragione, come è stato de­scritto sia da Kant sia da Rapp stesso nello scritto del 1791, ciò non è possibile per gli uomini con un grado inferiore di cultura, per non parlare poi di coloro che già si trovano a percorrere una via immorale e perciò devono trasformarsi radicalmente.

Per questo secondo gruppo di uomini la promozione della felicità deve dunque avvenire in modo diverso che per i dotti. Di certo il principio dell’eticità non può essere cambiato ed adattato alle varie condizioni umane, in quanto esso dev’essere determinato a priori. Secondo questa prospettiva, definita da Kant ‘oggettiva’,([96]) non si può andare incontro al gruppo degli uomini semplici e neppure a quello di coloro che sono già caduti nel male. Se si cambiasse il principio del-l’eticità per loro, ugualmente non si cambierebbe la loro situazione e comunque si peggiorerebbe la condizione morale dei dotti, in quanto li si renderebbe schiavi della sensibilità. Un cambiamento del principio dell’eticità andrebbe dunque in ogni caso contro lo scopo della promozione della felicità.

Nel capitolo Dei moventi della ragion pura pratica, centrale per questa problematica, Kant indica però un’altra via tramite la quale può essere offerto agli uomini più deboli dal punto di vista intellettuale e morale un soste­gno per l’attuazione dell’eticità, senza che se ne metta in questione il principio fondante. Si tratta della prospettiva soggettiva, la quale non si riferisce alla que­stione della validità oggettiva del principio dell’eticità, bensì a quella dell’atteg-giamento psicologico del singolo uomo rispetto al comportamento morale.([97])

In questo contesto sono particolarmente importanti le pagine iniziali (fino alla p. 147) della prima parte di questo secondo saggio di Rapp.

Egli distingue anzitutto tra sentimenti originari e derivati (‘ursprüngliche’ e ‘abgeleitete’, pp. 130-132).

I primi sono collegati alla natura animale dell’uomo e si fondano su bisogni naturali. Essi sono definiti da Rapp ‘istinti’ (‘Triebe’),

“nella misura in cui sollecitano la soddisfa­zione dei bisogni”.

“[...] in so fern sie auf Befriedigung der Be­dürfnisse dringen” (p. 131).

Tali sentimenti sono innati. I sentimenti derivati invece sono

“[...] prodotti a posteriori, tramite oggetti e le qualità originarie della sensibilità [...], oppure a priori, tramite la ragione pura e la sua pura facoltà del sentimento (‘Gefühlsvermögen’), senza influsso delle qualità specifiche della nostra sensibilità, ossia degli istinti originari”,

“[...] erzeugt: und zwar a posteriori durch Objekte und die ursprünglichen Beschaffen­heiten der Sinnlichkeit [...], oder a priori durch reine Vernunft und reines Gefühlver­mögen, ohne Einfluß der specifischen Ei­genschaften unsrer Sinnlichkeit, nemlich der ursprünglichen Triebe” (pp. 131-132).

come Rapp si esprime in un linguaggio che senz’altro si rifà direttamente a Kant.

I sentimenti derivati del primo tipo (dunque quelli a posteriori) sono chia­mati anche ‘sentimenti sensibili’ (‘sinnliche Gefühle’), quelli del secondo tipo ‘sentimenti morali’ (‘moralische Gefühle’).

Entrambi i tipi sono definiti non ‘istinti’, bensì ‘moventi’ (‘Triebfe­dern’): Rapp vede la differenza tra i due concetti nel fatto che anche i sentimenti derivati agiscono sulla ‘facoltà di desiderare’ (‘Begehrungsvermögen’) come i sentimenti originari, ma “con forza minore” (“mit weniger Stärke”, p. 132).

L’effetto, che questi sentimenti hanno sull’uomo, viene chiamato ‘inclina­zione’ (‘Neigung’). L’inclinazione, nella misura in cui viene provocata dai sentimenti sensibili, viene definita ‘inclinazione sensibile’ (‘sinnliche Nei­gung’); l’effetto dei sentimenti morali viene chiamato al contrario è definito ‘inclinazione morale’ (‘moralische Neigung’).

I moventi sensibili agiscono sulla facoltà di desiderare inferiore, mentre i moventi morali su quella superiore; dunque questi ultimi agiscono sulla volontà.

Gli uomini capaci di comportarsi moralmente da se stessi, dunque capaci d’agire secondo i principi della ragione, non hanno bisogno di alcun movente all’eticità, poiché essi sono capaci autonomamente (p. 136). Si tratta però di pochissimi uomini. La maggior parte di essi ha invece bisogno di ‘moventi’ che agiscano sui sentimenti sensibili affinché in essi venga promossa la moralità([98]) ed essi possano così venir condotti alla felicità (pp. 136-137).

La questione che nasce è quella dei moventi adatti a promuovere in questo gruppo di uomini moralità e quindi, indirettamente, felicità (p. 137).

Così si esprime Rapp a tal proposito:

“Quali moventi possono essere pensati, che rendano la volontà incline al bene”.

“Was für Triebfedern lassen sich nun geden­ken, die den Willen zum Guten geneigt ma­chen?” (p. 137).

La conclusione, alla quale perviene il ‘Repetent’ al termine di questa prima parte, è che questi moventi possono venir forniti dalla religione, in parti­colare

“[...] tramite elevazione della religione a mo­rale [...]”

“[...] Durch Erhebung der Religion zur Mo­ral [...]” (p. 147)

com’egli formula il proprio pensiero.([99])

Alle ultime pagine della prima parte Rapp fa un’ulteriore differenziazione tra l’influsso della religione naturale e di quella rivelata (pp. 151-152).

La religione naturale può promuovere la moralità in coloro che già vogliono essere morali, ma non possono riuscirvi soltanto tramite la ragione; la religione rivelata invece può aiutare coloro che si sono già allontanati dalla moralità.

Rapp vede una tale religione principalmente in quella cristiana in quanto “religione del cuore puro”.([100])

In base al fatto che il suo fondatore si è sacrificato per amore, tale religione mette a disposizione degli uomini, tramite il sentimento dell’amore, il movente capace del più grande effetto nella promozione della moralità (pp. 154-156).

Nella seconda parte del suo saggio Rapp approfondisce questo pensiero tramite un confronto tra la religione cristiana, la religione naturale e la pura mo­rale razionale in rapporto al compito della promozione della moralità negli uo­mini.

Egli perviene al risultato che i Vangeli, attraverso la fede, possono realizzare una migliore promozione della moralità che non gli altri due tipi di moventi, in quanto essi parlano agli uomini in un modo più vivente e caldo che non la fede razionale pura o la religione naturale.

La religione cristiana ha a suo parere questo vantaggio:

“Essa sostiene anche il nostro zelo nel bene [...]”

“[...] sie unterstüzt auch unsern Eifer im Guten [...]”

ed in particolare di tal modo che

“[...] il rispetto per la legge tramite tale reli­gione diventa un sentimento più vivente e più ardente”.

“[...] daß die Achtung fürs Gesetz durch sie zu einem viel lebendigeren, feurigeren Ge­fühle wird” (p. 139).

Questo pensiero di Rapp è molto importante ed in rapporto al giovane Hegel molto istruttivo, in quanto in esso si trova il contrasto tra “il caldo sentimento o cuore” ed “il freddo intelletto”.([101]) Tale contrasto svolge un ruolo fondamen­tale nei testi tubinghesi di Hegel,([102]) come anche in quello di Reinhold.([103]) Si può dunque vedere in Rapp colui che nello Stift ha approfondito e sviluppato con particolare attenzione questa distinzione reinholdiana, che poi avrà tanta parte nella forma­zione del pensiero di Hegel.

Il secondo aspetto importante, nella seconda parte del saggio di Rapp, è la trattazione della questione se

“[...] l’amore verso Dio sia capace di fornire un movente puramente morale”.

“[...] die Liebe zu Gott fähig sei, eine ächt-moralische Triebfeder abzugeben [...]” (p.169).

Questa domanda si riferisce evidentemente al già citato terzo capitolo della Cri­tica della ragion pratica, che forma sempre lo sfondo delle riflessioni di Rapp.

A tal riguardo Rapp si riferisce soprattutto alla distinzione fatta da Kant tra sentimenti patologici e sentimenti morali.([104]) Soltanto il sentimento morale - vale a dire il sentimento di rispetto per la legge morale – è, a giudizio di Kant, puro, e costituisce pertanto l’unico movente morale che può muovere il soggetto ad un comportamento morale in senso puro. Altri moventi sono espressamente respinti da Kant poiché o non promuovono alcun comportamento morale o promuovono un comportamento soltanto legale.

Rapp al contrario, assecondando Flatt,([105]) intende mostrare in queste pa­gine come anche l’amore verso Dio, ossia il fondamento soggettivo della religione, possa essere un movente puramente morale della moralità.

Gli argomenti, con i quali Rapp ritiene di poter dimostrare ciò, si fondano sulla distinzione tra rispetto, rispetto con riluttanza e rispetto con inclinazione.([106])

Il semplice rispetto viene sentito per le

“virtù etiche che per altri non hanno alcun vantaggio visibile”.

“[...] sittlichen Vorzügen, die für Andere keinen sichtbaren Vortheil haben” (p. 171).

Il rispetto con riluttanza viene invece sentito per le virtù

“che vanno contro o sembrano andare contro al nostro vantaggio o alle nostre inclinazioni”.

“[...] welche unserm Vortheil und unsern Neigungen zuwider sind (oder zu sein schei­nen)” (p. 171).

Infine il rispetto con inclinazione vien sentito per quelle virtù etiche

“che sono collegate a vantaggi per altri”.

“[...] die mit Vorheil für Andere verknüpft sind [...]” (p. 172).

Quest’ultima forma di rispetto è secondo Rapp il vero amore. Essa non è patolo­gica ma puramente morale in quanto “causata dalla ragione”,([107]) sempre che  tramite questo amore non si cerchi di ricavare dei vantaggi per sé (pp. 172-173).

Tramite queste considerazioni Rapp perviene alla seguente conclusione:

“Poiché la religione cristiana desta nei nostri cuori questi sentimenti morali di gratitudine ed amore verso il Legislatore, non offre un movente sensibile, bensì puramente morale, fondato nel rispetto per la legge, per l’adempimento delle sue leggi”.

“Indem also die christliche Religion diese moralischen Gefühle, Dankbarkeit und Liebe gegen den Gesetzgeber, in unsern Herzen weckt; so spannt sie keine sinnliche, sondern eine ächtmoralische, in der Achtung gegen das Gesetz gegründete, Triebfeder zur Erfüllung ihrer Geseze” (p. 175).

Il vantaggio del vero amore in quanto movente morale è, a giudizio di Rapp, quello che esso non è né freddo, come il semplice rispetto per la legge nel sistema kantiano, né di tipo sensibile, come un sentimento patologico che rende l’uomo schiavo della sua sensibilità.

Così Rapp ritiene di aver trovato la soluzione alla problematica, già indivi­duata da Flatt nella teologia morale kantiana, della ricerca di un movente morale, il quale in linea di principio possa promuovere in tutti gli uomini una mo­ralità pura del tipo di quella concepita da Kant.

Particolarmente interessante è il fatto che tutte le riflessioni di Rapp svolte in questo secondo lavoro riguardano l’aspetto soggettivo-psicologico della mo­rale, il cui nucleo centrale è la problematica dei moventi, fondantesi sul terzo capitolo della Critica della ragion pratica, in cui vengono appunto trattati i pre­supposti soggettivi e psicologici della moralità.

Non a caso dunque tale saggio venne pubblicato nella sezione psicologica della rivista edita da un altro ripetitore, Mauchart: Allgemeines Reper-torium für empirische Psychologie und verwandte Wissenschaften.

Anche Mauchart scrisse spesso di psicologia (per esempio i Fenomeni dell’anima umana - Phänomene der menschlichen Seele -, del 1789, come anche gli Afori­smi sulla memoria in rapporto alla condizione dopo la morte - Aphorismen über das Erinnerungsvermögen in Beziehung auf den Zustand nach dem Tode -, del 1792).

Inoltre è opportuno ricordare che Flatt proprio in quegli anni tenne regolarmente lezioni di psicologia, alle quali prese parte anche Hegel.([108]) È stato tramandato un manoscritto di Hegel Zur Psychologie und Traszendentalphilosophie (testo 27 di GW 1), sicuramente redatto dal giovane filosofo sulla base del quaderno d’appunti presi alle lezioni di psicologia del suo maestro.([109])

 

§20 La posizione dei ripetitori (II): I sostenitori del primato della morale (Carl Immanuel Diez)

L’esposizione delle riflessioni filosofico-religiose di Rapp dà un’idea abbastanza chiara della posizione di quei ripetitori dello Stift, i quali si schieravano dalla parte di Flatt nel dibattito allora in corso. Ovviamente v’erano però anche ripetitori che al contrario si sentivano più attratti dalla concezione del Reinhold.

Uno di questi ripetitori e senz’altro il rappresentante più deciso ed impor­tante di questa corrente fu Carl Immanuel Diez.

La concezione del Diez è stata definita ‘naturalismo’.([110]) Il suo concetto fondamentale([111]) è che alla luce della ‘ragione pura’, considerate le possibilità dell’esperienza umana, una rivelazione empirica non è ammissibile. Con ciò Diez toglie alla religione cristiana il proprio fondamento e l’intera impalcatura teologica viene in tal modo messa in questione.

La posizione di Diez si rivela dunque come un attacco molto duro e deciso alla religione tradizionale, che non lascia alcuna possibilità di conciliazione e compromesso.

Diez fu nella sua vita molto coerente e nell’aprile del 1792, tirando le somme della propria concezione filosofico-religiosa, rinunciò alla teologia ed allo Stift di Tubinga per trasferirsi a Jena e dedicarsi allo studio della medicina. Lì morì di tifo soltanto quattro anni dopo, nel 1796.

 

§21 La posizione degli studenti e la formazione di una ‘posizione autonoma tubinghese’ come mediazione tra le posizioni di Kant-Reinhold e Flatt-Rapp

Come non è difficile immaginare un dibattito talmente acceso, sia a livello nazionale nella Germania dell’epoca che a livello locale nello Stift di Tubinga, non poteva che essere molto stimolante nei confronti dei giovani studenti. Questi infatti venivano continua­mente sollecitati a prendere posizione sui temi trattati.

Non meraviglia pertanto che ben presto emersero tra gli studenti alcune per­sonalità con idee molto originali; tra queste Hölderlin, Hegel e Schelling sono sicuramente quelle più famose, ma non le uniche.([112])

Tra i giovani intellettuali del tempo Hegel fu sicuramente quello più sensibile alle tematiche filosofico-religiose, come è ampiamente testimoniato dalle riflessioni da lui condotte in quegli anni e, per fortuna, ancora conservate.

Una loro analisi potrà pertanto fornire un’idea precisa di come le tematiche del dibattito vennero recepite dallo studente, destinato poi a diventare il più fa­moso tra i suoi compagni.

§22 Georg Wilhelm Friedrich Hegel: Il proposito del salvataggio della religione come ‘religione popolare’ (10 gennaio - autunno 1792)

La prima chiara presa di posizione di Hegel nei confronti della discussione filo­sofico-religiosa che si svolgeva allora nello Stift è costituita da un’esplicita cri­tica rivolta a coloro che ritenevano che la religione non avesse alcuna validità teoretica.

Purtroppo a causa della mancanza dei testi degli anni 1789-1791 non è pos­sibile stabilire con precisione cronologica quando sorse questa concezione he­geliana. Possiamo però affermare con un buon margine di certezza che essa non può essersi sviluppata prima del 10 gennaio 1792. Infatti è tramandata una predica, tenuta da Hegel in questo giorno, nella quale egli esprime l’opinione che la funzione della religione nella vita dell’uomo non sia indispensabile e che la fondazione della morale possa es­sere realizzata ugualmente tramite la voce della coscienza. Si tratta evidente­mente di una posizione di tipo rousseauiano, come del resto sembra sia stata improntata al filosofo francese l’impostazione generale del pensiero hegeliano nei primi quattro anni del soggiorno tubinghese.([113])

La comprensione da parte di Hegel del ruolo centrale ed insostituibile della religione nella vita dell’uomo può essere documentata per la prima volta in modo inequivocabile soltanto col testo 12 “In qual misura è da apprezzarsi la religione...”. Questo testo venne redatto dal giovane filosofo tra la fine dell’agosto 1792 e la primavera del 1793.([114]) La sua presa di posizione rispetto alla discussione dello Stift dev’essere dunque collocata al più tardi in questo lasso di tempo.

Nel testo si trova l’inizio del confronto di Hegel con la problematica filoso­fico-religiosa. Tale confronto sarà poi sviluppato nei testi successivi ed otterrà negli ultimi fogli del testo 16 una prima sistematizzazione completa.

La questione fondamentale è quella del salvataggio della religione in una nazione illuminata, come si evince da queste parole:

“I sacrifici,([115]) ed i concetti su cui essi si fon­dano, non si possono mai introdurre in un popolo che abbia raggiunto un certo grado di illuminamento [...]. Come possono mante­nersi, una volta che ci siano, in una nazione illuminata?” (SG 1, 159).

“Opfer und die Begriffe auf die [sie] sich gründen, lassen sich bei einem Volk nimmer einführen, das einen gewissen Grad von Aufklärung erreicht hat -[...]- wie können sie, wenn sie einmal da sind, bei einer auf­geklärten Nation sich halten.”

(GW 1, 75, 7-11).

Sviluppando questa problematica il giovane pensatore si domanda ulteriormente come debba essere costituita una religione, la quale voglia superare la critica dell’intelletto ed allo stesso tempo possa contenere quelle componenti sensibili che le consentano di esercitare un influsso sulla mentalità del popolo.

La risposta a tale quesito costituisce il motivo centrale di tutti i fram­menti di questi anni fino a quelli del semestre invernale del 1793/94, che furono redatti già a Berna. Alle prime righe del testo 12 viene dunque espressa la que­stione fondamentale che sarà poi alla base dello sviluppo del pensiero di Hegel nei mesi ed anni a venire.

In questo importante testo si trovano, oltre alla questione fondamentale del salvataggio della religione presso un popolo illuminato, anche diverse altre riflessioni, che rappresentano già un passo ulteriore nello stabilimento dei caratteri fondamentali di una tale religione. Particolarmente importanti sono le riflessioni condotte da Hegel in rapporto alla duplice questione se una tale religione sia da preferire come soggettiva od oggettiva ed ancora come privata o pubblica.

Subito all’inizio del testo Hegel tratta immediatamente della distinzione tra religione soggettiva ed oggettiva:

“In qual misura è da apprezzarsi la religione, come soggettiva o come oggettiva?” (SG 1, 159).

“...wiefern ist Religion zu schäzen als sub­jektive oder als objektive?”

(GW 1, 75, 3).

Tale questione viene trattata da lui espressamente in rapporto a Fichte ed è per­ciò da collegare alla sua ricezione della Offenbarungsschrift.([116]) Dato che Hegel esplicitamente pone a se stesso la questione se l’una o l’altra forma di religione sia giusta - ciò negli altri frammenti tramandati sarà già chiaro -([117]) almeno per questo motivo di contenuto, risulta evidente che questo testo fu redatto prima degli altri.

La continuazione del testo presuppone poi oltre alla lettura di Fichte quella dell’opera Jerusalem di Moses Mendelssohn.([118]) Dalla lettura di questo testo He­gel ha recepito soprattutto la distinzione tra religione privata e religione popolare (‘Volksreligion’).([119]) Tali concetti ricorrono nel testo molto spesso.([120])

Hegel prende posizione per la religione popolare e contro la religione privata. Lo scopo della religione popolare viene espresso da lui nel modo seguente:

“...formare il carattere della nazione nella totalità” (SG 1, 160).

“[...] den Charakter der Nation im Grossen zu bilden” (GW 1, 76, 4).

Le coppie di concetti soggettivo-oggettivo e pubblico-privato, entrambe in rap­porto alla religione, svolgono un ruolo centrale nei testi immediatamente se­guenti. Per questo motivo occorre dunque assegnare al testo 12 grande impor­tanza, in quanto noi possiamo ricostruire per il suo tramite come è sorta la pro­blematica che è alla base dei testi seguenti e sfocia poi nei testi del primo pe­riodo bernese nell’ideale della fondazione di una nuova religione.

Questa problematica può essere così sintetizzata:

- lo scopo fondamentale di Hegel è il salvataggio della religione presso un popolo illuminato;

- la questione fondamentale è quale aspetto debba avere tale religione;

- caratteristiche fondamentali di tale religione, che Hegel proprio in questi mesi cerca di definire, sono la soggettività e la popolarità.

Resta da risolvere un’ulteriore questione, ovvero in base a quale ragionamento Hegel voleva salvare la religione, dunque qual è il motivo fondamentale del suo inte­resse per questo aspetto della vita umana.

Dagli altri testi sappiamo che Hegel vedeva nella religione la possibilità della ‘promozione della moralità’ (‘Beförderung der Moralität’), in quanto essa fornisce i ‘moventi’ (‘Triebfedern’) o ‘motivi determinanti’ (‘Beweg-gründe’) all’agire umano. ([121])

Questa concezione non compare esplicitamente nel testo, ma i con­cetti sui quali essa si fonda sono presenti.([122]) Dato che essa è fondata nella filosofia morale di Kant tramite la teoria dei postulati, e questa teoria era stata ri­presa da Fichte nella sua Offenbarungsschrift, Hegel potrebbe averla recepita tramite la lettura sia di Kant sia del testo fichtiano.([123])

L’influenza dell’insegnamento di Flatt e del saggio di Rapp Über die mo­ralischen Triebfedern, besonders der christlichen Religion, considerate la loro diretta e quotidiana presenza nello Stift dell’epoca, sono però ben più probabili.

Si può comunque concludere che il motivo fondamentale, per il quale He­gel voleva salvare la religione, ossia la sua funzione nella promozione della moralità del popolo, nel periodo della stesura di questo testo era già stato già concepito da Hegel.

Nel testo 12, dunque, è espressa in modo chiaro la presa di posizione di He­gel nei confronti della discussione filosofico-religiosa dello Stift: egli era del-l’opinione che la religione in un popolo fosse da salvare e ciò doveva accadere nella forma di una religione soggettiva e popolare (subjektive Volksreligion).

Il passo successivo, che Hegel doveva compiere, era la soluzione della que­stione fondamentale dell’aspetto che tale religione debba avere in un popolo il­luminato, ossia egli doveva elaborarne le caratteristiche principali. Ciò lo fece nei mesi immediatamente successivi, com’è abbondantemente e chiaramente documentato dal testo 16.

 

§23 La religione popolare come ‘religione del cuore’ (autunno/inverno 1792/93)

A partire da un periodo compreso all’incirca tra la fine del 1792 e l’inizio del 1793 Hegel comincia a procedere alla determinazione delle caratteristiche fondamentali della forma di religione popolare, idonea a salvare la religione dalla critica dell’intelletto.

Tale processo si articola in due tappe fondamentali: in una prima fase, più o meno fino all’estate del 1793, il giovane Stiftler ritiene che il fondamento di tale forma di religione debba essere il cuore (egli elabora l’ideale di una ‘religione del cuore’); in una seconda fase poi, la quale abbraccia gli ultimi mesi del suo soggiorno a Tubinga ed i primi di quello bernese, Hegel, sotto l’influsso deter­minante della Religionsschrift di Kant, comprende che il fondamento della reli­gione popolare può essere soltanto la ragione. Così egli elabora l’ideale definitivo di una ‘religione della ragione’.

I fogli da ‘a’ a ‘g’ del manoscritto corrispondente al testo 16 contengono la concezione originaria di Hegel della religione popolare. Sulla base delle note molte esaurienti ed informative dei curatori del primo volume dei Gesammelte Werke è possibile condurre un’analisi precisa di tale testo. Da queste note si viene a conoscenza che il cosiddetto ‘frammento di Tubinga’, dunque il testo 16 di GW 1 (ed in italiano di SG 1), non è un testo unico bensì una raccolta di diversi testi redatti da Hegel in vari momenti e poi da lui stesso messi insieme a formare uno scritto tematicamente omogeneo.([124])

Soprattutto la cesura al luogo 99,28-29 di GW 1 è importante, in quanto rappresenta lo spartiacque tra due gruppi di testi che si differenziano l’un dall’al-tro tramite una concezione del tutto diversa della ‘Volksreligion’.([125])

I testi collocati prima di questa cesura contengono infatti una concezione della religione popolare come ‘cosa del cuore’, mentre quelli collocati dopo di essa presentano la concezione della ‘Volkreligion’ come ‘Vernunftreligion’, dunque come religione razionale, come ‘cosa della ragione’.

In questo paragrafo ci si soffermerà sulla prima concezione, mentre la se­conda verrà discussa più tardi, poiché essa presuppone la lettura della Reli-gionsschrift di Kant, dunque, secondo l’intelligente periodizzazione proposta dal Flügge, appartiene già al secondo periodo dello sviluppo della discussione sulla problematica teologico-morale stimolata dalla pubblicazione delle opere kantiane di filosofia pratica.

Un’analisi approfondita dei diversi fogli da ‘a’ fino a ‘g’ del testo 16 ri­vela la presenza di singoli passi concettuali compiuti da Hegel, tramite i quali egli ha sviluppato la concezione della religione popolare come ‘cosa del cuore’. Tali passi si lasciano distinguere precisamente l’uno dall’altro. Ricostruiamoli ora uno dopo l’altro.

Foglio ‘a’

(GW 1: da 83,1 a 85,13) ([126])

In questo passo si trova un’introduzione all’intera problematica. Hegel comincia con la giu­stificazione del tema, spiegando quale sia l’importanza della religione nella vita degli uomini. Così recita infatti l’inizio di tale foglio ed anche del testo 16:

“La religione è una delle questioni più importanti della nostra vita” (SG 1, 169)

“Religion ist eine der wichtigsten Angele­genheiten unsers Lebens [...]” (GW 1, 83, 1)

Se si pensa alla critica cui era sottoposta la religione all’interno dello Stift (per esempio alla posizione degli atei/naturalisti come Diez), ([127]) si può concludere che già queste prime parole rappresentano una chiara presa di posizione contro tale at­teggiamento estremo e, anche se non esplicitamente, a favore del salvataggio della religione auspicato da Flatt.

Hegel argomenta questa importanza della religione con il fatto che nella “natura dell’uomo” vi è “un bisogno naturale” di essa, così che la religione e soprattutto “quel che nella dottrina di Dio ha valore pratico” trova nel-l’”incorrotto senso umano” un terreno molto ricettivo.

Dopo aver rilevato la centralità della religione nella vita dell’uomo, il gio­vane studente spiega inoltre che da un punto di vista metodologico è importante procedere con molto tatto, se si vuol trattare questo tema con successo, ossia se si vuol influire effettivamente sulla moralità degli uomini. Non bisogna mai di­menticare infatti che

“[...] la sensibilità è l’elemento principale in ogni azione e sforzo umano” (SG 1, 170).

“[...] Sinnlichkeit das HauptElement bei allem Handeln und Streben der Menschen ist” (GW 1, 84, 16-17).

Continuando poi egli si esprime così:

“La natura dell’uomo è, per così dire, soltanto impregnata dalle idee della ragione”

e paragona l’influsso di tali idee sul comportamento morale dell’uomo con quello del sale in una pietanza, ossia col fatto che questo ne modifica il gusto senza però che la sua presenza sia visibilmente riconoscibile.

Quel che Hegel intende dire è che la morale, fondata su principi razionali, può esercitare un influsso sull’uomo soltanto se riesce ad incidere sulla sua sensibilità.

La morale dunque, per avere successo, deve modificare in tal modo la sen­sibilità umana così da farla diventare in se stessa ‘morale’. Se ciò avviene, allora l’uomo agisce ancora seguendo uno stimolo sensibile, dato che in ogni caso non può fare altrimenti, avendo però la religione ‘moralizzato’ la sensibilità, egli si comporterà indirettamente anche in modo morale.

Foglio ‘b’

(GW 1: da 85,14 a 87,15) ([128])

A tale pensiero della sensibilità come elemento fondamentale dell’agire umano si collega l’inizio del secondo foglio. Dopo aver sottolineato che la religione non acquista validità come semplice scienza di Dio, bensì soltanto se essa “interessa il cuore”, in quanto mette a disposizione i ‘Beweggründe’ della moralità, Hegel afferma che la religione deve essere “sensibile”

“[...] per poter agire sulla sensibilità”

(trad. mia).

“[...] um auf die Sinnlichkeit wirken zu kön­nen” (GW 1, 86, 2).

Si tratta di un pensiero importante, che nel corso dello sviluppo del pensiero di Hegel non andrà perduto, ma formerà una componente fissa del suo ideale reli­gioso.

In questi primi due fogli abbiamo una prima sistematizzazione delle rifles­sioni del giovane pensatore sul concetto di ‘Volksreligion’. Tramite essa Hegel cerca di elaborare la concezione di una religione popolare, la quale possa ottenere un effettivo successo presso il popolo.

A tal fine il giovane Stiftler cerca di stabilire i caratteri fondamentali indi­spensabili per pervenire a questo risultato. Nel foglio ‘b’ questo carattere fon­damentale è la sensibilità e con questa considerazione termina tale foglio.([129])

Foglio ‘c’

(GW 1: da 87,16 a 90,25) ([130])

Questo foglio forma il nucleo centrale del primo gruppo di frammenti. In esso Hegel tratta il seguente: Disamina della differenza tra la religione oggettiva e soggettiva. Importanza di questa disamina per l’intera problematica (SG 1, p. 173 ss. - trad. mia).([131]) Si tratta di un tema particolarmente importante in rapporto all’elaborazione del concetto di ‘religione popolare’ (anche il tentativo del pen­satore di determinare quale sia il “...punto principale di una religione popo­lare...”, come si legge nel foglio ‘b’,([132]) vale come chiaro segno del fatto che He­gel in questi fogli tratti un’unica questione principale, vale a dire quella della determinazione del concetto di una ‘religione popolare’).

Hegel espone qui prima il concetto di ‘religione oggettiva’ (GW 1, p. 87,18 fino a 89,15)([133]) e poi quello di ‘religione soggettiva’ (p. 89,16 fino a 90,2).([134])

In questa esposizione egli non resta imparziale, ma prende chiaramente po­sizione per la religione soggettiva, che è qualcosa di vivente, e contro la religione oggettiva, che al contrario è qualcosa di morto.

Le sue conclusioni si trovano all’ultimo paragrafo di questo foglio, nel quale il giovane pensatore esprime la propria intenzione fondamentale.

“Il mio intento non è di cercare quali dottrine religiose abbiano il maggior interesse per il cuore, o possano dare nell’anima il maggior conforto e sollievo, né quali debbano essere gli insegnamenti di una religione che debba rendere migliore e più felice un popolo, bensì quali siano le disposizioni per cui la religione - fuse dottrina e forza nel tessuto delle sensa­zioni umane, uniti i loro impulsi ad agire - si mostri in questi viva e efficace, divenga inte­ramente soggettiva. Se essa è tale, allora non manifesta semplicemente la sua esistenza col congiungere le mani, col piegare le ginocchia e con l’inchinare il cuore di fronte alle cose sacre, ma si estende sino a tutte le ramifica­zioni delle tendenze umane (senza che l’anima ne sia propriamente cosciente) e so­prattutto opera, ma solo in modo mediato; essa opera, per così dire, negativamente, nel lieto godimento delle gioie umane o nel com­pimento di fatti eminenti, nell’esercizio delle dolcissime virtù dell’amore per gli uomini”.

(SG 1, p. 175)

“Meine Absicht ist nicht, zu untersuchen, welche religiöse Lehre am meisten Interesse fürs Herz haben, [...], sondern was für An­stalten dazu gehören, daß die Lehren und die Kraft der Religion in das gewebe der menschlichen Empfindungen eingemischt, ihren Triebfedern zu handeln beigesellt, und sich in ihnen lebendig und wirksam erweise - daß sie ganz subjektiv werde - wenn sie das ist - so äussert sie ihr Daseyn nicht blos durch Händefalten, [...], sondern sie ver­breitet sich auf alle Zweige der menschli­chen Neigungen (ohne daß die Seele gerade es sich bewust ist) und wirkt überall - aber nur mittelbar mit - sie wirkt, um mich so auszudrücken, negativ, bei dem frohen Ge­nus menschlicher Freude - [...], wenn sie auch nicht unmittelbar einwirkt, so hat sie doch den feinern Einfluß, daß sie die Seele wenigstens frei und offen dabei fortwirken läst,[...]-”

(GW 1, p. 90, 3-25)

Tale intenzione consiste allora nell’analizzare come la religione possa divenire soggettiva, ossia “...quali siano le disposizioni (‘Anstalten’) per cui la religione - [...] - divenga interamente soggettiva”.

Con ciò Hegel ha stabilito un ulteriore carattere fondamentale della religione (dopo la sua ‘popolarità’ e ‘sensibilità’): la soggettività.

Foglio ‘d’

(GW 1: da 90,26 a 93,27)([135])

Si tratta di un foglio molto importante in quanto in esso Hegel trae alcune prime conclusioni a partire dalle riflessioni condotte nei fogli precedenti.([136])

Collegandosi all’esposizione della differenza tra religione soggettiva ed og­gettiva, egli presenta all’inizio di questo foglio il concetto centrale che contrad­distingue la propria concezione della religione popolare: distingue di nuovo tra teologia e religione e completa questa distinzione tramite l’importante conside­razione che la teologia è ‘cosa dell’intelletto’ (‘Sache des Verstandes’), men­tre la religione è ‘cosa del cuore’ (‘Sache des Herzens’):

“Se la teologia è cosa dell’intelletto e della memoria [...] la religione è invece cosa del cuore [...]” (trad. mia).

“Wenn Theologie Sache des Verstands und des Gedächtnisses ist [...] Religion aber Sa­che des Herzens [...]” (GW 1, 90, 26-28).

Nelle righe immediatamente seguenti Hegel espone in un modo molto preciso tale definizione della religione, adoperando una struttura concettuale che si rifà chiaramente sia alla kantiana Critica della ragion pratica che alla Offenba-rungsschrift di Fichte.([137])

La definizione della religione come ‘cosa del cuore’ contiene dunque in sé tutti quei caratteri fondamentali della religione popolare, che Hegel fino a questo stadio del proprio sviluppo ha potuto individuare.

Tale espressione si trova ancora in due luoghi di questo gruppo di fram­menti (nei frammenti successivi non si troverà più), in particolare ai passi 92,8 del foglio ‘d’ e 96,28 del foglio ‘g’. A partire dal foglio ‘h’, sotto l’influsso chiaro della Religionsschrift di Kant, la caratterizzazione della religione come ‘cosa del cuore’ viene poi sostituita dal concetto di ‘Vernunftreligion’ (reli­gione della ragione o razionale).([138])

Il resto del foglio ‘d’ (pp. 91-93 di GW 1) contiene un’apologia del cuore sulla base del Nathan di Lessing. Al cuore viene qui contrapposto l’intelletto, incapace di essere fondamento della morale.

Foglio ‘f’([139])

(GW 1: da 94,1 a 96,24)([140])

Questo foglio contiene la ‘resa dei conti’ da parte di Hegel con l’intelletto e l’illuminismo. Con l’espressione ‘illuminismo’ il giovane studente intende so­prattutto l’atteggiamento che vuole prescrivere agli uomini una morale consi­stente in ‘freddi’ principi,([141]) senza tenere in considerazione la sensibilità (si veda l’esempio da lui fornito all’inizio del foglio ‘a’ sull’effetto del sale in una pietanza). La sua critica è rivolta in modo particolare contro Campe.([142])

L’argomento fondamentale della critica di Hegel è che l’intelletto può servire solamente a chiarire le verità della religione oggettiva, ma è del tutto incapace di trasformarle in un comportamento pratico, morale. Esso non può insomma fornire alcun aiuto alla religione soggettiva, come si esprime il nostro filosofo in modo calzante:

“L’illuminamento dell’intelletto rende sì più avveduti, ma non migliori” (SG 1, 179).

“Aufklärung des Verstands macht zwar klü­ger, aber nicht besser” (GW 1, 94, 12).

La parte centrale di questo foglio è particolarmente importante, in quanto in essa viene espresso molto chiaramente quale sia la problematica fondamentale con la quale Hegel si confronta in questi testi. Si tratta della problematica dell’illuminamento del popolo:

“Quando si parli di ciò: s’illumini un popolo [...]” (trad. mia)

“Wenn man davon spricht: man kläre ein Volk auf [...]” (GW 1, 95, 1).

In riferimento a questa problematica - che altro non è se non la ripresa della que­stione dell’’illuminamento dell’uomo comune’, centrale nelle riflessioni del periodo di Stoccarda -([143]) Hegel perviene alla seguente conclusione:

“Poiché è impossibile che una religione, la quale debba essere in generale per il popolo, possa consistere di verità universali, alle quali in ogni tempo sono pervenuti soltanto uomini eccezionali [...] - è dunque necessario che ad essa debbano esser sempre mescolate delle aggiunte, le quali devono essere accettate soltanto per fedeltà e fede - oppure che le proposizioni più pure, rese più semplici, siano poste in un involucro più sensibile, se devono esser  capite e rese accettabili alla sensibilità, [...] così appare evidente che è impossibile che la religione popolare possa esser edificata sulla semplice ragione - se le sue dottrine devono essere efficaci nella vita e nelle opere”

(trad. mia).

“[...] da es unmöglich ist, daß eine Religion, die allgemein fürs Volk seyn soll, aus allge­meinen Wahrheiten bestehen kan, worauf zu jeder Zeit nur ausgezeichnetere Menschen gekommen sind [...] - und also immer theils Zusäze beigemischt seyn müssen, die blos auf Treu und Glauben angenommen werden müssen - oder daß die reinern Säze vergrö­bert in eine sinnlichere Hülle gestekt werden müssen, wenn sie verstanden werden und der Sinnlichkeit annehmlich seyn sollen, [...] so erhellt daß Volksreligion [...] - wenn ihre Lehren in Leben und That wirksam seyn sollen - unmöglich auf blosse Vernunft ge­baut seyn könne”

(GW 1, 96, 5-16).

Con questa chiara conclusione, la quale formula sia la questione posta (l’illuminamento del popolo), sia la relativa soluzione pensata da Hegel al momento della redazione di questo foglio (la religione popolare come ‘cosa del cuore’), si chiude il foglio ‘f’.

Foglio ‘g’

(GW 1: da 96,25 a 99,28)([144])

Questo foglio si apre con la stessa questione che è alla base anche del foglio ‘f’:

“Come la religione in generale è una cosa del cuore, così potrebbe essere una questione, fino a che punto il ragionamento possa mi­schiarvisi, per restare religione” (trad. mia) .

“Wie Religion überhaupt eine Sache des Herzens ist, so könnte es eine Frage seyn, wie weit sich Räsonnement einmischen darf, um Religion zu bleiben”.

(GW 1, 96, 28-29)

La parte centrale di questo foglio contiene un confronto tra illuminismo e saggezza.([145]) L’illuminismo esce da questo confronto quale elemento per­dente. Hegel lo critica come già ha fatto nel foglio ‘f’. Al contrario la saggezza vien posta da lui in rapporto diretto con il cuore, ossia con il fondamento della ragione.

“Ma saggezza non è scienza - saggezza  è un’elevazione dell’anima [...] essa ragiona poco [...] non ha comprato le proprie  convinzioni al mercato generale, [...] ma parla dalla pienezza del cuore” (trad. mia).

“Aber Weisheit ist nicht Wissenschaft - Weisheit ist eine Erhebung der Seele [...] sie räsonnirt wenig [...] sie hat ihre Überzeu­gungen nicht auf dem allgemeinen Markt eingekauft, [...] sondern spricht aus der Fülle des Herzens” (GW 1, 97, 8-19).

Dopo un ulteriore e piuttosto duro attacco a Campe, in particolare al ‘regolo di Campe’ (‘Kampische Lineal’), all’illuminismo, ed ai ‘tempi libreschi’ (‘vollgeschriebenen Zeiten’), alla loro ‘erudizione libresca’ (‘Buchgele­hrsamkeit’“) ed ‘all’uomo della lettera’ (‘BuchstabenMenschen’)

“[...] che non ha vissuto e tessuto da se stesso” (trad mia),

“[...] der hat nicht selbst gelebt und gewebt” (GW 1, 99, 18-19)

come prodotto di tali tempi, Hegel chiude questo foglio con l’immagine bella e piena di speranza della religione capace di aiutare l’uomo a costruire la sua ca­setta

“[...] che solo allora egli può chiamare propria [...]” (SG 1, 185)

“[...] das der Mensch alsdenn sein eigen nennen kan [...]” (GW 1, 99, 27-28)

Non poteva mancare in queste importanti pagine, nelle quali si rivela chiara­mente la soggettiva ed anche passionale partecipazione di Hegel alla problematica religiosa trattata, il riferimento al Nathan di Lessing ed in particolare al passo sul quale il giovane pensatore svevo, già al tempo di Stoccarda, aveva fondato la propria comprensione della grecità:([146])

“E di molte cose potrei dirti

come, dove, perché le ho imparate”

(SG 1, p. 185)

(GW 1, 99,25-26)

L’aver creato il proprio sapere, la propria spiritualità dall’interno, quindi il non averli ricevuti dall’esterno (al mercato), è la caratteristica fondamentale della saggezza, dunque del vero illuminamento, secondo il giovane Hegel (come lo sarà del resto anche per l’Hegel maturo).

 

C. I RISULTATI

§24 L’influsso di Flatt e Rapp sul proposito hegeliano del salvataggio della religione come religione popolare

L’analisi dei più importanti scritti di Flatt e Rapp, redatti nel periodo immedia­tamente successivo alla pubblicazione delle opere morali di Kant ed immedia­tamente precedente la stesura dei frammenti hegeliani degli anni 1792-93, ha condotto alla conclusione che il confronto con Kant era allora all’ordine del giorno nello Stift di Tubinga. Esso può essere sintetizzato nel modo seguente: Flatt e Rapp erano fondamentalmente d’accordo con la morale kantiana, dunque con la teoria del sommo bene ed i concetti ad essa connessi. In nessuna pagina degli scritti analizzati si può leggere infatti un solo rigo che mostri il contrario.

Pertanto è possibile notare nei due teologi dello Stift un particolare rispetto per la morale di Kant.

Nei confronti della teologia morale kantiana, dunque nei confronti della parte della filo­sofia critica riguardante non il contenuto oggettivo di verità della morale, bensì la forma della sua soggettiva realizzabilità nell’essere umano - di grande impor­tanza anche per la fondazione della religione -, le opinioni erano invece contra­stanti. Ciò vale non solo per lo Stift dell’epoca, ma anche per l’intera intellet­tualità tedesca del periodo.

Flatt e Rapp hanno preso rispettivamente come docente e ripetitore una chiara posizione nel dibattito relativo. Essi hanno criticato il sistema kantiano, anche se la loro critica ha perseguito lo scopo d’essere un perfezionamento di tale sistema. Poiché non hanno posto in questione i principi fondamentali della filosofia morale kantiana (per esempio il sommo bene), entrambi possono essere definiti comunque ‘kantiani’, sebbene abbiano cercato di ‘riformare’ la filosofia del maestro di Königsberg tramite un suo ‘completamento’.

Questa riforma consta di due cambiamenti principali: il primo riguarda la teologia morale e la questione della fondazione della morale tramite la religione o viceversa; il secondo invece concerne la parte del popolo, cui tale filosofia deve rivolgersi.

Per quanto concerne la prima questione, tale riforma è contenuta nella con­cezione secondo la quale non è la religione a dover essere fondata dalla morale, - come avviene nella teologia morale kantiana – bensì, al contrario, è la religione che deve promuovere negli esseri umani la moralità, essa deve dunque costituire il fondamento della morale. Secondo il parere di Flatt e Rapp ciò dev’essere attuato in parti­colare dalla religione cristiana tramite il movente dell’amor di Dio.

Per quel che riguarda la seconda questione entrambi i teologi hanno rico­nosciuto che la morale kantiana, nella forma in cui essa è stata presentata dal pensatore di Königsberg, può sicuramente rivolgersi con successo ai filosofi e tra essi, in modo particolare, ai seguaci del pensiero critico; in effetti essa può interessare soltanto pochissimi uomini. Per la stragrande maggioranza degli esseri umani il puro rispetto verso la legge dell’eticità come movente morale è troppo ‘freddo’ per aver influsso sul loro comportamento e dunque sulla loro vita.

Per questa ragione in particolare Flatt ha equiparato la felicità all’eticità; in­fatti, secondo l’opinione comune, essa e non l’eticità è scopo della vita e quindi sommo bene. Con ciò sorse nella Tubinga di quei fecondissimi anni una nuova interpretazione della filosofia kantiana, la quale si poneva come obiettivo principale la formulazione di una concezione teologico-morale, il cui scopo fosse la promozione della moralità tra gli uomini di tutti i ceti, per condurli in tal modo ad una vita felice ed allo stesso tempo morale.

Questa considerazione è molto importante, in quanto il pensiero di Hegel a Tubinga e la nascita dell’ideale filosofico della sua vita possono così venire sal­damente ancorati al dibattito religioso-filosofico della sua epoca. La comunanza nella problematica trattata ed anche nella terminologia usata([147]) tra i testi di He­gel (redatti fino all’estate del 1793) e gli scritti di Flatt e Rapp mostra chiara­mente che nei frammenti del giovane studente si trova una risposta alla questione teologico-morale negli stessi termini in cui essa era po­sta e sviluppata negli scritti del docente e del ripetitore.

Il collegamento tra il pensiero del giovane Hegel e le concezioni di Flatt e Rapp è da vedere in ciò: anche Hegel, come Flatt e Rapp, era dell’opinione che fosse la religione a dover e poter promuovere la moralità negli uomini. In questa intenzione fondamentale Flatt, Rapp ed il giovane Hegel([148]) non possono essere distinti né in riferimento alla concettualità né alla terminologia.

Anche Hegel infatti, proprio come Flatt e Rapp, assume a scopo delle pro­prie riflessioni tutti gli uomini, dunque l’’uomo comune’ e non soltanto i dotti ed i filosofi.

Considerato secondo questa prospettiva il giovane Hegel è molto più vicino a Flatt e Rapp di quanto non lo sia a ‘Vater Kant’. Anche il giovane Stiftler pensa infatti, come Flatt e Rapp, che la felicità debba essere equiparata all’eticità e che l’essere umano non sia soltanto ragione (‘lauter Vernunft’), ma che la sua sensibilità sia altrettanto importante.

Tutte queste considerazioni consentono di pervenire alla conclusione che Hegel, nel periodo di Tubinga ed in particolare negli ultimi due anni (1792-93), abbia elaborato un progetto teologico-morale, che era soltanto uno dei tanti  progetti che venivano elaborati nello Stift del tempo come soluzione alle difficoltà e mancanze scoperte nella filosofia pratica kantiana.

Tra questi progetti quello di Hegel aveva sicuramente una propria indipen­denza ed originalità. Vi sono infatti almeno due importanti caratteristiche che distinguono il progetto di Hegel da quello di Flatt e Rapp.

In primo luogo, per quanto concerne la religione che deve assumersi l’incarico di promuovere la moralità degli uomini, Hegel era sin dall’inizio molto scettico sul fatto che la religione cristiana fosse idonea a svolgere tale im­portante compito. I frammenti di questi anni contengono infatti una profonda analisi della questione se la religione cristiana sia effettivamente in grado di as­solvere con successo a tale compito. La risposta cui Hegel pervenne fu senz’altro negativa.([149]) Per tale ragione Hegel elaborò successivamente l’ideale della fondazione di una nuova religione, la quale fosse effettivamente in grado di assumersi il compito della promozione della moralità negli uomini.

In secondo luogo, per quel che riguarda la moralità che deve venir pro­mossa dalla nuova religione, Hegel già in quegli anni era dell’opinione che si dovesse trattare di una moralità ‘naturale’. Una tale moralità non è però rinve­nibile né negli scritti di Kant né in quelli di Flatt e Rapp e nemmeno in quelli degli altri rappresentanti della corrente teologico-kantiana della teologia del-l’epoca. Essa è piuttosto da mettere in relazione con l’influsso di Rousseau e della ‘filosofia popolare’, che Hegel subì prima di leggere e recepire Kant.([150])

Sulla base di queste due importanti differenze si può senz’altro affermare che la concezione etico-religiosa del giovane Hegel era diversa sia da quella di Kant sia da quelle di Flatt e Rapp; d’altra parte però, a causa delle somiglianze che riguardano concetti altrettanto importanti, si deve ugualmente affermare che senza la filosofia pratica di Kant, come anche senza la critica esercitata su questa da Flatt e Rapp, o ancora - per esprimersi in altro modo - senza la possibilità di formarsi in un’istituzione animata dall’intelligente critica filosofica di Flatt a Kant, l’ideale di Hegel non sarebbe mai sorto o comunque non avrebbe mai as­sunto quella forma chiara e logicamente rigorosa che gli consentì poi di venire realizzato in una nuova ed originale filosofia.

Dal punto di vista della sua critica alla religione cristiana ed allo stesso tempo della sua intenzione di salvare la religione in senso generale al fine della promozione della moralità, la posizione del giovane Hegel all’interno del dibat­tito nello Stift è da considerare come una via di mezzo equilibrata e ponderata tra i due estremi del mantenimento della religione cristiana (Flatt, Rapp) e del rifiuto della religione come tale (Diez).

Qui si mostra, in modo evidente - forse per la prima volta nello sviluppo filo­sofico di Hegel - quella sua caratteristica capacità d’analizzare in modo estrema­mente accurato dapprima gli argomenti a favore e contro le due differenti posizioni, per poi superare, conservando (nel senso dell’’Aufheben’) nella propria posizione come sintesi a livello più alto, quel che v’è di vero e va­lido nelle due posizioni poste a confronto (nella terminologia della Scienza della logica questo momento sintetico è la ‘negazione della negazione’).

La dialettica, che consiste essenzialmente proprio in questo procedimento analitico-sintetico, rappresenta in primo luogo il modo di pensare di Hegel - e ciò al­meno sin dal periodo di Tubinga - prima di diventare, a partire dal periodo di Jena, il metodo applicato dal pensatore svevo all’intero sapere filosofico. Nella sua filosofia, insomma, Hegel non fece altro che esporre - per gli altri - se stesso.

 

SECONDO PERIODO

(1793/94)

La soluzione della problematica teologico-morale:

la pura religione razionale universale

come risultato dello sviluppo storico delle religione

e fondazione di una moralità pura, razionale ed universale

 

A. I  PRESUPPOSTI

§25 Kant e ‘la religione nei limiti della semplice ragione’ (1792/93)

Quanto al dibattito filosofico-religioso che ebbe luogo in Germania, anche per questo secondo periodo vale lo stesso discorso fatto per il primo: l’avvio fu dato da una pubblicazione di Kant, in questo caso dallo scritto La religione nei limiti della semplice ragione.

Tale scritto si articola in 4 parti. Di queste parti la prima fu pubblicata da Kant come saggio nell’aprile del 1792 e l’intero testo, inclusa anche questa prima parte, fu pubblicato un anno dopo, nell’aprile del 1793.

In questo paragrafo verranno esposti i concetti fondamentali costituenti la struttura logica del discorso kantiano, in modo da poter formare così una base d’appoggio per il confronto con i frammenti giovanili hegeliani.

Il primo capitolo Della coesistenza del principio cattivo accanto a quello buono o del male radicale nella natura umana tratta il tema della natura umana, quindi si occupa della questione se l’uomo sia per natura buono o cattivo. Kant espone nelle prime pagine - di carattere introduttivo - tale questione nonché le due soluzioni opposte.

Nel primo e nel secondo paragrafo (intitolati rispettivamente Della originaria disposizione al bene nella natura umana e Della tendenza al male nella natura umana) egli analizza singolarmente le due possibili soluzioni.

Infine, nel terzo paragrafo L’uomo è cattivo per natura e nel quarto Dell’origine del male nella natura umana il filosofo delinea infine la propria posizione. Essa consiste nell’idea fondamentale che nell’uomo ci sia effettivamente una tendenza naturale al male, affinacata però alla disposizione al bene.

Nell’annotazione generale Del modo come l’originaria disposizione al bene si ristabilisca nella sua forza, con cui si chiude questa prima parte, il filosofo di Königsberg mette in chiaro l’esigenza che gli uomini ristabiliscano la loro naturale disposizione al bene, momentaneamente offuscata dalla disposizione al male.

In questo contesto è molto importante il concetto di ‘automiglioramento’ (‘Selbstbesserung’). Esso viene definito da Kant con una frase molto bella:

“Ristabilimento tramite l’applicazione della propria forza”.

“Wiederherstellung durch eigene Kraftanwendung”.([151])

Egli, inoltre, fornisce alcune indicazioni circa il modo in cui gli uomini possono raggiungere questo scopo.

Il terzo capitolo Della vittoria del buon principio sul cattivo e della fondazione di un Regno di Dio sulla terra è la parte centrale, nella quale Kant espone i risultati più importanti, cui egli è giunto in rapporto alla questione della ‘Wiederherstellung’ della disposizione al bene.([152])

Sintetizzando, il problema fondamentale, da cui prende le mosse la Religionsschrift, è il seguente: nell’uomo sono presenti sia la disposizione al bene che quella al male; nel momento storico attuale la disposizione al male ha preso evidentemente il sopravvento su quella al bene; occorre pertanto che l’uomo lotti contro questo fatto e ristabilisca la disposizione al bene come fattore vittorioso, ossia che si comporti in modo morale. Come ciò può venir realizzato? Tale è la questione fondamentale che ispira il resto dello scritto kantiano.

A questa domanda Kant nel terzo capitolo dà una risposta molto complessa ed articolata. Di seguito se ne esporranno i punti principali.

La causa per la quale l’uomo si comporta in modo cattivo si trova secondo il filosofo nel rapporto con gli altri uomini.([153]) La soluzione di questo problema, che con le parole di Kant può essere definita “la vittoria del principio buono su quello cattivo”, è raggiungibile perciò soltanto

“...tramite la fondazione e la diffusione di una società secondo le leggi morali ed avente come scopo le medesime.”

“[...] durch Errichtung und Ausbreitung einer Gesellschaft nach Tugendgesetzen und zum Behuf derselben” (p. 94)

Gli uomini però, a causa della “insufficienti forze dei singoli” (“unzulänglichen Kräfte der Einzelnen”) non possono darsi da soli le leggi morali (“Tugendgesetze”), che dovrebbero costituire il fondamento di una tale società; per questo motivo le forze singole dovrebbero “venir unificate in un’azione comune” (zu einer gemeinsamen Wirkung vereinigt werden”) e ciò può realizzarsi soltanto tramite l’idea “di un essere morale superiore”.([154])

Una siffatta società riceve a motivo del suo fondamento morale il valore di “popolo di Dio” (“Volk Gottes”). In questo popolo non si vive secondo la mera “legalità”, bensì secondo effettiva “moralità”.([155])

In quanto popolo di Dio una tale società o, nella terminologia kantiana, un tale “essere etico comune” (“ethisches gemeines Wesen”), che vive ed agisce “sotto la legislazione morale divina” (“unter der göttlichen moralischen Gesetzgebung”), è

“una chiesa, la quale, in quanto non è oggetto di una possibile esperienza, si chiama chiesa invisibile”.

“[...] eine Kirche, welche, so fern sie kein Gegenstand möglicher Erfahrung ist, die unsichtbare Kirche heißt” (p. 101).

Se all’uomo riesce di costituire una comunità corrispondente a questo ideale, si forma in tal modo la “vera chiesa (visibile)” (“wahre (sichtbare) Kirche”),([156]) ossia quella che

“rappresenta il regno (morale) di Dio sulla terra, nella misura in cui questo può verificarsi tramite l’uomo”.

“[...] welche das ‘moralische’ Reich Gottes auf Erden, soviel es durch Menschen geschehen kann, darstellt” (p. 101).

Contro quest’unica vera chiesa universale, fondata sulla vera fede, stanno le singole fedi storiche:([157]) l’una è per l’uomo “considerato soltanto come uomo”  (“bloß als Mensch betrachtet”), le altre per l’uomo “come cittadino” (“als Bürger”) (p. 105).([158])

A causa della debolezza della natura umana, secondo il parere di Kant, non è possibile fondare una chiesa universale sulla fede religiosa pura, sebbene soltanto questa possa essere fondamento di una chiesa universale

“[…] in quanto essa è una semplice fede razionale, che si lascia comunicare ad ognuno in forma di convincimento”.

“[…] weil er ein bloßer Vernunftglaube ist, der sich jedermann zur Überzeugung mitteilen läßt.” (pp. 102-103)

Occorre pertanto utilizzare a questo scopo una fede storica.([159])

Poiché però in ciò risiede il pericolo che questa fede storica guidi gli uomini ad un agire soltanto legale e non puramente morale,

“[…] è necessaria un’interpretazione della rivelazione pervenuta nelle nostre mani, ossia un’interpretazione totale della stessa secondo un significato che sia in accordo con le universali norme pratiche della religione razionale pura”.

“[...] eine Auslegung der uns zu Händen gekommenen Offenbarung erfordert, d.i. durchgängige Deutung derselben zu einem Sinn, der mit den allgemeinen praktischen Regeln einer reinen Vernunftreligion zusammenstimmt” (p. 110).

La religione razionale in quanto “spirito di Dio, che ci dirige in tutta la verità”,([160]) contiene infatti “il principio superiore dell’interpretazione della Scrittura”.([161]) Ciò deve assicurare che anche la fede storica promuova negli uomini moralità pura e non semplice legalità.

La coincidenza di religione razionale pura, unica ed universale, e fede storica, temporalmente e spazialmente limitata, non sarà però sempre necessaria:

“Infatti è una conseguenza necessaria della disposizione fisica e contemporaneamente morale in noi, la quale ultima è il fondamento e contemporaneamente l’interprete d’ogni religione, che questa finalmente venga pian piano liberata da tutte le motivazioni empiri­che, da tutti gli statuti, che si fondano sulla storia, e che unificano provvisoriamente gli uomini per la promozione del bene tramite una confessione, e così alla fine la religione razionale pura regni su tutti, ‘affinché Dio sia tutto in tutto’”.

“Es ist also eine notwendige Folge der phy­sischen und zugleich der moralischen An­lage in uns, welche letztere die Grundlage und zugleich Auslegerin aller Religion ist, daß diese endlich von allen empirischen Be­stimmungsgründen, von allen Statuten, wel­che auf Geschichte beruhen, und die ver­mittelst eines Kirchenglaubens provisorisch die Menschen zur Beförderung des Guten vereinigen, allmählich losgemacht werde, und so reine Vernunftreligion zuletzt über alle herrsche, ‘damit Gott sei alles in al­lem’” (p. 121).

Qui culmina la storia religiosa dell’umanità, termina la sua “età giovanile” (“Jünglingsalter”), gli uomini, diventati adulti mettono via “quel che è infantile” (“was kindisch ist”; pp. 121-122) e “finisce la divisione umiliante tra laici e clero” (“der erniedrigende Unterschied zwischen Laien und Klerikern hört auf”). Così avviene il passaggio ad un “nuovo ordine delle cose” (“neuen Ordnung der Dinge”) e si può dire alla fine con pieno diritto

“[…] che il regno di Dio è venuto tra di noi”.

“[...] daß das Reich Gottes zu uns gekom­men sei” (p. 122).

In tal modo, quindi, è creato nella natura dell’uomo il fondamento per la vittoria del principio del bene su quello del male ed è anche risolta la problematica fondamentale, dalla quale avevano preso le mosse le riflessioni di Kant. La forma etica di società che deve sorgere, che Kant definisce ‘chiesa invisibile’ (“unsichtbare Kirche”) e vede quale realizzazione del regno di Dio sulla terra, costituisce dunque la risposta alla domanda sul modo in cui l’uomo deve ristabilire in se stesso l’egemonia della disposizione del bene sulla disposizione al male.

Con questa conclusione termina il terzo capitolo ed è conclusa la tematica principale della Religionsschrift. Quel che Kant nel quarto ed ultimo capitolo ancora tratta([162]) sono alcuni temi, i quali non riguardano più però la domanda di carattere teoretico sulla possibilità di una religione pura, bensì quella di carattere pratico riguardante l’organizzazione esteriore della chiesa universale e soprattutto la differenza tra la forma vera e quella falsa delle funzioni religiose. A questo proposito egli si occupa della religione cristiana sia come religione naturale sia come religione dotta.

In rapporto a Hegel è particolarmente importante la seconda parte di questo ultimo capitolo.([163]) In essa vengono trattati da Kant i pericoli collegati alle fedi storiche, come per esempio antroporfismo, superstizione, feticismo etc. Kant si esprime in modo molto duro contro queste false forme di fede religiosa, che egli definisce “superstizione” (“Afterdienst”) e “follia religiosa” (“Religionswahn”).([164]) Egli individua in esse soprattutto il pericolo che il popolo venga allontanato ancora di più dalla religione razionale, in quanto esso viene “derubato della libertà morale”. In questo modo la fede storica diventa un ostacolo alla realizzazione della religione razionale definitiva, anziché essere una stazione intermedia sulla via verso la sua realizzazione.

B. IL DIBATTITO A TUBINGA

§26 La posizione dei docenti: ricezione negativa della Religionsschrift
da parte di Gottlob Christian Storr

Una posizione chiaramente critica nei confronti della Religionsschrift kantiana fu presa a Tubinga dal professore di teologia Gottlob Christian Storr.

Personalità di maggior rilievo dello Stift, nonché fondatore della corrente teologica del soprannaturalismo biblico,([165]) fu anche il maestro di teologia di Flatt. Il suo lavoro Doctrinae christianae part theoretica e sacris litteris repetita (Stuttgart 1793) venne adottato come manuale ufficiale di dogmatica nel Wür­ttemberg.([166]) Hegel frequentò alcuni suoi corsi, come risulta dai Magisterpro­gramme.

La risposta di Storr alla Religionsschrift di Kant apparve in latino già nel 1793, dun­que nello stesso anno della pubblicazione del lavoro kantiano, e portava il titolo Annotationes quaedam theologicae ad philosophiam doctrinam (Tübin­gen 1793).

Nel 1794 essa fu pubblicata anche in tedesco con il titolo Bemerkungen über Kant’s philosophische Religionslehre (Considerazioni sulla dottrina filosofico-religiosa di Kant). La traduzione fu opera del suo allievo Friedrich Gottlob Süßkind, il quale aggiunse al testo del maestro una presa di posizione personale di un centinaio di pagine sulla concezione filosofico-religiosa sostenuta da Fichte nella Offenbarungsschrift. Il lavoro del Süßkind s’intitola Bemerkungen über den aus Principien der praktischen Vernunft hergeleiteten Ueberzeugungsgrund von der Möglichkeit und Wirklichkeit einer Offenbarung, in Beziehung auf Fichte’s Versuch einer Critik aller Offenbarung (Considerazioni sul motivo di convincimento, derivato dai principi della ragion pratica, sulla possibilità ed effettualità di una rivelazione, in relazione al ‘Saggio di una critica di ogni rivelazione’ di Fichte).

È evidente dunque come Storr ed il suo allievo, ossia i rappresentanti prin­cipali del soprannaturalismo biblico, tramite questi due lavori intendessero pren­dere una chiara posizione nei confronti delle concezioni religiose dei due filo­sofi, al fine di chiarire quale fossero gli argomenti della teologia ufficiale a so­stegno della religione cristiana e quelli contro le critiche più o meno esplicite del pen­siero filosofico.

 

§27 La distinzione tra ragione (filosofia) e storia (rivelazione) come presuppo­sto gnoseologico fondamentale delle ‘Bemerkungen über Kant’s philosophi­sche Religionslehre’

Il tema centrale delle Bemerkungen di Storr è la distinzione tra il livello della ragione e quello della storia. Il Cristianesimo si fonda sulla storia, dunque sul racconto di fatti che sono avvenuti, e non sulla ragione, ossia su deduzioni logi­che ricavate da premesse razionali, come per esempio la filosofia di Kant.

Storr parte dal principio gnoseologico che

“[...] la ragione di per sé non è autorizzata né ad affermare né a negare alcunché di decisivo relativamente agli oggetti di cui si discute qui”([167]) (p. 23).

Questo principio si accompagna ad un altro, di carattere ancor più generale, enunciato dal teologo tubinghese alla p. 2:

“[...] in generale è qualcosa di completamente diverso riconoscere l’impossibilità di una cosa rispetto al non riconoscere la sua possibilità”.

Con questo secondo principio, ripetuto più volte nel seguito del testo, Storr evidentemente vuole limitare le pretese della filosofia rispetto alla rivelazione religiosa. Egli ritiene di poter acconsentire all’idea che la filosofia, dunque la ragione, possa non riconoscere la possibilità della rivelazione - il che, a suo pa­rere, non ha tanto valore oggettivo di negazione del fatto in sé, quanto valore sog­gettivo di negazione della capacità della ragione di comprendere tale fatto -, ma di non poter essere d’accordo con l’idea che la ragione possa riconoscere l’impossibili-tà della rivelazione. Ciò, infatti,  significherebbe che la ragione è in grado di in­dagare l’oggetto ‘rivelazione’ e perviene al suo riguardo ad un giudizio di ca­rattere negativo.

Evidentemente l’intento fondamentale di Storr è quello di sottrarre la rive­lazione al campo della filosofia, nel quale prima Fichte e poi Kant, con le loro opere esplicitamente dedicatevi, l’avevano inglobata, in modo da togliere ai fi­losofi il diritto - per così dire gnoseologico - di esprimersi a tal riguardo.

 

§28 Punti fondamentali della critica di Storr alla ‘Religionsschrift’

La critica al testo di Kant è collegata a questa critica generale alla filosofia, circa  il suo interessarsi di questioni - quelle religiose - sulle quali essa non avrebbe il diritto d’intervenire.

Ovviamente qui non è possibile individuare ed esporre tutti i punti della Religionsschrift che Storr riporta e critica, poiché, essendo in pratica il suo la­voro un commentario al testo kantiano, di conseguenza sono innumerevoli i passi ed i concetti che egli sottopone a critica dal punto di vista sopra esposto.

Pertanto saranno sottolineati qui gli aspetti maggiormente rilevanti della critica di Storr a Kant, in particolare quelli più marcatamente filosofici riguar­danti il principio gnoseologico di cui sopra.

Un esempio importante a tal riguardo è il confronto che Storr fa al §4 tra la concezione kantiana e quella cristiana in rapporto alla dottrina della remissione dei peccati, la ‘riconciliazione’ (‘Versöhnung’).([168])

Storr anzitutto critica gli argomenti addotti da Kant a sostegno della tesi se­condo la quale l’uomo che si comporti nel rispetto del dovere e della legge mo­rale in modo autentico (ossia morale e non meramente legale) abbia diritto a sperare ad una ricompensa per tale comportamento, pur non potendo sapere nulla di preciso in riferimento alle modalità di essa.([169])

Il teologo annota a tal riguardo che tale considerazione di Kant non si fonda in alcun modo su risultati oggettivi della sua filosofia, e pertanto ha soltanto un valore ipotetico, per lo meno uguale a quello di un’altra dottrina, come per esempio quella cristiana, secondo la quale la riconciliazione dell’uomo peccatore con Dio deve avvenire tramite il pentimento ed il miglioramento del cuore.([170])

Queste sono le parole di Storr a tal riguardo:

“[...] egli (ossia Kant) assume una posizione teoretica, ed in particolare formula un’ipotesi tale da non avere alcuna necessità pratica. Dunque tale ipotesi almeno non è l’unica pos­sibile, ma ve ne è anche un’altra, per es. quella biblica, che è possibile”.

Questo esempio riguardante la dottrina della riconciliazione mette bene in evi­denza le conseguenze a livello teologico della premessa di carattere gnoseolo­gico fatta da Storr. Quando Kant nel suo lavoro filosofico-religioso cerca di porre in evidenza come alcuni principi della dottrina cristiana possano essere conservati anche nell’ambito della sua dottrina puramente razionale e filosofica della religione, s’inoltra evidentemente in un terreno piuttosto insidioso.

La dottrina cristiana, infatti, ha a disposizione un fondamento per tali prin­cipi, ossia l’autorità della rivelazione. La dottrina kantiana, al contrario, proprio in quanto rifiuta qualsiasi fondamento che non sia quello della pura ragione, è  destinata, evidentemente, ad imbattersi in contraddizioni o almeno in ragiona­menti piuttosto deboli, nel tentativo di salvare il salvabile della dottrina cristiana da un punto di vista razionale.

È stato lo stesso Kant a “prestare il fianco” alla critica te­ologica. Storr questo lo ha capito e su tale debolezza della concezione del filosofo di Königsberg ha fondato la propria critica alla Religionsschrift.

Kant avrebbe dovuto esprimersi in senso negativo nei confronti di quei principi del Cristianesimo destinati ad andare irrimediabilmente perduti nell’ambito di una concezione filosofico-religiosa puramente razionale, ossia avrebbe dovuto o ammettere l’impossibilità di fondarli razionalmente e dunque criticarli, oppure tacere almeno su di essi. Il cercare in ogni modo di salvare principi cristiani all’interno della nuova dottrina, nell’ambito della quale essi non potevano venir dimostrati razionalmente, rappresenta sicuramente un lato debole della Religionsschrift e della filosofia religiosa kantiana in generale.

Non meraviglia dunque che Storr, dopo aver sostenuto cautamente e quasi in posizione difensiva il valore paritetico della dottrina della riconciliazione cri­stiana rispetto a quella kantiana, passi poi anche al contrattacco, asserendo che la dottrina kantiana non ha alcun vantaggio rispetto a quella cristiana a causa dell’influsso negativo ch’essa esercita sull’uomo relativamente alla religione ed ai costumi:

“[...] mi sia consentito di osservare che l’ipotesi kantiana, in considerazione dell’influsso negativo ch’essa ha per la reli­gione ed i costumi d’ogni uomo, non presenta alcun vantaggio rispetto alla dottrina biblica”

(p. 16).

Si tratta evidentemente di una critica piuttosto forte nei confronti della filosofia religiosa di Kant, in quanto Storr, una volta premesso che non vi è alcun motivo razionale a sostegno della dottrina della riconciliazione di Kant, afferma poi ad­dirittura ch’essa è nociva, in quanto indebolisce con la sua critica le radici della religiosità e dell’eticità nell’uomo.

In conclusione il §4 delle Bemerkungen offre un esempio chiaro di come il presupposto gnoseologico di Storr, accompagnato dall’errore commesso da Kant nel pronunciarsi su questioni derivanti non dalla ragion pura, ma dal Cristiane­simo storico, abbiano costituito la base sulla quale il teologo di Tubinga ha co­struito la propria critica, piuttosto forte, della filosofia religiosa kantiana ed in modo particolare della Religionsschrift.

Nei paragrafi 5 e 6 Storr trae le conclusioni generali da quanto elaborato nei paragrafi precedenti. Anzitutto egli afferma al paragrafo 5 che, in base a quanto esposto nei §§ 2, 3 e 4, i filosofi kantiani sono inconseguenti quando si espri­mono su temi religiosi, poiché

“[...] le dottrine bibliche di cose divine e so­vrasensibili, secondo i principi della filosofia critica, non possono essere negate [..]” (p. 21).

Se essi pertanto lo fanno, finiscono col contraddire i propri principi. In secondo luogo al paragrafo 6 definisce ‘molto più conseguenti’ coloro che

“[...] né negano né osano aderire alle dottrine bibliche, ma lasciano l’intera questione inde­cisa” (pp. 21-22).

Infine, al paragrafo 7, chiarito ancora una volta che la ragione teoretica non può giungere a conclusioni fondate rispetto a questioni di carattere divino e sovra­sensibile, Storr conclude che restano due alternative: lasciare l’intera problematica religiosa indecisa oppure, trattandosi di fatti storici, affrontare tale problematica come si affronta un qualsiasi argomento di carattere storico.

 

§29 La posizione di Storr all’interno del dibattito sulla teologia morale kan­tiana

Nei paragrafi seguenti dal 9 al 14 Storr conduce una serie di osservazioni rela­tive soprattutto all’influsso della religione sulla morale. Tali osservazioni sono particolarmente interessanti per il tema trattato nel presente lavoro, in quanto in esse si ritrovano praticamente tutti i temi principali concernenti la problematica teologico-morale, presenti sia nei lavori di Flatt e di Rapp sia nei frammenti he­geliani di quegli anni.

Infatti anche Storr partecipò attivamente al dibattito sulla teologia morale sollevato dalla relativa dottrina kantiana. Egli sostenne in particolare una posi­zione simile a quella di Flatt, definita più tardi da Schelling la ‘corrente teolo­gico-kantiana di Tubinga’. Vediamone ora alcuni dei concetti principali.

L’accoppiamento di kantismo e teologia cristiana consisteva nell’idea fon­damentale che tale religione fungesse da supporto alla dottrina kantiana nel fon­dare tramite l’autorità della rivelazione e la relativa fede in Dio la possibilità che la felicità o almeno la giustificata speranza in essa fosse la ricompensa per una vita condotta nel rispetto morale (e non legale) della massima morale.

Storr, infatti, come Flatt parte dal presupposto che la filosofia kantiana sia adatta ai dotti ma non al resto del popolo. Per l’uomo comune l’obiettivo fondamentale nella vita è la felicità, non la massima morale.

La ragione, a giudizio di Storr, entrerebbe in contraddizione con se stessa se non garantisse all’uomo una ricompensa (od almeno la speranza in essa) per la rinuncia a seguire gli istinti naturali a favore della massima morale.

La virtù dell’uomo, ciò che lo contraddistingue dagli animali, consiste pro­prio nel riconoscere qualcosa di superiore agli istinti, ossia la legge morale, e nel vivere secondo tale legge. Fin qui Storr segue Kant (cfr. pp. 37-38).

D’altra parte - e qui il teologo di Tubinga si distacca dal filosofo di Köni­gsberg - la dottrina della ragion pratica sembra quasi imporre doveri e massime agli uo­mini senza fornire però alcuna indicazione sicura che essi, rinunciando ai beni temporanei derivanti dalla soddisfazione degli istinti, possano conseguire od al­meno avere la speranza di conseguire un bene superiore più stabile (quale ap­punto la felicità).

In ciò Storr ravvisa una contraddizione della ragione con se stessa, in quanto da una parte essa ricerca necessariamente la felicità, dall’altra, però, secondo i dettami della ragion pratica s’impone solo divieti e limiti senza indivi­duare tramite di essi una via che conduca al raggiungimento della felicità.

Così Storr si domanda:

“Stesse la ragione in tal modo in contraddi­zione con se stessa: quale sarebbe allora la dignità dell’uomo e quale sarebbe il privilegio rispetto agli altri animali, farsi trattenere dal seguire a piacimento gli istinti sensibili, dai quali si fanno guidare gli altri animali, da una legge, che stesse in contraddizione con se stessa, dunque da una legge immaginaria, la quale non fosse veramente una legge quanto piuttosto una vuota fantasticheria?” (p. 38).

Storr conclude che, al fine d’evitare tale contraddizione della ragione con se stessa, occorre credere

“che la natura umana sia in accordo con se stessa e le leggi, ch’essa si prescrive, (sebbene esse sembrino essere contrarie al nostro utile), nondimeno alla fine siano finalizzate alla no­stra felicità” (p. 41).

Tale fede nell’accordo della ragione con se stessa, secondo Storr, non può venire dalla filosofia, bensì soltanto dalla religione, dalla

“[...] fiducia in un Dio che ricompensi (‘ver­geltend’) [...]” (p. 43).

Nello stesso passo tale religione viene definita da Storr ‘religione soggettiva’, distinguendo così la religione morale dal mero sapere teologico.([171])

La religione soggettiva diviene in tal modo

“[...] movente del proposito e della pratica [...]”,

come Storr si esprime sempre in questo passo molto importante del suo testo, riportando le parole di Kant.([172])

Alle pagine successive di questo importante paragrafo 10 Storr sintetizza in alcune felici espressioni i principi teologico-morali fin qui enunciati.

Alle pagine 43-44 egli, per esempio, definisce così il sommo bene, riassumendo in una sola frase l’idea fondamentale della cosiddetta ‘corrente teologico-kantiana di Tubinga’:

“[...] se noi teniamo in considerazione il sommo bene nella sua totalità ed indiviso, ossia non soltanto il dovere, ma anche la feli­cità da esso dipendente e che ci si aspetta da Dio, [...]”.

Questa frase è significativa poiché in essa il teologo chiarisce, evidentemente contrapponendosi a Kant, che il sommo bene non può consistere soltanto nel dovere (è una parte di esso ma non la sua totalità), e che la felicità ne costituisce l’altro aspetto irrinuncia­bile. Il fatto che tale felicità sia da aspettarsi da Dio, rappresenta poi un’aggiunta collegata alla concezione di Storr e Flatt della religione come sostegno alla pro­mozione del sommo bene nell’uomo comune, ma in linea di principio si tratta di due pensieri diversi, il primo relativo alla composizione del sommo bene, il se­condo relativo alle condizioni concrete del raggiungimento della felicità da parte dell’uomo od almeno della comprensione delle radici della sua speranza in essa.

Alle pagine 45-46 Storr si esprime in un linguaggio tipicamente kantiano, usando praticamente le medesime categorie del filosofo di Königsberg, ma reinterpretandone il pensiero alla luce della propria concezione:

“Dunque non ci è possibile (come è stato mo­strato sopra) nutrire rispetto durevole e saldo per la legge, se non siamo soprattutto convinti che questo sentimento morale ed il sentimento fisico del desiderio di felicità non stiano tra loro in contraddizione. Soltanto sotto questo presupposto l’uomo è in grado di preferire per libera scelta (tramite la facoltà di determinarsi da se stesso) la felicità, promessa dalla legge, al piacere sensibile”.

Pertanto è evidente da queste righe che per il teologo di Tubinga, senza postulare la speranza nella felicità ed ancorarla alla fede in Dio, la stessa possibilità di una morale autonoma venga meno, poiché l’uomo non avrebbe alcun rispetto ‘dure­vole e saldo’ per la legge morale, se non fosse in qualche modo sicuro (almeno nel senso di una speranza sull’autorità del ‘fatto storico’ della rivelazione) di conseguire tramite tale rispetto anche la felicità.

In sintesi, per Storr, al sommo bene appartengono con uguale legittimità sia il sentimento morale del rispetto per la legge sia il sentimento fisico del deside­rio di felicità. Soltanto il fatto ch’essi non siano in contraddizione può aprire all’uomo la via della scelta consapevole di un comportamento morale autonomo.

Alle righe seguenti della pagina 46 Storr chiarisce che, se questo presuppo­sto viene a mancare, ossia se sentimento morale e sentimento fisico entrano in contraddizione (per esempio perché al sentimento fisico del desiderio di felicità manca la possibilità di esaudimento), allora si avranno due possibili comporta­menti da parte dell’uomo:

- il venir meno di un rispetto ‘durevole e saldo’ per la legge e quindi la dipendenza dell’esaudimento del desiderio di felicità dagli istinti sensibili;

- il rispetto per la legge morale nella fiducia che dall’osservazione di tale legge derivi poi la felicità.([173])

Entrambi questi atteggiamenti morali sono per Storr evidentemente falsi: il primo perché rinuncia alla morale; il secondo perché pone la fiducia nel rag­giungimento della felicità in una fede senza alcun fondamento.

Sulla base di queste premesse Storr ritiene di aver trovato la giustificazione morale per la necessità della religione, in quanto questa, fornendo all’uomo una fiducia nel raggiungimento della felicità supportata dall’autorità della storia, consente l’eliminazione della contraddizione tra sentimento morale e sentimento fisico e così spiana la via per l’uomo ad un comportamento morale autonomo.

Alle ultime pagine (48-52) di questo paragrafo Storr conclude che

“[...] non si è autorizzati a ritenere il bisogno di questa speranza come qualcosa di erroneo e riprovevole, o d’incolpare l’uomo per impu­rità([174]) di cuore, perché senza una tale spe­ranza, cioè senza religione, gli è impossibile di essere saldo (‘standhaft’) nel rispetto per la legge e nell’osservazione della medesima, o perché egli non può fare astrazione dal deside­rio di felicità, che a causa della sua natura gli è necessario” (pp. 48-49).

La religione (come religione soggettiva) è per Storr indispensabile alla realizzazione del sommo bene (unità paritetica di legge morale e desiderio di felicità), come movente soggettivo necessario alla fiducia dell’uomo nel rag­giungimento della felicità e ricompensa al suo comportamento morale.

A tal proposito Storr chiarisce che tale aspettativa della felicità come ricompensa al comportamento morale non comporta la perdita dell’autonomia della morale, ossia che l’uomo si comporti in modo morale soltanto per con­seguire la felicità (il che ovviamente trasformerebbe il comportamento morale in mezzo e non in fine, eliminandone pertanto la stessa moralità).

Egli puntualizza infatti che

“Poiché l’uomo, che ha religione, vuole ciò che è giusto non perché egli rapporti tutto al suo vantaggio, [...], bensì perché egli ricono­sce che ciò è conforme alla legge e giusto (buono in sé) e perché egli non vuole diven­tare felice sotto alcuna altra condizione se non sotto quella prescritta dalla legge” (p. 50).

Le eloquenti parole, con cui Storr introduce il paragrafo 11 del proprio lavoro, formante insieme al par. 10 una chiara unità tematica, ben concludono la sintesi qui offerta di questa parte centrale del testo del teologo di Tubinga.

“Fermo rispetto per la legge - oppure disposi­zione (habitus) al rispetto per la legge, secondo quanto detto (§10), non può assoluta­mente aver luogo senza religione (soggettiva) [...]”.

Nei paragrafi seguenti, dal 12 al 15 incluso, Storr aggiunge alcune idee in-teressanti, ma comunque di secondaria importanza in relazione alla problematica da lui precedentemente trattata.  Inoltre egli getta un ponte tra i paragrafi 10 e 11, nei quali ha esposto la propria concezione fondamentale della necessità che la religione (soggettiva) funga da sostegno al rispetto per la legge morale, ed i paragrafi dal 14 al 21 (ultimo paragrafo del testo), nei quali il teologo espone i diversi argomenti teologici, dunque appartenenti alla religione in quanto oggettiva, che possono costituire un sostegno di natura razionale alla fede religiosa.

Nel paragrafo 12, per esempio, egli chiarisce che, dal punto di vista della centralità della religione per la legge morale, è un dovere per qualsiasi per­sona prendersi cura di essa:

“Se dunque, secondo quanto finora detto (§ 10 e 11), è tanto importante per il rispetto della legge che l’uomo abbia religione e la pratichi, allora è contro il nostro dovere di trascurarla” (p. 54).

Con questo pensiero, che esprime il contenuto fondamentale del §12, Storr evidentemente in­tende sottolineare ancora una volta la centralità della religione al-l’interno della teoria kantiana del rispetto per la legge morale ed ancorare la seconda alla prima. È questo legame tra religione soggettiva e legge morale, per il quale nessuna delle due può fare a meno dell’altra, che costituisce l’idea centrale della corrente teologico-kantiana di Tubinga.

Il §13 contiene all’inizio un ulteriore chiarimento della superiorità della re­ligione soggettiva rispetto alla religione oggettiva, secondo quanto già espresso da Storr al §10. La fine del paragrafo contiene tuttavia degli argomenti a favore dell’aspetto oggettivo della religione, ossia del sapere teologico propria­mente detto, in quanto esso, a giudizio di Storr, è utile per aumentare la nostra fiducia nel postulato della ragione pratica dell’esistenza di Dio.

A tal proposito è molto importante la nota 190 alle pagine 64-65, nella quale Storr, dopo aver ancora una volta sottolineato come il postulato possa avere soltanto il valore di un’ipotesi, riporta alcuni passi di Kant nei quali il filo­sofo ammette egli stesso che la fede in tale postulato possa a volte venir meno. Per questo motivo sembra necessario a Storr che si ricerchino tutte le argomen­tazioni atte a rinforzare il valore di verità di tale postulato, al fine che

“[...] l’ipotesi riceva una crescita in probabilità” (nota 190, p. 65).

Alla fine di questo paragrafo Storr così si esprime sintetizzando l’importanza della ricerca di argomenti a favore dell’esistenza di Dio, nonostante la superiorità della religione soggettiva su quella oggettiva:

“In tale questione([175]) ci devono essere partico­larmente stimati e desiderati tutti i possibili argomenti dimostrativi che possiamo trovare, poiché l’ipotesi, che accettiamo come presup­posto([176]) (§10), al fine di unificare l’una con l’altra l’autorità della legge morale e il deside­rio naturale di felicità, almeno divenga tanto più probabile quanto più si possa spiegare a partire da questo presupposto” (pp. 64-65).

§30 L’esame delle prove storiche a favore della verità della dottrina cristiana

Nei paragrafi seguenti Storr, una volta chiarita e giustificata la funzione della religione nell’ambito anche di una concezione morale di fondo del tipo kantiano, passa ad esaminare le varie prove storiche a sostegno della verità del Cristiane­simo.([177])

Di particolare importanza a tal riguardo è l’elenco, elaborato da Storr all’inizio del par. 16 (p. 78), delle varie questioni che devono essere approfondite al fine di giudicare il peso di tali prove storiche.

Storr indica 4 questioni principali, ognuna delle quali viene trattata nei pa­ragrafi successivi:

1. “[...] cosa devono aver insegnato Gesù e gli apostoli([178]) secondo le affermazioni della Bib­bia” (§17);

2. “Quel che essi dovrebbero aver insegnato, è stato veramente detto da Gesù e dagli Apostoli?” (§18);

3. “I fatti raccontati dal Nuovo Testamento sono realmente accaduti o non?” (§19);

4. “Le dottrine e gli eventi che vengono pre­sentati come divini, sono realmente tali?” (§20).

Nella continuazione del par. 16 il teologo chiarisce ancora che tale esame deve essere condotto esclusivamente come uno studio storico ed in modo imparziale. Vediamo ora quali risposte Storr abbia trovato a tali questioni.

Per quanto riguarda il primo punto, ossia il contenuto dell’insegnamento di Gesù e degli apostoli, Storr critica la possibilità che su un tema tale possa pronunciarsi la ragione teoretica (evidentemente egli critica Kant in ciò), ed esprime la sua opinione secondo la quale

“[...] Gesù e gli apostoli per le loro dottrine e le loro azioni hanno goduto di un’assistenza del tutto straordinaria [...]” (p. 83)([179])

In base a ciò le parole e le azioni di Gesù e degli apostoli ricevono una credibi­lità speciale, superiore a qualsiasi credibilità normale fondantesi soltanto sulla storia. Da ciò deriva che il contenuto del loro messaggio nella Bibbia è confer­mato.

In riferimento alla seconda questione, dunque all’autenticità del Nuovo Te­stamento, il teologo chiarisce che non vi sono concrete prove che gli Evangeli non siano autentici ed il solo argomento che quanto ivi esposto vada al di là dei limiti della ragione umana non basta a confutarne l’autenticità.

Anche la terza questione, quella relativa alla veridicità storica dei racconti del Nuovo Testamento ed in particolare dei miracoli, riceve una risposta positiva da parte di Storr. Egli infatti chiarisce che tali eventi ebbero carattere pubblico, ossia ne furono spettatori diretti oppure ne vennero indirettamente a conoscenza i contemporanei (non ancora cristiani), i quali all’epoca non nutrirono dubbi circa l’autenticità di quanto accadeva.

Riceve una risposta positiva anche l’ultima questione, relativa alla divinità delle dottrine e degli eventi esposti nel Nuovo Testamento. Storr chiarisce a tal proposito che quanto allora accaduto rivela l’intervento divino, poichè si tratta di qualcosa che non poteva accadere a comuni mortali (p. 90). L’autore vero di quei fatti dev’essere pertanto Dio stesso, il quale ha agito attra­verso Gesù e gli apostoli (p. 95).

Con questi ragionamenti Storr ritiene di aver dimostrato, sulla base d’argomenti di natura solamente storica, che il contenuto del Nuovo Testamento, dunque il messaggio della religione cristiana, è vero. Non si tratta di una verità teoretica, ossia dimostrabile razionalmente, ma essa non è neppure confutabile razionalmente. Siamo di fronte ad eventi storici la cui autorità e verità si fondano sulla storia e sul fatto che non vi sono prove contrarie di carattere storico (pp. 99-100).

L’ultimo paragrafo del libro (§21) infine contiene la presa di posizione da parte di Storr contro l’accusa rivolta da Kant al Cristianesimo, ossia che l’interpretazione dei testi sacri richieda sapere teologico e quindi sia possibile solo a coloro che hanno condotto tali studi. Essi dunque sarebbero gli unici a possedere la chiave per accedere alla verità cristiana, al vero spirito di tale reli­gione, mentre il resto del popolo sarebbe destinato a seguirne la lettera, dunque gli aspetti maggiormente superstiziosi.

In primo luogo Storr oppone a ciò che la stessa affermazione può essere fatta per la filosofia e dun­que non è specifico della religione cristiana; poi sostiene che occorre for­mare buoni maestri di religione, i quali diffondano tra il popolo l’esatta inter­pretazione della Bibbia, cosicchè il popolo, pur non interpretando necessariamente i testi sacri, possa basarsi sull’interpretazione di tali maestri di reli­gione, ai quali può chiedere consiglio nei casi di difficile interpretazione.

Un’appendice contenente precisazioni relative ad alcuni paragrafi chiude il testo.

 

§31 G.W.F. Hegel: Passaggio dalla concezione della religione come ‘cosa del cuore’ alla concezione della religione come ‘cosa della ragione’ (primavera 1793)

Come già chiarito in precedenza, i fogli ‘h, i, k, l’ del testo 16, benché da un punto di vista tematico appartengano allo stesso gruppo degli altri, nondimeno contengono una concezione del tutto diversa della religione. L’idea centrale di questa è che il fondamento della religione non debba essere il cuore, bensì la ragione.

La diversità tra questa concezione e quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ è molto marcata ed appare per la prima volta con l’inizio del foglio ‘h’, dove si parla subito della reli­gione razionale (‘Vernunftreligion’) come della giusta forma di religione, in maniera imrovvisa e senza un chiaro passaggio logico. Per tal motivo si può supporre l’esistenza di una rottura, di una profonda cesura tra i due blocchi di fogli.([180])

Da questa prospettiva appare chiaro che Hegel ha redatto il secondo gruppo di fogli in un periodo posteriore e che l’inizio del foglio ‘h’ non può essere in alcun caso la continuazione della fine del foglio ‘g’. Se così fosse, infatti, il giovane pensatore avrebbe sicuramente scritto delle frasi di passaggio.

Nasce pertanto la questione se il vuoto, che si è venuto così a creare, possa venir in qualche modo colmato dal materiale scritto pervenutoci. Un’analisi de­gli altri testi tramandatici e risalenti a questi anni può essere a tal proposito istruttiva.

Alcuni di questi testi non possono fornire indicazioni utili a tal riguardo e devono quindi venire già esclusi, poiché essi dal punto di vista contenutistico sono stati redatti o prima del testo 16, come per esempio il testo 12, o dopo di esso, come i testi dal 17 al 26, che, anche cro­nologicamente appartengono già al periodo di Berna.([181])

I testi dal 13 al 15 contengono una critica della religione cristiana (testo 13), della vita nella Germania del tempo paragonata alla vita degli antichi Greci (te­sto 15), mentre il testo 14 è infine soltanto un foglio con alcune annotazioni sulle tradizioni del popolo tedesco.

Nel complesso questi testi sembrano rinviare ad un periodo prece­dente dello sviluppo del pensiero di Hegel. La tematica della religione popolare, come anche l’attrezzatura concettuale ad essa connessa, mancano del tutto.

Soltanto il testo 13 contiene alcune osservazioni sulla natura dell’uomo, fatta di sensibilità e ragione,([182]) le quali possono ben accordarsi con l’inizio del foglio ‘a’ del testo 16. In un’aggiunta posteriore a margine di questo testo He­gel parla inoltre del popolo comune (‘gemeines Volk’).([183])

Questo testo contiene inoltre una critica della religione cristiana, che a giudizio di Hegel non sarebbe capace di dirigere la capacità di rappresentazione del po­polo sulla fantasia.([184]) Esso pertanto è sorto chiaramente all’interno del confronto di Hegel con il concetto della sensibilità. In tale testo manca però qualsiasi ac­cenno alla ragione quale fondamento della religione o, in generale, al superamento della concezione propria dei fogli da ‘a’ a ‘g’.

Anche questo testo non può essere d’aiuto nel riempimento della lacuna tra i fogli ‘g’ e ‘h’ del testo 16. Quel che resta sono soltanto le prediche.

La prima predica (testo 8), che tratta della giustizia divina, si fonda su di una concezione secondo la quale ‘la voce della coscienza’ o anche ‘il cuore’ dell’uomo corrispondono direttamente alla volontà divina e possono perciò es­sere fondamento della morale, una concezione questa che è molto vicina a quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ (essa potrebbe addirittura rinviare ad una fase precedente).

Anche da un punto di vista cronologico questa predica è stata sicuramente redatta prima del testo 12, in quanto essa porta la data 10 gennaio 1792 e per­tanto sia per la tematica sia per la cronologia non può in alcun modo costituire il passaggio tra i due gruppi di fogli del testo 16.

La seconda predica (testo 9), la cui datazione è molto problematica,([185]) mo­stra al contrario un contenuto che lascia trasparire una nuova fase nello sviluppo del pensiero di Hegel. Essa tratta dello ‘spirito di riconciliazione’ (‘Versöhnli­chkeit’) e contiene l’importante pensiero del “cambiamento e miglioramento del cuore”.([186])

Hegel usa questo concetto in rapporto alla distinzione tra due differenti at­teggiamenti nei confronti del comportamento morale, che - seguendo Kant e Fi­chte - possono essere definiti come ‘moralità’ e ‘legalità’. A dir la verità He­gel non usa esplicitamente queste espressioni, ma senza alcun dubbio presuppone nelle sue riflessioni questa coppia concettuale.

Egli, infatti, fa qui una distinzione tra coloro che hanno come impulso (‘Beweg­grund’) all’agire morale l’amore per Dio e per gli uomini e coloro che eserci­tano le virtù per altri motivi. Soltanto i primi possono essere considerati veri cri­stiani, gli altri invece no, poiché essi non si comportano “nello spirito della dot­trina di Gesù”.([187])

Questo pensiero, che il giovane Stiftler considera un presupposto fondamentale per essere veri cristiani, è molto interessante relativamente alla questione del riempi­mento della lacuna tra i fogli ‘g’ ed ‘h’ del testo 16, in quanto esso non si la­scia in alcun modo inquadrare nella concezione presente nei fogli da ‘a’ a ‘g’.

Secondo la concezione di questi fogli il cuore dell’uomo è in se stesso puro ed ha bisogno dell’aiuto della religione soltanto per mettere in moto un comportamento morale. Questo aiuto non deve però influire direttamente sul cuore, bensì sulla sensibilità, la quale, tramite la religione, deve essere trasfor­mata - ossia raffinata - in un ulteriore impulso o movente all’agire morale. Il cuore al contrario non ha bisogno di alcuna trasformazione! Infatti risulta molto difficile immaginarsi che il cuore, che secondo la concezione di questi fogli dev’essere il fondamento della religione, abbia bisogno di una “völlige Umände­rung und Besserung”, dunque di “totale cambiamento e miglioramento”, come Hegel si esprime nella predica.

L’incompatibilità tra il pensiero del ‘cambiamento e miglioramento del cuore’ e la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ appare ancora più chiaramente in un luogo di questa predica, dove si parla del cuore “migliorato tramite l’amore per Dio”.([188])

Qui, infatti, non è più il cuore fondamento della religione, bensì al contrario la religione fondamento di un cuore puro, al quale conduce l’amore per Dio. Da ciò si può dedurre che senza la religione il cuore non sarebbe puro, os­sia che l’uomo, non amando Dio, non può essere in grado di comportarsi moral­mente.

In questa predica, dunque, si è posti dinanzi ad una concezione del tutto diversa rispetto a quella della religione come ‘cosa del cuore’.

Si potrebbe obiettare a tal proposito che si tratta di una predica e che Hegel sia stato costretto a dire in essa quel che nello Stift si voleva sentire da lui. Un confronto con le altre prediche mostra però che il giovane pensatore, nonostante non potesse in esse esprimere apertamente il proprio vero e molto critico giudi­zio sulla religione cristiana, cosa che al contrario faceva nei testi destinati ad uso privato, non era però nemmeno così vigliacco da tacere del tutto la propria concezione religiosa.

Nella prima predica, per esempio, il giovane pensatore da una parte si esprime in modo molto positivo sulla “legislazione rivelataci da Dio”, addirittura preci­sando che questa rivelazione è avvenuta sia tramite il Vecchio Testamento sia tramite Gesù;([189]) dall’altra, però, aggiunge immediatamente che:

“Quest’ordine si accorda nel modo più com­pleto con quel che la nostra coscienza ci dice”

(trad. mia)

(GW 1, 58,14-18)

Se si legge tra le righe di questa aggiunta, si può concludere che, se la coscienza contiene la medesima legislazione morale del Vecchio Testamento e della dot­trina di Gesù, allora gli uomini, in linea di principio, non hanno bisogno di alcuna religione, la quale insegni loro il comportamento morale.

Anche l’analisi delle altre prediche mostra che Hegel in esse cercava da una parte di non esprimersi in modo esplicito contro la religione cristiana, dall’altra però non rinunciava a lasciar trasparire in modo implicito quel ch’egli effettivamente pensava.

Si deve dunque concludere che in queste prediche occorre distinguere due livelli diversi d’esposizione: un livello superficiale, formato da pensieri che fanno apparire Hegel come un teologo cristiano, ed un livello nascosto, nel quale lo studente esprime in modo molto astuto la sua autentica concezione filosofico-religiosa.

Da questo punto di vista bisogna dunque attribuire importanza ai pensieri contenuti nelle prediche e queste non devono essere considerate come meri scritti occasionali, ma come tracce autentiche dello sviluppo spirituale di Hegel.

In rapporto alla seconda predica ed al pensiero del “cambiamento e miglio­ramento del cuore” dev’essere posta la questione su come si possa spiegare che un apologeta di una religione popolare, definita come ‘cosa del cuore’ im­provvisamente e senza costrizione esterna, sostenga l’opinione del “cambiamento e miglioramento del cuore” quale presupposto di un comportamento autentica­mente morale.

Per fornire una risposta a questa domanda occorre anzitutto condurre un’analisi approfondita della concezione filosofico-religiosa che è alla base della seconda predica.

Un’attenta lettura della predica infatti porta alla conclusione che in essa venga sostenuta una concezione sostanzialmente negativa del cuore umano, la quale non viene alla luce soltanto nelle frasi citate, ma permea di sé l’intero te­sto. Si prendano come esempio le seguenti espressioni: tra le fonti, “dalle quali sgorga lo spirito di irreconciliazione (‘Unversöhnlichkeit’)”([190]) il giovane pensatore annovera: amor proprio, il desiderio di vendetta, odio e rancore. Nello stesso luogo egli parla inoltre di

“[...] uomini che hanno in cuore amarezza ed odio [...]." (trad. mia)

“[...] Menschen die Bitterkeit und Haß im Herzen haben [...]” (GW 1, 61,7-8)

Infine, il giovane Stiftler chiude la predica poi con la formulazione di un pensiero inconciliabile con la concezione della religione come ‘cosa del cuore’:

“Il vero cristiano deve essere severo con se stesso, ma tollerante verso gli altri”

(trad. mia).

“der wahre Christ soll streng gegen sich sel­ber aber geduldig gegen andere seyn”

(GW 1, 64,21-22; SG 1, 124).

Di questa frase non è la prima parte, bensì la seconda a destare meraviglia. In rapporto ad essa ed al pensiero espressovi si pone spontaneamente la seguente domanda: dov’è il giovane Stiftler che credeva all’innocenza dell’uomo comune, spontaneo e naturale, agente soltanto sulla base di un cuore puro?

In effetti sembra che nell’ottica di questa predica l’uomo, per comportarsi moralmente, abbia bisogno di molto di più che non del solo aiuto della religione, secondo la concezione espressa nei fogli da ‘a’ a ‘g’ del testo 16.

L’analisi approfondita della seconda predica dev’essere dunque conclusa con la considerazione che qui non si ha a che fare con un atto occasionale di na­scondimento da parte di Hegel della propria autentica opinione, causato da cir­costanze esterne, bensì con un radicale cambiamento dei fondamenti filosofico-religiosi del pensiero del giovane studente.

Per tal ragione vale senz’altro la pena di seguire questa traccia ed analizzare anche la terza e quarta predica, prima di fornire, sulla base dei risultati raggiunti, una risposta definitiva alla questione della lacuna tra i fogli ‘g’ e ‘h’ del testo 16.

La terza predica (testo 10)([191]) tratta della ‘vera fede’ e si ricongiunge dun­que al concetto di ‘vero cristiano’ presente nella seconda predica.

La conclusione, cui si è pervenuti tramite l’analisi della predica precedente, ossia che la concezione filosofico-religiosa di Hegel sia qui diversa da quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ del testo 16, viene confermata dalla lettura di questa terza predica.

Già all’inizio si trova l’espressione “[...] il corrotto cuore umano [...]”([192]) e verso la fine della predica Hegel definisce “corrotta” anche la natura dell’uomo.([193])

Queste formulazioni confermano l’ipotesi fin qui sostenuta di un radicale cambiamento avvenuto all’epoca nella concezione filosofico-religiosa hegeliana.

A dire il vero si trovano in questa predica anche altre espressioni che ricor­dano molto la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ come per esempio nella frase rivolta a Dio:

“Fa’ che questa scienza diventi in noi fede vi-vente, che essa diventi ricca di buoni frutti [...]” (trad. mia).

“Gib daß dise Wissenschaft zum lebendigen Glauben in uns werde, daß er reich werde an guten Früchten [...]” (GW 1, 68, 26-27).

Qui viene alla luce il pensiero nascosto della religione soggettiva che non dev’essere morta scienza, ma vivente agire morale.

Anche la frase

“Questa fede non è semplicemente cosa dell’intelletto” (trad. mia)

“Diser Glaube ist nicht blos Sache des Verstandes” (GW 1, 69,13).

ci riporta in un universo concettuale già familiare.

Le espressioni, riferentisi al ‘corrotto cuore dell’uomo’, sono però chiare indicazioni del fatto che Hegel in questa predica si muova ormai in un nuovo orizzonte concettuale ed abbia quindi raggiunto un nuovo stadio nello sviluppo del proprio pensiero.

La sopravvivenza di pensieri appartenenti ad uno stadio precedente, come in questo caso quello della ‘religione soggettiva’, è da spiegarsi tramite il concetto metodologico del ‘superamento dialettico’ (‘Aufhebung’). I pen­sieri più importanti della concezione filosofico-religiosa degli stadi precedenti restano presenti nella concezione del nuovo stadio, all’interno della quale essi assumono però un significato ed un valore diversi.

La quarta predica (testo 11),([194]) che tratta del ‘regno di Dio’, mostra in un modo ancora più evidente che è avvenuta una svolta nella concezione filosofico-religiosa del giovane Hegel: la concezione filosofico-religiosa di fondo di questa predica è infatti, senza ombra di dubbio, quella elaborata dal maestro di Köni­gsberg nella Religionsschrift.([195])

Lo studioso tedesco Friedhelm Nicolin nel suo saggio Verschlüsselte Lo­sung. Hegels letzte Tübinger Predigt, ha mostrato infatti, proprio tramite un’analisi approfondita della quarta predica che la concezione filosofico-reli­giosa del giovane Hegel si fonda sulla filosofia della religione di Kant. Egli ha inoltre messo in evidenza come il confronto di Hegel e degli altri Stiftler con la Religionsschrift sia avvenuto immediatamente dopo la pubblicazione di quest’opera nel 1793.

Occorre aggiungere che gli editori di GW 1, dunque lo stesso Ni­colin e Gisela Schüler, hanno documentato in diverse annotazioni che numerosi luoghi dei frammenti hegeliani di questi anni e soprattutto del testo 16 sono da collegarsi direttamente agli scritti kantiani ed in particolare proprio alla Reli­gionsschrift.([196])

All’annotazione 99,29 relativa al testo 16 per esempio si legge:([197])

“I pensieri ed i concetti di Hegel sono qui così chiaramente determinati tramite questo scritto di Kant che da ciò si ricava un’indicazione per la datazione del testo 16”.

L’importanza dello scritto filosofico-religioso di Kant per la stesura dei testi gio-vanili hegeliani, ed in particolare della seconda parte del testo 16, è dunque tal­mente chiara ed i riferimenti espliciti a Kant sono così numerosi che, tramite  essi, si può addirittura pervenire alla datazione di alcuni di questi frammenti, come se si trattasse di un commento allo scritto di Kant da parte del giovane Hegel.

Per quanto riguarda il contenuto è da menzionare il riapparire sia del pen­siero del miglioramento del cuore come presupposto del comportamento morale sia dell’altro pensiero relativo alla corruzione del cuore umano, che Hegel qui definisce addirittura come ‘innata’ (‘angeboren’).([198])

Dall’analisi delle prediche 2, 3 e 4 si deve concludere che al mo­mento della stesura di questi testi si verificava una svolta sia nei fondamenti fi­losofico-religiosi del pensiero di Hegel sia anche e per conseguenza nella sua concezione della religione popolare. Queste prediche infatti non sostengono più una concezione della religione come ‘cosa del cuore’.

Nella quarta predica è possibile dimostrare con sicurezza l’influsso della Religionsschrift. In modo indiretto si può concludere che essa implicita­mente sostiene la concezione della religione popolare come religione razionale, in quanto i pensieri, che formano il suo ‘livello nascosto’ e che derivano da Kant (il regno di Dio come qualcosa di interiore, dunque il concetto della chiesa invisibile e così via), possono essere individuati come “religione razionale”.

Pertanto resta da determinare soltanto quale concezione filosofico-religiosa sia alla base delle prediche 2 e 3 e di conseguenza quale concezione della reli­gione popolare venga in esse sostenuta.([199])

 

§32 La ‘religione popolare’ come ‘religione razionale’ (estate 1793)

Com’è stato accennato nei paragrafi precedenti, si apre con la quarta predica una nuova fase nello sviluppo di Hegel. Essa consiste principalmente nel fatto che il giovane pensatore sostituisce la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ con la concezione della religione come ‘Vernunftreligion’, ossia ‘religione razionale’ o ‘religione della ragione’.

Scopo di questo capitolo è descrivere la nuova fase. In esso anzitutto sarà esposto il contenuto del ragionamento filosofico-religioso hegeliano, come esso è ricostruibile tramite l’analisi del foglio ‘h’ del testo 16 e della quarta predica; in secondo luogo verrà poi descritta la nuova concezione della religione del po­polo come religione razionale, secondo l’esposizione sistematica fornitane da Hegel nei fogli da ‘i’ a ‘l’ del testo 16.

Foglio ‘h’

(GW 1: da 99,29 a 103,2)([200])

L’inizio del foglio ‘h’ si riallaccia immediatamente al quarto ed ultimo capitolo dello scritto di Kant. Qui Hegel mette a confronto, con le parole ed i concetti del pensatore di Königsberg, la religione della ragione con la fede dei feticisti e conclude che è

“[...] così importante per l’umanità condurla sempre più verso la religione razionale e re­primere la fede feticistica” (trad. mia).

“[...] so wichtig für die Menschheit ist, diese immer mehr zur VernunftReligion hinzufüh­ren, und den Fetisch­Glauben zu verdrängen

(GW 1, 100,4-5).

Hegel pone questo scopo espressamente a se stesso, formulando tale convinzione tramite i pensieri seguenti:

“[...] una chiesa universale e spirituale resta solo un ideale della ragione” (trad. mia);

“[..] eine allgemeine geistige Kirche nur ein Ideal der Vernunft bleibt” (GW 1, 100, 6);

“non è possibile che possa essere istituita una religione pubblica, la quale impedisca qual­siasi possibilità di ricavare da essa una fede feticistica” (trad. mia).

nicht wohl möglich ist, daß eine öffentliche Religion etablirt werden könnte, die alle Mö-glichkeit, Fetisch­Glauben daraus zu ziehen benähme" (GW 1, 100, 6-8)

Entrambe queste delimitazioni derivano chiaramente da Kant, nella cui opera per esempio si legge:

“L’idea sublime mai completamente raggiun­gibile di una essenza etica comune [...]”([201])

(trad. mia).

“Die erhabene nie völlig erreichbare Idee eines ethischen gemeinen Wesens [...]”

(p. 129)

Dopo aver chiaramente posto entrambi questi due limiti, Hegel pone la questione

“[...] come una religione del popolo debba essere istituita in generale” (trad. mia),

“[...] wie eine Volksreligion im allgemeinen eingerichtet werden müsse”

(GW 1, 100, 8-9),

affinché possano venir raggiunti i seguenti due scopi:

- evitare che si diffonda tra il popolo la fede feticistica (“FetischGlauben”) (scopo negativo) (GW 1, 100,9-10);

- condurre il popolo alla “religione razionale” (“VernunftReligion”) (scopo positivo) (GW 1, 100,11-12):

Questa presa di posizione nei confronti di Kant mostra che Hegel non solo ha letto, compreso ed assimilato la Religionsschrift, ma anche che si è appropriato della concezione filosofico-religiosa di Kant, sviluppandola ulteriormente a partire dal punto in cui il filosofo di Königsberg aveva condotto il proprio lavoro.

Con ciò risulta chiaro cosa Hegel voglia dire quando scrive a Schelling nelle due lettere posteriori della fine di gennaio e del 16 aprile 1795 che sta lavorando ad una ‘applicazione’ (Anwendung’) della filosofia di Kant e che ne attende il ‘completamento’ (‘Vollendung’).([202])

Ciò è quel che egli fa nel periodo della stesura di questo foglio: applica i risultati a cui era arrivato Kant alla propria concezione della ‘Volksreligion’.([203]) Questa applicazione è allo stesso tempo un completamento, dal momento che egli inoltre tenta di realizzare quel da cui Kant era indietreggiato nel paragrafo 5 del terzo capitolo, ossia compiere il passo decisivo dalla comprensione teoretica della religione razionale - come dell’unica vera ed assoluta religione - alla decisione pratica della sua elaborazione teorica.

Tramite la concezione della possibile unione della fede storica e della reli­gione della ragione, Kant ha cercato una via d’uscita da questa conseguenza ne­cessaria della sua teoria, perché risultava impossibile poter fondare vera­mente una religione razionale. Per questo si è incamminato sulla via del com­promesso tra religione razionale e fede storica.

Questa via però gli ha creato solamente problemi ed ostacoli, come per esempio i pro­blemi di cui parla nel quarto capitolo. Se egli fosse stato coerente nei propri pen­sieri, sarebbe arrivato alla conclusione che era compito del tempo educare il po­polo e con ciò portarlo alle verità pure e morali della religione razionale. In tal modo egli sarebbe potuto diventare l’iniziatore della vera religione ed il fon­datore della ‘chiesa invisibile’ come anche del ‘regno di dio’ quale ‘società etica’ degli esseri umani. Ma Kant non aveva questa propensione: egli era un grande teorico ma non un educatore del popolo! Al contrario l’aveva Hegel, il quale già dai tempi di Stoccarda era mosso dalla domanda come ‘l’uomo comune’ potesse venir ‘illuminato’.

Hegel, infatti, in questo foglio non si pone alcun problema sulla possibilità dell’accordo tra la fede storica e la religione razionale: sa che ciò non è possibile. Il giovane filosofo prosegue il programma di Kant in quanto si fa portatore in prima persona del compito di condurre il popolo alla religione razionale. Ciò è provato senza dubbio dalle righe sopra citate del foglio ‘h’ e in particolare dalla loro inclinazione alla prassi.([204])

Nelle pagine successive Hegel conduce ulteriori riflessioni sul concetto di religione del popolo, le quali però non aggiungono niente di nuovo. Esse, comunque, sono importanti al fine della comprensione dell’influsso di Kant, in quanto contengono alcuni concetti e relative formulazioni linguistiche che Hegel ha ri­preso talvolta anche letteralmente dal filosofo di Königsberg. Ecco una lista par­ziale di questi concetti:

- ‘idea della santità come ultima grandezza dell’eticità’ (GW 1, 100,13; in Kant: p. 47 e p. 159);([205])

- ‘inclinazione alla sensibilità’ (GW 1, 100,20) (in Kant: p. 28: “Con inclina­zione (propensio) intendo [...]” - si veda anche l’intero secondo paragrafo della prima parte Von dem Hange zum Bösen in der menschlichen Natur);

- le espressioni ‘legalità’ (100,21), ‘movente’ (100,22), e ‘carattere empi-rico’ (101,6; 100,9; 101,14) si trovano fra l’altro anche nella ‘Annotazione ge­nerale’ alla prima parte (vedi soprattutto pp. 46-47).([206])

A partire dal passo 101,21 Hegel riflette sul concetto di ‘religione popolare’. Egli riprende nuovamente alcuni pensieri precedenti, come per esempio il pensiero dell’importanza del cuore e della fantasia nella vita dell’uomo.([207])

Queste riflessioni sono particolarmente interessanti perché qui egli tenta di riprendere nella nuova, nascente concezione della religione popolare come reli­gione razionale le caratteristiche principali che formavano il contenuto della sua precedente concezione della religione come ‘cosa del cuore’.

A questo proposito chiarisce che l’uomo è

“ [...] una cosa così complessa che tutto si può fare di lui” (trad. mia)

“ [...] ein so vielseitiges Ding ist, daß sich alles aus ihm machen läßt” (GW 1, 102, 3-4)

e, dopo aver premesso quanto sia vario il tessuto delle sensazioni dell’uomo,([208]) dà una definizione molto bella del “compito della religione popolare” (“Geschäft der Volksreligion”), che deve consistere

“ [...] nell’intrecciare questi bei fili della natura conformemente ad essa in un nobile legame”. (trad. mia).

“ [...] dise schöne Fäden der Natur dieser ge-mäs in ein edles Band zu flechten”

(GW 1, 102, 78)

Qui si mostra che la lingua e i concetti, con i quali Hegel lavora in questi passi, non derivano più in modo esclusivo e diretto dallo scritto sulla religione di Kant, ma ricordano piuttosto la terminologia dei fogli da ‘a’ a ‘g’. Ciò significa che Hegel a partire da questo passo ha lasciato già dietro di sé il lavoro intenso ed immediato sulla Religionsschrift e, dopo aver applicato il contenuto principale di quest’opera alla sua problematica, ritorna ai propri pensieri - temporaneamente messi da parte -, riprendendoli nella nuova concezione della religione popolare come religione razionale.

Ciò è confermato anche dal fatto che nelle righe seguenti il giovane filosofo ritorna di nuovo anche sulla distinzione tra religione popolare e religione pri­vata, con la differenza che ora la religione svolge un ruolo ben più importante nella promozione della moralità di quanto non fosse all’interno della concezione della religione come ‘cosa del cuore’.

Nell’ambito della concezione della religione come ‘cosa del cuore’ Hegel, infatti, era dell’opinione che l’effetto della religione sulla moralità dovesse ri­sultare ‘mediato’([209]) o ‘negativo’, come viene alla luce nel paragrafo già citato([210]) “Il mio intento [...]” del foglio ‘c’, che contiene una definizione ben pre­cisa della sua prima concezione della religione popolare.

All’interno della nuova concezione della religione popolare come religione razionale la funzione della religione nella promozione della moralità è diventata fondamentale. Il suo compito adesso non è più inteso da Hegel come mero aiuto alla promozione della pura coscienza morale (90,19-25). Al contrario l’effetto che la religione deve esercitare sugli uomini viene da lui definito come ‘potente’ ed ‘indispensabile’:

“La religione popolare si distingue dalla reli­gione privata soprattutto in quanto il suo scopo, agendo potentemente sulla fantasia e sul cuore, è di infondere nell’anima in gene­rale la forza e l’entusiasmo, - dunque lo spi­rito che è indispensabile alla virtù grande e sublime”

(trad. mia).

“VolksReligion unterscheidet sich von pri­vatReligion vornehmlich dadurch, daß der Zwek jener ist, indem sie mächtig auf Ein­bildungskraft und Herz wirkt, der Seele überhaupt die Kraft und den Enthusiasmus - den Geist einzuhauchen, der zur grossen zur erhabenen Tugend unentbehrlich ist”

(GW 1, 102, 10-13).

 

Un confronto tra questo passo, nel quale Hegel definisce la nuova concezione della religione popolare, con il passo già menzionato “Il mio intento [...]”, con­tenente la definizione della sua prima concezione della religione popolare, mo­stra che nel frattempo si è verificato un gran cambiamento nello svi­luppo della problematica filosofico-religiosa dello Stiftler. Causa di ciò è stata indubbiamente la ricezione della Religionsschrift. Tramite questo scritto Hegel ha recepito l’ideale della religione razionale come della vera forma di religione come anche l’altro ideale, connesso al primo, della fondazione di una società etica universale quale ‘chiesa invisibile’, ‘regno di dio’ tra gli uomini.

Nella formulazione di questo duplice ideale culmina lo sviluppo delle ri­flessioni filosofico-religiose del giovane Hegel, il cui punto di partenza è da cer­care nel testo 12. In tale ideale viene fornita anche una prima soluzione completa alla questione, espressa nel testo 12, circa il ‘salvataggio’ della religione in una società illuminata.([211])

Si tratta a tal proposito di una soluzione da definire come ‘prima’, ma non come ‘definitiva’ perché Hegel nel periodo di Jena, in particolare dal momento della stesura del frammento Fortsetzung des Systems der Sittli­chkeit (1802/1805), sarà dell’opinione che solo la filosofia possa assolvere al compito della promozione della moralità in un popolo illuminato. Questa sarà la sua soluzione definitiva della questione relativa al salvataggio della religione. In una nazione illuminata la religione può essere ‘salvata’ e superata (nel senso di ‘aufgehoben’) soltanto come filosofia. Ovviamente si tratta di una filosofia che è anche religione, in quanto essa consiste in un sistema assoluto dal quale gli uomini possono ricevere delle direttive chiare per il comportamento morale.

Paragonata alla filosofia come soluzione ‘definitiva’ la concezione della religione, quale religione razionale appare come la ‘prima’ soluzione della pro­blematica del salvataggio della religione in una nazione illuminata.([212])

 

§33 La ‘religione popolare’ come ‘religione sensibile e naturale’

Il ritorno dei concetti principali, cui Hegel era pervenuto già al tempo della concezione della religione come cosa del cuore, perviene al suo culmine nei fogli da ‘i’ a ‘l’, con i quali termina il testo 16. Questi fogli contengono in una forma ben ordinata sistematicamente i risultati delle riflessioni condotte da Hegel in questo periodo.

Fogli da ‘i’ a ‘l’

(GW 1: da 103,2 fino a 114,26)([213])

In questi fogli continua il tentativo hegeliano di stabilire i caratteri principali della religione popolare. Il giovane pensatore è ora convinto che solo una forma della religione adeguata al tempo possa aver successo nel popolo, condurlo alla religione razionale e così promuoverne la moralità.([214])

Nel paragrafo che inizia con le parole “Come deve essere costituita la religione popolare?” (GW 1, da 103,14) sono descritti sistematicamente i ca­ratteri principali della religione popolare secondo la nuova concezione di He­gel.

La religione popolare deve essere così costituita (nell’elencazione delle caratteristiche principali della religione popolare si seguirà fedelmente il testo hegeliano):

“I. Le sue dottrine devono essere fondate sulla ragione universale” (trad. mia),

“I. Ihre Lehren müssen auf der allgemeinen Vernunft gegründet seyn” (GW 1, 103, 18)

Essa allora deve essere ‘razionale’ secondo quanto già stabilito da Kant tra­mite il concetto della ‘Vernunftreligion’;([215])

“II. Fantasia, cuore e sensibilità non devono uscirne a mani vuote” (trad. mia),

“II. Phantasie, Herz und Sinnlichkeit müs­sen dabei nicht leer ausge­hen” (GW 1, 103, 19)

Essa dunque deve essere anche ‘sensibile’ e non solo razionale, così da poter essere comunicabile a tutto il popolo e non solo a pochi dotti.([216])

“III. Essa deve essere così costituita che tutti i bisogni della vita - le azioni dello Stato vi si colleghino” (trad. mia),

“III. Sie muß so beschaffen seyn, daß sich alle Bedürfnisse des Lebens - die öffentli­che StaatsHandlungen daran anschliessen”

(GW 1, 103, 20)

dunque deve essere ‘naturale’, non deve essere contraria ai “bisogni natu­rali” (“natürlichen Bedürfnissen") dell’uomo, “agli impulsi di una sensibilità ben ordinata” (“den Trieben einer wohlgeordneten Sinnlichkeit”) (GW 1, 103,20-21)”.

Sintetizzando, la religione deve prendere in considerazione la concreta e reale costituzione dell’uomo, la quale non consiste solo di ragione ma anche di sensibilità. Quando ciò non si verifica,

“non appena sussiste un muro divisorio tra vita e dottrina, allora sorge il sospetto - che la forma della religione contenga un errore - o che essa si serva troppo di parole vuote o che ponga pretese troppo grandi e bigotte agli uomini” (trad. mia),

“sobald eine Scheidewand zwischen Leben und Lehre" besteht, "so entsteht der Ver­dacht - daß die Form der Religion einen Feh­ler habe - entweder daß sie zuviel mit Wort­krämerei umgeht, oder an die Menschen zu grosse frömmelnde Foderungen macht”

(GW 1,

come si esprime Hegel in modo molto preciso sull’argomento (GW 1, 109,29 ss.).

La religione dunque non deve in alcun caso essere una prigione per gli uomini, ma deve aiutarlo nella costruzione della casetta

“[...] che l’uomo possa chiamare sua propria” (trad mia.),

“[...] das der Mensch alsdenn sein eigen nennen kann” (GW 1,

nella quale egli si senta a proprio agio ed il cui simbolo è la frase dal Nathan di Lessing, da Hegel più volte citata.

Ai caratteri addotti sono da aggiungere inoltre la ‘pubblicità’ (‘Öffen­tlichkeit’) e la “soggettività”, già implicite peraltro nel concetto di ‘religione popolare’, come lo intendeva il giovane studente.

Tutti questi caratteri indispensabili della religione ideale (soggettività, pubblicità, razionalità, sensibilità e naturalità) caratterizzano la concezione hegeliana della religione popolare, capace di condurre il popolo alla religione razionale e tramite ciò di promuovere negli uomini una pura moralità.

Questa concezione può essere definita come la concezione di una reli­gione popolare che sia razionale, sensibile e naturale (nell’attributo ‘popo-lare’ sono contenute anche la soggettività e la pubblicità). Essa deve essere considerata in stretto collegamento alla Religionsschrift di Kant e come diretta applicazione, ma anche ampliamento della medesima.

Nei paragrafi successivi dei fogli qui presi in esame Hegel analizza sin­golarmente i diversi caratteri principali della religione popolare. Nei fogli ‘i’ e ‘k’ (103,27 fino a 106,32) viene descritto il carattere della razionalità, nel foglio ‘k’ (107,1 fino a 109,28) quello della sensibilità ed infine nel foglio ‘l’ (109,29 fino a 113,26) come anche nel paragrafo 114,1 ss. - che a dire il vero non appartiene al foglio ‘l’, ma contiene una rielaborazione dello stes-so -, quello della naturalità.

Nell’esposizione della razionalità e della sensibilità della religione po­polare Hegel non arriva ad alcun nuovo risultato: in fondo ripete quello che aveva scritto nei testi relativi e per quanto riguarda il carattere della razionalità si riferisce soprattutto al concetto della religione razionale, mentre per quel che concerne il carattere della sensibilità si rifà alla concezione della re­ligione come ‘cosa del cuore’. In questa ripresa dei risultati già raggiunti precedentemente, benché in una costellazione di pensieri in linea generale nuova, agisce di nuovo il principio della ‘Aufhebung’ secondo il quale nella vita niente di veramente importante va perduto.

Del tutto diversa sembra la situazione relativa al carattere della natura­lità, della quale si parla sia nel foglio ‘l’ sia nella sua rielaborazione.([217]) Que­sto carattere fondamentale agisce sulla vita pratica degli uomini quindi sulla moralità. Nel foglio ‘l’ viene esposto dettagliatamente e poeticamente il carattere della naturalità della reli­gione popolare. Hegel tenta di ricostruire l’immagine di una vita naturale dell’uomo,

“l’immagine di un genio dei popoli - un figlio della felicità, della libertà, un discepolo della bella fantasia [...]” (trad. mia).([218])

“das Bild eines Genius der Völker - eines Sohns des Glüks, der Freiheit, eines Zög­lings der schönen Phantasie [...]”

(GW 1, 114, 3).

Egli confronta quest’immagine della vita umana, com’essa dovrebbe essere, con la vita reale quale era effettivamente ai suoi tempi. Quest’ultima possiede ai suoi occhi caratteristiche negative (infelice, scontenta etc.):

“L’Occidente ha escogitato un altro genio delle nazioni - [...]” (trad. mia).

“Einen anderen Genius der Nationen hat das Abendland ausgehekt – [...]”

(GW 1, 113, 1).

Il contrasto tra queste due immagini relative a due diverse possibilità della vita umana ha anche un riferimento storico, come sempre in Hegel: il genio della vita gioiosa corrisponde alla vita dei Greci, mentre il genio della vita in­felice corrisponde alla vita nella Germania del tempo.

Hegel descrive il modello di vita che deve essere promosso dalla religione popolare ed il trattamento di questo tema nel foglio ‘l’ è, all’inter-no dell’intera sintesi sistematica, una ripresa di convinzioni già raggiunte e consolidate, come nel caso degli altri caratteri fondamentali.

Nel testo tramandato non è possibile rinvenire un rimando ad un’imminente esposizione dedicata specialmente a questo carattere principa-le. Ci sono qua e là accenni, ma manca un’esposizione speciale dei motivi a favore o contro questo carattere, come si trova per gli altri caratteri della reli­gione popolare. Ciò è curioso in quanto si tratta di quel carattere che dovrebbe essere più importante di tutti gli altri, poiché la morale è scopo della religione e non il contrario.

Si deve concludere dunque che, se Hegel si è occupato così dettagliata­mente della problematica religiosa, dovrebbe essersi occupato ancora più dettagliatamente della problematica morale, in quanto questa gli stava parti­colarmente a cuore.

Da ciò nasce la seguente duplice questione:

1. in quali testi Hegel si sia occupato di­rettamente della problematica morale;

2. quando ciò abbia avuto luogo.

Alla prima domanda non si può dare una risposta diretta perché tra i testi di quegli anni, che sono stati tramandati, non ve n’è alcuno che contenga una tale, dettagliata elaborazione della problematica morale. Si può però ricavare un’indicazione se si esamina attentamente il periodo di Stoccarda. Questo pe­riodo termina con la comprensione della naturalità della vita dei Greci antichi ed ancora nei primi mesi del periodo di Tubinga Hegel tratta questo pen­siero.([219]) Così viene creata una relazione con il momento nello sviluppo spiri­tuale di Hegel, dove la ricostruzione genetica deve essere interrotta per man­canza di scritti trasmessi. Hegel deve essersi occupato della problematica mo­rale e quindi del carattere della naturalità della religione popolare nel periodo dei cosiddetti ‘anni oscuri’, dunque negli anni 1789-1792.([220])

 

§34 La nascita del programma della fondazione di una nuova religione po­polare (estate 1793 - semestre invernale 1793/94)

Gli scritti successivi al testo 16 rivelano il raggiungimento di un nuovo stadio nello sviluppo spirituale del giovane pensatore. In essi infatti Hegel conduce  riflessioni sulla religione cristiana, per comprendere i motivi del suo fallimento come religione popolare.

I risultati cui egli perviene sono contenuti soprattutto nei testi 25 e 26, con i quali si conclude la prima fase del suo sviluppo spirituale.

In questo processo di riflessione sulla religione cristiana possono essere chiaramente distinti due stadi:

- un primo stadio, in cui Hegel confronta tale religione con la propria concezione della religione popolare, al fine di chiarire se essa in quanto fede storica possegga i caratteri fondamentali propri di un’autentica religione popolare;

- un secondo stadio, nel quale il giovane studente, avendo fornito una risposta negativa a questa prima domanda, perviene alla conclusione che dev’essere proprio compito fondare una nuova religione, la quale possa essere un’autentica religione popolare. Così nasce l’ideale che determinerà poi dall’interno il futuro sviluppo spirituale di Hegel.

Per quanto riguarda la cronologia, tutti questi testi sono stati già redatti da Hegel a Berna, dunque nel periodo del primo semestre invernale 1793/94.([221]) Una cronologia analitica più precisa non è purtroppo possibile, l’unica cosa che si può affermare con correttezza filologica è che i testi 24-26 sono sorti dopo gli altri tramandati come appartenenti al periodo universitario.([222])

 

§35 L’inadeguatezza della religione cristiana come religione razionale

La lettura dei testi 17-26 mostra che si è verificato un cambiamento nella vi­suale secondo la quale Hegel tratta ora la problematica della religione popolare. Egli non si occupa più della questione puramente teoretica circa i caratteri principali di una religione popolare, bensì della questione pratica riguardante la fondazione di una tale religione. Si può notare dunque che il giovane pensatore, avendo terminato con l’elaborazione del concetto di ‘religione popolare’, si dedica ora agli aspetti pratici e realizzativi della stessa.

Nel testo 17 egli sviluppa un paragone tra Socrate e Gesù. Qui non sono tanto importanti le conclusioni, quanto piuttosto il fatto che Hegel sentisse il bisogno di confrontarsi con le personalità di grandi educatori del popolo e fondatori di religioni e visioni del mondo. Ciò mostra chiaramente la svolta avvenuta nel suo pensiero dalla pura teoria alla prassi.

Il testo 18 è un breve foglio di appunti che si occupa di Gesù come fondatore di una religione.

Nel testo 19 viene trattato nuovamente un tema pratico, cioè l’organizzazione esterna della chiesa.

Il testo 20 è più interessante perché vi si accennano già alcuni punti della critica di Hegel al Cristianesimo, risultato delle riflessioni fatte nei testi precedenti. In particolare lo studente dello Stift si sofferma qui sul fatto che questa religione sia adatta soltanto come religione privata ma non come reli­gione popolare (cfr. il passo 129,23 ss.).

Anche il testo 21 contiene una critica severa alla religione cristiana, in particolare alla sua antropologia pessimistica (cfr. il passo 131,28 ss.), mentre nel testo 22 questa religione risulta chiaramente perdente da un confronto con il modo di vivere dei Greci in relazione all’atteggiamento nei confronti della morte.

Tutti questi singoli punti di critica nei confronti della religione cristiana si ritrovano nella sintesi che Hegel elabora nei testi dal 23 al 26.

Il testo 23 contiene a questo riguardo solo un tentativo. In questo testo ritornano molti concetti appartenenti alla problematica generale della reli­gione, come per esempio la differenza tra religione soggettiva ed oggettiva. A tal proposito il giovane pensatore perviene anche ad un nuovo risultato interes­sante, ossia che lo Stato ha il compito di trasformare la religione da oggettiva in soggettiva:

“Rendere la religione oggettiva soggettiva dev’essere il grande compito dello Stato [...]”

(trad. mia).

“Die objektive Religion subjektiv zu machen mus das grosse Geschäft des Staats seyn[...]”

(GW 1, 139, 15-16).

A tale proposito Hegel si chiede se la religione cristiana sia adatta a ciò([223]) e nel tentativo di trovare una risposta a questa domanda usa concetti che ri­mandano chiaramente all’opera Jerusalem di Mendelssohn.([224])

Si tratta di un’analisi della religione cristiana che Hegel conduce in forma di punti fondamentali. Per ogni punto fondamentale (per esempio il fonda­mento storico del Cristianesimo oppure il modo di vivere da esso fondato), il giovane filosofo dà un giudizio che risulta essere, nella maggior parte dei casi, negativo.

In questo testo però il pensatore non arriva ancora ad un giudizio defini­tivo e complessivo sull’idoneità della religione cristiana come religione popolare. Ciò avviene nei testi, redatti poco più tardi, dal 24 al 26.

Nel testo 25 vengono sintetizzati e sistematizzati i risultati delle rifles­sioni precedenti sul Cristianesimo. Per questo motivo questo testo può ben valere come ‘resa dei conti’ di Hegel con tale religione. Dopo aver elencato i punti di vista più importanti secondo i quali deve essere considerata una religione,([225]) il giovane Stiftler si confronta con la seguente questione fondamentale:

“Quali sono i requisiti di una religione popo­lare al riguardo di questi punti di vista - li ritroviamo nella religione cristiana?”

(trad. mia).([226])

“Welches sind die Erfordernisse einer Volksreligion in Ansehung dieser Gesichts­punkte - treffen wir sie bei der christlichen Religion an” (GW 1, 155, 3-4).

Hegel perviene alla conclusione che la religione cristiana non può essere una religione popolare. Motivo di ciò è che essa è condannata al fallimento nel compito della promozione della moralità nell’uomo perché si fonda sulla sto­ria e non sulla ragione.([227])

La religione cristiana è dunque fondata sull’autorità esterna della tradi­zione storica e non sull’autorità interna della ragione umana. La conseguenza è che Cristo è visto dagli uomini come simbolo della virtù.([228]) Tale virtù non è però accessibile agli uomini soltanto grazie alla propria buona volontà.([229])

Su questo argomento Hegel scrive esplicitamente:

“Ahimé! Ci si è lasciati persuadere che queste facoltà ci siano estranee, che l’uomo appar­tenga soltanto alla serie degli enti naturali, ed a dire il vero di quelli corrotti - si è comple­tamente isolata l’idea della santità e la si è attribuita soltanto ad un’essenza lontana, con­siderandola inconciliabile con la limitazione propria di una natura sensibile” (trad. mia).

“Ach man hat uns überredet, daß diese Ver­mögen fremdartig, daß der Mensch nur in der Reihe der Naturwesen, und zwar verdor­bener gehöre -  man hat die Idee der Heilig­keit gänzlich isolirt, und allein einem fer­nem Wesen beigelegt sie mit der Ein­schränkung unter eine sinnliche Natur für unvereinbar gehalten” (GW 1, 160, 23-26).

Ed allo stesso luogo aggiunge:

“Quest’umiliazione della natura umana non ci permise pertanto di riconoscerci come uomini virtuosi” (trad. mia).

“Diese Erniedrigung der menschlichen Natur erlaubte es uns also nicht, in tugendhaften Menschen uns wieder zu erkennen”.

Come ‘immagine della virtù’ v’è bisogno secondo la dottrina cristiana di un ‘uomo-dio’ e ciò contraddice la concezione hegeliana, di chiara provenienza kantiana, che l’idea della legge morale

“[...] noi alla fine la dobbiamo ricavare senz’altro da noi stessi” (trad. mia).

“[...] wir am Ende freilich aus uns selbst ho-len müssen” (GW 1, 161, 4-5)

L’umiliazione dell’uomo è dunque il motivo fondamentale per cui la reli­gione cristiana non può promuovere la moralità negli uomini. Essa infatti non riconosce la natura dell’uomo nel suo valore positivo, anzi lo considera come un qualcosa di corrotto.

Hegel non poteva essere d’accordo con questa concezione. Benché in una fase del proprio sviluppo - all’incirca nella primavera 1793 - sotto l’influsso della prima parte della Religionsschrift - egli fosse pervenuto ad un pensiero parzialmente simile, la ricezione delle altri parti di questo scritto lo aveva condotto poi più tardi all’elaborazione di un’antropologia né pessimistica né ottimistica, ma equilibrata.

Secondo tale antropologia la natura dell’uomo non è né buona né cattiva. Essa include in sé le due possibilità, quella del comportamento morale come anche quella del comportamento immorale. Su ciò si fonda anche il compito della religione, che consiste nel promuovere la prima possibilità e nel reprimere la seconda.

Prova chiara di quest’antropologia equilibrata di Hegel già alla fine di questo periodo sono per esempio il pensiero già citato “L’uomo è una cosa così complessa [...]” del foglio ‘h’ come anche la concezione di una ‘sensibilità ben ordinata’, contenuta soprattutto nel foglio ‘l’.

 

§36 La decisione hegeliana di fondare una nuova religione popolare

Il fallimento della religione cristiana come religione popolare significa per Hegel il fallimento di ogni fede storica in questo compito. Ogni fede storica - e non solo il Cristianesimo - si fonda sulla storia; perciò, se il Cristianesimo è incapace per questo motivo di essere una religione po­polare, lo sarà anche qualsiasi altra fede storica.

Ciò di cui si ha bisogno è a suo giudizio una nuova religione popolare, la quale possegga i caratteri fondamentali indispensabili, da lui stabiliti, e tramite questi possa insegnare all’uomo a riconoscere la virtù in se stesso e non in un’essenza estranea, anche se divina.

I tempi insomma erano maturi per separare finalmente la pura virtù dalla persona di Gesù e adorarla come qualcosa di umano, come “il bello della na­tura umana” e non come un qualcosa di divino. Hegel espone chiaramente questi pensieri nel testo 26, che per il suo contenuto sembra essere l’ultimo di questo stadio del suo sviluppo spirituale:([230])

“Perciò, quando dopo secoli l’umanità è di nuovo in grado di avere idee, l’interesse per l’individuale sparisce, l’esperienza della cor­ruzione degli uomini a dir il vero resta, ma la dottrina dell’abiezione dell’uomo scompare, e quel che ci rendeva interessante l’individuo affiora sempre di più esso stesso come idea nella sua bellezza, pensato da noi, diviene nostra proprietà. Il bello della natura umana, che noi stessi ponevamo nell’individuo estra­neo, [...], viene riconosciuto da noi con gioia come nostra opera, ce ne appropriamo, e con ciò impariamo a sentire rispetto per noi stessi, mentre prima ci credevamo solo oggetto di di­sprezzo” (trad. mia).

“Daher wenn nach Jahrhunderten die Menschheit wieder Ideen fähig wird, das In­teresse an dem Individuellen verschwindet, die Erfahrung von der Verdorbenheit der Menschen zwar bleibt, aber die Lehre von der Verworfenheit des Menschen abnimmt, und dasjenige was uns das Individuum in­teressant machte, selbst als Idee in ihrer Schönheit nach und nach hervortritt, von uns gedacht unser Eigenthum wird, [wir] das schöne der menschlichen Natur, was wir selbst in das fremde Individuum hineinleg­ten, [...] wieder als unser eignes Werk freu­dig erkennen, es uns wieder aneignen, und dadurch Selbstachtung für uns empfinden lernen [...]” (GW 1, 164, 3-13)

La nuova religione popolare deve conferire alla religione una “propria, vera ed autonoma dignità” come viene detto nell’ultima frase di questo importantissimo testo:

“Il sistema della religione, che ha sempre as­sunto il colore dell’epoca e delle costituzioni statali, la cui più alta virtù fu l’umiltà, la co­scienza della propria impotenza, che aspetta tutto, in parte anche il male, dall’esterno, ri­ceverà ora una propria, vera ed autonoma di­gnità” (trad. mia).

“Das System der Religion, das immer die Farbe der Zeit und der StaatsVerfassungen annahm, deren höchste Tugend Demuth, Be­wußtsein seines Unvermögens, das alles an­ders­woher - das Böse selbst zum Theil er­wartet - wird izt eigne wahre, selbständige Würde erhalten -” (GW 1, 164, 20-24)

Così il giovane filosofo aggiunge al proprio concetto della religione popolare un altro carattere, quello della sua ‘assolutezza’. Poiché la nuova religione popolare non può più prendere “i colori dell’epoca e delle costituzioni sta­tali”, si deve concludere che la sua fondazione sarà indipendente dalla storia. In ciò sussiste in fondo la sua “propria, vera ed autonoma dignità”.

Qui è già riconoscibile la tendenza di Hegel ad una concezione fondata in modo ultimo (‘letztbegründet’) dell’assoluto, che riceverà poi nella Scienza della logica la sua più completa espressione.

Le frasi appena citate non solo nel loro contenuto concettuale, ma anche nei loro riferimenti temporali sono così esplicite (“Il sistema della religione [...] riceverà ora [...]”; “[...] quando dopo secoli [...]”), che si può riconoscere in esse un’intenzione cosciente, un programma di vita, il programma della fondazione di una nuova regionale razionale, sensibile, naturale ed assoluta, idonea a promuovere moralità negli uomini.

Quest’intenzione può essere considerata come il risultato del primo pe­riodo dello sviluppo giovanile di Hegel (1785-1794) e come il fermo programma filosofico della sua vita.

 

§37 La posizione degli studenti: ricezione positiva della Religionsschrift da parte di Hölderlin e Schelling ctrl

La circostanza che Schelling fosse di ben 5 anni più giovane degli altri due amici e che quindi si trovasse ancora allo Stift, quando Hegel aveva già com­pletato i propri studi e si trovava a Berna, è per noi molto fortunata, in quanto nelle lettere scambiate i due amici prendono apertamente posizione sullo sviluppo della teologia a Tubinga, che Schelling poteva ancora osservare in prima persona, e quindi immancabilmente sia l’uno che l’altro si pronunciano sulla polemica filosofico-religiosa allora in corso.

Si tratta di lettere risalenti agli anni immediatamente successivi allo stu­dio di Hegel a Tübingen, quindi scambiate durante il soggiorno bernese tra il 1794 ed il 1796. In esse i due amici si appellano a Kant ed al nucleo centrale della Religionsschrift, in particolare ai concetti di ‘regno di dio sulla terra’ come chiesa invisibile, ‘ragione e libertà’ e così via, come al loro comun de­nominatore, la ‘buona causa’ (‘gute Sache’), alla quale essi volevano dedi­care la propria vita intellettuale.

Ecco alcune citazioni dal carteggio Hegel-Schelling, le quali danno un’i-dea precisa del rapporto tra quei due giovani pensatori e la filosofia religiosa di ‘Vater Kant’.([231])

Hegel a Schelling (la vigilia di Natale 1794):

“Di altre confutazioni, a parte quelle di Storr, contro la dottrina della religione di Kant, finora non ho sentito parlare, certo se ne sa­ranno viste già delle altre. Ma la sua in­fluenza, che adesso invero è ancora silenziosa, verrà alla luce del giorno giusto con il tempo” (p.104).

"Von andern Widersprüchen als den Storr’schen gegen Kants Religionslehre habe ich  noch nicht gehört, doch wird sie wohl schon mehr erfahren haben. Aber der Einfluß derselben, der jetz freilich noch still ist, wird erst mit der Zeit ans Tageslicht kommen."

Schelling a Hegel (la sera dell’Epifania 1795):

“Vivo e mi muovo al presente nella filosofia. - La filosofia non è ancora giunta alla fine. Kant ha dato i risultati; mancano ancora le premesse. E chi può comprendere i risultati senza le premesse? - Un Kant sicuramente, ma di ciò che dovrà farne la massa? [...] Dob­biamo ancora avanzare con la filosofia! - Kant ha spazzato via tutto, - ma come faranno ad accorgersene quelli?([232]) [...] O i grandi kantiani che ora sono dappertutto! Essi sono rimasti fermi alla lettera e si fanno il segno della croce nel vedere che ancora dinanzi a loro ci sono tante cose. Io sono fortemente convinto che l’antica superstizione non solo quella della religione positiva ma anche quella della così detta religione naturale si è di nuovo combinata nelle teste dei più con la lettera kantiana. - È un piacere vedere come essi sanno trarre a proprio vantaggio la prova mo­rale. In un battibaleno spunta fuori il deus ex machina, l’Ente personale, individuale, che siede su in cielo!” (p. 107).

"Ich lebe und webe gegenwärtig in der Philosophie. Die Philosophie ist noch nicht am Ende. Kant hat die Resultate gegeben; die Prämissen fehlen noch. Und wer kann Resultate verstehen ohne Prämissen?- Ein Kant wohl, aber was soll der große Haufe damit?[…]Wir müssen noch weiter mit der Philosophie!- Kant hat alles weggeräumt, - aber wie sollten sie’s merken?[…] O der großen Kantianer, die es jetz überall gibt! Sie sind am Buchstaben stehen geblieben und segnen sich, noch so viel vor sich zu sehen. Ich bin fest überzeugt, daß der alte Aberglaube nicht nur der positiven, sondern auch der sogennanten natürlichen Religion in den Köpfen der moisten schon wieder mit dem Kantischen Buchstaben kombiniert ist.- Es ist ein Lust anzusehen, wie sie den moralischen Beweis an der Schnur zu ziehen wissen. Eh’man sich’s versieht, springt der dues ex machine hervor, - das persönliche, individuelle Wesen, das oben im Himmel sitzt!"

Hegel a Schelling (fine gennaio 1795):

“Da qualche tempo ho ripreso lo studio della filosofia kantiana, al fine di imparare ad ap­plicare i suoi importanti risultati a qualche idea che ancora continua a circolare tra noi, o a elaborare questa idea alla loro luce. [...] Non c’è da meravigliarsi per quanto mi dici del-l’indirizzo teologico-kantiano (...) della filoso­fia a Tübingen. Non si può scuotere l’ortodossia, finché la sua professione, così legata ai vantaggi mondani, resterà intrecciata nell’intero di uno stato. [...] Venga il regno di Dio, e le nostre mani non restino inerti in grembo! [...] Ragione e libertà restano la no­stra parola d’ordine, e il nostro punto d’incontro la chiesa invisibile”([233]) (pp. 109-111).

"Seit einiger Zeit habe ich das Studium der Kantischen Philosophie wieder hervorgenommen, um s[eine] wichtige[n] Resultate auf manche uns noch gang und gäbe Idee anwenden zu lernen oder diese nach jenen zu bearbeiten.[…]Was Du mir von dem theologisch-Kantischen Gang der Philosophie in Tübingen sagst, ist nicht zu verwundern. Die Orthodoxie ist nicht zu erschüttern, solang ihre Profession mit weltlichen Vorteilen verknüpft in das Ganze e[ine]s Staats verwebt ist.[…]Das Reich Gottes komme, und unsre Hände seien nicht müßig im Schoße![…]Vernunft und Freiheit bleiben unsre Losung, und unser Vereinigungspunkt die unsichtbare Kirche."

Hegel a Schelling (16 aprile 1795):

“Dal sistema kantiano e dal suo sommo com­pimento attendo in Germania una rivoluzione che partirà da principi già esistenti, i quali, dopo una generale rielaborazione, richiedono soltanto di essere applicati a tutto l’attuale sapere. [...] Credo che non ci sia miglior se­gno del tempo di questo, che l’umanità è rap­presentata come degna di stima in se stessa; una dimostrazione questa che l’aureola che circondava il capo degli oppressori e degli dei della terra dilegua. I filosofi dimostrano que­sta dignità, i popoli impareranno a sentirla e non si contenteranno più di esigere i loro di­ritti finora calpestati nella polvere, ma essi stessi li riprenderanno, - se ne approprieranno. Religione e politica hanno fatto di nascosto uno stesso gioco, e la prima ha insegnato ciò che il dispotismo voleva, il disprezzo per il genere umano, l’incapacità di esso a raggiun­gere un qualsiasi bene e ad essere qualcosa per sé solo” (pp. 117-118).

"Vom Kantischen System un dessen höchster Vollendung erwarte ich eine Revolution in Deutschland, die von Prinzipien ausgehen wird, die vorhanden sind und  nur  nötig haben, allgemein bearbeitet, auf alles bisherige Wissen angewendet zu werden.[…] Ich glaube, es ist kein besseres Zeichen der Zeit als dieses, daß die Menschheit an sich selbst so achtungwert dargstellt wird; es ist ein Beweis, daß der Nimbus um die Häupter der Unterdrücker und Götter der Erde verschwindet. Die Philosophen beweisen diese Würde, die Völker werden sie fühlen lernen, und ihre in den Staub erniedrigte[n] Rechte nicht fodern, sondern selbst wieder annehmen, - sich aneignen. Religion und Politik haben unter einer Decke gespielt, jene hat gelehrt, was der Despotismus wollte, Verachtung des Menschengeschlechts, Unfähigkeit desselben zu irgend einem Guten, durch sich selbst etwas zu sein."

Schelling a Hegel (21 luglio 1795):

“Certo, amico, la rivoluzione che deve essere compiuta dalla filosofia, è ancora lontana. La maggior parte di quelli che parevano volervi partecipare, ora indietreggiano terrorizzati”

(p. 122).

"Gewiß, Freund, die Revolution, die durch due Philosophie bewirkt werden soll, ist noch ferne. Die moisten, die mitwirken zu wollen schienen, treten nun erschrocken."

Schelling a Hegel (gennaio 1796):

“(...) sarei deciso a stabilirmi da qualche parte, all’estero, per mio conto, e - se è possibile - a servire la buona causa con attività pubbliche. [...] Certo, caro amico, nel frattempo non sarai rimasto inattivo. [...] Ho atteso sempre di vedere da qualche parte i risultati delle tue ricerche. Oppure hai qualcosa di più grande tra le mani, il tempo stringe e perciò in una sola volta vuoi sorprendere i tuoi amici? In effetti, credo di poter esigere da te che anche pubblicamente ti associ alla buona causa. Essa ha intanto più amici e difensori di quanto nella mia ultima lettera osassi sperare.”

"(...) bin ich dann entschlossen, auf eigene Rechnung irgendwo im Ausland mich auf einige Zeit niederzulassen und – ist es möglich – der guten Sache durch öffentliche Arbeiten zu dienen [...]." Gewiß, lieber Freund, bist Du indes nicht untätig gewesen.[…] Ich wartete immer, etwas von den Resultaten Deiner Untersuchungen irgendwo zu finden. Oder hast Du etwas Größeres unter der Hand, das Zeit fordert und womit Du Deine Freunde auf einmal überraschen willst? In der Tat, ich glaube von Dir fordern zu dürfen, daß Du Dich auch öffentlich an die gute Sache anschließest. Sie hat indes mehr Freunde und Verteidiger, als ich in meinem letzten Briefe zu hoffen wagte."

L’ideale giovanile hegeliano della fondazione di una nuova religione popo­lare razionale e quindi il suo sistema filosofico come realizzazione di quest’i­deale non sono altro che il modo in cui Hegel si è impegnato pubbli­camente per la ‘gute Sache’, dunque per la ‘buona causa’: egli ha realizzato l’ideale kantiano fondando la filosofia come scienza assoluta e quindi come religione razionale, l’unica religione vera ed assoluta. In tal modo egli ha an­che preparato il terreno per la rivoluzione filosofica, che i due giovani si aspettavano da un momento all’altro.

Per questo  elevatissimo compito la filosofia di Hegel rappresenta quindi la più matura realizzazione del programma non solo hegeliano, ma anche dei suoi due compagni di studi, Schelling e Hölderlin.

Per quanto riguarda Schelling è significativo quanto scrive su di lui il Fuhrmans:

“Quando Schelling nella tarda estate del 1795 terminò i suoi studi teologici presso lo Stift, è chiaro che lui, così come Hegel e Hölderlin, non pensò d’entrare nel servizio ecclesiastico, ma piuttosto adirato, persino ‘esasperato’ da tutto quel che aveva conosciuto durante gli studi (...), si separò in autunno da Tübingen, non propenso a restare in ‘patria’ ed a rendere servizio alla verità della tradizione (‘dem Überlieferten’). La sua volontà era piuttosto aiutare a distruggerla, affinché il nuovo, che era più luminoso, più grande, più incantevole (‘beglückender’) affiorasse. Gli sembrava che fosse richiesto qualcosa di grande: rottura con il vecchio, elaborazione di una nuova immagine del mondo, di una nuova filosofia, anzi di una nuova religione.”([234])

In riferimento a Hölderlin è invece Bertaux a fornire un’illuminante chiave di lettura dell’ideale giovanile del poeta svevo:

“Si tratta forse di un puro progetto filosofico, il cui scopo finale fosse ottenere una cattedra a Jena? O non significa piuttosto, quel che abbiamo dinanzi, l’intenzione consapevole - questa è la nostra tesi - di fondare una Nuova Religione? Una Nuova Religione, la quale introducesse la ‘seconda fase’ della storia dell’umanità, vale a dire una fase di pace e di libertà, l’epoca di una comunità più bella, di un’umanità rigenerata. Hyperion, un Nuovo Vangelo?”([235])

Ciò è documentato tra l’altro dall’interessantissimo frammento Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, forse elaborato insieme dai tre amici (o, molto più probabilmente, soltanto da Schelling e trascritto da He­gel) in occasione di un loro incontro a Francoforte qualche anno dopo la con­clusione degli studi universitari:

“un’etica. Dacché l’intera metafisica si compirà in futuro nella morale - della quale Kant ha dato solo un esempio con i suoi due postulati pratici, ma non ha esau­rito niente;([236]) tale etica nient’altro sarà che un compiuto sistema di tutte le idee, o, che è lo stesso, di tutti i postulati pratici. [...]. Finalmente vengono le idee di un mondo morale, divinità, immortalità - e a mezzo della ragione rovesciamento di ogni super­stizione (‘Afterglaubens’), persecuzione del clero, che da pochissimo affetta di dar credito alla ragione. Assoluta libertà di tutti gli spiriti che in sé portano il mondo intellettuale e che non possono cercare fuori di sé né Dio né immortalità.

Da ultima l’idea che unifica tutte le altre, l’idea della bellezza, [...].

La poesia riceverà con ciò una più alta dignità, essa ritornerà ad essere ciò che era in principio - maestra dell’umani-tà; non ci sarà più filosofia, non più storia, l’arte poetica sola sopravvivrà a tutte le altre scienze ed arti.

Anche oggi sentiamo dire sovente che la gente comune ha bisogno di una re­ligione sensibile. Non solo la gente co­mune, anche il filosofo ne ha bisogno. Monoteismo della ragione e del cuore, po­liteismo dell’immaginazione e dell’arte, ecco ciò di cui abbiamo bisogno.

In primo luogo parlerò qui di un’idea, alla quale, per quanto ne so, nes­suno ancora ha pensato - noi dobbiamo avere una nuova mitologia, ma questa mitologia deve porsi a servizio delle idee, diventare mitologia della ragione.

Prima che le idee vengano da noi tra­sformate in forma estetica, cioè mitolo­gica, nessun interesse esse suscitano nel popolo e viceversa prima che la mitologia sia razionale il filosofo deve vergognar­sene. Alla fine dunque gli illuminati e quelli che non lo sono devono darsi la mano, la mitologia deve diventare filoso­fica e il popolo razionale, e la filosofia deve diventare mitologica, per rendere i filosofi sensibili. Allora regnerà eterna unità tra noi. Non più lo sguardo sprez­zante, non più il cieco tremare del popolo dinanzi ai suoi sapienti e ai suoi preti. Al­lora soltanto ci attende uguale educazione di tutte le facoltà, del singolo come di tutti gli individui. Non sarà repressa più nes­suna facoltà. Allora regnerà libertà univer­sale e uguaglianza degli spiriti! - Un più alto spirito mandato dal cielo deve fondare tra noi questa nuova religione, l’ultima e più grande opera dell’umanità”.([237])

In questo frammento viene alla luce in modo indubitabile il carattere innova­tivo e rivoluzionario di quella che si può senz’altro definire come la ‘filoso­fia dello Stift’.([238])

Che l’intenzione di questi giovani fosse di gettare le basi filosofiche per un rinnovamento spirituale dell’umanità tutta, viene documentato tra l’altro anche da una lettera molto bella di Hölderlin a suo fratello Karl:

“Il mio amore è il genere umano, certamente non quello corrotto, schiavo, indolente come lo si incontra fin troppo spesso, anche nel-l’esperienza più limitata. Piuttosto amo la grande bella disposizione (‘Anlage’) anche nell’uomo corrotto. Amo il genere umano (Geschlecht) dei secoli venturi. Perché questa è la mia speranza più cara (‘seeligste’), la fede, che i nostri discendenti (‘Enkel’) sa­ranno migliori di noi, la libertà deve infine venire, e la virtù prospererà meglio nella li­bertà di una calda luce santa che nella zona glaciale del dispotismo. Noi viviamo in un periodo, in cui tutto prepara giorni migliori. Questi semi di illuminamento (‘Aufklä­rung’), questi silenziosi desideri e sforzi di singoli per l’educazione del genere umano si diffonderanno e rafforzeranno e produrranno frutti meravigliosi. Vedi! Caro Carlo! Questo è ciò a cui il mio cuore s’appiglia. Questo è lo scopo santo dei miei desideri e della mia atti­vità - questo, che io nella nostra epoca risvegli le gemme (pianti i semi), che matureranno in un’epoca futura”.([239])

Meine Liebe ist das Menschengeschlecht, freilich nicht das verdorbene, knchtische, träge, wie wir es nur zu oft finden, auch in der eingeschränktesten Erfarung. Aber ich liebe die große, schöne Anlage auch in verdorbenen Menschen. Ich liebe das Geschlecht der kommenden Jahrhunderte. Denn diß ist meine seeligste Hofnung, der Glaube, der mich stark erhält, und tätig, unsere Enkel werden besser sein, als wir, die Freiheit muß einmal kommen, und die Tugend wird besser gedeihen in der Freiheit heiligem erwärmenden Lichtm als unter der eiskalten Zone des Despotismus. Wir leben in einer Zeitperiode, wo alles hinarbeitet auf bessere Tage. Diese Keime von Aufklärung, diese stillen Wünsche und Bestrebungen Einzelner zur Bildung des Menschengeschlechts werden sich ausbreiten und verstärken, und herrliche Früchte tragen. Sieh! Lieber Karl! Diß ists, woran ich nun mein Herz hängt. Diß ist das heilige Ziel meiner Wünsche, und meiner Tätigkeit – diß, daß ich in unserm Zeitalter die Keime Weke, die in einem künftigen reifen werden.”

In questa toccante lettera di Hölderlin, così come in quelle precedenti di Schelling e Hegel, emerge il carattere pas­sionale di questi giovani, il loro amore per l’umanità, che li ha spinti alle grandi costruzioni intellettuali, di cui sono stati capaci.([240])

Il fatto che il programma della fondazione di una nuova religione come passo fondamentale verso una rivoluzione filosofica e quindi etica sia stato proprio non soltanto di Hegel, ma almeno anche di Hölderlin e Schelling, co­stituisce un ulteriore motivo per dirigere il nostro interesse di studiosi della filosofia dell’idealismo classico  al periodo storico e soprattutto all’ambiente culturale, in cui quei giovani si formarono.

Evidentemente i tre giovani con l’elaborazione delle proprie concezioni diedero una risposta ad una problematica comune, oggetto delle discussioni filosofico-teologiche all’interno dello Stift. Dunque anche l’approfondimento della vicenda intellettuale di Schelling e Hölderlin conduce alle medesime fonti principali di quella di Hegel, ossia a Kant, Flatt, Storr ed alla discussione che questi due ultimi, tramite la loro intelligente critica al primo, seppero promuovere nello Stift di Tubinga.

 

C. I RISULTATI

§38 L’influsso della Religionsschrift sulla nascita dell’ideale filosofico-religioso hegeliano

L’analisi approfondita dei frammenti hegeliani dal foglio ‘h’ del testo 16 fino al testo 26 ha mostrato chiaramente l’influsso esercitato dalla Religionsschrift kan­tiana sulla nascita dell’ideale filosofico-religioso del giovane Hegel.

Tale influsso si è sviluppato in due fasi: una prima fase, che va all’incirca dal semestre invernale 1792/93 alla primavera del 1793, nella quale Hegel recepisce il primo capitolo della Religionsschrift provocando con tale ricezione un’intensa crisi nella sua concezione dell’uomo, fino ad allora di tipo ottimistico; una seconda fase poi, dall’estate del 1793 fino al semestre invernale 1793/94, caratterizzata dalla lettura e ricezione dei rimanenti capitoli dello scritto kantiano, che inducono il giovane pensatore a superare la propria concezione della religione come ‘cosa del cuore’  ed a sostituirla con l’ideale kantiano della religione come ‘cosa della ragione’ dunque come ‘Vernunft-religion’.

Sintetizziamo ora gli aspetti fondamentali di entrambe queste fasi. Tra le due concezioni, la religione come ‘cosa del cuore’ o ‘cosa della ragione’ sus­siste ovviamente una grande differenza, la quale riguarda soprattutto la conce­zione antropologica, ossia della natura umana, da esse presupposta. Mentre la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ presuppone infatti un’antropologia ottimistica (come la definisce Kondylis),([241]) in quanto si fonda sulla fiducia totale nella natura umana, quindi nel cuore e nella coscienza del-l’uomo, la concezione della religione come ‘Vernunftreligion’ presuppone al contrario una concezione pessimistica della natura umana, secondo la quale l’uomo non può fidarsi della propria natura immediata, ma deve guidare se stesso tramite la ragione, insomma deve migliorarsi.

È quindi evidente che Hegel, prima di pervenire nell’estate 1793 all’elabo-razione dell’ideale della religione popolare come religione razionale, deve aver messo in dubbio la propria concezione ottimistica della natura umana, che in­dubbiamente costituisce il presupposto antropologico dei testi redatti fino a quel momento.

Proprio una tale configurazione psicologica ed intellettuale si presenta in ef­fetti al lettore della seconda e della terza predica. Esse contengono accanto a frasi e relativi pensieri ancora inquadrabili nella concezione della reli­gione come ‘cosa del cuore’, frasi e pensieri che inequivocabilmente mostrano un cambiamento nella concezione antropologica fondamentale di Hegel.

Soprattutto due espressioni rivelano ciò in modo estremamente esplicito: Hegel nella seconda predica scrive che l’uomo ha bisogno di “un cambiamento totale e del miglioramento del cuore”([242]) e nella terza egli parla addirittura del “cuore corrotto” e della “natura corrotta” dell’uomo.([243])

Si tratta di pensieri evidentemente inconciliabili con la concezione antro­pologica ottimistica, fondamento della teoria della religione come ‘cosa del cuore’. Essi mostrano che al momento della stesura di queste prediche la fiducia rousseauiana di Hegel nella bontà naturale - e di conseguenza nell’autonomia e nell’autosufficienza etica del cuore e della coscienza dell’uomo - è entrata in crisi.

In queste prediche, però, non è ancora presente una concezione alternativa alla religione come ‘cosa del cuore’, ossia Hegel mostra in esse d’aver cambiato o almeno di essere in principio di cambiare la propria concezione antropolo­gica, ma di non averla ancora sostituita.. Per questo motivo tali prediche sono da collocare nella successione cronologica e concettuale degli scritti di Tübingen tra i testi contenenti la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ (dal testo 12 fino al foglio ‘g’ del testo 16 incluso) e quelli contenenti la concezione della religione come ‘Vernunftreligion’ (dal foglio ‘h’ del testo 16 fino al testo 26).([244])

Questa ricostruzione dello sviluppo spirituale di Hegel tra la fine del 1792 e l’estate 1793 riceve una base ancora più solida e sicura, se si ricostruiscono le fonti principali delle diverse concezioni antropologiche e religiose di Hegel.

Se infatti per la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ e la cor­rispondente antropologia ottimistica appare chiaro da un punto di vista concet­tuale ed è documentato filologicamente che la fonte principale è Rousseau (ed in particolare l’Emilio),([245]) e per la concezione della religione come ‘Vernunftreli­gion’ la fonte principale è sicuramente la terza parte della Religionsschrift di Kant, si pone la domanda, quale sia la fonte principale della concezione antro­pologica pessimistica contenuta nella seconda e terza predica.

L’analisi sia concettuale che filologica ha rivelato che la terminologia di queste due prediche ed i pensieri in esse espressi derivano dalla prima parte della Religionsschrift di Kant, ossia da quella parte pubblicata come saggio nell’aprile del 1792. Tutti i concetti fondamentali di queste prediche, il concetto di corru­zione (‘Verdorbenheit’), di cambiamento (‘Umänderung’) e di miglioramento (‘Besserung’) del cuore umano si ritrovano infatti in tale parte dello scritto kantiano, ed in particolare nella Annotazione generale che la chiude.

Appare pertanto sufficientemente documentata, nonché concettualmente fondata, la seguente conclusione: Hegel ha recepito prima il contenuto eminen­temente antropologico di questa parte; in seguito a tale ricezione s’è verificata la crisi della sua concezione ottimistica della natura umana, ossia del fondamento antropologico ottimistico della sua concezione della religione come ‘cosa del cuore’; in un secondo momento, poi, tramite la lettura delle altre parti ed in particolare della terza parte della Religionsschrift, egli ha potuto sostituire questa sua originaria concezione della religione tramite la concezione kantiana della religione come religione razionale.

La seconda e la terza predica si rivelano pertanto due testi molto importanti per la comprensione dello sviluppo del pensiero di Hegel e della formazione del suo ideale giovanile. Esse segnano un momento di passaggio tra le due conce­zioni citate della religione. Queste due concezioni, sebbene siano compresenti nel testo 16, devono venir nettamente separate, in quanto appartenenti a due fasi ben distinte dell’evoluzione filosofica di Hegel. Il rigo 29 della pagina 99 di GW 1, in quanto costituisce l’inizio del foglio manoscritto ‘h’ segna il punto di divi­sione tra i due blocchi di fogli (a-g e h-l) e quindi tra le due concezioni diverse della ‘Volksreligion’ (come ‘cosa del cuore’ o ‘cosa della ragione’), in essi sostenute.

Resta ancora da chiarire la questione, di carattere eminentemente filologico e storico, se Hegel abbia recepito il contenuto della Annotazione generale già a partire dall’aprile 1792, quando essa fu pubblicata come saggio, oppure soltanto a partire dall’aprile 1793 e quindi come prima parte del testo completo. Sulla base delle conoscenze attuali non è possibile dare una risposta sicura a tale que­stione. Sia dal punto di vista concettuale che da quello filologico sono possibili entrambe le varianti.([246])

CONCLUSIONE

§39 Il ruolo svolto da Flatt nella formazione della filosofia hegeliana

Le ricerche svolte hanno messo in evidenza il ruolo centrale svolto da Flatt nello sviluppo del pensiero di Hegel durante gli anni del suo studio universitario a Tu­binga.

Da Flatt Hegel ha recepito anzitutto la problematica del salvatag­gio della religione. Benché lo sviluppo successivo del suo pensiero abbia portato il giovane Stiftler a posizioni diverse rispetto al suo maestro, in particolare per l’influsso ricevuto dalla lettura della Religionsschrift, nondimeno egli è sempre rimasto fedele alla finalità di fondo propria di Flatt, come del resto anche di Reinhold, di salvare la religione dinanzi alla critica dell’illuminismo. Tanta critica all’illuminismo presente nei testi giovanili hegeliani non si può spiegare se non sullo sfondo di questa finalità propria sia del maestro Flatt che dell’al-lievo Hegel.

A tale aspetto fondamentale del rapporto Flatt-Hegel sono collegati diversi aspetti secondari - anch’essi comunque importanti - come la tematica della promozione della moralità negli uomini, motivo fondamentale della necessità del salvataggio della religione.

Hegel rifiuta - seguendo Flatt - la teoria kantiana della sufficienza della massima morale come ‘movente’ alla moralità. Ciò a suo giudizio può valere per i dotti, ma non certo per l’’uomo comune’, a causa dell’intrinseca difficoltà della filosofia kantiana che quindi non potrebbe diventare una religione popolare.

Occorre elaborare dunque moventi sensibili, i quali non siano in contraddi­zione con la massima morale, ma piuttosto ne consentano la realizzazione con­creta nell’uomo comune.

La problematica relativa alla ricerca di questi moventi sensibili costituisce il fondamentale punto di collegamento tra Flatt e Hegel. Se la religione dev’essere salvata, è perché essa può fornire tali moventi.

Le differenze tra il maestro e l’allievo emergono però quando si tratta di stabilire quali siano tali moventi e quale sia la religione adatta a fornirli.

Per Flatt il movente sensibile che può influire nel modo più incisivo e posi­tivo sulla moralità degli uomini è l’amore per Dio. Esso si fonda sul sacrificio compiuto da Dio facendosi uomo e morendo per gli uomini, dunque sulla persona di Gesù come ideale e modello morale.

Per Hegel ridurre la moralità ad un esempio, benché divino, sminuisce sia la moralità sia la dignità dell’uomo, costretto così a cercare il bene fuori di sé. Soltanto l’autorità, non la ragione, può appoggiare la concezione sostenuta da Flatt, di conseguenza Hegel, critico sì, ma in fondo seguace dell’illuminismo, non può che prendere le distanze da Flatt in ciò.

La religione cristiana, come qualsiasi altra religione, non può essere la reli­gione popolare capace di fornire i moventi morali idonei a promuovere moralità pura nell’uomo comune. Il testo 25, nel quale il giovane studente svevo esprime chiaramente questa sua presa di posizione, contiene la resa dei conti dell’allievo Hegel nei confronti del maestro Flatt.

Così Hegel, a partire dal momento della stesura di tale testo, si trova nella necessità di elaborare una soluzione propria alla problematica individuata da Flatt nel kantismo. Se la filosofia kantiana non può raggiungere l’uomo comune perché non parla al cuore, e d’altra parte la religione - cristiana, ma non solo - non può raggiungere il dotto, perché non parla alla ragione (come ha chiarito Kant nella Religionsschrift), occorre allora fondare una nuova concezione religiosa, la quale sia capace di raggiungere sia l’uomo comune sia il dotto, dunque tanto sensibile quanto razionale. Questo ideale è espresso da Hegel esplicitamente nel testo 26.

Così Hegel, già in questi primi anni del proprio sviluppo intellettuale, riesce a superare, inglobandole nel proprio pensiero (dunque nel senso dell’’Aufhebung’), le posizioni dei suoi due maestri Kant e Flatt (maestro indiretto l’uno, diretto l’altro).

La fondazione di una nuova religione razionale e sensibile, alla quale Hegel - sotto l’influsso del suo altro ‘eroe’ Rousseau - aggiunge l’ulteriore carattere della ‘naturalità’,([247]) diventa, a partire dal semestre invernale 1793/94, il suo ideale filosofico, che verrà poi realizzato nel sistema filosofico.

Così anche nella filosofia matura di Hegel, quantunque  non appaia in modo esplicito, nondimeno sarà presente sullo sfondo la figura del suo maestro Flatt.

Concludendo, non si può che essere d’accordo con Jacobs, sul fatto che

“[...] anche coloro che sono dotati di gran talento devono imparare, prima di offrire presta­zioni autonome”.

In questo semplice pensiero è racchiuso tutto il senso della storiografia filoso-fica, la ragione principale che ne fonda la necessità scientifica.

 

APPENDICE 1

Catalogo alfabetico dei diversi contributi al dibattito filosofico-religioso

ed in particolare teologico-morale nella Germania dell’epoca

Il presente catalogo, come quello cronologico all’appendice 2, non ha alcuna pretesa di completezza, ma rappresenta soltanto un punto di riferimento per ulteriori ricerche. In corsivo sono evidenziati i lavori che sicuramente costituirono un contributo importante e diretto al dibattito in questione. I restanti lavori sono comunque d’interesse rilevante per la comprensione del periodo, anche se non sembrano aver costituito un punto di riferimento preciso all’interno del dibattito teologico-morale.

Legenda:

A: Aufsatz (saggio);

D: Dissertatio (dissertazione);

M: Manuskript (manoscritto);

P: Predigt (predica);

R: Repetitio (ripetizione);

S: Specimen (specimen);

V: Vorlesung (lezione universitaria);

Z: Zeitschrift (rivista)

In caso di mancata indicazione, ci si riferisce ad un libro. Accanto alla data viene indicato, se noto, il luogo di pubblicazione.

autore

titolo

luogo, anno e luogo di pubblica­zione

Abel, Jakob Friedrich

Sammlung und Erklärung merk-wuerdiger Erscheinungen aus dem menschlichen Leben

(voll. 1-3)

1784-90

Abel, Jakob Friedrich

Ueber die Quellen der menschli­chen Vorstellungen

1786

Abel, Jakob Friedrich

Einleitung in die Sittenlehre

1786

Abel, Jakob Friedrich

Versuch über die Natur der spe­kulativen Vernunft zur Pruefung des Kantischen Systems

1787

Abel, Jakob Friedrich

Plan einer systematischen Meta­physik

1787

Abel, Jakob Friedrich

Erlaeuterungen wichtiger Ge­genstende aus der philosophi­schen und christlichen Moral, be­sonders der Asketik durch Beo­bachtungen aus der Seelenlehre

1790

Abel, Jakob Friedrich

Quomodo suavitas virtuti propria in alia objecta derivari possit? (D)

1791

Abel, Jakob Friedrich

Disquisitio omnium tam pro im­mortalitate quam pro mortalitate animi argumentandi generum (D)

1792

Abel, Jakob Friedrich

De causa reproductionis idearum (D)

1794

Ammon, C.F.

Christliche Religionsvorträge über die wichtigsten Ge­genstaende der Glaubens- und Sittenlehre, in der akademischen Kirche zu Erlangen gehalten

1793, Erlangen

Ammon, C.F.

Entwurf einer Christologie des alten Testaments: ein Beitrag zur endlichen Beilegung der Streitig­keiten über meßianische Weissa­gungen und zur biblischen Theo­logie

1794

Ammon, C.F.

Die christliche Sittenlehre nach einem wissenschaftlichen Grund­risse, zunächst für seine Vorle­sungen

1795, Göttingen

Ammon, C.F.

Entwurf einer wissenschaftlich-praktischen Theologie nach den Grundsätzen des Christentums und der Vernunft

1797, Göttingen

Ammon, C.F.

Predigten zur Beförderung eines reinen moralischen Christentums

1798, Erlangen

Bardili, Chris­toph Gottfried[248]

Epochen der vorzüglichsten phi­losophischen Begriffe, nebst den nöthigen Beylagen

1788, Halle

Bardili, Chris­toph Gottfried

Sophylus oder Sittlichkeit und Natur als Fundament der Welt­weisheit. Nebst einer Abhandlung über den Geist des Zeitalters

1794, Stuttgart

Bardili, Chris­toph Gottfried

Allgemeine praktische Philoso­phie

1795, Stuttgart

Bardili, Chris­toph Gottfried

Über die Gesetze der Ideeenasso­ziation und insbesondere ein bis­her unbemerktes Grundgesetz derselben

1796

Bardili, Chris­toph Gottfried

Briefe über den Ursprung einer Metaphysik überhaupt

1798

Baur, ?

De philosophia in genere (R)

1791

Blau, Felix

Über die moralische Bildung des Menschen

1795

Boek, August Friedrich

Geschichte der herzoglich Wür­tenbergischen Eberhard-CarlsU­niversität zu Tübingen im Grund­risse

1774, Tübingen

Boek, August Friedrich

De nisu mentis humanae, qui om­nium sit fundamentum (D)

1785, Tübingen

Boek, August Friedrich

De Deo, quod rei novitas in ani­mis hominum efficit (D)

1786, Tübingen

Boek, August Friedrich

De limite officiorum humanorum seposita animi immortalitate (D)

1790, Tübingen

Boek, August Friedrich

Quaenam sensus sit habenda ra­tio in doctrina morum? (D)

1795, Tübingen

Conz, Carl Philipp[249]

Abhandlungen für die Geschichte und das Eigenthümli­che der späteren Stoischen Philosophie, nebst einem Versuche über Christliche, Kantische und Stoische Moral

1794, Tübingen

Diez, Carl Immanuel[250]

De logica generatim (R)

1791,

Diez, Carl Immanuel

In Matth. 25 (R)

1791

Diez, Carl Immanuel

Aesthetica trascendentalis (R)

1792

Döderlein, Johann Christoph

Entwurf der christlichen Sittenlehre

1789, Jena

Döderlein, Johann Christoph

Christlicher Unterricht nach den Bedürfnissen unserer Zeit

1790, Altdorf

Döderlein, Johann Christoph

Kurzer Entwurf der christlichen Sittenlehre

1795, Jena

Duttenhofer, Jacob Friedrich[251]

Versuch über den letzten Grundsatz der christlichen Sittenlehre

1801

Eckermann, Jakob Christoph Rudolph

Theologische Beyträge

1791 ss., Altona

Eckermann, Jakob Christoph Rudolph

Kleine vermischte Schriften

1799

Fichte, Johann Gottlob

Versuch einer Critik aller Offenbarung

1792

Flatt, Johann Friedrich[252]

Opuscula Academica

Flatt, Johann Friedrich

Vermischte Versuche  

1785, Leipzig

Flatt, Johann Friedrich

Fragmentarische Beyträge zur Bestimmung und Deduktion des Begriffs und Grundsatzes der Causalität und zur Grundlegung der natürlichen Theologie, in Beziehung auf die Kantische Philosophie

1788, Leipzig

Flatt, Johann Friedrich

Briefe über den moralischen Erkenntnisgrund der Religion überhaupt, und besonders in Beziehung auf die Kantische Philosophie

1789, Tübingen

Flatt, Johann Friedrich

Empirische Psychologie und kantische Kritik (V)

1789, Tübingen

Flatt, Johann Friedrich

Metaphysische Vorlesungen

(Manoscritto contenente appunti di lezione, trascritti da August Friedrich Klüpfel)

1790, biblioteca universitaria di Tübingen, segnatura: Mh II 235

Flatt, Johann Friedrich

Psychologische Vorlesungen

(Manoscritto contenente appunti di lezione, trascritti da August Friedrich Klüpfel)

1790, biblioteca universitaria di Tübingen, segnatura: Mh II 236

Flatt, Johann Friedrich

Etwas über die Kantische Kritik des cosmologischen Beweises für das Dasein Gottes

in: Philosophisches Magazin, 2, 1790,  pp. 93-106

Flatt, Johann Friedrich

Vorlesung über Moraltheologie (V)

1792, Tübingen

Flatt, Johann Friedrich

Observationen quaedam ad comparandam Kantianam disciplinam cum Christiana doctrina pertinentes

1792, Tübingen

Flatt, Johann Friedrich

Beyträge zur christlichen Dogmatik und Moral und zur Geschichte derselben

1792, Tübingen

Flatt, Johann Friedrich

(a cura di)

Magazin für christliche Dogmatik

1796-1802

Flatt, Karl Christian[253]

Versöhnung der Menschen mit Gott

1797

Fürstenaus, C.G.

Beurtheilung der neusten Streitpunkte über den letzten Grund der Mora­lität und Sittenlehre

1795

Gaab, Johann Friedrich

Animadversiones tum criticae tum philologicae ad loca quaedam veteris testamenti (D)

1792, Tübingen

Grillo, Friedrich

Aphoristische Darstellung der Religion

1793

Gros, Karl Heinrich

Entwurf einer Prüfung des Kantischen Systems (S)

1785

Harter, Johann Heinrich Samuel

In Ps. VII (D)

1786

Hanser, ?

Applicatio regularum logicarum ad demonstrationes existentiae dei (R)

1791

Hanser, ?

De naturalismo, idealismo, dualismo, monadismo et Spinozismo (R)

1791

Hauber, Karl Friedrich

Propositionum de rationibus inter se diversis demonstrationes ex solis Libri V. Element. definitionibus ac propotionibus deductae (D)

1793

Hegelmaier, Christoph Friedrich

Malum in sua natura nil mutari, quantumvis inde boni proveniat (D

)

1785

Heydenreich, Carl Heinrich

Natur und Gott nach Spinoza

1789

Heydenreich, Carl Heinrich

Versuch einer Kritik der Religion und aller religiösen Dogmatik

1790, Berlin

Heydenreich, Carl Heinrich

System der Ästhetik

1790, Leipzig

Heydenreich, Carl Heinrich

Num ratio human sua vi et sponte contingere possit notionem creationins ex nihilo?

1790

Heydenreich, Carl Heinrich

Betrachtungen über die Philosophie der natürlichen Religion

1790-91,
Leipzig

Heydenreich, Carl Heinrich

Enzyklopaedische Einleitung in das Studium der Philosophie nach den Beduerfnissen unseres Zeitlaters. Nebst Anleitungen zur philosophischen Literatur

1793

Heydenreich, Carl Heinrich

Ueber Freiheit und Determinismus und ihre Vereinigung

1793

Heydenreich, Carl Heinrich

Originalideen über die kritische Philosophie. Nebst einem pragmatischen Anzeiger der wichtigsten Schriften der philosophischen Literatur

1793-95,
Leipzig

Heydenreich, Carl Heinrich

Propädeutik der Moralphilosophie nach Grundsaetzen der reinen Vernunft

1794

Heydenreich, Carl Heinrich

Versuch ueber die Heiligkeit des Staats und die Moralitaet der Revolutionen

1794

Heydenreich, Carl Heinrich

Grundsaetze des natuerlichen Staatsrechts und seiner Anwendung. (Th.1-2 )

1795

Heydenreich, Carl Heinrich

(a cura di)

Briefe ueber den Atheismus

1796

Heydenreich, Carl Heinrich

(a cura di)

Psychologische Taschenbuch für denkenden Gottesverherer(2 volumi)

1796

Heydenreich, Carl Heinrich

(a cura di)

System des Naturrechts nach kritischen Prinzipien

Hufeland, S.

Lehrsätze des Naturrechts

1795

Jakob, Ludwig Heinrich

Über das moralische Gefühl

1788

Jakob, Ludwig Heinrich

Kritische Anfangsgruende zu einer allgemeinen Metaphysik

1788, Halle

Jakob, Ludwig Heinrich

Beweis für die Unsterblichkeit der Seele aus dem Begriffe der Pflicht samt einer Abhandlung: Über objektive und subjektive Wahrheit

1790, Züllichau

Jakob, Ludwig Heinrich

An sint officia, ad quae hominem natura obligatum esse, demonstrari nequeat, nisi posita animorum immortalitate

1790

Jakob, Ludwig Heinrich

Kritische Versuche ueber David Humes erstes Buch der Abhandlung ueber die menschliche Natur

1790

Jakob, Ludwig Heinrich

Grundriß der allgemeinen Logik und kritische Anfangsgründe der allgemeinen Metaphysik

1791, Halle

Jakob, Ludwig Heinrich

Grundriss der Erfahrungsseelenlehre

1791

Jakob, Ludwig Heinrich

Philosophische Sittenlehre

1794, Halle

Jakob, Ludwig Heinrich

Allgemeine Religion

1797

Jakob, Ludwig Heinrich

Vermischte philosophische Abhandlungen aus der Teleologie, Politik, Religionslehre und Moral

1797

Kant, Immanuel

Kritik der reinen Vernunft

1781

Kant, Immanuel

Grundlegung zur Metaphysik der Sitten

1785

Kant, Immanuel

Kritik der praktischen Vernunft

1788

Kant, Immanuel

Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft

1792/93

Kiesewetter, J.G.C.

Über den ersten Grundsatz der Moralphilosophie

1790/91

Kiesewetter, J.G.C.

Grundriss der allgemeinen Logik nach Kantischen Grunsaetzen

1791

Kiesewetter, J.G.C.

Gedaengter Auszug aus Kants Kritik der reinen Vernunft

1795

Kiesewetter, J.G.C.

Gedraengter Auszug aus Kants Prolegomena zu einer jeden keunftigen Metaphysik die als Wissenschaft wird auftreten koennen

1796

Kiesewetter, J.G.C.

Logik zum Gebrauch fuer Schulen

1797

Kiesewetter, J.G.C.

Versuch einer fasslichen Darstellung der wichtigsten Wahrheiten der neueren Philosophie

1798

Kosenmüller, F.G.

Einige Bemerkungen, das Studium der Theologie betreffend. Nebst einer Abhandlung über Kants Aeußerungen, die Auslegung der Bibel betreffend

1794, Erlangen

Krug, W.T.

Briefe über die Perfektibilität der geoffenbarten Religion

1795, Jena

Krug, W.T.

Über das Sittengesetz, dessen verschiedene Formeln und Zusammenhang nach Glückseligkeit

1795, Jena

Krug, W.T.

Ueber den Einfluß der Philosophie, sowohl überhaupt, als insonderheit der kritischen, auf Sittlichkeit, Religion und Menschenwohl

1796, Jena

Maass, Johann Gebhard Ehrenreich

Paralipomena ad historiam doctrinae de associatione idearum

1787

Maass, Johann Gebhard Ehrenreich

Briefe ueber die Antinomie der Vernunft

1788

Maass, Johann Gebhard Ehrenreich

Grundriss der Logik

1788

Maass, Johann Gebhard Ehrenreich

Über die Ähnlichkeit der christlichen mit der neusten philoso phischen Sittenlehre

1791, Leipzig

Märklin, Jakob Friedrich

Ueber die Sonntagsfeier in Hinsicht auf Verfuegungen, welche zu Befoerderung der Religiositaet zu wuenschen sind

1821

Maimon, Salomon

Versuch einer neuen Darstellung des Moralprincips und Deduktion seiner Realität

in: Berlinische Monatsschrift, Berlino, novembre 1794

Neeb, Johannes

Ueber den in verschiedenen Epochen der Wissen-schaften allgemein herrschenden Geist, und seinen Einfluß auf dieselben

1795, Frankfurt am Main

Mauchart, Immanuel David

Phänomene der menschlichen Seele

1789

Mauchart, Immanuel David

Aphorismen ueber das Erinnerungsvermoegen in Beziehung auf den zu-stand nach dem Tode

1792

Mauchart, Immanuel David

De dualismo materialismo et moralismo (R)

1792

Mauchart, Immanuel David

De immortalitate animi (R)

1792

Mauchart, Immanuel David

Allgemeines Repertorium für empirische Psychologie und verwandte Wissenschaften (2 voll.)

1792-1801, Nürnberg/Tübingen

Mutschelle, Sebastian

Über das sittlich Gute

1788, München

Mutschelle, Sebastian

Philosophische Gedanken und Abhandlungen meist moralischen Inhalts, auch mit Rücksicht auf die kritische Philosophie

1794-97

Mutschelle, Sebastian

Vermischte Schriften, oder philosophische Gedanken und Abhandlungen. (voll. 1-4 )

1799

Mutschelle, Sebastian

(su di lui)

Zum Andenken an unseren unvergesslichen Mutschelle

1800

Niethammer, Friedrich Immanuel[254]

Über den Versuch einer Kritik aller Offenbarung. Eine philosophische Abhandlung

1792, Jena

Niethammer, Friedrich Immanuel

Religion als Wissenschaft

1795

Niethammer, Friedrich Immanuel

Versuch einer traszendentalen Erörterung

In: Philosophisches Journal 4 (1796), pp. 302-435

Pfleiderer, Christoph Friedrich

De Analysi triangulorum rectilineorum (D)

1785

ctrl

De dimensione circuli (D)

1787

Pfleiderer, Christoph Friedrich

Demonstratio Theorematis Tayloriani (D)

1789

Pfleiderer, Christoph Friedrich

De dimensione circuli, partem secundam, speciatim Elementorum Libri XII. prop. 2. et analogarum demonstrationes recensentem (D)

1790

Pfleiderer, Christoph Friedrich

Kepleri Methodus, solida quaedam sua dimetiendi, illustrata et cum Methodis Geometrarum posteriorum comparata (D)

1795

Plank, S.J.

Einleitung in die Theologischen Wissenschaften

Pöliz, Karl Heinrich Ludwig

Beitrag zur Kritik der Religionsphilosophie und Exegese unsers Zeitalters

1795, Leipzig

Pöliz, Karl Heinrich Ludwig

Sind wir berechtigt, eine größere künftige Aufklärung und höhere Aufklärung unsers Geschlechts zu erwarten?

1795, Leipzig

Pöliz, Karl Heinrich Ludwig

Grundlinien zur pragmatischen Weltgeschichte als ein Versuch, sie auf ein Prinzip zurueckzufuehren

1795

Räz, J.G.

Betrachtungen über die Kantische Religion, innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft

1795, Chemnitz

Rapp, Gottlob Christian[255]

Über die Untauglichkeit des Prinzips der allgemeinen und eigenen Glückseligkeit zum Grundgesetz der Sittlichkeit

1791, Jena

Rapp, Gottlob Christian

De principio contradictionis et principio inderscenibilium (R)

1791, Tübingen:

Rapp, Gottlob Christian

De principio rationis sufficientis (R)

1791, Tübingen

Rapp, Gottlob Christian

De notionibus quibusdam metaphysicis (R)

1792, Tübingen

Rapp, Gottlob Christian

Über die moralischen Triebfedern, besonders der christlichen Religion

in: Mauchart, I.D.: Repertorium..., vol. I, 1792, pp. 130-156 e vol. 2 pp. 133-218

Rapp, Gottlob Christian

De syllogismis imperfectis

(Rapp vice Weber) (R)

1792

Rechlin, K.

Popülare Darstellung des Einflusses der kritischen Philosophie auf die Hauptideen der bisherigen Theologie

1795, Lübek

Reinhold, Karl Leonhard

Gedanken über die Aufklärung (A)

1784

Reinhold, Karl Leonhard

Die Wissenschaften vor und nach ihrer Sekularisation. Ein historisches Gemählde (A)

1785

Reinhold, Karl Leonhard

Ueber die neuesten patriotischen Lieblingträume in Teutschland. Aus Veranlassung des 3. und 4ten Bandes von Hrn. Nicolai’s Reisebeschreibung

1785

Reinhold, Karl Leonhard

Briefe über die Kantische Philosophie (A)

1786 ss.

Reinhold, Karl Leonhard

Skizze einer Theogonie des blinden Glaubens

1786

Reinhold, Karl Leonhard

Briefe über die Kantische Philosophie (I e II) (A)

1786

Reinhold, Karl Leonhard

Briefe über die Kantische Philosophie (III, IV, V, VI, VII, VIII)

1787

Reinhold, Karl Leonhard

Die Hebräischen Mysterien oder die älteste religiöse Freymaurerey (B ?)

1787

Reinhold, Karl Leonhard

Neue Entdeckung (A)

1788

Reinhold, Karl Leonhard

Ueber das bisherige Schicksal der Kantischen Philosophie (A)

1789

Reinhold, Karl Leonhard

Allgemeiner Gesichtspunkt einer bevorstehenden Reformation der Philosophie (A)

1789

Reinhold, Karl Leonhard

Von welchem Skeptizismus läßt sich eine Reformation der Philosophie hoffen? (A)

1789

Reinhold, Karl Leonhard

Wie ist Reformazion der Philosophie möglich? (A)

1789

Reinhold, Karl Leonhard

Fragmente über das bisher allgemein verkannte Vorstellungs-Vermögen (A)

1789

Reinhold, Karl Leonhard

Versuch einer neuen Theorie des menschlichen Vorstellungs-vermögens (con la prefazione: Über die bisherigen Schicksale der Kantischen Philosophie)

1789, Prag/Jena

Reinhold, Karl Leonhard

Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen, vol. 1: Das Fundament der Elementarphilosophie betreffend

1790, Jena

Reinhold, Karl Leonhard

Briefe über die Kantische Philosophie (seconda edizione ampliata - come libro)

1790/1792, Leipzig

Reinhold, Karl Leonhard

Über das Fundament des philosophischen Wissens, nebst einigen Erläuterungen über die Theorie des Vorstellungsvermögens

1791, Jena

Reinhold, Karl Leonhard

Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen, vol. 2: Die Fundamente des philosophischen Wissens, der Metaphysik, Moral, moralische Religion und Geschmackslehre betreffend

1794, Jena

Renz, Karl Christoph

 Tentamen formulae generalis, cubaturae corporum tornatorum et quadraturae linearum curvarum algebraicarum inservientis, ex Analysi finitorum deductae (S)

1790, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De variis disputandi methodis veteris ecclesiae (D)

1785, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De commentiis philosophiae Ammonianae fraudibus et noxis (D)

1786, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De Terris secundariis in Europa (D)

1787, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De varia annalium medii aevi conditione (D)

1788, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De arte critica in annalibus medii aevi diligentius exercenda (D)

1789, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De Annalium medii aevi interpretatione (D)

1793, Tübingen

Roesler, Christian Friedrich

De magna gentium migratione, ejusque primo impulsu (D)

1795, Tübingen

Schaumann, J.C.G.

Psyche oder Unterhaltungen über die Seele

1791, Halle

Schaumann, J.C.G.

Philosophie der Religion überhaupt, und des christlichen Glaubens insbesondere

1793, Halle

Schaumann, J.C.G.

Versuch ueber Aufklaerung, Freiheit und Gleichheit

1793

Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph

Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis genes.

trad. tedesca: Über Mythen, historische Sagen und Philosopheme der ältesten Welt

Tübingen 1792

dissertazione con Schnurrer

in: Memorabilien. Eine philosophisch-theologische Zeitschrift, a cura di Heinrich Eberhard Gottlob Paulus. Leipzig 1793, St. 5, pp. 1-68

ora in: Schellings Werke, a cura di Manfred Schröter, vol. 1, pp. 1-43

Schmid,Carl Christian Erhard

Einige Bemerkungen ueber den empirismus und den Purismus in der Philosophie. Durch die Grundsaetze der reinen Philosophie von Herrn Selle dargestellt

1788

Schmid, Carl Christian Erhard

 Woerterbuch zum leichteren Gebrauch der Kantischen Schriften

1788

Schmid, Carl Christian Erhard

Versuch einer Moralphilosophie

1790, Jena

Schmid, Carl Christian Erhard

Theologische Moral

1793

Schmid, Johann Wilhelm

Über den Geist der Sittenlehre Jesu und seiner Apostel

1790 (Jena)

Schmid, Johann Wilhelm

Lehrbuch der theologischen Moral für akademische Vorlesungen

1794 (Jena)

Schmid, Johann Wilhelm

Philosophische Dogmatik

1796

Schnurrer, Christian Friedrich

Ad Esaiae C.XXVII (D)

1785, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

In Chabacuci Cap. III (D)

1786, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

Ad Obadiam (D)

1787, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

Ad Ezechielis Caput XXI (D)

1788, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

In Psalmum CVII (D)

1789, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

Dissertatio philologica in Psalmum LXXVIII (D)

1790, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

R. Tanchum Hierosolymitani ad libros Vet. Test. Commentarii Arabici Specimen, unacum Annotationibus ad aliquot libri Judicum (D)

1791, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

Observationes in vaticinia Jeremiae (D)

1793, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich

Observationum ad vaticinia Jeremiae Pars altera (D)

1794, Tübingen

Schnurrer, Christian Friedrich  (?)

recensione allo scritto di Kant: Die Religion innerhalb der Grenzen der reinen Vernunft

in: Tübingische Gelehrten-Anzeigen, pp. 657-663 e 665-680

Schott, Andreas Heinrich

De ratione aestimandi libertatem et aequalitatem politicam

1794

Snell, Friedrich Wilhelm Daniel

Die Sittlichkeit in Verbindung mit der Glückseligkeit

1790

Snell, Friedrich Wilhelm Daniel

Kritik der Volksmoral für Prediger

1793

Snell, Friedrich Wilhelm Daniel

Die moralischen Wissenschaften

1793

Snell, Friedrich Wilhelm Daniel

Menon, oder Versuch in Gesprächen, die vornehmsten Punkte aus Kant Kritik der praktischen Vernunft zu erläutern

1796, Mannheim

Stäudlin,Carl Friedrich

Geschichte und Geist des Skeptizismus

ctrl

Stäudlin,Carl Friedrich

Geschichte des Rationalismus und Supranaturalismus

ctrl

Stäudlin,Carl Friedrich

Beyträge

ctrl

Stäudlin,Carl Friedrich

 Ideen zur Kritik des Systems der christlichen Religion

1791, Göttingen

Stäudlin,Carl Friedrich

Johann David Michaelis Moral herausgegeben und mit der Geschichte der christlichen Sittenlehre begleitet

1792 ff., Göttingen

Stäudlin,Carl Friedrich

De notione ecclesiae

1795, Göttigen

Stauff,August Christ

Dissert utrum philosophica Scripturae interpretatio, quam commendavit Kantius

1795, Wittenberg

Storr,Gottlob Christian

Über den Zweck der evangelischen Geschichte und die Briefe Johannis

1786, Tübingen

Storr, Gottlob Christian

Annotationes quaedam theologicae ad philosophicam Kantii de religione doctrina

trad. tedesca di Friedrich Gottlob Süßkind: Bemerkungen über Kants philosophische Religionslehre

1793, Tübingen

1794, Tübingen

Storr,Gottlob Christian

Lehrbuch der Christlichen Dogmatik. Übersetzt, erläutert und ergänzt von Carl Christian Flatt

1803

Süßkind, Friedrich Gottlob[256]

Bemerkungen über den aus den Prinzipien der praktischen Vernunft hergeleiteten Überzeugungsgrund von der Möglichkeit und Wirklichkeit einer Offenbarung in Beziehung auf Fichtes ‚Versuch einer Critik aller Offenbarung’

in: Storr, G.C.: Bemerkungen..., 1794, pp. 125-240

Tieftrunk, F.H.

Einzigmöglicher Zweck Jesu, aus dem Grundgesetze der Religion entwickelt

1789, Berlin

Tieftrunk, F.H.

Unumstösslicher Beweis, dass Kleucker so wenig als Michaelis, Leß und Semler die Wahrheit des Christentums gerettet haben

1789, Frankfurt am Main

Tieftrunk, F.H.

Versuch einer Kritik der Religion und aller religiösen Dogmatik, mit be-sonderer Hinsicht auf das Christenthum

1790

Tieftrunk, F.H.

Einzigmöglicher Zweck Jesu, aus dem Grundgesetze der Religion entwickelt

1790, Berlin

Tieftrunk, F.H.

Ueber Staatskunst und Gesetzgebung

1791

Tieftrunk, F.H.

Censur des christlichen protestantischen Lehrbegrifs mit besonderen Hinsicht auf die Lehrbücher von J.C. Döderlein und G.F.R. Morus

1791-95, Berlin

Tieftrunk, F.H.

Dilucidationem ad theoreticam religionis Christianae partem

(Vol. 1)

1793

Venturini, C.H.G.

Ideen zur Philosophie über die Religion und den Geist des reinen Christenthums

1794, Altona

Weber, ?

De rationalismo, de epigenese rationis purae (Weber vice Rapp) (R)

1792, Tübingen

Weishaupt, Adam

Über Materialismus und Idealismus

1787

 

APPENDICE 2

Catalogo cronologico dei più importanti contributi al dibattito filosofico-religioso

ed in particolare teologico-morale nella Germania dell’epoca

 

Di seguito sono elencati in ordine cronologico i contributi più importanti al dibattito in questione. Per ‘luogo’ non s’intende la città sede della casa editrice e quindi di pubblicazione dell’opera, bensì il luogo di vita dell’autore e quindi il luogo dove sia subirono sia esercitarono la loro influenza (si potrebbe dire la sede della ‘costellazione’, utilizzando un linguaggio caro alla Hegel-Forschung contemporanea ed in particolare a Dieter Henrich).

 

ANNO

NOME

LUOGO

CONTRIBUTO

FONTE 

1781
(1787)

Kant,

Immanuel

Königsberg

Kritik der reinen Vernunft

libro

1784

(luglio) 

Reinhold, Karl

Leonhard

Vienna

Gedanken über die Aufklärung

Saggio

1785

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Vermischte Versuche

libro

1785

Kant,

Immanuel

Königsberg

Grundlegung der Metaphysik der Sitten

libro

1785

(luglio) 

Reinhold, Karl

Leonhard

Vienna

Die Wissenschaften vor und nach ihrer Sekularisation. Ein historisches Gemählde

saggio

1785

(agosto) 

Reinhold, Karl

Leonhard

Vienna

Ueber die neuesten patriotischen Lieblingträume in Teutschland. Aus Veranlassung des 3. und 4ten Bandes von Hrn. Nicolai’s Reisebeschreibung

1786

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Skizze einer Theogonie des blinden Glaubens

saggio ?

1786

Storr,

Gottlob Christian

Tubinga

Über den Zweck der evangelischen Geschichte und die Briefe Johannis

1786

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Briefe über die Kantische
Philosophie (I e II)

saggio

1787

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Briefe über die Kantische
Philosophie
(III, IV, V, VI, VII, VIII)

saggio

1787

Reinhold, Karl

Leonhard

Die Hebräischen Mysterien oder die älteste religiöse Freymaurerey

libro

1788

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Fragmentarische Beyträge zur Bestimmung und Deduktion des Begriffs und Grundsatzes der Causalität und zur Grundlegung der natürlichen Theologie, in Beziehung auf die Kantische Philosophie

1788

Kant,

Immanuel

Königsberg

Kritik der praktischen Vernunft

libro

1788

Jakob,

Ludwig Heinrich

Halle (?)

Über das moralische Gefühl

libro
 

1788

Mutschelle, Sebastian

Monaco di Baviera (?)

Über das sittlich Gute

libro
 

1788

(settembre)

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Neue Entdeckung

saggio

1789

Döderlein

Entwurf der christlichen
Sittenlehre

1789

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Briefe über den moralischen Erkenntnisgrund der Religion überhaupt, und besonders in Beziehung auf die Kantische Philosophie

libro

1789

(semestre estivo)

Flatt,

Johann

Friedrich

Tubinga

Empirische Psychologie und kantische Kritik

lezione universitaria

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Ueber das bisherige Schicksal der Kantischen Philosophie

saggio

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Allgemeiner Gesichtspunkt einer bevorstehenden Reformation der Philosophie

saggio

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Von welchem Skeptizismus läßt sich eine Reformation der Philosophie hoffen?

saggio

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Wie ist Reformazion der Philosophie möglich?

saggio

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Fragmente über das bisher allgemein verkannte
VorstellungsVermögen

saggio

1789

Reinhold, Karl

Leonhard

Weimar

Versuch einer neuen Theorie des menschlichen Vorstel lungsvermögens

libro

1789

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Einzigmöglicher Zweck Jesu, aus dem Grundgesetze der Religion entwickelt

libro
 

 

1789

 

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Unumstösslicher Beweis, dass Kleucker so wenig als Michaelis, Leß und Semler die Wahrheit des Christentums gerettet haben

libro

 

 

1790

Boek,

August

Friedrich

Tubinga

De limite officiorum humanorum seposita animi immortalitate

dissertazione

1790

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Etwas über die Kantische Kritik des cosmologischen Beweises für das Dasein Gottes

saggio

1790

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Etwas über die Kantische Kritik des cosmologischen Beweises für das Dasein
Gottes

saggio

1790

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Psychologische Vorlesungen

lezione universitaria

1790

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Metaphysische Vorlesungen

lezione universitaria

1790

Heydenreich, Carl Heinrich

Lipsia (?)

Versuch einer Critik der Religion und aller religiösen Dogmatik

libro

 

1790

Heydenreich, Carl Heinrich

Lipsia (?)

Betrachtungen über die
Philosophie der
natürlichen Religion

libro

1790

Jakob,

Ludwig Heinrich

Halle (?)

Beweis für die Unsterblichkeit der Seele aus dem Begriffe der Pflicht samt einer Abhandlung: Über objektive und subjektive Wahrheit

libro

 

1790

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Ueber den Geist unsres Zeitalters in Teutschland

saggio

1790

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Briefe über die Kantische Philosophie (Erster Band)

libro

1790

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen, Bd. 1: Das Fundament der Elementarphilosophie betreffend

1790

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Briefe über die Kantische Philosophie
(2. vermehrte Auflage)

1790

Schmid,

Carl Chrstian

Erhard

Jena (?)

Versuch einer
Moralphilosophie

libro
 

1790

Schmid,

Johann

Wilhelm

Jena (?)

Über den Geist der Sittenlehre Jesu und seiner Apostel

libro

 

1790

Snell,

Friedrich Wilhelm

Daniel

(?)

Die Sittlichkeit in Verbindung mit der Glückseligkeit

libro

 

1790

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Versuch einer Kritik der Religion und aller religiösen Dogmatik, mit besonderer Hinsicht auf das Christenthum

libro

 

 

1790

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Einzigmöglicher Zweck Jesu, aus dem Grundgesetze der Religion entwickelt
(2. Ausgabe)

libro

 

1790-91

Kiesewetter, J.G.C.

(?)

Über den ersten Grundsatz der Moralphilosophie

libro
 

1791

Eckermann, Jakob Christoph Rudolph

Altona (?)

Theologische Beyträge

libro

1791

Maas,

Johann

Gebahrd

Ehrenreich

(?)

Über die Ähnlichkeit der christlichen mit der neuesten philosophischen Sittenlehre

libro

 

1791

Rapp, Gottlob Christian

Tubinga

Über die Untauglichkeit des Prinzips der allgemeinen und eigenen Glückseligkeit zum Grundgesetz der Sittlichkeit

libro

1791

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Über das Fundament des philosophischen Wissens, nebst einigen Erläuterungen über die Theorie des Vorstellungsvermögens

libro

1791

Stäudlin,
Carl

Friedrich

Gottinga

Ideen zur Kritik des Systems der christlichen Religion

libro


 

1791

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Censur des christlichen protestantischen Lehrbegrifs mit besonderen Hinsicht auf die Lehrbücher von J.C. Döderlein und G.F.R. Morus
(1. Theil; 1. Fortsetzung)

libro

 

1792

Fichte,
Johann
Gottlob

Berlino (?)

Versuch einer Critik aller
Offenbarung

libro

1792

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Vorlesung über
Moraltheologie

lezione universitaria

1792

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Observationen quaedam ad comparandam Kantianam disciplinam cum Christiana doctrina pertinentes

libro

1792

Flatt,

Johann

Friedrich 

Tubinga

Beyträge zur christlichen Dogmatik und Moral und zur Geschichte derselben

libro

1792

Hegel,
Georg Wilhelm Friedrich

Tubinga

Predica 1

predica

1792

Hegel,
Georg Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testi 12-15 (?)

scritto giovanile

1792

Hegel,
Georg Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testo 16, fogli a-g (?)

scritto giovanile

1792

Niethammer, Friedrich Immanuel

Jena (?)

Über den Versuch einer Kritik aller Offenbarung

libro

1792

Rapp, Gottlob Christian

Tubinga

Über die moralischen Triebfedern, besonders der christlichen Religion

saggio

1792

Schelling, Friedrich Wilhelm

Joseph

Tubinga

Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis (Genes. III.) explicandi tentamen criticum et philosophicum

dissertazione

1792

(aprile)

Kant,

Immanuel

Königsberg

Die Religion innerhalb der

Grenzen der blossen Vernunft (primo capitolo)

saggio

1793

Grillo,

Friedrich

(?)

Aphoristische Darstellung der Religion

libro

1793

Schmid,

Carl

Christian

Erhard

Jena (?)

Theologische Moral

libro
 

1793

Hegel,
Georg Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testo 16
(fogli h-l o completo)

scritto giovanile

1793

Hegel,
Georg Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testi 17-23 (?)

scritto giovanile

1793

Kant,

Immanuel

Königsberg

Die Religion innerhalb der

Grenzen der blossen Vernunft

libro

1793

Schaumann, J.C.G..

Halle (?)

Philosophie der Religion überhaupt, und des christlichen Glaubens insbesondere

libro

 

1793

Storr, Gottlob Christian

Tubinga

Annotationes quaedam theologicae ad philosophicam Kantii de religione doctrina

libro

1793

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Dilucidationem ad theoreticam religionis Christianae partem (vol. 1)

1794

Bardili, Chris­toph Gottfried

Tubinga (?)

Sophylus oder Sittlichkeit und Natur als Fundament der Welt­weisheit. Nebst einer Abhandlung über den Geist des Zeitalters

libro

1794

Conz,

Carl Philipp

Tubinga

Abhandlungen für die Geschichte und das Eigenthümliche der späteren Stoischen Philosophie, nebst einem Versuche über Christliche, Kantische und Stoische Moral

libro

1794

Hegel,
Georg

Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testi 17-23 (?)

scritti giovanili

1794

Hegel,
Georg

Wilhelm Friedrich

Tubinga

Testi 24-26

scritti giovanili

1794

Heydenreich,

Carl Heinrich

Lipsia (?)

Propädeutik der Moralphilosophie nach den Grundsaetzen der reinen Vernunft

libro

 

1794

Jakob, Ludwig Heinrich

Halle (?)

Philosophische Sittenlehre

libro
 

1794

Kosenmüller, F.G.

Erlangen (?)

Einige Bemerkungen, das Studium der Theologie betreffend. Nebst einer Abhandlung über Kants Aeußerungen, die Auslegung der Bibelbetreffend

libro

1794

(novembre)

Maimon,

Salomon

?

Versuch einer neuen Darstellung des Moralprincips und Dedukti on seiner Realität

saggio

1795

Niethammer,

Friedrich Immanuel

Jena (?)

Religion als Wissenschaft

libro

1790

Reinhold, Karl

Leonhard

Jena

Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen, vol. 2: Die Fundamente des philosophischen Wissens, der Metaphysik, Moral, moralische Religion und Geschmackslehre betreffend

libro

1794

Schmid,

Johann

Wilhelm

Jena (?)

Lehrbuch der theologischen Moral für akademische Vorlesungen

libro

 

1794

Storr,

Gottlob Christian

Tubinga

Bemerkungen über Kants philosophische Religionslehre

libro

1794

Süßkind, Friedrich Gottlob[257]

Tubinga

Bemerkungen über den aus den Prinzipien der praktischen Vernunft hergeleiteten Überzeugungsgrund von der Möglichkeit und Wirklichkeit einer Offenbarung in Beziehung auf Fichtes ‚Versuch einer Critik aller Offenbarung’

libro

1794

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Censur des christlichen protestantischen Lehrbegrifs mit besonderen Hinsicht auf die Lehrbücher von J.C. Döderlein und G.F.R. Morus
(2. Theil)

libro

 

1794

Venturini, C.H.G.

Altona (?)

Ideen zur Philosophie über die Religion und den Geist des reinen Christenthums

libro

1794-97

Mutschelle, Sebastian

Monaco di Baviera (?)

Philosophische Gedanken und Abhandlungen meist  moralischen Inhalts, auch mit Rücksicht auf die kritische Philosophie

libro

 

1795

Tieftrunk,
Johann

Heinrich

Berlino (?)

Censur des christlichen protestantischen Lehrbegrifs mit besonderen Hinsicht auf die Lehrbücher von J.C. Döderlein und G.F.R. Morus
(3. und letzter Theil)

libro

 

 


NOTE

 

[1]) Cfr. Dieter Henrich: Leutwein über Hegel. Ein Dokument zu Hegels Biographie (in: Hegels Studien 3, 1965), p. 39.

[2]) Cfr. Die Anfänge der idealistischen Philosophie und die Rezeption Kants in Tübingen (17881795) (in: Beiträge zur Geschichte der Universität Tübingen 1477-1977, a cura di Hansmartin Decker-Hauff, Gerhard Fichtner e Klaus Schreiner, Tübingen 1977), p. 402.

[3]) Cfr. Aufklärung beim frühen Hegel (in: Jamme, Christoph/Schneider, Helmut: Der Weg zum System. Materialen zum jungen Hegel, Frankfurt a.M. 1990), p. 126.

[4]) Cfr. Leutwein über Hegel, p. 39.

[5]) Cfr. Karl Rosenkranz: Hegels Leben, 1844, pp. 132-141 (tr. it. Vita di Hegel, Milano 1974, pp. 151-159).

[6]) Una ricostruzione analitica e sintetica, completa del dibattito teologico-filosofico seguito alla pubblicazione delle opere kantiane si trova nell’opera Versuch einer historisch-kriti­schen Darstellung des bisherigen Einflusses der Kantischen Philosophie auf alle Zweige der wissenschaftlichen und praktischen Theologie (Hannover 1796) di Christian Wilhelm Flügge. Il fatto che tale testo, esemplificativo dell’influsso che Kant ebbe sulla teologia del periodo, sia stato scritto appena nel 1796, quando la discussione era ancora in corso dimostra come si trattasse all’epoca di un dibattito così serrato che, già dopo pochi anni, fu necessario elaborarne una ‘storia’.

[7]) Secondo Kant, com’è noto, non è infatti possibile fondare la morale tramite la religione, come avviene nel caso del cristianesimo e delle altre religioni confessionali, ma occorre al contrario fondare la religione sulla morale. Soltanto quest’ultima è infatti autonoma, poi­ché si basa sulla ragione e sulla libertà, che sono un ‘fatto’ e non un’ipotesi. È poi la co­struzione della morale a condurre all’ammissione dei dogmi fondamentali della religione (esistenza di dio ed immortalità dell’anima), anche se soltanto come ‘postulati’. Questi ultimi sono pertanto fondati sulla morale e non viceversa.

[8]) La parte della Critica della ragione pratica, che esercitò un’influenza fondamentale su coloro che parteciparono a questo dibattito, fu soprattutto il capitolo terzo della prima parte Dei moventi della ragion pura pratica. Infatti proprio sul problema dei ‘moventi’ della moralità si divisero gli animi: i ‘kantiani’ sostenevano la tesi del rispetto per la legge mo­rale in sé come unico movente che fosse accettabile per la ragione; gli ‘antikantiani’ ritenevano invece che questo movente potesse valere solo per i dotti, mentre per il popolo vi fosse bisogno di moventi sensibili, come per es. la religione con la sua dottrina della rivelazione, l’amore per Gesù, il desiderio di imitarlo etc.

[9]) Cfr. Jacobs, Wilhelm Gustav: Zwischen Revolution und Orthodoxie. Schelling und seine Freunde im Stift und an der Universität Tübingen (Stuttgart-Bad Canstatt 1989), p. 67.

[10]) Cfr. Enciclopedia delle scienze filosofiche (1830), §554 (secondo paragrafo della sezione Lo spirito assoluto): “La religione - così questa sfera altissima può essere designata in generale - [...]”.

[11]) Nel senso dell’espressione tedesca ‘aufheben’, includente non solo il concetto del ‘supe­rare’, ma anche quello del ‘conservare’ (cfr. a questo proposito la chiara definizione he­geliana di questo concetto tramite la relativa nota nel primo libro della Scienza della logica, Bari 1978, p. 121).

[12]) Anche le Lezioni sulla filosofia della religione sono ovviamente incomprensibili nel loro autentico significato senza la distinzione tra religione in senso stretto ed in senso largo e senza il loro radicamento storico nel dibattito teologico-filosofico nello Stift e quindi nel-l’insegnamento di Flatt.

[13]) Sulle vicende del lascito (Nachlaß) Klüpfel senior (Jacob Friedrich) e junior (Friedrich August) come anche sui due manoscritti delle lezioni di Flatt cfr. il lavoro fondamentale di D. Henrich (a cura di) Immanuel Carl Diez. Briefwechsel und Kantische Schriften. Wissensbegründung in der Glaubenskrise. Tübingen-Jena (1790-1792), Stuttgart 1997, alle pp. 863 ss.

[14]) In: Zeitschrift für philosophische Forschung (vol. 35, quaderno 3/4) pp. 585 ss.

[15]) Per l’attribuzione cfr. Kayser (1835) ed il Gesamtverzeichnis des deutschsprachigen Schrifttums 1700-1810 (München 1984).

[16]) Questi manoscritti sono scritti nel tedesco antico, quindi con caratteri diversi dai latini. Si tratta però di una grafia estremamente chiara e pulita ed anche lo stato di conservazione è soddisfacente. Occorrerebbe anche svolgere una ricerca approfondita sulle vicende del lascito di J.F. Flatt, come suggerito da Henrich nell’opera cit. del 1997 alla p. 831.

[17]) A questo tema è dedicato anche un lungo frammento di Hegel, ossia il manoscritto sulla filosofia dello spirito soggettivo (Ein Manuskript zur Psychologie und Transzendental­philosophie), pubblicato ora come testo nr. 27 nel primo volume dei Gesammelte Werke.
Un’indagine accurata delle motivazioni filosofiche dell’interesse di Flatt, Rapp, Mau­chart, Hegel etc. per la psicologia e del collegamento tra questo interesse e la problematica fondamentale del rapporto di fondazione tra morale e religione - soprattutto in riferimento al concetto di ‘movente morale’ (‘moralische Triebfeder’) - dovrebbe far parte integrante della ricerca. Le radici storiche della Filosofia dello spirito soggettivo hegeliana od almeno la loro motivazione originaria sono da cercare probabilmente proprio in questo filone di pensiero.
Sul manoscritto in questione cfr. ora il saggio di R. Pozzo Zu Hegels Kantverständnis im Manuskript zur Psychologie und Traszendentalphilosophie  aus dem Jahre 1794 (GW 1, Text nr. 27) in Bondeli, M.-Linneweber-Lammerskitten, H. (a cura di): Hegels Denkentwicklung in der Berner und Frankfurter Zeit, pp. 15-29.

[18]) Si definisce “Ulteriore” questo contributo in quanto già nel nostro lavoro del 1995 Die Rolle des Einflusses von J.J. Rousseau auf die Herausbildung von Hegels Jugendideal abbiamo  ricostruito l’influenza esercitata proprio in tali anni dalla lettura delle opere di Rousseau, in particolare dell’Emilio, sulla formazione del pensiero di Hegel.

[19]) Cfr. Pütz pp. 21-22.

[20]) ‘Weltweisheit’, saggezza mondana, nella terminologia tedesca dell’epoca (Pütz, p. 16)

[21]) ‘Postulat zu selbsttätiger Erkenntnis’ (Pütz, p. 18).

[22]) Die Frömmigkeit der deutschen Aufklärung (in: Zeitschrift für Theologie und Kirche, n. 16, 1906; v. Pütz pp. 60-61).

[23]) Molto istruttivi riguardo alle differenze, tra l’illuminismo tedesco e quello francese sono gli studi di Dilthey e Cassirer, un’esposizione dei quali con il relativo commento e le ne­cessarie indicazioni bibliografiche si trovano in de Angelis 1996a, pp. 13 ss.

[24]) A tal riguardo è molto interessante la presentazione del carattere problematico dell’illuminismo tedesco dell’epoca offerta dal Pütz nella sua opera citata (in particolare fino alla p.79), alla quale qui si rinvia per ulteriori approfondimenti.

[25]) ‘Non a caso’ in quanto dalle ricerche condotte da Henrich e Becker sulle vicende relative alla distruzione di parte del lascito di Hegel ad opera dei suoi familiari (si veda bibliografia sotto ‘Documenti’) sorge il fondato sospetto che uno dei criteri della cernita tra materiale da conservare e materiale da distruggere sia stato il desiderio di tramandare un’immagine di Hegel credente, non diversamente da quel che probabilmente accadde con il lascito di Hölderlin, come ipotizza uno dei suoi più sensibili ed intelligenti interpreti (cfr. Pierre Bertaux, Hölderlin und die französische Revolution, Frankfurt a.M. 1969, pp. 55-56).

[26]) Così si esprime Jacobs (1987) alla p. 10 criticando, con ragione, coloro che ingenuamente ve­dono Hölderlin, Hegel e Schelling come degli autodidatti. L’intero passo recita così: “Wenn man aber die Kluft zwischen Lehrern und Schülern als unüberbruckbar ansieht, so fragt sich, ob diese Betrachtungsweise nicht einer längst überholten Genievorstellung ent­spricht, die nicht beachtet, daß auch Hochbegabte lernen müssen, ehe sie selbständige Leistungen hervorbringen können”.

[27])Tali ricerche furono precedute e preparate comunque dai già citati lavori di Henrich e Brecht.

[28]) Titolo originale: Versuch einer historisch-kritischen Darstellung des bisherigen Einflus­ses der Kantischen Philosophie auf alle Zweige der wissenschaftlichen und praktischen Theologie (Hannover 1796-1798; ristampa Hildesheim/New York 1982; la traduzione del titolo è mia).

[29]) Il fatto che tale testo, riassuntivo dell’influsso di Kant sulla filosofia della religione del periodo, sia stato scritto nel 1796 quando la discussione era ancora in corso, dimo­stra come quello fosse un dibattito tanto serrato ed intenso da render necessario che già dopo pochi anni se ne scrivesse una ‘storia’.

[30]) Presumibimente alcuni materiali importanti si trovano anche presso la biblioteca ‘Jagiellonska’ di Cracovia, dove, durante la seconda guerra mondiale, i nazisti deposita­rono molti manoscritti ed altri tesori della cultura germanica, fino ad oggi non ancora restituiti dalle autorità polacche per motivi po­litici. I cataloghi presentati nel presente la­voro si riferiscono soltanto alle biblioteche tedesche ed in particolare della Germania oc­cidentale. Il materiale bibliografico presente nelle biblioteche dell’ex-RDT non è stato ancora completamente inserito a livello informatico nel circuito bibliotecario tede­sco, per cui è necessario attendere qualche anno prima che vi si possa accedere per via centralizzata.

[31]) Il recapito completo di tale istituzione è: Potsdamerstr. 33, 10785 Berlin-Tiergarten.

[32]) La parola ‘promozione’ o ‘promovimento’, uno dei concetti chiave del dibattito teolo­gico-morale innescato dalla Critica della ragion pratica è la traduzione letterale dell’espressione tedesca ‘Beförde­rung’, la quale occupa una posizione centrale sia nel testo kantiano sia, soprattutto, nelle pubblicazioni dei suoi vari sostenitori e oppositori.

[33]) Cfr. Fondazione..., pp. 115-116 e Critica della ragion pratica, l’intera prefazione.

[34]) Secondo l’espressione kantiana: ‘ächt moralisch’

[35]) In riferimento all’esatta data di nascita di Reinhold, così chiarisce von Schönborn (1991, p.30): “La data di nascita del padre, indicata da Ernst Reinhold e dopo di ciò utilizzata da ognuno dei suoi biografi, è erronea. K.L. Reinhold non nacque il 26-10-1758, bensì preci­samente un anno prima. C’è voluto più di un secolo e mezzo, affinché questo errore ve­nisse corretto, sebbene già nel 1803 Johann Georg Meusel avesse riferito: ‘Reinhold (K.L.), secondo propria asserzione, è nato nel 1757’ (Das gelehrte Teutschland oder Lexi­kon der jetzt lebenden Teutschen Schriftsteller, nota 16, 1803, vol. 10, p. 463)”.

[36]) Per le vicende biografiche del Reinhold si sono utilizzati i seguenti lavori: K.L. Reinhold (da Tentativo di una nuova teoria della facoltà rappresentativa umana, 1789, l’autobiografia contenuta alle pagine 51 ss.), E. Reinhold (1825), Zwi Batscha (1977), von Schönborn (1991).

[37]) Cfr. Batscha, 1977, pp. 13-15.

[38]) Cfr. von Schönborn, 1991, p. 11.

[39]) Com’è noto, in seguito, la vicenda intellettuale portò Reinhold a percorrere molte altre fasi, sia d’adesione ad altri sistemi filosofici sia di elaborazione di idee proprie ed originali. Queste fasi, però, si svilupparono a partire dalla pubblicazione della Dottrina della Scienza di Fichte (1794), quindi abbracciano un arco di tempo che va ben al di là di quello che è oggetto del presente lavoro. Per questo motivo esse  non verranno trattate.

[40]) Traducibile in italiano con l’espressione: ‘Verso la vera concordia’. Gli scopi fondamen­tali della loggia erano due: in senso positivo, l’affermazione della libertà di parola e di stampa; in senso negativo, la lotta alla superstizione ed ai suoi principali rappresentanti, gli ordini monastici (cfr. Batscha, 1977, p. 18).

[41]) Questi primi lavori reinholdiani sono stati pubblicati e presentati criticamente dal Batscha nel suo lavoro del 1977 (soprattutto a partire dalla pagina 24), al quale pertanto qui si rin­via. Tali lavori non contengono ancora espliciti accenni a Kant e quindi alla problematica teologico-morale trattata.

[42]) Per le vicende anche avventurose di questa fuga cfr. Batscha, 1977, p. 23.

[43]) Su di essa si veda il lavoro di Hans Wahl Geschichte des Teutschen Merkurs (Berlin, 1914). Il cap. VIII Nuovo corso. Ascesa. Il periodo kantiano. ‘Anti-soprannaturalismo’ e rischiaramento religioso. Prima eco della rivoluzione (1783-1789) riguarda il periodo di più intensa collaborazione del Reinhold ed i vari sottotitoli offrono una più che chiara im­magine della direzione presa dalla rivista, proprio in riferimento alla problematica filosofico-religiosa.

[44]) Cfr. Wahl, 1913, pp. 168 ss. e Batscha, 1977, p. 23.

[45]) Uso qui l’espressione ‘a caldo’ in quanto nel 1789 Reinhold si trovava ancora nella fase centrale della sua operazione di difesa e diffusione della filosofia di Kant. Non si tratta di note autobiografiche scritte verso il termine della vita, ma di riflessioni sul senso religioso della filosofia kantiana redatte soltanto quattro anni dopo la sua adesione - proprio per motivi religiosi - al kantismo.

[46]) Si tratta della parte ‘soggettiva’ del medesimo.

[47]) Questo saggio importantissimo di Reinhold venne pubblicato da lui per ben tre volte nel medesimo anno; oltre che come prefazione al testo suddetto, esso fu edito quale monografia autonoma e come articolo nel Teutscher Merkur (v. i numeri 32 e 33 della bi­bliografia di von Schönborn). Queste diverse apparizioni presentano soltanto alcune pic­cole differenze stilistiche, ma sono identiche nel contenuto.

[48]) Il termine ‘Angelegenheit’ significa “faccenda”, “affare”, “occupazione”.

[49]) Come risulta non solo dalla biografia del figlio Ernst (v. p. 43), ma anche da racconti di molti altri suoi conoscenti (cfr. von Schönborn, p. 10).

[50]) Come si esprime Reinhold a proposito delle varie correnti di pensiero attive all’epoca.

[51]) Su di essi cfr. il cap. 4.3 in Jacobs, 1989

[52]) Un’esposizione completa dell’organizzazione dello studio di teologia presso lo Stift e l’università di Tübingen del tempo si trova al quarto capitolo (Der akademische Unter­richt) del già ampiamente citato testo di Jacobs del 1989. Questo lavoro rappresenta al momento lo studio più completo su tale argomento. Su di esso si fondano le ulteriori ricer­che contenute in questo capitolo. Per l’indicazione di altri studi sull’argomento si veda la bibliografia in calce al presente lavoro.

[53]) Assai di rado uno studente redasse da solo la propria dissertazione. Schelling per esempio,  nel 1792, difese davanti a Schnurrer una propria dissertazione dal titolo Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis (Genes. III.) explicandi tentamen criticum et philosophicum.

[54]) Cfr. a tal riguardo Pozzo, 1989, pp. 102 ss.

[55]) Gli specimina della cassetta 8 saranno qui citati secondo la loro collocazione attuale nella cassetta. I lavori, quaderni e fogli singoli saranno citati tramite l’indicazione delle prime parole.

[56]) Su di essi si veda la prefazione a questo lavoro.

[57]) Vi sono altri specimina che si occupano di temi religiosi e morali, senza però che nel titolo tali due sfere vengano messe in rapporto. Ovviamente non è da escludere che nel testo sia stato trattato anche il rapporto tra esse, quindi inevitabilmente la questione della fondazione della morale.

[58]) Qui segue la lista di questi manoscritti. Si indica soltanto la collocazione nella corrispon­dente cassetta (per es. l’indicazione 2.16 significa cassetta 2, quaderno 16 - naturalmente sempre sotto la segnatura ‘Mh III 68’, riferentesi all’intera raccolta dei manoscritti): 2.16; 2.26; 2.35; 3.9; 3.13; 4.23; 4.31; 4.38; 5.8; 5.16; 5.18; 5.25; 5.28; 6.9; 6.28; 7.12; 7.20; 7.24; 8.4; 8.28; 8.29; 8.35. Per quanto riguarda le tesi redatte da Hegel cfr. Briefe, Bd. IV-1, pp. 30-32.

[59]) Al momento della stesura del presente lavoro questo quaderno non è ancora stato catalo­gato. L’impiegato addetto alla catalogazione mi ha però assicurato che i quaderni di questa cassetta verranno catalogati seguendo precisamente l’ordine attuale, dunque la numera­zione qui riportata dovrebbe corrispondere a quella poi definitiva.

[60]) Questo quaderno si trova al momento della stesura del presente lavoro nel gruppo dei fo­gli singoli.

[61]) Questo specimen è stato da Jacobs decifrato, pubblicato nel suo libro del 1989 (pp. 237 ss.) ed ivi anche commentato (pp. 81 ss.). Per questo motivo lo si salta qui, nonostante esso abbia grande importanza in rapporto al tema della ricezione della teoria gnoseologica kantiana nello Stift. Si rinvia dunque al testo dello studioso di Schelling.

[62]) Si tratta dei quaderni 4.23, 4.38, 6.28 und 5.18.

[63]) Per la ricezione di quest’opera di Kant nello Stift cfr. la prima pagina della prefazione di C.G. Rapp al suo lavoro del 1791 Ueber die Untauglichkeit des Prinzips der allgemeinen und eigenen Glückseligkeit zum Grundgesetze der Sittlichkeit.

[64]) Così si esprime Jacobs: “Nell’anno 1785 6 Stiftler su 29 citano il suo nome; nell’anno seguente ne sono, su un totale di 21, 6 per le lezioni di psicologia, 3 per quelle sul-l’’Encyclopedia philosophica’ e 2 per quelle sulla logica. A partire dal 1787 il quadro cambia: in genere almeno la metà, a volte l’intero anno di corso dichiara d’aver frequen­tato i diversi corsi di Flatt” (p. 67).

[65]) Si tratta dei programmi di studio per il conseguimento del titolo di ‘Magister’ (equiva­lente più o meno alla nostra laurea). Essi sono tuttora conservati presso l’’Universitäts-archiv’ di Tubinga.

[66]) Cfr. Tübingische gelehrte Anzeigen, Jahrgang 1785, p. 217.

[67]) A questo proposito è da condividere l’opinione di Jacobs in base alla quale la “triade tubin­ghese” non era costituita da autodidatti e “anche persone dotate di gran talento (‘Hochbegabte’) devono imparare prima di poter offrire prestazioni autonome”, come lo studioso felicemente s’esprime (p. 10). Il fatto che Hegel, Schelling e Hölderlin più tardi si pronunciarono contro i propri docenti, non significa affatto ch’essi non ne avessero subito l’influenza. Sicuramente le conclusioni, cui soprattutto Flatt e Storr giunsero, sono ben diverse in diversi punti essenziali dalle conclusioni cui pervennero i tre giovani ‘Stiftler’. Ma un docente influenza i propri allievi non in quanto fornisce loro risultati, bensì in quanto li rende attenti alla problematica attuale della scienza, da lui insegnata, tramite un’accurata esposizione critica della medesima e una comune discussione dei concetti fondamentali. Egli in tal modo indica agli allievi la via che conduce ad una propria, autonoma presa di posizione. Questa poi può differire da quella del docente; ciò nondimeno non si può negare che questi abbia messo i propri allievi sulla via dell’elaborazione delle proprie conclusioni e in tal senso, dunque, li abbia ‘formati’ e quindi ‘influenzati’. Ciò si verificò tra Hegel ed i suoi maestri di Tubinga, come si cercherà di mostrare in questo lavoro  soprattutto in riferimento alla figura di Flatt.

[68]) Cfr. le appendici 1 e 2 al presente lavoro.

[69]) Vedi su di lui Brecht, 1977, pp. 384 ss.

[70]) La traduzione italiana dei due titoli è rispettivamente: Lettere sul fondamento morale di conoscenza della religione in generale ed in particolare in rapporto alla filosofia kantiana e Contributi alla dommatica ed alla morale cristiane ed alla storia delle medesime.

[71]) Flatt parla di tale filosofia come di una ‘gebrechliche Stütze’, vale a dire un supporto, una base fragile della religione (cfr. la p. 26 del suo scritto).

[72]) Ovviamente lo stesso termine scelto ‘Erkenntnisgrund’ rinvia direttamente alle Lettere sulla filosofia kantiana di Reinhold ed alla tesi, precisamente opposta rispetto a quella di Flatt, ivi sostenuta.

[73]) Sulla polemica filosofica di quel periodo tra Reinhold e Flatt cfr. Jacobs 1993, pp. 152 ss.

[74]) Cfr. la lettera di Hegel a Schelling della fine di gennaio 1795 (or. ted. in Fuhrmans, vol. II 1973, p. 61).

[75]) Così recita il corrispondente luogo nel testo di Flatt: “Wie aber Kant, ohne sich selbst zu widersprechen, behaupten kann, daß alle Antriebe zur Befolgung des Sittengesezes weg­fallen würden, wenn die Hoffnung einer der Sittlichkeit angemessenen Glückseligkeit wegfiele, bin ich in der That nicht fähig zu begreifen” (p. 21).

[76]) In calce al luogo appena citato Flatt riporta alcuni passi sia dalla Grundlegung zur Meta­physik der Sitten che dalla Kritik der praktischen Vernunft a sostegno della sua critica (cfr. pp. 21-23).

[77]) Cfr. pp. 31-39 del testo in questione.

[78]) “[...] auf welchen die Moraltheologie gestüzt werden soll” (p. 36).

[79]) La critica di Flatt al postulato dell’esistenza di Dio si trova alle pagine 68-79.

[80]) La critica al postulato dell’immortalità dell’anima si trova alle pagine 79-87.

[81]) Flatt utilizza più volte l’espressione ‘salvare’ ed i suoi derivati (anche nella nona lettera, e. g. p. 94). Si tratta di un concetto molto importante, in quanto costituisce uno dei punti di collegamento fondamentali tra la critica di Flatt a Kant ed il pensiero he­geliano dell’epoca (cfr. a questo proposito le pp. 000 del presente lavoro).

[82]) Cfr. la Critica della ragion pratica, secondo libro: Dialettica della pura ragion pratica.

[83]) Nel testo si trova ‘Unentbehrlichkeit’, che significa letteralmente ‘indispensabilità’.

[84]) Si tratta della verità dell’esistenza di Dio, dalla quale dipendono tutte le altre verità, come per esempio quella dell’immortalità dell’anima.

[85]) Il corsivo si trova nell’originale.

[86]) Cfr. sotto alla p. 00.

[87]) Flatt mostra nei suoi scritti di non conoscere a menadito soltanto Kant, ma d’essere anche esaurientemente informato sulla più recente letteratura da parte sia kantiana che cristiana.

[88]) Questo stesso concetto si trova anche nei testi più o meno contemporanei di Hegel (cfr. per es. il testo 16, foglio c del manoscritto, pubblicato in GW 1, p. 90, righi 19-23).

[89]) In rapporto al concetto di ‘influsso sul cuore’, che svolge un ruolo centrale anche negli scritti hegeliani di Tubinga, cfr. sotto alle pp. 000).

[90]) Della filosofia di Kant Flatt ha criticato, a mio avviso con spiccato acume intellettuale, proprio quei luoghi che ne sono al contempo i più deboli ma anche i più interessanti, in quanto riguardano i principi fondamentali della vita umana. A questo riguardo è illumi­nante il giudizio di Rosenkranz: “Flatt, che morì nel 1821, è da tenere in considerazione come maestro di Hegel, in quanto fece parte dei più intelligenti e liberali oppositori del sistema kantiano” (Hegels Leben, p. 25). Tale giudizio è di grande attendibilità, poiché Rosenkranz all’epoca della stesura della sua biografia hegeliana era ancora in possesso dei quaderni universitari di Hegel, contenenti anche gli appunti presi a lezione da Flatt, e pertanto poteva ben giudicare su tale base l’influsso avuto dal teologo sul futuro filosofo. I quaderni furono, com’è noto, distrutti dagli eredi di Hegel. Tale perdita è senz’altro una delle più dolorose per la comprensione delle radici storiche e quindi del senso autentico della filosofia hegeliana.

[91]) Si veda su di lui Brecht, 1977, pp. 390 ss.

[92]) In italiano rispettivamente: Sull’inadeguatezza del principio della felicità universale ed individuale come legge fondamentale dell’eticità e Sui moventi morali, in particolare quelli della religione cristiana.

93) Cfr. la prefazione a Sull’inadeguatezza..., pp. 3-4

[94]) La letteratura dell’epoca è piena di tali paragoni tra differenti sistemi religiosi o filosofici (cfr. per esempio lo scritto di Carl Friedrich Stäudlin Idee per una critica del sistema della reli­gione cristiana). Anche Flatt si esprime nei suoi scritti in modo simile.

[95]) Questo concetto, sia come sostantivo, sia come verbo, (“promuovere” ‘befördern’) ricorre molto spesso, in tutto circa 55 volte, dunque in media almeno una volta ogni due pagine.

[96]) Nel capitolo già citato Dei moventi della ragion pura pratica.

[97]) Sulla problematica soggettività-oggettività della morale cfr. il capitolo su Kant nel presente lavoro.

[98]) Questo concetto centrale (‘Beförderung’, ‘befördern’) viene adoperato da Rapp anche in questo saggio, benché non così spesso come nel saggio precedente.

[99]) Cfr. anche p. 149: “La religione e la morale devono essere inseparabilmente unificate”; a tal proposito Rapp cita Reinhold, in particolare la quinta lettera.

[100]) “[...] Religion des reinen Herzens [...]” (p. 152). Questa definizione si trova anche nei frammenti tubinghesi di Hegel, quantunque non in riferimento alla religione cristiana, bensì alla religione in generale (v. sotto al §23).

[101]) “dem warmen Gefühl bzw. Herzen” und “dem kalten Verstand”. La continuazione del pensiero di Rapp è ancora più chiara: “Non si tratta qui del freddo rispetto per una idea della ragione [...]” (“Es ist hier nicht die kalte Achtung gegen eine Vernunftidee [...]”).

[102]) Cfr. il già citato §23.

[103]) Cfr. il §10 del presente lavoro.

[104]) Cfr. Critica della ragion pratica, p. 51 e 93 della trad. it. (or. ted. pp. 70-71 e p. 133).

[105]) Nel suo saggio Rapp cita di Flatt i Beyträge (alla p. 165) e le Observationes quaedam ad comparandam Kantianam disciplinam cum Christiana doctrina pertinens (alla p. 177), che egli dunque ben conosceva.

[106]) ‘Achtung’, ‘Achtung mit Abneigung’ e ‘Achtung mit Zuneigung’

[107]) “[...] von der Vernunft gewirkt [...]” (p. 172).

[108]) Ciò si evince dal suo ‘Magisterprogramm’.

[109]) Un’analisi approfondita dell’insegnamento di Flatt in psicologia relativamente alla figura di Kant, Mau­chart, Rapp e del giovane Hegel sarebbe senz’altro illuminante al fine della comprensione dei motivi filosofici di tale interesse, nonché dei risultati ai quali si pervenne a tal proposito.

[110]) Cfr. Henrich, 1986-87, pp. 71 ss.

[111]) In seguito verrà esposto soltanto il concetto fondamentale della concezione filosofico-reli­giosa di Diez. Per il resto si rinvia alle ricerche già condotte da Henrich (v. bibliografia).

[112]) Una personalità molto interessante tra gli studenti dello Stift di quegli anni è senz’altro Friedrich Immanuel Niethammer. Tra le altre produzioni egli pubblicò nel 1795 un libretto dal titolo molto significativo La religione come scienza. In queste poche parole viene espresso il senso fondamentale che era al fondo di tutte gli sforzi fatti, a partire almeno da Kant, dal pensiero tedesco dell’epoca per pervenire al vero illuminismo, ossia per condurre l’uomo al di fuori dello stadio infantile e farlo divenire adulto. Il testo di Niethammer, fino ad oggi ignorato, merita senz’altro uno studio critico.

[113]) Cfr. de Angelis, 1995.

[114]) Cfr. GW 1, pp. 469-471.

[115]) Hegel si riferisce qui ai sacrifici propri della religione.

[116]) Cfr. GW 1, p. 557, nota a 75,4.

[117]) Cfr. e. g. il testo 16, foglio ‘c’, GW 1, pp. 87 ss.

[118]) GW 1, rapporto editoriale, p. 470: “La prima parte (del testo) è nata evidentemente durante la lettura del libro Jerusalem oder über religiöse Macht und Judentum di Moses Mendelssohn”.

[119]) Cfr. Jamme, 1983, p. 50: “La distinzione tra religione popolare e privata [...] è pervenuta a Hegel per il tramite di Moses Mendelssohn, pensatore molto stimato da Kant, e della sua opera del 1783 Jerusalem oder über religiöse Macht und Judentum”.

[120]) Essi ricorrono in particolare ai seguenti luoghi di GW 1: 76,5-6; 76,8; 77,13; 77,15-16; 77,19; 77,26.

[121]) Si tratta di concetti  appartenenti in maniera essenziale al dibattito teologico-morale di cui ci stiamo occupando.

[122]) Cfr. il luogo 77,5 ss. di GW 1 (SG 1, p. 161 ss.), dove si legge: “- die ganze Reihe von Triebfedern und Beweggründen, womit man dise jene Tugend motivirt” (“... l’intera serie dei moventi e degli impulsi con cui si motiva questa o quella virtù”). Qui risulta chiaramente come i concetti ‘Triebfeder’ e ‘Beweggrund’, al tempo della redazione del testo 12, già facevano parte dell’equipaggiamento concettuale di Hegel.

[123]) Cfr. il luogo 77,16-18 di GW 1, nel quale è possibile dimostrare chiaramente il riferimento a Fichte al riguardo del rapporto tra religione e moralità (cfr. il luogo 23,18-19 della Offenbarungsschrift).

[124]) Cfr. GW 1, pp. 473-475.

[125]) La cesura corrisponde al luogo 185,21 di SG 1.

[126]) Tali indicazioni si riferiscono rispettivamente alla pagina ed al rigo di GW 1. I luoghi corri­spondenti in SG 1 sono 169,1 e 171,10

[127]) Cfr. a questo riguardo Henrich, 1971, pp. 58-59.

[128]) SG 1: da 171,11 a 172,40

[129]) “Die ganze Masse von ReligionsGrundsäzen - und von den daraus fliessenden Empfindun­gen; und besonders der Grad von Stärke, womit sie auf HandlungsArt einflüssen können, ist der Hauptpunkt einer Volksreligion” (GW 1, 86,26 - 87,1).

[130]) SG 1: da 171,1 a 176,12

[131]) “Auseinandersezung des Unterschieds zwischen objektiver und subjektiver Religion; Wichtigkeit dieser Auseinandersezung in Ansehung der ganzen Frage” (GW 1, p. 87,16-17).

[132]) GW 1, p. 87,1; SG 1, p. 172, 21-22

[133]) SG 1, da 173,4 a 175,2

[134]) SG 1, da 175,3 a 175,21

[135]) SG 1: da 176,14 a 179,14

[136]) Quando si parla di fogli precedenti o seguenti non si intende ciò in senso cronologico poi­ché sulla base delle attuali conoscenze non è possibile determinare una sequenza cronolo­gica all’interno del testo 16. Che però vi sia una sequenza logica viene dimostrato tra l’altro dal fatto che lo stesso Hegel ha ordinato i vari fogli secondo l’attuale sequenza, che egli ha poi contrassegnato con le lettere dell’alfabeto latino (cfr. GW 1, pp. 473-475). Se Hegel ha ritenuto di dover collocare all’interno del testo 16 un frammento prima di un al­tro è senz’altro perché ha considerato tale frammento un presupposto per i seguenti frammenti all’interno del tutto. Non è da escludere che il filosofo abbia redatto il fram­mento - ch’egli ha considerato da un punto di vista logico quale presupposto ed ha tra­mandato dunque in una posizione antecedente gli altri - dopo di questi. In tal senso dun­que, ovvero in relazione al contenuto, vengono adoperate qui le espressioni ‘precedente’ ed ‘antecedente’ in riferimento alla successione dei vari fogli del testo 16.

[137]) Si tratta dei seguenti concetti: la religione come bisogno della ragion pratica, il sommo bene, la teoria dei postulati, l’idea di una ‘deduzione della religione’ (cfr. GW 1, pp. 90,28 fino a 91,7).

[138]) Cfr. GW 1, p. 99,29.

[139]) Il foglio ‘e’ non è stato tramandato (cfr. GW 1, p. 473).

[140]) SG 1: 179,15 a 182,10

[141]) La contrapposizione caldo-freddo/cuore-intelletto si rifà evidentemente a Reinhold (essa fu ripresa anche da Rapp).

[142]) Cfr. GW 1, pp. 94,28; 97,30 e 98,1-2

[143]) Cfr. Schmidt-Japing, 1924, pp. 3-4; de Angelis 1995, pp. 41-49.

[144]) SG 1: da,10 a 185,21

[145]) “Qualcosa d’altro rispetto all’illuminismo, nel senso di ragionamento, è la saggezza” (trad. mia - “Etwas anderes als Aufklärung, als Räsonnement ist Weisheit” (GW 1, p.97,8-9). Sull’importantissimo concetto di ‘saggezza’ nello Hegel giovane e maturo cfr. de Angelis, 1996, Hegels Philosophie als Weisheitslehre (La filosofia di Hegel come dot­trina della saggezza), in particolare il capitolo 7 Von der Weisheit zur Wissenschaft. He­gels philosophischer, dialektischer Werdegang (Dalla saggezza alla scienza. Il cammino filosofico dialettico di Hegel).

[146]) Cfr.

[147]) I termini ‘promozione’ (‘Beförderung’), promuovere (‘befördern’), movente (‘Triebfe­der’), centrali nel terzo capitolo della Critica della ragion pratica e negli scritti di Flatt e Rapp, ricorrono continuamente anche nei testi hegeliani di quegli anni.

[148]) Ad essi si può senz’altro aggiungere almeno anche Hölderlin per il suo ideale di una reli­gione poetica (cfr. Bertaux 1968).

[149]) Cfr. il §35 del presente lavoro.

[150]) Cfr. per l’intera problematica relativa a queste influenze il mio lavoro del 1995.

[151]) Si veda p. 50 dell’edizione della ‘Akademie der Wissenschaften’, cui si riferiscono tutte le cita­zioni seguenti. La traduzione italiana è sempre la mia.

[152]) In rapporto a questa parte contengono le prime due parti, in particolare la prima, la posi­zione del problema, mentre la quarta ed ultima parte contiene un’applicazione dei risultati alla realtà sociale e storica.

[153]) “L’invidia, la brama di potere, il desiderio di possedere e la connessa inclinazione all’inimicizia assalgono ben presto la sua natura, in se stessa sobria, non appena egli è tra altri uomini [...]” (p. 93-94). L’influsso di Rousseau su Kant appare in modo evidente in questo pensiero.

[154]) Tutte le citazioni si trovano alla p. 98.

[155]) “Also ist ein ethisches gemeines Wesen nur als ein Volk unter göttlichen Geboten d.i. als ein Volk Gottes, und zwar nach Tugendgesetzen, zu denken möglich” (p. 99).

[156]) “Die sichbare ist die wirkliche Vereinigung der Menschen zu einem Ganzen, das mit jenem Ideal zusammenstimmt” (P. 101).

[157]) “C’è soltanto una (vera) religione; ma ci possono essere molti tipi di fede” (“Es ist nur eine (wahre) Religion; aber es kann vielerlei Arten des Glaubens geben”) ( p.107).

[158]) Anche in questo caso è chiaramente individuabile l’influsso di Rousseau.

[159]) “[...] wegen des natürlichen Bedürfnisses aller Menschen, zu den höchsten Vernunftbegrif­fen und Gründen, immer etwas Sinnlichhaltbares, irgend eine Erfahrungsbestätigung u.d.g. zu verlangen, [...] irgend ein historischer Kirchenglaube, den man auch gemei­niglich schon vor sich findet, müsse benutzt werden” (p. 109).

[160]) “der Geist Gottes, der uns in alle Wahrheit leitet”.

[161]) “das oberste Prinzip aller Schriftauslegung” (p. 112)

[162]) Del vero e del falso culto sotto il dominio del buon principio, o della religione e del regime clericale

[163]) Del falso culto di Dio in una religione statutaria

[164]) Cfr. pp. 170-171.

[165]) Le linee fondamentali di tale concezione sono sintetizzate da Lacorte nella sua monografia del 1959 Il primo Hegel, alla quale qui si rimanda.

[166]) Cfr. Lacorte 1959, pp. 155-156.

[167])  Storr si riferisce qui alle questioni relative alla rivelazione. 

[168]) Questa tematica è di particolare interesse perché è anche al centro di due delle prediche di Hegel, quella del 10 gennaio 1792 sulla giustizia divina (testo 8) e quella senza data sulla riconciliazione (testo 9). La lettura del §4 del testo di Storr, il quale cita spesso i corrispondenti passi della Religionsschrift, rivela senza ombra di dubbio che Hegel nelle due prediche prese posizione nella polemica allora in corso tra Storr e Kant relativamente alla tematica della riconciliazione e della giustizia divina.

[169]) Cfr. la p. 15 del testo di Storr, in cui sono riportati i relativi passi kantiani.

[170]) Concetto questo centrale nella predica hegeliana citata.

[171]) Questo è un altro dei concetti presenti nel testo di Storr, che ha un ruolo centrale sia nel dibattito teologico morale dell’epoca sia nei frammenti hegeliani di quegli anni.

[172]) Anche il concetto di movente (‘Triebfeder’), come più volte sottolineato, appartiene alla rete concettuale costituente la struttura del dibattito teologico-morale che si svolse allora.

[173]) A tal proposito è interessante che Storr definisca l’atteggiamento dell’uomo nella seconda possibilità (dunque l’atteggiamento di tipo kantiano) come “credente” (‘gläubig’). In effetti c’è bisogno di una specie di fede, evidentemente di tipo razionale, per credere che dall’osservazione della legge derivi poi la felicità.

[174]) Storr riporta anche in questo caso un’espressione di Kant (‘Unlauterkeit’, ‘improbitas’).

[175]) Ossia nella ricerca di ‘argomenti dimostrativi’ (‘Beweisgründe’) dell’esistenza di Dio (cfr. p. 64).

[176]) ‘Annehmen’ che significa ‘supporre’.

[177]) Per esempio al paragrafo 14 il teologo, partendo dal presupposto della verità della storia di Gesù, indica come prima prova i vari aspetti sovrasensibili di tale storia, in particolare i miracoli.

[178]) La parola ‘Aposteln’ manca alla pagina 78 ma è evidente dalla struttura grammaticale al plurale della frase. Essa viene comunque riportata alla pagina 80.

[179]) Storr si riferisce qui all’assistenza divina

[180]) Il luogo che segna la cesura è GW 1, p. 99,29.

[181]) Si vedano i §§ 34, 35 e 36 del presente lavoro.

[182]) GW 1, p. 78,3-7

[183]) GW 1, p. 79,10

[184]) GW 1, 79,1 ss.

[185]) GW 1, pp. 465-467.

[186]) Così recita l’intero luogo: “Es gibt manche Tugenden die leicht auszuüben sind, und die sehr in die Augen fallen, denen aber gerade das wesentliche, das was ihnen in den Augen Gottes einen Werth gibt, abgeht, und was eben oft am schwersten zu erkämpfen ist, nem­lich eine völlige Umänderung und Besserung des Herzens” (GW 1, p. 60,9-12).

[187]) GW 1, p. 60,12

[188]) GW 1, p. 63,16

[189]) Che egli vi abbia veramente creduto è del tutto da escludere sulla base degli altri testi di natura privata di questi anni, nei quali ovviamente il giovane Stiftler non aveva alcun bi­sogno di nascondersi e poteva dunque scrivere quel che realmente pensava.

[190]) “[...] aus welchen Unversöhnlichkeit entspringt [...]” (GW 1, 60,25; SG 1, 120).

[191]) GW 1 pp. 68-69 (SG 1, pp. 127-129 - datazione: 1 maggio 1793, cfr. GW 1, rapporto editoriale, pp. 467-468).

[192]) “das verdorbene Herz des Menschen” (GW 1, 68,4; SG 1, 127).

[193]) GW 1, p. 69,28-29; SG 1, p. 129.

[194]) GW 1, pp. 70-72; SG 1, pp. 131-134; datazione: 16 giugno 1793 (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 468).

[195]) Le relative annotazioni in GW 1 riportano per diversi luoghi della predica i corrispondenti luoghi dello scritto kantiano, dai quali essi derivano.

[196]) Si vedano a tal proposito soprattutto le annotazioni da 70,9 a 159,6, che sono riportate nell’indice degli autori nomi (Personenverzeichnis) di GW 1 al nome ‘Kant’.

[197]) GW 1, rapporto editoriale, p. 566

[198]) Cfr. GW 1, p. 71,13 e 71,22-23.

[199]) Si veda il § 38 del presente lavoro.

[200]) SG 1: da 185,22 a 188,30

[201]) Questa frase si trova precisamente all’inizio del paragrafo sulla ‘chiesa invisibile’ (par. 4 della terza parte), che senza dubbio è stato uno dei più importanti per Hegel.

[202]) Cfr. Briefe, vol. 1, p. 16 e 23.

[203]) A questo proposito egli parla di una “[...] più grande applicabilità a concetti utilizzabili più generalmente” dei concetti della ragione teoretica (cfr. Briefe, vol. 1, p. 16).

[204]) Qui non si tratta per Hegel della domanda teoretica circa il tipo vero di religione: ciò lo ha già imparato da Kant; si tratta piuttosto della domanda pratica circa l’istitu­zione (‘Errichtung’) della religione razionale come la vera religione del popolo.

[205]) Cfr. anche Fichte, Offenbarungsschrift, p. 19,21: “La suprema eticità [...]”.

[206]) Tali espressioni si trovano comunque anche in Fichte, il quale le ha recepite dalla Critica della ragion pratica (in Fichte vedi per l’espressione ‘legalità’ p. 30; per ‘movente’ p. 34; per ‘carattere empirico’ p. 67).

[207]) “In una religione popolare è della più grande importanza che la fantasia e il cuore non re­stino insoddisfatti” (GW 1, p. 101,25-26).

[208]) Sul ritorno di questa espressione cfr. testo 16, p. 90,9: “[...] il tessuto delle sensazioni umane [...]”.

[209]) La religione, secondo la concezione di Hegel, “[...] si estende a tutti i rami delle inclina­zioni umane (senza che l’anima ne sia cosciente), ed agisce dappertutto - ma solo imme­diatamente [...]” (GW 1, p. 90,13-15).

[210]) Si veda la p. 86 di questo lavoro.

[211]) È senza dubbio questo ideale a formare da questo momento ‘la buona causa’ (‘die gute Sache’) per la quale si volevano impegnare i tre compagni dello Stift (cfr. la lettera di Schelling a Hegel del gennaio 1796, in: Briefe, Vol. 1, p. 35: “Infatti penso di poter pre­tendere da te che tu aderisca anche pubblicamente alla buona causa”).

[212]) Appare come ‘eeconda soluzione’ se si vuol considerare ‘prima’ la concezione della religione come cosa del cuore, la quale è però più una tappa che non una vera e propria soluzione.

[213]) SG 1: da 188,30 a 199,22

[214]) Un segno del fatto che Hegel nel periodo di Tubinga abbia applicato alla morale i concetti acquisiti negli anni di Stoccarda dal campo delle scienze e delle arti, è il ritorno del con­cetto di ‘successo’. Nell’estratto da Nicolai del 16.8.1787 si parla del successo dell’illuminismo (“[...] altrimenti sarà l’insuccesso [...]” (GW 1, p. 177), nel compito sco­lastico Su alcune caratteristiche differenze... del 7 agosto 1788 Hegel scrive del successo dell’arte poetica (in esso si parla della “[...] diffusa sfera d’azione [...]” dei poeti antichi - GW 1, p. 46,4); infine nei testi degli anni 1792/93-94 è trattato il successo della reli­gione tra il popolo (cfr. il testo 16 alla p. 110 di GW 1 “Se la religione deve poter agire sul popolo [...]”).

[215]) Questa caratteristica è trattata da Hegel alle pp. 103-106. A proposito di queste caratteristi­che Hegel aggiunge che la religione deve essere inoltre ‘semplice’ (p. 104) ed ‘umana’ (pp. 104-106).

[216]) “Ogni religione che deve essere una religione popolare deve essere necessariamente costi­tuita in modo tale da occupare il cuore e la fantasia - Anche la religione razionale più pura riceve un corpo nelle anime degli uomini ed ancor più del popolo e sarebbe proprio bene, al fine d’impedire divagazioni avventurose della fantasia, di collegare alla religione anche dei miti, per mostrare alla fantasia almeno una bella via che essa può cospargere di fiori -” (GW 1, 107, trad. mia).

[217]) Questo foglio fu rielaborato da Hegel più volte (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 473).

[218]) In questo passo appare l’esempio della vita greca come vita bella e felice ancora più esplici­tamente che nel compito scolastico del 7 agosto 1788.

[219]) Si veda il compito scolastico Su alcuni vantaggi...

[220]) Per un approfondimento di questa problematica si veda il mio lavoro, esplicitamente dedicatovi, del 1995.

[221]) Cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 475 ss.

[222]) Cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 481 ss.

[223]) “In che misura si qualifica la religione cristiana per questo scopo [...]” (GW 1, 139,24).

[224]) Cfr. il passo 139,25 ss.

[225]) “Una religione può essere considerata

a) riguardo alle sue dottrine

b) alle sue tradizioni -

c) alle sue cerimonie -

d) al suo rapporto verso lo Stato oppure come religione pubblica” (GW 1, pp. 154-155). Questo elenco corrisponde a quello riguardante il concetto di ‘religione popolare’, che si trova nel testo 16 alla pagina 103 di GW 1.

[226])  In GW 1 manca il punto interrogativo alla fine della frase, mentre esso si trova nel-l’edizione Suhrkamp (W 1, p. 89). Che si tratti di una domanda si può ricavare sia dal tipo di costruzione della frase sia dal prosieguo del frammento, che è una risposta a tale domanda.

[227]) “La fede in Cristo come una persona storica non è una fede fondata su di un bisogno pratico della ragione, ma una fede che si basa su testimonianze d’altri” (GW 1, p. 157). Questo pensiero si trova già nel testo 24 (cfr. il passo 151,1 ss.).

[228]) “La fede in Cristo è fede in un ideale personificato” (GW 1, p. 160).

[229]) In relazione a questa concezione è stato senz’altro decisivo l’influsso del Nathan di Lessing (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 574, nota a 152,11-12). Un altro passo, nel quale si mostra chiaramente tale influsso, è 161,24-26: “Tramite quali ini­ziative (‘Veranstaltungen’) possa venir realizzato che in Cristo non solo l’uomo, non solo il suo nome, ma la virtù stessa venga riconosciuta ed amata [...]”).

[230]) Questo testo fu redatto da Hegel verosimilmente “in immediata vicinanza temporale con i testi 24 e 25” quindi nell’anno 1794, secondo quanto scrivono i curatori di GW 1 nel rapporto editoriale (p. 482).

[231]) Tutte le citazioni si riferiscono all’edizione Manganaro.

[232]) Riferimento ai teologi di Tübingen, sui quali Schelling si era soffermato prima esplicita­mente.

[233]) Queste espressioni costituiscono la ‘parola d’ordine cifrata’, di cui ha parlato Nicolin nel suo lavoro del 1988 Verschlüsselte Losung. Hegels letzte Tübinger Predigt.

[234]) In Fuhrmans, Horst (Hrsg.): F.W.J. Schelling. Briefe und Dokumente. Vol. 1 (1775-1809), Bonn 1962, pp. 33-34.

[235]) Bertaux, Pierre: Hölderlin und die französische Revolution (Frankfurt a.M. 1969, p. 73)

[236]) Cfr. sopra p. 32 (lettera di Schelling a Hegel della sera dell’Epifania del 1795).

[237]) L’edizione critica del testo originale è pubblicata in: Jamme, Christoph - Schneider, Hel­mut (Hrsg.): Hegels ‘ältestes Systemprogramm’ des deutschen Idealismus. Francoforte 1984 (trad. it. in: Fortugno, Franco: Il primo programma di sistema dell’Idealismo tedesco. In: Studi germanici, 16, 1978).

[238]) Il concetto espresso verso la fine, dell’unità tra laici e chierici rinvia direttamente e esplicita­mente a Kant, in particolare alla frase della Religionsschrift prima incontrata (v. il §25).

[239]) In: Stuttgarter Ausgabe (StA), VI/1, p. 92 - edizione di Stoccarda delle opere di Hölderlin).

[240]) Che non sia possibile nella vita produrre niente di grande senza passione, senza amore ce lo rivela ancora Hölderlin, il quale, citando Goethe, ha scritto queste parole nel quaderno dei ricordi (‘Stammbuch’) di Hegel: “Il piacere e l’amore sono le ali per le grandi azioni” (“Lust und Liebe sind die Fittige zu großen Taten”) (in: Briefe von und an Hegel. A cura di J. Hoffmeister und F. Nicolin, Hamburg 1952 ss., vol. 1, p. 48).

[241]) Cfr. Kondylis, Panajotis: Die Entstehung der Dialektik. Eine Analyse der geistigen Entwick­lung von Hölderlin, Schelling und Hegels bis 1802. Stuttgart 1979. pp. 81 ss.

[242]) “eine völlige Umänderung und Besserung des Herzens” (GW 1, p. 60,12)

[243]) “das verdorbene Herz des Menschen” (GW 1, p. 68,4) e “verdorbene Natur” (GW 1, p.69, 2829)

[244]) Sulla base di queste considerazioni è anche possibile trarre delle conclusioni circa la data­zione della seconda predica, che dovrebbe quindi essere stata redatta da Hegel tra l’autunno/inverno 1792/93, periodo al quale risalgono i primi frammenti conservati appar­tenenti a questo gruppo, e l’estate 1793, periodo della stesura del foglio ‘h’ del testo 16 e della quarta predica.

[245]) Cfr. de Angelis 1995.

[246]) Nella prima parte del mio scritto citato, alla quale desidero qui rinviare, ho comunque elaborato una proposta d’interpretazione a tal riguardo (pp. 141 ss.).

[247]) Così recita il racconto di Leutwein: ‘Durante i quattro anni della nostra familiarità la metafisica non era particolarmente cosa di Hegel. Il suo eroe era Jean Jacques Rousseau, in special modo l’Emilio, Il contratto sociale e Le confessioni’ (da Henrich 1965, p. 56).

[248]) Ripetitore a Tubinga dal 1788 al 1790

[249]) Ripetitore a Tubinga dal 1789 al 1792

[250]) 1766-1796; studio a Tubinga: 1783-1788; ivi ripetitore dal 1790 al 1792

[251]) Ripetitore a Tubinga dal 1793 al 1798

[252]) 1759-1821; docenza di filosofia a Tubinga: 1785-1792; ivi docenza di teologia: 1792-?

[253]) Si tratta del figlio di Johann Friedrich, il docente di Hegel

[254]) Studio a Tubinga dal 1784 al 1790

[255]) 1763-1794; studio a Tubinga dal 1782 al 1787; ivi ripetitore dal 1790 al 1793

[256]) Repetent a Tubinga dal 1791 al 1795

[257]) Repetent a Tubinga dal 1791 al 1795

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