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2016: Filosofia per tutti (1.0)

2016: Filosofia per tutti (1.0)

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2016

Philosophy for All

Manifesto for the Philosophical Identity of the European People 

(1.0) 

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(Book, Italian)

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Link (german paper text)

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translate with google translater on the left side

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Note editoriali

Titolo |Filosofia per tutti (1.0) - Manifesto per l’Identità Filosofica del Popolo Europeo (1.0)
Autore | Marco de Angelis
Isbn | 

TUTTI I DIRITTI RISERVATI
©Libellula Edizioni 2016

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info@libellulaedizioni.com

Dedica

Al  mio caro Mervin, 
con l’augurio di condurre una vita fondata sulla verità e sulla saggezza,
quindi sulla filosofia

Motto

“Questa (la filosofia) riferisce tutto alla saggezza, 
ma per la via della scienza, 
l’unica che, una volta aperta, 
non si chiuderà mai più, 
né consentirà smarrimenti"

Immanuel Kant

Indice
Dedica e ringraziamenti  VII

Avvertenza  IX

Prefazione  1

Unità 1. La filosofia come ’scienza della saggezza’  9
 
Unità 2. Sul rapporto tra filosofia, religione e scienze  11
 
Unità 3. La conoscenza filosofica come ’idealismo’, ossia ’sistema ordinato di idee’  15
 
Unità 4. Teoria dell’Io Capisco: a. L’oggettività della conoscenza come verità logica e di fatto 17
 
Unità 5. Teoria dell’Io Capisco: b. La ragione come unità di uomo e natura, soggetto ed oggetto   21
 
Unità 6. Teoria dell’Io Capisco: c. Il monismo logico  23
 
Unità 7. Il Logos o Ragione assoluta  27
 
Unità 8. Il concetto di ‘Spirito Assoluto’ e l’essere umano nella sua universalità come Assoluto   39
 
Unità 9. Lo ‘Spirito Assoluto’ come Religione Razionale Filosofica  41
 
Unità 10. Lineamenti fondamentali della civiltà filosofica  45
 
Unità 11. La struttura logica dell’etica: il riconoscimento  47
 
Unità 12. Valori etici della nuova civiltà: a. Umanità e Stato Mondiale  51
 
Unità 13. Valori etici della nuova civiltà: b. Lavoro e Società Civile   55
 
Unità 14. Valori etici della nuova civiltà: c. Amore e Famiglia  59
 
Unità 15. L’eticità come felicità e autorealizzazione dell’essere umano     63
 
Conclusione: La verità filosofica ed il mondo attuale      65


Dedica e Ringraziamenti

Dedico questo lavoro a mio figlio Mervin, il primo lettore di questo libretto ed anche l’amico con cui ho potuto discuterne ogni singola parte. Nonostante la sua giovane età, Mervin ha saputo darmi dei consigli preziosi, fornire delle ulteriori idee da sviluppare e, soprattutto, rendere meno solitario il lavoro di redazione del testo. È stato molto coinvolgente da un punto di vista esistenziale avere qualcuno con cui discutere i contenuti, che ritenesse importante starmi ad ascoltare, esprimermi la propria opinione e condividere silenziosamente anche la problematica umana che si cela sempre dietro un serio testo di filosofia. 

Auguro a lui, come del resto a chiunque altro, di aver la fortuna di poter condurre la propria vita in dialogo continuo con se stesso, alla ricerca della verità filosofica. Da quest’altezza tutte le vicende umane perdono la loro presunta importanza, la vita stessa diventa più leggera e l’essere umano entra in contatto diretto con l’Assoluto. Il risultato è un senso di serenità e di pienezza, che costituisce poi il presupposto della saggezza.

Desidero poi rivolgere un ringraziamento amorevole al mio gruppo di fedeli studenti ed uditori dell’Università degli Studi di Urbino, che frequentano con encomiabile assiduità e profondo interesse il mio seminario di Introduzione alla filosofia. Nell’ambito di tale seminario ho esposto durante gli ultimi due anni il contenuto di questo libretto. Il confronto vivo nei nostri incontri, il dibattito costante che li ha ravvivati e tuttora li ravviva, sono stati fondamentali per farmi capire che la via della divulgazione della grande filosofia sistematica classica merita oggi sicuramente di essere percorsa, insomma che la direzione scelta era quella giusta. 

Per la lettura e revisione del testo definitivo ringrazio in particolare: Lucia Bedini, Mauro d’Arco,  Eliana de Angelis, Irene Mazzanti e Andrea Sponticcia. 

La persona che ha reso tutto ciò possibile e che pertanto rappresenta la colonna sulla quale l’intera impresa regge, è il prof. Giacomo Rinaldi, titolare della Cattedra di Filosofia Morale e Filosofia Teoretica del Dipartimento di Economia, Società e Politica dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. 
In un tempo, quello nostro, che ha messo da parte la grande metafisica classica e così ha rinunciato ai principi primi non solo del sapere, ma anche dell’etica e quindi della vita stessa, egli è rimasto uno dei pochi, anzi pochissimi, a livello mondiale a battersi coraggiosamente per questo tesoro dell’umanità, per questo fondo di eterna verità al quale abbeverarsi, proprio e soprattutto nei periodi più difficili, quale quello attuale indubbiamente è.  
Certo oggi, abbagliati dalla materialità e dalla fugacità di ciò che ci viene indicato come valore dalla società dell’usa e getta, siamo poco propensi a comprendere, al contrario, il valore di ciò che è eterno, che non passa e non cambia, che è vero oggi come era vero ieri e come lo sarà domani, quindi dei principi primi, dunque della vera filosofia. Questa si usa, qualora se ne capisca il valore, ma non si getta, perché sarà utile alle prossime generazioni come lo è oggi per noi, anzi la si deve curare e migliorare, proprio affinché altri, dopo di noi, possano usarla anch’essi per vivere meglio, ed a loro volta migliorarla ancora, per far vivere ancor meglio i propri, poi, di figli e di posteri. 
E così, grazie a questi pochissimi uomini che, anche in tempi superficiali come il no-stro, tengono vivo l’amore per il sapere metafisico classico, per la vera filosofia, essa non muore; sembra a volte, è vero, moribonda, ferita, ma poi prima o poi risorge, perché è troppo importante, anzi assolutamente indispensabile, per l’umanità.
Così un giorno, quando essa risorgerà, come già in altri tempi, che pur la dichiaravano morta, è poi inaspettatamente risorta, quando riprenderà ad ardere il fuoco della vera filosofia, della metafisica sistematica, allora ci si ricorderà di chi, in tempi difficili e ad essa poco propizi, ha nondimeno tenuto coraggiosamente accesa quella fiammella che ha poi permesso a tale fuoco di riprendere a brillare come una volta.

Infine, i miei ringraziamenti vanno al Dipartimento di Economia, Società e Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino, nei cui locali è gentilmente ospitato il mio seminario, in particolare al suo Direttore, prof. Marco Cangiotti, ed al Coordinatore della Scuola di Politica e Scienze Sociali, prof. Luigi Alfieri.    

 
Avvertenza

Questa prima versione di Filosofia per Tutti è identificata come versione 1.0, il che evidentemente significa che l’autore ha in mente di darne in futuro una versione 2.0 e così via. Infatti, la produzione di programmi per l’informatica negli ultimi decenni ci ha educati all’elaborazione di un medesimo programma in più tappe, con continui miglioramenti, che tuttavia non conducono ad un vero e proprio nuovo programma, ma al miglioramento, almeno presunto, di quello originario.
Paradossalmente, non in modo diverso si sviluppa la filosofia e l’elaborazione dei si-stemi filosofici. Hegel, ad esempio, il pensatore al quale principalmente ci rifacciamo, nella propria vita ha rielaborato diverse volte il proprio sistema filosofico, del quale esistono quindi diverse versioni.
La prima, redatta a Jena negli anni 1804-06, per quanto non ancora pubblicata né pie-namente sviluppata, contiene tutte le parti principali del sistema filosofico. Essa può quindi essere considerata ad ogni diritto la versione 1.0 del sistema filosofico hegeliano.
Negli anni seguenti il filosofo approfondì e pubblicò prima varie singole parti del si-stema (la Fenomenologia dello Spirito nel 1807, poi la Scienza della Logica in tre volumi dal 1812 al 1816), per poi pubblicare per la prima volta nel 1817 l’intero sistema filosofico, ossia l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche. Essa contiene i principi primi di tutte le discipline filosofiche e corrisponde, in modo quantitativamente più approfondito, ma qualitativamente identico, al sistema filosofico del 1804-06. Questa versione può essere considerata pertanto come la 2.0.
Nel 1827, dieci anni dopo ed in seguito alla pubblicazione singola di un’altra parte importante del sistema, i Lineamenti di Filosofia del Diritto (1821), Hegel pubblicò una nuova versione dell’Enciclopedia, che quindi possiamo considerare come la 3.0.
Infine, nel 1830 pubblicò un’altra versione ancora, l’ultima, che quindi possiamo identificare come la 4.0.
Anche nel periodo del suo insegnamento presso il Liceo di Norimberga il nostro ela-borò, senza pubblicarle, varie versioni del sistema, le quali si collocano quindi tra la 1.0 e la 2.0 rispetto all’elenco fornito qui così a scopo illustrativo, e potrebbero quindi essere considerate anch’esse delle versioni intermedie.
È importante sottolineare il fatto che si tratta della stessa opera e dello stesso contenuto, i paragrafi vengono alcuni spostati, altri espunti, altri ancora aggiunti, insomma si hanno degli approfondimenti e dei miglioramenti, ma non tali da sconvolgere l’impianto dell’opera e farla diventare diversa sostanzialmente dalla prima versione, quella di Jena. 
Potremmo dire che Hegel ha addirittura precorso anche gli sviluppi futuri dell’informatica e capito quanto sia importante dare delle versioni sempre più aggiornate e più complete delle proprie opere, soprattutto poi quando si tratti di un sistema filosofico. Un sistema, infatti, deve abbracciare fondamentalmente l’intero quadro del sapere umano, perché, come vedremo, questa è una delle caratteristiche peculiari della filosofia, e non si può pensare che nella prima versione il contenuto sia già tutto presente nei particolari. Esso sarà presente all’inizio nelle linee generali e poi dopo qualche tempo, grazie a nuove versioni dell’opera, potrà essere aggiornato, aumentato, approfondito ecc. Dopo tutto il filosofo è un uomo come gli altri, che ha bisogno di tempo per procedere nei propri studi, per pervenire a nuove conoscenze ed inserirle organicamente nel quadro sistematico che egli, sulla base dei principi primi assunti, è in grado di elaborare, fornendo così prima di tutto a se stesso, poi anche ai propri lettori una visione ordinata, sistematica e logica del sapere. 
In questo senso allora la nostra Filosofia per Tutti attuale è la versione 1.0, e noi ci riserviamo di presentarne una versione ampliata ed approfondita in un prossimo futuro, senza per questo mai stravolgere la sua caratteristica originaria, che è quella di ambire ad essere un sistema filosofico espresso in modo divulgativo. 
Tale modo di pubblicare è  vantaggioso per il divulgatore e per il lettore; il pensatore può iniziare a presentare al pubblico il proprio sistema filosofico completo -  anche se non ancora sviluppato in tutte le parti -  senza aspettare una ’fine dei lavori’ cui, alla fine, non si perviene mai, in quanto il processo di assimilazione del sapere e del suo inserimento in un quadro sistematico ed organico è in linea teorica infinito. Si può, infatti, sempre aggiungere altro in un sistema, essendo il suo oggetto, il contenuto del mondo e della vita umana nel mondo, di per sé senza limite. Anche il lettore trae un chiaro vantaggio da questo modo di procedere, poiché egli può familiarizzare con i principi primi del sistema filosofico, i quali evidentemente si troveranno già nella prima versione, la più semplice, e poi in seguito può avvicinarsi alla seconda versione, più complessa ed anche quindi più ’difficile’, avendo già una confidenza con il testo ed il modo dell’autore di trattare la materia. 
Una politica dei piccoli passi, insomma, che non può che essere utile ad entrambi, au-tore e lettore.
Un’ultima considerazione riguarda la creazione di una pagina facebook come interfaccia tra l’autore ed i lettori del libro. Essa consente ai lettori, che avessero difficoltà nella comprensione di alcuni concetti, di chiedere spiegazioni online all’autore, alle quali egli si curerà di rispondere in tempi brevi. Solo così questo libretto, come qualsiasi altro testo che voglia essere divulgativo, può essere veramente ‘per tutti’, perché è assolutamente normale che la lettura di un testo filosofico, per quanto esso possa esser stato scritto in maniera facile, nondimeno presenti delle difficoltà logiche che solo l’autore può spiegare in modo adeguato. In tal modo, grazie alla tecnica moderna, qualsiasi difficoltà può essere in linea di principio superata e la filosofia messa definitivamente e completamente a disposizione di coloro ai quali essa alla fine è diretta, ossia di tutti gli intessati indipendentemente dal grado di preparazione scolastica.
L’indirizzo facebook è il seguente: www.facebook.com/www.filosofiapertutti.it

 
Prefazione

Sul senso e la necessità attuale di un manuale di filosofia

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Il presente volume è un manuale di filosofia, di carattere divulgativo. In esso è esposta una concezione del mondo e del senso dell’esistenza umana nel mondo, quale risulta dalle opere dei grandi filosofi, quelli ritenuti a buon ragione ’classici’. In particolare esso si fonda sul sistema filosofico di Hegel, che è sicuramente l’ultimo pensatore che possiamo definire ’classico’. Gli altri pensatori, a lui successivi, sono da considerare anzitutto sicuramente di minore portata speculativa, in quanto non hanno abbracciato l’intero sapere, come invece nel caso di Hegel e dei classici a lui precedenti, ma poi ancora non hanno superato lo scoglio dei secoli per poter venir definiti dei ’classici’. 

Ciò non significa ovviamente, che il sistema filosofico di Hegel venga considerato come la verità assoluta ed ultima. Esso infatti in questo manuale viene ’superato’, nel senso anch’esso dialettico ed hegeliano di ’aufgehoben’, ossia anche conservato. Il filosofo tedesco ha, infatti, ben spiegato che la storia della filosofia, come la storia  di qualsiasi altro ramo del sapere, si basa sul progresso delle conoscenze, per cui una concezione filosofica successiva contiene anche l’apporto dato dalla precedente, ma contemporaneamente lo supera. Nella storia della filosofia c’è, dunque, un accrescimento di conoscenza, per cui noi, partendo dall’ultima grande filosofia classica, seria, e sviluppandola, possiamo essere sicuri di proseguire sul binario di tale progressivo accrescimento del sapere filosofico. 

Naturalmente il nostro riconoscere nel sistema filosofico di Hegel l’ultima grande filosofia classica, non c’impedisce di presentarla e svilupparla ulteriormente e di tener conto dei pensatori, ancora non ’classici’, ma comunque interessanti ed importanti, venuti dopo di lui. Per cui la nostra presentazione del pensiero di Hegel come risultato della storia della filosofia sarà al contempo una sua rielaborazione anche alla luce dei pensatori venuti dopo il grande filosofo tedesco.

Lo scopo di questo lavoro è triplice: 

-  da una parte elaborare una filosofia scientificamente fondata ed oggettiva, avente quindi un valore assoluto, indipendente dal soggetto che la elabora; 

-  in secondo luogo, esporla in un linguaggio semplice, comprensibile ad una persona di media cultura e preparazione scolastica; 

-  infine, la filosofia esposta in questo manuale si presenta come la concezione razionale del mondo e del senso della vita umana propria dei popoli dell’Europa, ossia di quei popoli che sono stati i protagonisti dello sviluppo della storia della filosofia come ricerca razionale della verità, ma anche ovviamente di tutte quelle persone le quali, pur non appartenendo ad uno di tali popoli europei protagonisti della rivelazione della verità filosofica sulla Terra, nondimeno orientino il proprio modo di pensare e di agire secondo tale disciplina. 

Nata in Grecia intorno al VI secolo a.C., la filosofia ha raggiunto il proprio apice, almeno momentaneo, nella Germania del secolo XIX con Hegel, sviluppandosi nei secoli di mezzo tra questi due periodi in vari stati europei, dei quali ha formato la coscienza razionale, libera e democratica, che oggi vediamo rappresentata a livello politico nell’Unione Europea. Altri Stati, formatisi in vario modo anche a partire dalla coscienza filosofica europea, per es. gli Stati Uniti d’America, gli Stati sudamericani, la Russia e gli Stati che fino a pochi decenni fa appartenevano all’Unione Sovietica, fanno ugualmente parte di questa storia, ma in modo esteriore, secondario, derivato e non originale. Gli Stati europei invece sono da considerare la vera e propria patria della filosofia, il luogo in cui l’Assoluto, la verità razionale, si è presentata nel mondo, almeno per quanto riguarda il nostro bel pianeta.
Approfondiamo ora singolarmente questi tre punti.

1. L’esigenza attuale di una filosofia che sia scientificamente fondata ed abbia un valore oggettivo di verità

Lo scopo principale di questo lavoro è, dunque, anzitutto l’elaborazione di una filosofia oggettiva, quindi valida in sé poiché autofondata, sulla base dell’ultimo grande sistema filosofico dell’umanità, quello di Hegel. Lo stesso pensatore tedesco ha chiarito nelle proprie Lezioni di Storia della Filosofia come la storia della filosofia non sia per nulla una sequenza di opinioni soggettive dei vari pensatori, per cui il lettore ne può scegliere altrettanto soggettivamente una e farla propria, quanto piuttosto una vera e propria sequenza logica di sistemi filosofici, ognuno dei quali si fonda sul precedente e realizza a sua volta un progresso nella conoscenza. Hegel ha saputo dimostrare con adeguati argomenti logici come alla base della storia della filosofia ci sia un chiaro progresso scientifico, che noi oggi potremmo paragonare a quello proprio della storia delle scienze naturali empiriche. 

Le scienze empiriche, in quanto fondantesi sulla verità, comunemente accertata, del progresso scientifico-sperimentale, sono poi in grado di elaborare manuali sia scientifici sia divulgativi, ossia testi contenenti i risultati principali e ritenuti universalmente validi di una determinata disciplina (fisica, chimica ecc.). La filosofia invece, poiché la concezione hegeliana del progresso scientifico-deduttivo non è riuscita fino ad oggi ad imporsi nella comunità filosofica, non è stata fino ad oggi in grado di presentare alcun manuale se non di storia della filosofia, ossia come raccolta cronologica ed informativa delle opinioni soggettive di chi è stato tradizionalmente considerato ‘filosofo’.

La conseguenza di ciò è gravissima. Nonostante la nostra società occidentale si fondi manifestamente sulla filosofia -i concetti di democrazia, libertà, razionalità, dignità dell’uomo sono concetti filosofici, in particolare propri dell’Illuminismo-, essa non è attualmente in grado di fondare in modo oggettivo e scientifico tali principi e quindi neanche di insegnarli ai giovani né tanto meno di respingere con argomentazioni filosofiche convincenti coloro che li attacchino. Le derive dittatoriali della democrazia nel novecento tra le altre cause sono state anche dovute al fatto che le giovani democrazie non erano fondate filosoficamente e quindi in grado di ribattere in modo forte da un punto di vista argomentativo alle concezioni dittatoriali sia fasciste e naziste sia comuniste, che erano al contrario fortissime ed argomentatissime (per quanto in modo fallace ed ideologico, non scientifico).

Questo è un pericolo sempre incombente sulle democrazie, giacché ancora oggi esse non sono fondate in modo forte e scientifico. A salvarci da derive populiste e dittatoriali è il ricordo di quel che esse hanno causato nel novecento, ricordo però che andrà progressivamente sbiadendo nel tempo col trapassare delle generazioni che hanno vissuto direttamente o indirettamente, attraverso i racconti dei parenti, le atrocità della prima e poi soprattutto della seconda guerra mondiale.

Sulla base di queste considerazioni, si perviene pertanto alla seguente conclusione: è assolu-tamente fondamentale ed improcrastinabile oggi costruire la filosofia come scienza, prendendo sul serio la concezione hegeliana della storia della filosofia e considerando quindi l’ultimo grande sistema filosofico, quello dello stesso Hegel, come il punto di arrivo, naturalmente temporaneo, di tale disciplina. È da questa filosofia che occorre ripartire oggi per elaborare un manuale attuale di filosofia, il quale si basi appunto su tale sistema filosofico, considerandolo il risultato scientifico del progresso della storia della filosofia precedente. Considerati i circa duecento anni intercorsi dalla morte del pensatore tedesco, il suo sistema dev’essere ripreso, tenendo nella giusta considerazione lo sviluppo sia etico-politico sia scientifico e filosofico, avvenuto in questo lungo intervallo temporale.

Il sistema filosofico hegeliano sarà, dunque, attualizzato, ossia letto con gli occhi di chi vive oggi, conosce i problemi odierni, diversi evidentemente da quelli del tempo di Hegel e cono-sce naturalmente anche quelle critiche che sono state – alcune anche giustamente - mosse al filosofo tedesco. Nondimeno, pur considerando tali aspetti problematici e pertanto guardando con occhi anche critici il sistema filosofico hegeliano, occorre riconoscere che esso è l’ultimo vero e proprio sistema filosofico dell’umanità, quindi l’ultima filosofia elaborata in modo rigoroso, serio, scientifico. Dopo Hegel i vari pensatori, che si sono susseguiti, sono stati meri storici della filosofia e ripetitori di questo o quel sistema filosofico del passato oppure saggisti illuminati, pensatori che hanno avuto idee anche brillanti però nella forma di opinioni soggettive proprie, non esposte e fondate in modo sistematico e scientifico.

Occorre pertanto ripartire da Hegel, attualizzare il suo sistema, individuando gli stessi errori commessi dal filosofo e correggendoli in una nuova versione del suo sistema filosofico. Tale nuova versione dell’idealismo assoluto hegeliano sarà appunto il manuale di filosofia della nostra epoca, corrispondente dal lato della conoscenza filosofica a quel che i manuali cosid-detti ‘scientifici’ sono dal lato della conoscenza empirica. La filosofia è una forma di cono-scenza scientifica anch’essa ed al suo manuale deve essere riconosciuto un valore di verità di certo non inferiore a quello della fisica, della chimica ecc. 

In tal modo vanno fondati in modo rigoroso, serio e scientifico i valori politici (Stato, libertà, democrazia), come anche quelli etici (razionalità, dignità umana, famiglia, lavoro) e viene così fornito un fondamento serio,  insegnabile ai giovani, alla nostra cultura democratica, una cultura intrisa profondamente di filosofia, ma spesso ignara di ciò. Questo manuale intende pertanto semplicemente rendere le odierne democrazie pienamente consapevoli della struttura filosofica del proprio modo di pensare e di vivere.

2. La forma divulgativa in cui la filosofia oggettiva, seria e scientifica deve essere esposta

Proprio perché d’importanza cruciale per i fondamenti della nostra società, tale manuale di filosofia deve essere scritto in una forma comprensibile a tutti e non soltanto agli studiosi della disciplina. Il pubblico, cui esso si rivolge, è il grande pubblico formato da tutti coloro i quali, avendo una preparazione scolastica di base e nutrendo interessi di tipo culturale e quindi generalmente filosofici, sono assetati di verità. In modo particolare esso si rivolge poi a coloro i quali hanno abbandonato la religione tradizionale, senza essere però ancora riusciti a sostituirla con un altro quadro, di tipo razionale, nel quale inserire la propria comprensione del mondo e della vita umana in esso. Si tratta di un bisogno diffusissimo oggi, quello in linea generale di una religione razionale o di una filosofia religiosa, insomma da una parte di una filosofia che non sia soltanto disciplina accademica, ma anche orientamento di vita, e dall’altra di una religione che non sia dogmatica, ma accettabile dalla ragione. 

I filosofi dell’idealismo classico da Kant e Hegel si confrontarono duecento anni fa in Germania proprio con tale problematica, anticipando notevolmente i tempi nostri. Quel che essi sentirono e vissero in prima persona da intellettuali, come avanguardia filosofica, è oggi diventato ormai un bisogno di tutti coloro che, avendo abbandonato la religione tradizionale e non accettando la pura negazione atea di qualsiasi valore oggettivo, sono alla ricerca di una verità oggettiva razionale. Tale ricerca non trova al momento alcuna risposta seria e valida a livello filosofico-divulgativo. 

La pubblicazione in questione intende colmare tale enorme vuoto nell’offerta formativa. Essa quindi, pur presupponendo da parte del suo autore intensi studi specialistici di carattere storico-filosofico, non si rivolge tanto soltanto ad un pubblico di specialisti, bensì anche al grande pubblico. 

3. L’identità europea come identità filosofica

Dal punto di vista del rapporto con l’attualità storica, il presente libretto vorrebbe svolgere una funzione di sostegno filosofico al processo di unificazione europea. Oggi, infatti, c’è bisogno di più e non di meno Europa. Ma c’è bisogno di una vera Europa, dunque finalmente degli Stati Uniti d’Europa. Essi devono essere fondati su alcuni valori etici, risultato della storia della filosofia, la quale è stata appunto fondamentalmente, come già detto, un fenomeno europeo. Attraverso tale storia si è formato il popolo europeo, che ispira il proprio pensiero ed il proprio comportamento a valori razionali quali la libertà, la democrazia, la giustizia sociale.

Ma c’è soprattutto un valore fondamentale che gli Stati Uniti d’Europa rappresentano nel mondo: il valore della pace. Paesi che soltanto fino a 70 anni fa si sono per secoli e millenni combattuti e distrutti a vicenda, hanno capito che ciò è sbagliato e si sono di comune accordo uniti in una compagine continentale, all’interno della quale oggi è assolutamente impensabile che possa avvenire una guerra. Questa è una grande lezione di fratellanza, pace, serietà etica e responsabilità verso le generazioni future che l’Europa impartisce al mondo intero! È la conquista dell’Identità Filosofica Europea come popolo ed anche Stato definitivamente votato a portare la pace prima di tutto al proprio interno, poi in tutto il mondo. È il significato storico e filosofico dell’Europa!

Sta a tutti noi comprendere tale significato, volerlo profondamente e viverlo nella nostra vita di tutti giorni. Dobbiamo essere fieri di essere Europei e sentirci nel nostro cuore e nella nostra mente portatori di un messaggio filosofico, dunque fondato razionalmente, di pace universale. Tal è il nostro compito storico, il nostro supremo dovere etico e politico.

Anche se questo è un momento di crisi in Europa ed a volte le decisioni prese a Bruxelles non ci convincono, come del resto le decisioni di qualsiasi governo anche nazionale possono a volte non convincere, nondimeno ciò non ci deve mai far dimenticare il significato etico e politico degli Stati Uniti d’Europa. Quando finalmente si passerà dall’unione monetaria ed economica a quella politica ed esisterà un vero e proprio Stato Europeo, allora lo scacchiere politico mondiale cambierà. L’Europa potrà alzare la voce anche nei confronti delle altre potenze continentali e pretendere che il messaggio di pace, che essa ha fatto valere al proprio interno, valga anche al proprio esterno, nel mondo intero. C’è bisogno nel mondo di questa grande potenza votata definitivamente alla pace. Dobbiamo tutti sperare che ciò possa avvenire in tempi ragionevoli ed impegnarci anche affinché ciò avvenga, per il bene dei nostri figli e dell’umanità tutta.

Il tempo degli Stati nazionali è passato. Come i villaggi diventarono città, le città regioni e le regioni Stati nazionali, ora è il momento che gli Stati nazionali divengano Stato continentale europeo. Questo è il passo politico da fare nei prossimi decenni in Europa, questo è il senso del corso della storia.

Questo piccolo libretto intende mostrare cosa significhi essere ‘Europei’, ossia impostare la propria vita sulla filosofia e quindi, per uno Stato, la vita politica sul bene assoluto della pace, senza la quale non ci può essere né libertà né giustizia né benessere economico né infine qualsiasi altro valore umano.

Al di là delle differenze nazionali tra i popoli europei, che pure ancora esistono, ma diventano di anno in anno sempre meno importanti, vi è una mentalità comune europea. È proprio tale mentalità comune europea che il presente libretto cerca di portare alla luce, di far emergere. I popoli europei devono diventare coscienti di ciò, ossia di quel che fondamentalmente già si sta realizzando, dunque di tale comunanza di valori. Una volta che essi ne saranno diventati coscienti, allora sapranno con certezza e chiarezza quali sono i veri valori che li accomunano e quindi comprenderanno che ciò è il risultato della loro storia, in primo luogo della storia della filosofia dunque.

Infatti, ormai tra i paesi europei non esistono più vere e proprie differenze radicali nei valori etici e quindi dei modi di vita. Pertanto il tempo è ormai maturo affinché si passi dalla unione monetaria ed economica a quella etica e politica. Il popolo europeo sta definitivamente nascendo ed ha diritto, come qualsiasi popolo, ad avere un vero e proprio Stato che lo rappresenti: gli Stati Uniti d’Europa.

Dobbiamo sperare tutti che ciò avvenga ed impegnarci tutti affinché ciò si realizzi nel modo migliore ed in tempi ragionevoli! Questo libretto vuole essere un contributo fondamentale alla creazione degli Stati Uniti d’Europa attraverso la comprensione teorica di cosa significhi essere ’Europei’. Per questo motivo esso da una parte porta il titolo Filosofia per Tutti, rivolgendosi  a chiunque desideri comprendere la vita e l’etica da una prospettiva puramente razionale;  dall’altra il sottotitolo Manifesto per l’identità Filosofica Europea, giacché esso delinea i valori fondamentali, sui quli dovrebbero fondarsi gli Stati Uniti d’Europa, in quanto essi già formano la mentalità di buona parte dei cittadini europei.

Unità 1

La Filosofia come ‘Scienza della Saggezza’

*

La filosofia non è una scienza esteriore rispetto a colui che la studia o la insegna, perché essa fa tutt’uno con la personalità di chi se ne occupa. Non è un ufficio che apre ad una certa ora e chiude ad un’altra, né un lavoro che si può fare per motivi puramente economici, né ancora una scienza che abbia dati oggettivi per esempio misurabili, sperimentabili, indipendenti dallo studioso. Al contrario, essa consiste nell’interiorità, nell’anima di chi la professa. 

In particolare, due sono gli aspetti fondamentali di quest’affascinante disciplina: un primo aspetto, di carattere teoretico, è il sapere, la conoscenza del mondo nel quale, come esseri finiti, ci troviamo a vivere; il secondo, di carattere più propriamente pratico,  riguarda l’agire dell’essere umano, il senso che si dà alla propria esistenza in questo mondo, i valori che ne ispirano le azioni. 

Il primo aspetto può essere definito come l’aspetto scientifico, dunque la filosofia come ‘scienza’ propriamente detta. Di questo sapere, dunque di questo insieme di conoscenze che naturalmente riguardano i principi primi delle scienze, non i loro aspetti specialistici, ha bisogno il filosofo per dedurne delle indicazioni per il secondo aspetto, quello pratico. 

Il secondo aspetto può essere definito come ‘saggezza’, ossia una certa capacità di fare delle scelte equilibrate, indovinate nella propria vita, che consentono di viverla nel miglior modo possibile, considerate le circostanze concretamente date. 

Il compito della filosofia, infatti, è, sulla base della conoscenza del mondo, fornire delle indicazioni anzitutto a se stessi, poi eventualmente anche agli altri, utili per condurre una vita saggia ed equilibrata. Da questo punto di vista il termine stesso ‘filosofia’, che dal greco significa ‘amore del sapere’, ma anche la ricerca della saggezza, indica perfettamente questo carattere prettamente esistenziale della filosofia, fortemente legato alla vita di chi se ne occupa. Il filosofo è infatti colui che ama la scienza, ama il sapere in quanto gli fa conoscere il mondo in cui vive, ma li ama non per uno scopo meramente teoretico di pura contemplazione oggettiva di ciò che lo circonda, quanto piuttosto con il forte interesse pratico di ricavare da tale conoscenza delle indicazioni per sapersi poi muovere nelle vicende quotidiane della vita.

Ecco perché introdurre qualcuno alla filosofia, per una persona che viva tale disciplina come vocazione e stile di vita, non solo come professione, non può essere altro che introdurlo nel proprio mondo interiore, nella temporanea sintesi raggiunta dopo anni ed anni di riflessioni, di studi, di vita etica fatta anche di errori, ripensamenti e correzioni oltre che di successi e realizzazioni positive.

Tale mondo interiore dell’autentico filosofo naturalmente conterrà in sé anche i ‘mondi inte-riori’ degli altri filosofi precedenti, dei quali naturalmente non si può non tenere conto, quando si elabora una propria filosofia. Ma, per quanto un pensatore autentico possa studiare il pensiero precedente e riferirsi anche ad esso, inevitabilmente lo filtrerà attraverso la propria individuale ed irripetibile personalità, le proprie personali ed altrettanto irripetibili riflessioni e realizzazioni etiche. Pertanto il mondo interiore suo sarà proprio suo, alla fine soltanto suo.

Sintetizzando, la filosofia è allora un atteggiamento di amore del sapere e della scienza per ricavarne un proprio stile di vita razionale, basato sulla conoscenza scientifica del mondo, che definiamo in linea generale ‘saggio’. L’unità dei due aspetti, il sapere propriamente teoretico ed i principi dell’agire pratico, da questo ricavati, formano la ’sapienza’. Per cui alla fine il filosofo può essere anche definito come ’sapiente’.

Il pensatore tedesco Immanuel Kant ha espresso molto bene questa compresenza dei concetti di scienza e di saggezza nel concetto della filosofia ed il rapporto che li lega, nel seguente passo:

“Questa (la filosofia) riferisce tutto alla saggezza, ma per la via della scienza, l’unica che, una volta aperta, non si chiuderà mai più, né consentirà smarrimenti."

(Critica della ragion pura, trad. it. Bari 1977, p. 641).

La filosofia secondo il concetto kantiano può esser definita, allora, come la ‘Scienza della Saggezza’.


Unità 2

Sul rapporto tra filosofia, religione e scienze

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C’è, a dire il vero, un’altra attività dell’uomo (nel senso generale di essere umano, come il tedesco ‘Mensch’, che indica l’essere umano, mentre il termine ‘Mann’ indica la componente maschile della specie) che, come la filosofia, dà all’essere umano delle indicazioni sul modo di comportarsi, sul modo di vivere, fondandole su una visione del mondo: si tratta della religione. Essa, però, si basa su un dogma, un principio primo che come tale non è oggetto di sapere o di conoscenza, ma di fede. La filosofia, invece, si differenzia dalla religione per il fatto che essa deve conoscere, quindi spiegare razionalmente, anche il proprio primo principio, quello che i filosofici greci chiamavano ’archè’.

La filosofia è, dunque, `autofondata`, ossia il primo principio deve essere in grado di spiegare razionalmente se stesso; per questo motivo essa è diversa dalla religione, non tanto per il contenuto o per lo scopo, che sono gli stessi, quanto per la forma della conoscenza, che è invece del tutto diversa. La filosofia aspira, infatti, ad essere radicalmente scienza, radicalmente conoscenza, ossia non accetta alcun principio, alcuna verità che non sia dimostrabile dalla ragione. 

Da questo punto di vista potremmo allora dire che la filosofia  ha il contenuto della religione, ma la forma della scienza ed è la scienza suprema, la scienza che include in sé tutte le altre scienze sia quelle naturali sia quelle umane e sociali.  La parte teoretica della filosofia, infatti, quella che dunque riguarda la conoscenza del mondo, non può prescindere dalla conoscenza dei risultati fondamentali delle scienze particolari. Nell’antichità spesso la figura del filosofo e dello scienziato coincidevano, in quanto le conoscenze non erano ancora tanto sviluppate da rendere necessaria una specializzazione nei vari campi del sapere. Oggi chiaramente ciò non è più possibile, gli scienziati sono intellettuali che studiano un campo specifico, spesso molto circoscritto, di una disciplina e solo così riescono a produrre risultati originali e quindi nuove conoscenze. Il filosofo non può conoscere nei minimi particolari i risultati delle varie scienze, né ciò gli è peraltro richiesto dal suo scopo, che è, come detto, ricavare dalla conoscenza del mondo un modo saggio di vivere. Ciò di cui il filosofo ha bisogno è una conoscenza dei principi generali delle varie scienze, dei risultati fondamentali, cui queste hanno condotto. Ciò è peraltro facilmente realizzabile, esistendo oggi molte pubblicazioni scientifiche di carattere divulgativo, ossia contenenti i risultati aggiornati e completi delle varie discipline scientifiche, che vengono però esposti in modo comprensibile al grande pubblico di non specialisti, cui anche lo stesso filosofo appartiene. Non si tratta assolutamente di pubblicazioni improvvisate, bensì di vere e proprie opere scientifiche, che hanno però lo scopo ed il pregio di comunicare al grande pubblico nel linguaggio comune ed in forma semplice la visione del mondo scientifica, come essa risulta dalle scoperte specialistiche degli scienziati. 

In particolare la caratteristica della filosofia rispetto alle scienze è quella di organizzarle in un tutto sistematico, appunto il ’sistema della scienza’, come lo definisce Hegel, che deve corrispondere al mondo, oggetto della conoscenza. Se infatti il mondo è un tutto, come già soltanto il concetto stesso di ‘mondo’, di ‘natura’, indicano, allora anche la sua forma conoscitiva deve essere un tutto, un sistema dunque, nel quale le singole scienze trovino posto e non in modo casuale, bensì organico.

Immaginiamo di metter su una biblioteca, la nostra biblioteca: se lo facciamo in modo casua-le, disponiamo i libri secondo, per esempio, un ordine alfabetico, quindi metteremo prima i libri di aritmetica, poi di astronomia, poi magari di biologia, di chimica e così via. Evidente-mente una biblioteca organizzata così non rispecchierà l’immagine del mondo, corrispondente alla nostra attuale conoscenza del medesimo. La fisica, per esempio, è chiaramente una scienza propedeutica rispetto alla chimica e questa rispetto alla biologia, perché anche nella stessa costituzione ed evoluzione del mondo le particelle elementari, gli atomi e le forze che regolano la natura vengono prima sia nel tempo sia in senso logico delle molecole chimiche, degli astri, delle forme di vita, che presuppongono tali forze, gli atomi e così via. Essa pertanto in senso logico e non alfabetico, quindi anche nel senso oggettivo della biblioteca come ‘specchio del mondo’, viene prima della chimica e della biologia, non dopo.

Quindi, se vorremo che la nostra biblioteca rispecchi il mondo, dovremo ignorare l’alfabeto e disporre i libri secondo un ordine logico di priorità di una disciplina - quindi di un settore, di un aspetto del mondo -, rispetto alle altre. Secondo quest’ordine di priorità avremo quindi anzitutto i libri di matematica, perché sappiamo che la natura è scritta in caratteri matematici, poi tutti i libri delle scienze della natura nell’ordine di propedeuticità che gli compete, pertanto fisica,  chimica, astronomia, botanica, zoologia e così via sino alle scienze dell’uomo, antropologia, psicologia, sociologia, quindi le scienze sociali, le quali presuppongono l’individuo singolo, dunque sociologia, economia, politica, poi ancora la storiografia, in quanto la società umana ha avuto un enorme sviluppo nel tempo. Studiando i risultati fondamentali di queste scienze, appunto tramite le ottime opere divulgative oggi disponibili, il filosofo può quindi pervenire ad una buona conoscenza del mondo sia quale esso è da un punto di vista logico sia quale esso è stato nel tempo, secondo una dimensione temporale (la storia del mondo). 

Come si è detto prima, questa conoscenza del mondo è per il filosofo non fine a se stessa, bensì finalizzata ad individuare poi un senso della propria esistenza nel mondo, quindi dei valori, un orientamento di vita, ciò che in generale abbiamo definito ‘saggezza’. La nostra biblioteca ideale, però, per come l’abbiamo appena descritta, tramite i suoi libri di storia ci porterà a conoscere il mondo fino a come è stato ieri o un minuto fa, ma cosa ne è del mondo di domani? Esiste una scienza, una forma di conoscenza razionale di quel che dovrebbe acca-dere domani, che sia quindi di orientamento al singolo ed alla comunità umana nelle scelte importanti inevitabilmente da fare? Nessuna delle scienze propriamente dette, né quelle naturali né quelle umane e sociali, può dare una risposta a tale domanda, in quanto esse presuppongono l’esistenza presente e passata del proprio oggetto, del proprio campo di ricerca. Anche l’economia e la politica come tali, che pur sembrerebbero rinviare al futuro, studiano invece dei modelli anche matematici (l’economia) di organizzazione socio-economico-politica della società, ma non danno delle indicazioni se realizzare questo o quel sistema economico-politico in futuro. 

Allora o questa parte della nostra biblioteca resterà vuota, priva di libri e quindi non potremo avere delle indicazioni razionali, logiche, scientifiche, relative al nostro domani individuale e sociale, oppure metteremo su quegli scaffali vuoti i libri di quell’unica disciplina che è sempre stata vicina all’uomo, che ha sempre accompagnato la sua vicenda terrena e che ha sempre cercato di sostenerlo, indicandogli la via giusta da percorrere: su quegli scaffali metteremo dunque i libri di filosofia.

La filosofia, allora, si differenzia dalle scienze propriamente dette perché essa è l’unica che sa trattare in modo logico e razionale il mondo che ancora non c’è, che noi stessi dobbiamo costruire e che qualcuno ci deve pur consigliare come costruirlo: il mondo di domani.

Così risulta chiaro, spero, il rapporto tra filosofia, religione e scienza ed il motivo per cui la filosofia, in quanto amore della scienza e ricerca della saggezza, è un’attività assolutamente indispensabile per l’uomo e per la comunità umana. Parafrando Kant, che parlava di intuizioni sensibili cieche  senza i concetti e di concetti vuoti senza le intuizioni, possiamo dire che senza la filosofia le scienze sono cieche, ossia non danno alcuna indicazione di vita all’uomo; grazie alla filosofia, invece, le stesse scienze assumono tutto un altro valore ed un’altra importanza nella nostra vita; come possiamo dire anche che senza la filosofia la religione è vuota, ossia si basa su di un principio primo dogmatico ed indimostrabile, non più accettabile al giorno d’oggi da parte di chi abbia studiato e quindi sia al corrente dei risultati delle scienze; grazie alla filosofia, la stessa religione acquista però un altro valore agli occhi dello studioso, che ne comprende il valore storico ed anche ancora attuale per coloro che non riescono - per vari motivi -  a pervenire al punto di vista pienamente razionale della filosofia. A queste persone la religione comunque dà, infatti, un orientamento etico per il futuro, dei valori, di cui nessun essere umano può fare a meno. 

Unità 3

La conoscenza filosofica come ’idealismo’, 
ossia ’sistema ordinato di idee’

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Il sistema della scienza, secondo l’immagine della biblioteca ideale, sembra dunque essere un insieme ordinato di oggetti naturali e spirituali (particelle elementari, atomi, molecole, minerali e rocce, piante, animali, esseri umani, società, storia passata, presente ed ancora da scrivere, quindi l’etica e la politica) e delle loro leggi di funzionamento e di sviluppo. Tutto ciò appare come un qualcosa di esterno rispetto a noi, d’indipendente dal nostro essere soggettivo. Le stesse scienze umane e sociali come anche la storiografia sembrano occuparsi di oggettività, sì umane, ma comunque sempre esterne rispetto a colui che le studia, le impara ecc.

In realtà quel che a noi sembra un oggetto è un concetto, il concetto appunto di quell’oggetto. La scienza pertanto è formata da concetti; il sistema della scienza, la biblioteca ideale, è un insieme ordinato di concetti divisi per comodità ed efficacia di studio in ambiti di sapere (le singole scienze), organizzate tra di loro secondo il rapporto della propedeuticità e della presupposizione.

Questo fatto inoppugnabile, ossia che la nostra conoscenza del mondo consti di concetti e non di oggetti, riguarda non solo la scienza propriamente detta, ma anche la filosofia e la religione. Qualsiasi filosofia, anche quella più materialistica che individui nella materia bruta il fondamento di tutto, come anche qualsiasi religione e le sue vere o presunte verità, anche quelle apparentemente più elevate e lontane dalla realtà, quali Dio, aldilà ecc. ecc. sono alla fine soltanto concetti. 

Ecco perché il grande pensatore idealista G.W.F. Hegel ha espresso con decisione nella pro-pria logica il principio che qualsiasi filosofia, ma anche qualsiasi religione, ed io aggiungo anche qualsiasi scienza, sia idealismo, ossia sequenza ordinata e sistematica di idee, concetti e che pertanto con questo termine non sia da intendere una corrente filosofica, ma qualunque forma di conoscenza umana del mondo. 

Così egli si esprime nella Scienza della Logica:

"La proposizione, che il finito è ideale, costituisce l’idealismo. L’idealismo della filosofia non consiste in altro che nel non riconoscere il finito come un vero essere. Ogni filosofia è essenzialmente idealismo, o per lo meno ha in esso il suo principio, e la questione allora non è se non di sapere fino a che punto esso viene effettivamente realizzato. La filosofia è idealismo tanto quanto lo è la religione; giacché neppure la religione riconosce la finitezza come un vero essere, come un che di ultimo, assoluto, o come un che di non–posto, d’increato, di eterno. L’opposizione di filosofia idealistica e di filosofia realistica è perciò priva di significato. Una filosofia che attribuisse all’esserci finito come tale un essere vero, ultimo, assoluto non meriterebbe il nome di filosofia."

(trad. it. Bari 1978, p. 192-193).

La visione del tutto, che deriva dalla nostra conoscenza scientifica, è allora un insieme ordinato, una visione del mondo, il cui contenuto fondamentale è appunto il mondo, la totalità di ciò che esiste, l’essere. Noi presupponiamo, infatti, che la totalità, di quel che è, sia un tutto ed esprimiamo tale tutto nella parola ‘mondo’. Il concetto ’mondo’ esprime pertanto l’oggetto della totalità dell’essere, come lo aveva individuato ed espresso per primo Parmenide, il filosofo greco ritenuto a ragione il fondatore della metafisica.

"…è infatti la stessa cosa pensare ed essere." 

(Frammento 3, da Diels-Kranz).

I termini in gioco in questo ragionamento sono due: ordine e concetto. Entrambi però coinci-dono. Il concetto di un albero per es. altro non è che il rapporto ordinato che esiste tra le parti che compongono l’albero, il tutto che individuiamo con il concetto di ‘albero’. Lo stesso discorso vale per qualsiasi oggetto, dal più piccolo al più grande. Certo nel caso del più piccolo, l’atomo, l’intagliabile, che però poi è risultato invece anch’esso tagliabile e formato da più parti (neutroni, protoni, elettroni), si potrebbe pensare ad un punto oltre il quale veramente non si possa più andare e quindi ad un concetto che non sia un insieme di parti. Questo è il limite ideale oltre il quale non possiamo andare.

Nondimeno l’essere umano per sua natura cerca e cercherà sempre il ‘più piccolo del minimo’ ed ‘il più grande del massimo’, secondo l’indovinato motto preposto da Hölderlin al suo romanzo Iperione e che riprende la seguente iscrizione sulla tomba di Ignazio di Loyola: 

“Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est”,

ossia: 

“Divino è non essere rinchiuso dal più grande, ma allo stesso tempo essere contenuto nel più piccolo”.

Il giovane Hölderlin ha infatti individuato nell’uomo la capacità di pensare il più piccolo del minimo ed il più grande del massimo, ossia di non arrestarsi mai né verso la ricerca del più piccolo né del più grande, né a ritroso nel tempo, in direzione del ‘cosa c’era prima’ né an-dando avanti nel tempo, verso ‘cosa ci sarà dopo’. Per tale sua capacità lo spirito umano si manifesta realmente come ciò che riesce a farsi più piccolo del minimo e più grande del mas-simo. Se un giorno l’uomo possa veramente pervenire ad un minimo e ad un massimo oltre il quale non si può più ad andare, non lo sappiamo; di certo l’essere umano continuerà sempre a cercare il più piccolo del minimo ed il più grande del massimo come anche ciò che sta prima dell’inizio e dopo la fine, non si accontenterà mai di un punto fermo oltre il quale non si possa andare.

Il sistema della scienza si presenta pertanto come un sistema di concetti, parti di un tutto che sono messe tra loro in un ordine ben preciso, che a sua volta deve corrispondere all’ordine che esse hanno nella realtà. E qui entra in gioco la problematica fondamentale della verità, ossia dell’accordo tra la conoscenza scientifica del mondo ed il mondo reale, tra il sistema dei concetti ed il sistema-mondo, tra il pensiero e l’essere. 

Il filosofo panteista Spinoza ha parlato a tal proposito di corrispondenza tra ordine delle idee ed ordine delle cose:

"Proposizione 7. L’ordine e la connessione delle idee è identico all’ordine e alla connessione delle cose." 

(Baruch Spinoza, Etica, trad. it. 1981, p. 73).

Hegel, il fondatore dell’idealismo assoluto, ha espresso lo stesso concetto come corrispondenza tra reale e razionale: 

"Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale." 

(Lineamenti di Filosofia del Diritto, Bari 1979).

Per ’reale’ Hegel intende qui la realtà effettuale, la Wirklichkeit, ossia il concetto della realtà, e non la realtà bruta, empirica, la Realität, ossia la realtà nella sua particolarità.

Insomma è un pensiero fondamentale della filosofia che il piano logico del pensiero e quello metafisico dell’essere coincidano.

Approfondiamo ora tale cruciale problematica e vediamo se, come e perché il sistema della scienza corrisponda al mondo, ch’essa vuole conoscere. 

Unità 4

Teoria dell’Io Capisco 

 a. L’oggettività della conoscenza come verità logica e di fatto

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La problematica fondamentale a tale riguardo è quella della verità e della conoscenza, ossia se l’essere umano sia veramente in grado di conoscere il mondo in modo oggettivo. In realtà si tratta di una falsa problematica, in quanto la conoscenza del mondo da parte dell’essere umano è un fatto, un qualcosa testimoniato nella vita quotidiana da mille azioni anche semplici, oltre che naturalmente complesse. Per es. se usiamo il sapone per lavarci le mani e queste effettivamente poi sono pulite, ciò si basa sulla conoscenza, in quanto uno o più elementi chimici, presenti nel sapone, producono tale effetto desiderato, il che significa pertanto che noi, grazie alla conoscenza di parti del mondo e della loro azione su di noi, siamo riusciti a pervenire ad un risultato coscientemente voluto. Per fare un es. più complesso, una navicella spaziale che atterra sulla luna è un esempio dello stesso principio, ossia della tecnica come applicazione con successo di conoscenza del mondo tramite le nostre azioni; un altro esempio è la medicina che nel giro di poco tempo ci fa passare il mal di testa o la febbre. Anche in questo caso, infatti, la nostra azione, ossia l’intervento nei processi biologici del corpo, produce con successo l’effetto desiderato, quindi dimostra che conosciamo il funzionamento di quella parte del mondo che è il corpo umano.

La conoscenza umana del mondo è, dunque, un fatto, non si può mettere in discussione, senza autocontraddirsi (non ci si dovrebbe più lavare, vestire, viaggiare, prendere le medicine ecc.). Ma esiste anche un’altra argomentazione, più forte e filosofica, che ci porta a dover ammettere da un punto di vista puramente logico il fatto che noi siamo in grado di conoscere, ossia di comprendere la verità. Se, infatti, sosteniamo l’opposto, ossia che non possiamo comprendere la verità, questa ammissione però di per sé si presenterebbe come una verità, ossia ci sarebbe soltanto una verità, quella appunto che non possiamo conoscere la verità. Ma, se non possiamo conoscere la verità, per qual motivo questa stessa verità dovrebbe allora esser vera? Evidentemente essa per definizione non potrebbe essere vera, in quanto noi secondo questa concezione non possiamo conoscere appunto nulla, tanto meno se esiste o non esiste la verità oggettiva. Dobbiamo, dunque, sostenere da un punto di vista logico che, essendo tale presunta verità scettica della non conoscibilità della verità evidentemente falsa, in quanto si autocontraddice da un punto di vista logico, allora la verità è conoscibile, è raggiungibile. 

Pertanto, la teoria scettica secondo la quale l’essere umano non può conoscere il mondo in modo oggettivo, si autocontraddice anzitutto da un punto di vista reale e di fatto, in quanto poi anche lo scettico compie tutte quelle operazioni che presuppongono la conoscenza oggettiva del mondo; essa si autocontraddice poi anche da un punto di vista ideale e logico, poiché il fenomeno della conoscenza come tale sarebbe secondo questa teoria inconoscibile come tutto il resto, il che renderebbe falsa la stessa teoria scettica, giacché essa stessa atto di  conoscenza.  

In sostanza l’essere umano è, per così dire, condannato alla verità, noi non possiamo scappare dalla situazione, in cui ci troviamo, di essere razionali e quindi anche in grado di comprendere il mondo e di pervenire alla verità. Noi viviamo quotidianamente nella conoscenza oggettiva, anzi ci meravigliamo quando qualcosa non funziona, perché sappiamo – anche gli scettici lo sanno, per quanto inconsapevolmente o consapevolmente non lo ammettono -, che il motivo di ciò è nel fatto che non abbiamo compreso quel fenomeno nel modo adeguato. Possiamo però comprenderlo e quindi far poi funzionare quella cosa, quell’oggetto, quel sistema, quel rapporto ecc. 

Il problema dunque non è tanto, allora, se possiamo conoscere il mondo, quindi  pervenire ad una conoscenza oggettiva, poiché che ciò sia possibile, è sicuro sia da un punto di vista reale che logico, quanto piuttosto come mai possiamo farlo e come farlo nel migliore dei modi.

Unità 5

Teoria dell’Io Capisco 

b. La ragione come unità di uomo e natura, soggetto ed oggetto

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Una volta chiarito nell’unità precedente il fatto che di sicuro possiamo conoscere il mondo, il che è provato sia da un punto di vista logico che da un punto di vista di fatto, la vera questione che nasce e che occorre affrontare è quella del perché possiamo pervenire alla verità, ossia come e perché ciò sia possibile. 

La prima considerazione da fare al proposito si fonda sull’individuazione di un qualcosa di comune che deve esistere tra l’uomo e la natura, tra soggetto ed oggetto, pensiero ed essere, per rendere possibile la conoscenza.  Se infatti essi fossero completamente diversi, eterogenei, se non vi fosse qualcosa in comune, una certa omogeneità, neanche la conoscenza sarebbe possibile, non vi sarebbe, infatti, un ponte tra i due, una comunicazione, un accesso del soggetto all’oggetto. Dunque vi dev’essere qualcosa di comune, un legame che consenta un rapporto, una comunicazione. 

In particolare, dato che la conoscenza avviene tramite il pensiero, tramite la ragione, questo qualcosa di comune dev’essere razionale, pensiero. Le leggi della natura per es. sono qualcosa di razionale, di regolare, di spiegabile, prevedibile, che corrisponde pertanto alla nostra esigenza e capacità di razionalità, di pensiero.  Ma tali leggi poi effettivamente spiegano i fenomeni e, applicate come tecnica, realmente ci consentono d’intervenire sul mondo e sui suoi processi. Dunque tale razionalità presente nelle leggi non è soltanto soggettiva, quale si trova nel libro di fisica, chimica ecc., ma oggettiva, si trova nella realtà stessa. In sostanza, dunque, la natura, l’oggetto porta la razionalità in sé ed è per questo motivo che l’essere umano può conoscere il mondo, in quanto la sua razionalità non è diversa da quella del mondo, della natura. 

C’è dunque ragione sia nell’essere umano che nella natura e ciò spiega il fatto stesso della possibilità della conoscenza e della sua applicazione pratica, la tecnica. L’essere umano tramite la sua ragione soggettiva comprende la ragione oggettiva presente nel mondo. Così soltanto si può spiegare la conoscenza, tramite il concetto dell’omogeneità e non eterogeneità di spirito e materia, essere umano e natura, ragione e mondo, pensiero ed essere.

Se ora spostiamo il nostro punto di vista ed il nostro modo di considerare tale problematica e ci poniamo non più dal punto di vista soggettivo della conoscenza, bensì da quello oggettivo del mondo, allora ci accorgiamo che ad una riflessione più attenta, soggetto ed oggetto della conoscenza sono da considerare una sola cosa, la ragione, ma in due forme diverse di esistenza: la natura è ragione in forma materiale, necessaria, meccanica, inconsapevole; l’essere umano è ragione in forma spirituale, libera, finalistica, consapevole. 

In tal modo si spiega allora il fenomeno inoppugnabile della conoscenza ed anche la questione della verità assume una sua chiarificazione: noi possiamo conoscere la verità sul mondo oggettivo, poiché questo non è diverso da noi, è razionale come lo siamo noi. La verità non è altro dunque che far corrispondere, accordare le due forme di razionalità, quella soggettiva consapevole e quella oggettiva inconsapevole. L’omogeneità tra spirito e materia, soggetto ed oggetto consente tale accordo. Il punto fondamentale ora è capire come mai ci sia tale omogeneità.

Unità 6

Teoria dell’Io Capisco
c. Il monismo logico

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La risposta alla domanda sulla ragione come principio di omogeneità tra soggetto ed oggetto, uomo e natura, ci conduce direttamente ad una concezione monistica del mondo. Tutti i nostri dubbi sulla conoscenza, la verità ecc. dipendono da un punto di vista completamente sbagliato che spesso si adotta nel rapportarsi alla natura e quindi al mondo cosiddetto ‘esterno’, all’oggetto del conoscere. Si tratta del punto di vista dualistico. 

Se noi consideriamo, infatti, soggetto ed oggetto, uomo e natura, come due enti diversi ed opposti, l’uno fuori dell’altro, di fronte all’altro, giustapposti, allora effettivamente sorge il problema di come metterli in rapporto, come sia possibile la comprensione dell’oggetto da parte del soggetto, in quanto enti evidentemente eterogenei (materiale la natura, immateriale lo spirito).  Ma se noi consideriamo invece natura ed uomo, oggetto e soggetto nel loro giusto rapporto che è di unità, nel senso che l’uomo viene prodotto dalla natura, il soggetto dall’oggetto che gli preesiste o che comunque da un punto di vista logico ne costituisce il presupposto e da un punto di vista fisico la condizione della sua vita (niente spirito, niente soggetto senza natura e senza oggetto), allora la situazione cambia completamente. Da questo punto di vista ‘superiore’, come lo definisce Hegel nello scritto di Jena sulla Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling (p. 83 della traduzione italiana, in Primi Scritti Critici, Milano 1981),  natura e spirito, oggetto e soggetto sono un’unità, la quale è processo, sviluppo, determinato da un progressivo aumento della libertà e della consapevolezza nel passaggio graduale da forme di esistenza più semplice e meccanicamente predeterminate (atomi, molecole, minerali, vegetali) a forme di esistenza più complesse ed autodeterminantesi (animali e poi soprattutto esseri umani). 

Quel che esiste è allora soltanto una totalità, l’essere o come la si voglia definire, il monos, l’uno-tutto, che si sviluppa da forme di esistenza necessarie e prive di consapevolezza a forme di esistenza libere e consapevoli. Occorre pertanto abbandonare il punto di vista dualistico, che rende problematica la comprensione della conoscenza e della verità, per una visione del mondo monistica, la quale invece ci spiega perché possiamo conoscere e ci indica anche come possiamo farlo nel migliore dei modi. 

Secondo l’interpretazione dualistica - e purtroppo comune - del rapporto tra soggetto ed oggetto, essi sono opposti l’uno all’altro, per es. l’uomo considera la natura come un oggetto fuori di sé. Questa è l’interpretazione propria per esempio della filosofia di Kant, ma anche in linea generale della nostra cultura quotidiana. In particolare è il modo di considerare il rapporto tra uomo e natura proprio dell’antichità, del medioevo e dell’età moderna anche. Soltanto nell’età contemporanea a partire dalla filosofia di Schelling e di Hegel poi anche con la concezione materialistico-dialettica e con l’evoluzionismo di Darwin il monismo comincia a prevalere a livello intellettuale e scientifico. Anche nell’antichità c’erano state concezioni monistiche per esempio Parmenide, Eraclito, Plotino, ma queste erano state soppiantate dalla visione sicuramente dualistica del mondo propria del cristianesimo e delle grandi religioni monoteistiche in generale. Lo stesso dicasi per l’età moderna, in cui alcune filosofie, come quella di Spinoza in particolare, sono state monistiche senza però riuscire a prevalere nella visione del mondo dominante tra gli studiosi e quindi poi per riflesso propria anche della quotidianità e dell’uomo comune. 

È, dunque, soltanto con il superamento della filosofia kantiana da parte dell’idealismo classico a cavallo tra ’700 ed ’800 che la visione monistica del mondo inizia a diffondersi in ambito filosofico e scientifico, suffragata poi sempre più dai risultati delle scienze empiriche, in particolare dalle teorie evoluzionistiche della geologia (Lyell), della biologia (Darwin) e così via. Oggi sappiamo che l’universo è uno, che si sviluppa nel tempo, e che ad un certo punto del suo sviluppo emerge dal suo grembo lo spirito, il pensiero. Sappiamo pertanto che materia e spirito, natura e uomo, per quanto opposti, lo sono all’interno di un’unità, l’universo, di cui essi sono due modi diversi di essere, proprio come hanno sempre sostenuto tutte le teorie monistiche, in particolare poi quella spinoziana. 

Ecco perché nelle hegeliane Lezioni sulla Storia della Filosofia leggiamo quanto presumibil-mente il filosofo ha detto a lezione, ossia che non si può far filosofia senza essere spinoziani, dunque senza vedere l’unità alla base della differenza tra materia e spirito.

”Essere spinoziani è l’inizio essenziale del filosofare.”

(Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Firenze 1981, vol. 3 II, p. 110).

Da un punto di vista monistico quel che determina la diversità tra materia e spirito, oggetto e soggetto è soltanto il diverso grado di quel qualcosa che forma l’identità di entrambi, di quel qualcosa di comune che permette la conoscenza, ossia della ragione. Entrambi, materia e spirito, sono ragione, ma secondo vari gradi sviluppo, contraddistinti da maggiore o minore necessità o libertà, maggiore o minore consapevolezza o inconsapevolezza. 

È pertanto superficiale ed erroneo, considerato il livello attuale della conoscenza scientifica del mondo materiale nonché lo sviluppo filosofico post-kantiano, considerare ancora natura ed umanità come giustapposti, l’uno di fronte all’altro; l’umanità fuoriesce dalla natura, ed è collegata ad essa oltre che dalla sua struttura materiale (il corpo), anche dalla sua essenza razionale. Anche la natura è infatti ‘razionale’ - come dimostra il fatto che ne abbiamo una conoscenza in forma di leggi e che tale conoscenza tramite la tecnica si rivela ‘vera’ ed adeguata ad intervenire con successo nei suoi processi -, soltanto che si tratta di una razionalità che resta inconsapevole e necessaria. Quel che esiste veramente e che poi assume prima la forma dell’inconsapevolezza naturale, poi della consapevolezza spirituale, è pertanto la razionalità del mondo, dell’essere. È tale razionalità a costituire l’Uno-Tutto, il Monos, o ancora il Logos che esiste e che assume nel tempo prima la forma della materia poi quella dello spirito.

Così siamo arrivati ad un punto cruciale dell’intero discorso sulla filosofia come scienza della saggezza, per come lo stiamo impostando in questo manuale divulgativo di filosofia, ossia alla questione fondamentale di cosa sia la ragione, l’Uno-Tutto, il Logos che esiste prima come materia, ragione necessaria ed inconsapevole, e poi come spirito, ragione libera e consapevole.  

Unità 7

La struttura fondamentale della Ragione Assoluta (Logos)

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Il punto fondamentale, cui finora siamo pervenuti nella determinazione del concetto della filosofia come scienza della saggezza, è la formulazione del concetto del Logos, ossia della ragione assoluta ad un tempo oggettiva e soggettiva, presente secondo vari gradi di consapevolezza e libertà in tutto l’essere.

Potremmo anche definire tale Ragione Assoluta o Logos semplicemente come ’Assoluto’, ossia il principio primo della realtà, il fondamento di tutto, ciò che continuamente produce il reale, anche se non è mai identificabile con alcun singolo aspetto del reale. Si tratta di quel che la filosofia greca indicava come l’archè delle cose e poi la religione, cristiana e non solo, ha denominato ’Dio’.

Fatta questa dovuta precisazione, vediamo ora in modo più concreto di conoscere l’Assoluto, la Ragione Assoluta, il Logos presente nella natura e nello spirito.

Evidentemente è da tale Assoluto che occorre partire per poi comprendere anche la natura oggettiva e lo spirito soggettivo, in cui esso si presenta prima come necessario e poi come libero.

Come si accede all’Assoluto? (Identità di logica e metafisica)

La prima domanda che sorge a tal riguardo è la seguente: come possiamo accedere all’Assoluto, alla sua conoscenza? Per la religione ciò avviene con un atto di fede, ma, come abbiamo visto, la filosofia, pur avendo in sostanza uno scopo comune a quello della religione, nondimeno adotta una metodologia completamente diversa: essa deve argomentare, quindi dimostrare il proprio principio, che non può quindi essere un atto di fede, un dogma. 

L’accesso filosofico all’Assoluto, seguendo il ragionamento fatto finora, risulta essere molto più semplice ed alla portata nostra di quanto sembri: giacché, infatti, l’Assoluto è fondamen-talmente la Ragione Assoluta e questa è l’essenza del nostro spirito, dunque il nostro continuo pensare, formulare concetti ed idee e così via, insomma la nostra attività logica, proprio studiando il nostro pensiero, quindi tramite la scienza logica, possiamo comprenderne le leggi, le modalità di funzionamento e così via. Ma essendo il nostro pensiero logico, quindi quello comune a tutti noi, il nostro ’io universale’, quindi l’Assoluto nella forma della coscienza e della libertà, allora tramite una scienza logica costruita in modo serio e scientifico noi lo conosceremo. Insomma conoscenza logica del pensiero umano e conoscenza dell’Assoluto coincidono. 

Tale coincidenza, evidentemente, porta ad unità discipline, la logica e la metafisica, che del resto agli albori della filosofia in Grecia erano già state considerate come identiche, pensiamo a Parmenide ed Eraclito (si vedano di quest’ultimo per es. i frammenti sul Logos, oggi attuali come allora).

Posta quindi questa duplice premessa, ossia che l’accesso all’Assoluto può avvenire soltanto attraverso la logica e che questa pertanto coincide con la metafisica (e con la teologia razionale, evidentemente), il problema che si pone successivamente è in primo luogo quello della definizione precisa dell’oggetto, ossia in cosa propriamente consista la ragione, e poi in secondo luogo nella giusta metodologia da seguire per conoscerlo in modo scientifico e serio.

Cos’è propriamente l’Assoluto, ossia l’oggetto della Logica-Metafisica?

Analizzando il nostro linguaggio, notiamo che ci sono termini che sicuramente presuppongo-no l’esperienza per poter esistere (l’essere umano non avrebbe mai avuto il concetto e la parola di albero, se non l’avesse mai visto, così sono tutti i nomi sia concreti sia astratti, ma anche i verbi e le azioni ch’essi significano); altri termini che servono per costruire la sintassi del linguaggio (preposizioni, congiunzioni ecc.); altri ancora che modificano (rafforzano, indeboliscono ecc.) i nomi ed i verbi (aggettivi, avverbi).

Tutta questa parte consistente del linguaggio è insomma riconducibile all’esperienza concreta o anche astratta (di fantasia) ed alla sintassi con la quale costruiamo frasi dotate di senso. C’è però una parte del linguaggio che non è riconducibile all’esperienza esterna o interna, ma preesiste alla medesima ed anzi è la condizione indispensabile affinché noi possiamo organizzare la molteplicità delle sensazioni nell’unità del concetto e quindi della parola che lo esprime. 

Facciamo l’esempio della frase ‘Il tavolo è alto’: in essa abbiamo alcune operazioni concet-tuali che vanno al di là del semplice significato di tale frase. Già la parola ‘tavolo’ implica la formulazione di un concetto unico per un insieme di parti, l’unità nella molteplicità di cui abbiamo parlato (superficie d’appoggio, gambe ed altre parti eventualmente presenti), legate insieme da una funzione, che è già molto di più della semplice parola (la funzione di sostenere per esempio libri, lampada ecc.). Essa nasconde, infatti, l’operazione di riduzione della molteplicità ad un’unità concettuale e funzionale. Tale operazione è ancora più chiara nel termine ‘aula’, dove le parti che compongono il tutto del concetto sono distinte tra loro e non legate materialmente (mentre nel tavolo sono collegate materialmente).
Sempre nella frase il ‘tavolo è alto’ abbiamo la voce del verbo essere che evidentemente è qualcosa di più rispetto al sostantivo ‘tavolo’ ed all’aggettivo ‘alto’, essa esprime un giudizio da parte nostra, l’attribuzione di una qualità ad un oggetto. Questa operazione è evidentemente un’operazione logica nostra, in quanto il tavolo di per sé non è né basso né alto.

Ora se noi andiamo ad analizzare così, anche superficialmente, la frase di cui sopra, abbiamo individuato questi concetti, cui abbiamo dovuto ricorrere per spiegarci la sua formulazione:

Concetto (il tavolo è un concetto, un nome comune);
Unità-Molteplicità, Tutto-Parti (la struttura del concetto);  
Giudizio (l’essere alto per noi del tavolo);
Essere (il collegamento della qualità all’oggetto);
Qualità e quantità (l’altezza, l’esser alto).

Tutte queste parole, che sono fondamentali nell’operazione di formulazione di quella semplicissima frase, non sono evidentemente oggetti esistenti (nomi), né azioni (verbi) né ancora parti sintattiche del discorso (preposizioni, congiunzioni), ma ’categorie’, ossia strutture del pensiero grazie alle quali noi riusciamo ad esprimere la realtà, i nostri pensieri, le nostre idee e tutto ciò su cui ragioniamo. Le categorie sono la vera e propria vita del pensiero, la rete attraverso la quale esso riesce ad unificare ed esprimere in modo logico il molteplice. Esse costituiscono dunque il vero e proprio contenuto del pensiero, la sua essenza, il suo essere. Il pensiero consta di categorie, che poi, applicate all’esperienza interna ed esterna, conducono alla conoscenza del mondo. 

Essendo noi già pervenuti alla conclusione dell’identificazione di pensiero ed assoluto, evi-dentemente le categorie, in quanto strutture fondamentali del pensiero, sono evidentemente allo stesso tempo la struttura dell’Assoluto. La Ragione Assoluta, il Logos consiste dunque nelle categorie.

La logica è la scienza delle categorie anzitutto nel senso soggettivo come scienza del pensiero umano (quale si trova in Aristotele ed in Kant per es.); seguendo Hegel, invece, che, come abbiamo visto, elabora una concezione più profonda della logica come conoscenza dell’Assoluto, essa è in secondo luogo anche metafisica. 

Insomma, da una parte abbiamo la cosiddetta logica formale (Aristotele, Kant, logica contemporanea), dall’altra la logica sostanziale (Hegel, concezione dialettica).

La logica formale, non comprendendo il nesso inscindibile che lega il pensiero dell’essere umano, la ragione soggettiva, alla struttura razionale del mondo, la ragione oggettiva, si priva per sempre della possibilità di comprendere in modo più profondo i motivi che pur rendono possibile la conoscenza. In tal modo essa scava un solco, poi incolmabile, anche a livello di etica, tra l’uomo ed il mondo, la ragione e la materia. Così si viene a creare un dualismo tra uomo e natura, ragione e mondo, che provoca una serie di problemi serissimi sia a livello di filosofia teoretica sia soprattutto a livello di filosofia etica. Nel primo caso abbiamo fenomeni quali il relativismo contemporaneo, ossia la mancanza di fiducia in una verità assoluta e oggettiva, indipendente dall’uomo singolo; nel secondo caso abbiamo il fenomeno dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura, con i fenomeni collegati che ben conosciamo. Tutto ciò ha come causa prima filosofica il dualismo, per cui l’altro, che sia un essere vivente ed umano o la materia, viene visto dal soggetto come diverso da sé, non come uguale a se stesso e pertanto degno di rispetto e magari anche di cura, di amore, proprio come si fa con se stessi.

Sul metodo maieutico della logica-metafisica

Una volta chiarito l’oggetto della logica, passiamo ora al suo metodo, cioè come possiamo conoscere le categorie nel miglior modo possibile. 

Qui ci sono due possibilità, che anche in questo caso distinguono radicalmente la logica for-male dalla logica sostanziale. Nel primo caso le categorie vengono individuate attraverso un’analisi del linguaggio, una riflessione del filosofo che individua ed elenca le categorie, precisandone il diverso significato; nel secondo caso, invece, il soggetto pensante, il filosofo deve quasi scomparire e le categorie si devono conoscere da sole, secondo un metodo proprio, al quale il filosofo, naturalmente presente, deve però soltanto prestare la voce, senza interferire più di tanto sulla loro auto-esposizione. Ciò ha molto in comune col metodo maieutico socratico, secondo il quale la verità esiste di per sé nel soggetto, ma indipendentemente da questi, ed il compito del filosofo non è pertanto creare la verità ed imporla al discepolo, operazione che sarebbe arbitraria, quanto aiutare il discepolo a partorire la verità che egli ha in se stesso. Così anche nel caso della logica sostanziale: le categorie, in quanto sono il pensiero e questo è l’assoluto, sono esse stesse la verità, che si trova in tutti noi. Tutti noi siamo l’Assoluto nel nostro Logos. Il filosofo è colui che è in grado di comprendere tale Logos, di diventarne consapevole e può pertanto aiutare i propri simili a fare la stessa operazione di presa di coscienza, di autoconoscenza, che egli ha fatto per primo, ma non per questo ha più Logos degli altri, semplicemente ne è più consapevole.

Secondo la logica sostanziale, dunque, il filosofo non può arrogarsi il diritto di elencare e scegliere le categorie, perché così si arrogherebbe il diritto di conoscere lui, io individuale, l’Assoluto; egli può soltanto, annullando completamente la propria personalità soggettiva, atto di umiltà e modestia totali, dar voce alla logica che le categorie, essendo il Logos, hanno in se stesse. Dunque non è il pensatore, che sia Hegel o un altro qualsiasi, che deve imporre una propria logica alle categorie, in quanto queste, avendo la logica in se stesse, non ne hanno proprio bisogno. Esse sono infatti la logica, come potrebbe mai un essere umano finito, fosse anche un filosofo o uno scienziato, stabilire lui l’ordine logico di esposizione delle categorie? Il filosofo deve umilmente riconoscere tale logica interna alle categorie e quindi esprimerla, attenendosi ad essa, limitando allo stretto necessario i propri interventi. Dunque egli avrà una funzione maieutica rispetto al Logos, aiuterà il Logos ad autoconoscersi e quindi ad esprimersi.

Insomma, l’idea fondamentale della logica sostanziale è che le categorie abbiano una propria logica, che quindi il filosofo deve soltanto individuare, poiché tale logica si sviluppa da sé, senza intervento esterno. Il punto fondamentale allora, il vero ostacolo, è quello di trovare l’inizio, la prima categoria, in quanto, una volta individuata questa, poi le altre seguiranno a ruota, derivando per logicità e necessità interne da essa.

Il problema dell’inizio della Logica-Metafisica, ossia la prima categoria, l’Essere (l’Assoluto è; affermazione)

Quale può essere allora la prima categoria? Riflettiamo un attimo insieme. Noi siamo arrivati al punto in cui sappiamo che la ragione è l’Assoluto e che essa è la nostra essenza, che noi possiamo conoscere in modo oggettivo, in quanto la possibilità della conoscenza della verità è una verità logica da una parte, un fatto empirico dall’altra, secondo quanto chiarito precedentemente nella teoria dell’io capisco.

Nella Logica soggetto ed oggetto sono uno, il soggetto, la ragione individuale, vuole conoscere l’oggetto, il Logos o ragione universale, praticamente però se stessa. Il pensiero conosce se stesso, questo è l’atto logico iniziale, il punto di partenza. Cosa conosce anzitutto il pensiero di se stesso, la ragione di se stessa? Abbiamo già una verità, sappiamo già qualcosa in questo momento iniziale? In effetti, già sappiamo che esso è, dunque il suo essere, la ragione che si sta conoscendo, quindi il fatto che essa esista non può esser messo in dubbio (il cogito ergo sum cartesiano). Pertanto il suo ‘essere’ è la prima cosa, la prima nota, la prima determinazione che possiamo attribuirle. L’Essere è pertanto anche la prima categoria. 

Dunque, la prima categoria del pensiero, la prima determinazione della ragione, è l’Essere. Ed infatti questa è, come sappiamo da Parmenide, anche la categoria fondamentale della metafisica: tutto è, prima ancora di essere qualcosa di specifico. È la determinazione più generale, meno specifica, ma anche più universale, si può attribuire a tutto, ad ogni oggetto materiale o anche spirituale, nel momento stesso in cui lo pensiamo. 

Il Nulla come seconda categoria (l’Assoluto è Nulla; prima negazione)

Evidentemente però, sapere che la Ragione Assoluta è, non significa ancora conoscerla, non ne abbiamo ancora determinato il contenuto. Quel che ne sappiamo dunque, in questo stadio della conoscenza logica, è ancora nulla. Ed infatti proprio il Nulla è la seconda categoria della ragione, che, come si può vedere, è emersa, è uscita, dalla stessa nostra riflessione passiva sulla categoria di Essere.  Non siamo stati noi ad aggiungere, secondo una scelta soggettiva arbitraria nostra, la categoria del Nulla a quella dell’Essere, bensì essa si è imposta alla nostra riflessione come la categoria necessariamente successiva a quella dell’Essere. Noi dobbiamo riconoscere ciò, questa sequenza logica, non crearla. In ciò consiste la connotazione maieutica della metodologia adottata.

‘Essere’ e ‘Nulla’ sono pertanto le prime due determinazioni del Logos, le prime due catego-rie della Logica. Non siamo noi a determinarle, ma esse si autodeterminano, si sviluppano l’una dall’altra, in particolare il Nulla risulta dall’Essere, ma anche si può dire il contrario, ossia che il punto di partenza della logica sia la ragione, della quale non sappiamo ancora nulla, se non che è. Da questo punto di vista viene prima il Nulla e poi l’Essere come sua negazione.

Quindi, come si vede, le categorie che noi attribuiamo alla ragione in questo stadio iniziale della sua conoscenza, sono le categorie più semplici, che appartengono a tale stadio iniziale anche senza il nostro intervento e la nostra scelta, appartengono allo stesso concetto iniziale della ragione che conosce se stessa. All’inizio essa non può sapere di sé se non che è, ma così non sa praticamente ancora nulla.  Tale autoconoscenza è oggettiva, appartiene al concetto stesso del pensiero che conosce se stesso, non al filosofo, il quale pronuncia solo tale verità, non la crea.

Il divenire come terza categoria (l’Assoluto è Divenire; seconda negazione o negazione della negazione) 

Allo stadio di conoscenza, cui siamo pervenuti, abbiamo dunque l’Essere ed il Nulla, il pen-siero di sé sa che è, ma non sa ancora quel che è. Tale ‘ancora’ introduce un ulteriore passag-gio logico e con esso una nuova categoria: il Divenire. Noi sappiamo infatti ora che il Logos, la Ragione Assoluta, sta divenendo, si sta presentando, la stiamo conoscendo, essa è in divenire, si sta formando. Le categorie in sostanza si stanno sviluppando. 

Pertanto il Divenire è la categoria successiva, che chiude questo primo stadio, in quanto il divenire esprime il rapporto, l’unità tra l’Essere ed il Nulla. Se qualcosa diviene, significa infatti che passa dall’Essere al Nulla o dal Nulla all’Essere (la nascita e la morte, l’inizio e la fine etc.). Il Divenire segna pertanto la relazione tra le prime due categorie, tra Essere e Nulla. 

Principi generali dell’Assoluto: il concetto di ‘momento’

L’Essere ed il Nulla come tali sono ’momenti’ (concetto molto importante della logica sostanziale, questo) del Divenire, che è ora la sola categoria vera, al quale contiene in sé Essere e Nulla. Essere e Nulla sono momenti unilaterali, parziali, il tutto, quel che veramente esiste a questo livello di sviluppo logico, è il Divenire della ragione che conosce se stessa. Questa è la verità che abbiamo ora, la ragione si sta autoconoscendo, sta divenendo, è questo stesso divenire di sé.

Se vogliamo ora considerare la cosa da un punto di vista metafisico, avendo detto che si tratta di una logica sostanziale ed oggettiva, non formale e soggettiva, potremmo esprimere la verità, raggiunta finora, nella seguente frase: L’Assoluto è Divenire, passaggio dall’Essere al Nulla e dal Nulla all’Essere. Tale pensiero anzitutto ci riconduce all’altro grandissimo pensatore greco che con Parmenide ha fondato la metafisica, ossia Eraclito; in secondo luogo è un pensiero straordinariamente in accordo con la visione scientifica attuale del mondo, per la quale tutto è evoluzione, divenire, temporalità. Vedremo che la concezione logico-sostanziale, pur essendo notevolmente più articolata e complessa, nondimeno porta innegabilmente in sé la visione della realtà come processo, come divenire, del tutto in accordo con la visione scientifica attuale del mondo.

Concluso questo primo ragionamento logico, che ci ha portati ad individuare nel Divenire la prima categoria sintetica, che contiene in sé come suoi momenti l’Essere ed il Divenire, pos-siamo riflettere ulteriormente sul metodo che stiamo seguendo, individuando così gli altri principi generali della Ragione Assoluta, o, il che è lo stesso, della struttura razionale del mondo.

Principi generali dell’Assoluto: la totale immanenza dello sviluppo

Anzitutto bisogna chiarire che non si tratta di un vero e proprio metodo, che sia esterno alla cosa stessa, ma è il movimento, lo sviluppo che le categorie hanno in se stesse, che produce il metodo. Per cui noi riflettiamo sul metodo dal di fuori, ne estraiamo i principi generali, ma dev’essere chiaro che non siamo noi ad imporre il metodo alle categorie, bensì queste si de-vono sviluppare secondo un andamento interno, che non accolga nulla dal di fuori, l’una dall’altra. 

Quindi abbiamo già i principi della totale immanenza dello sviluppo, della cosa stessa, dell’autosviluppo quindi. Anche questo è un aspetto fondamentale del mondo: il mondo si sviluppa in modo immanente, senza nulla che possa incidere da fuori, il suo è un autosvilup-po. 

Principi generali dell’Assoluto: l’Aufhebung, il superare conservando

Un altro principio fondamentale è quello dell’Aufhebung (superamento conservante, superare conservando, l’espressione tedesca è intraducibile in italiano con un singolo termine). Il Divenire supera sia il Nulla sia l’Essere, ma li conserva poi in sé nel proprio concetto, in quanto esso altro non è che il passaggio dell’Essere nel Nulla e del Nulla nell’Essere. Quindi ciò che nello sviluppo viene superato, non va completamente perso, ma resta in modo ideale, non più reale, ma resta. Lo sviluppo è quindi accrescimento, progresso, che naturalmente non implica alcuna valutazione, alcun giudizio. Ci può essere un progresso per noi negativo, quale quello di una malattia, nondimeno esso, considerato in sé, è sviluppo, perfezionamento, appunto progresso.
 
Principi generali dell’Assoluto: l’affermazione, la negazione prima e la negazione seconda o negazione della negazione

All’interno del processo dello sviluppo, contraddistinto dall’Aufhebung, vanno segnalati tre momenti fondamentali: l’affermazione, la negazione prima e la negazione della negazione o negazione seconda, come abbiamo evidenziato nei paragrafi relativi.

L’affermazione è il primo momento, quello iniziale (nel caso dell’inizio della Logica, l’Essere). È la posizione, ciò che è immediatamente, il concetto da cui si parte. 

La negazione prima è, invece, il togliere di tale affermazione, ossia la sua negazione (nel caso nostro il Nulla). Questo momento è assolutamente essenziale, è il vero motore dello sviluppo, se non ci fosse questo, non vi sarebbe sviluppo. La negatività è la caratteristica fondamentale dell’essere, anche di noi stessi, noi continuamente neghiamo quel che è, così andiamo avanti, procediamo nella vita.  A volte ciò ci stanca e desideriamo rilassarci, fermarci, essere positivi nel senso di posizionati, fermi, affermativi; ma poi dopo un po’ ci annoiamo e di nuovo inizio la frenesia, chiamiamola così, della negatività, l’abbandono della posizione statica e l’avvio di altra attività, altri progetti. Si potrebbe dire che quanto più una persona è spirituale, tanto più è negativa rispetto alla stabilità, rispetto a ciò che è, lo vuole superare, cambiare. Il momento della negazione è il vero momento dialettico, ossia dell’opposizione a quel che è e quindi della ricerca di un suo superamento.

Infine, il terzo momento è quello della negazione seconda o negazione della negazione, ossia si raggiunge una nuova posizione, una nuova affermazione, che è superiore a quella da cui si era partiti, in quanto contiene in sé tutto quel che le ha apportato il momento negativo. Tale posizione è quindi sintetica, contiene in sé l’intero processo proprio della negazione, ma che ha ora raggiunto una sua nuova stabilità, per quanto, ovviamente, temporanea.

Principi generali dell’Assoluto: distinzione tra vero e falso infinito, la dialettica come struttura del reale

Questa nuova affermazione a sua volta avrà una sua negazione e così il processo andrà avanti, ma non all’infinito. Nella sequenza delle categorie, infatti, vengono chiarite anche la categoria del finito e dell’infinito. Il finito è il momento parziale dello sviluppo, quello affermativo e negativo (nel caso della prima triade l’Essere ed il Nulla); l’infinito invece il terzo momento, quello sintetico (nel caso nostro il Divenire). Pertanto l’infinito è da intendersi come il compiuto, ciò che è il risultato dello sviluppo, che contiene in sé come superati, ma anche conservati, i momenti da cui esso è, appunto, risultato.

Da questo concetto di infinito, che è il vero infinito, bisogna invece distinguere il falso infinito, che è quel che nella vita quotidiana comunemente s’intende per infinito (il progresso all’infinito). Questo è mera ripetizione senza mai pervenire ad un risultato compiuto, che dia un senso allo sviluppo. 

Questa distinzione categoriale è fondamentale nella logica sostanziale, in quanto ha conse-guenza enormi a livello umano per es. nell’etica. Da un punto di vista del falso infinito, po-tremmo dire che la nostra vita è un processo positivo e negativo che alla fine non raggiunge nulla, tanta fatica vivere, insomma, alla fine per nulla. Costruiamo, lottiamo, gioiamo, sof-friamo alla fine per nulla. Ma non è così dal punto di vista del vero infinito, per il quale non è la ripetizione quantitativa che conta ed ha valore, ma la qualità del risultato. Per es. noi studiamo, impariamo, facciamo gli esami, secondo un processo costante, che ci sembra non portare a nulla ed essere ripetitivo. Ma in tale processo noi modifichiamo noi stessi, impariamo un mestiere, modelliamo il nostro spirito e diventiamo il risultato di tale processo di apprendimento. Per cui ci sembra di esser passati per una sequenza inutile di momenti negativi e positivi, una dialettica, ma quel che conta è il risultato finale, non il voto alla tesi di laurea, ma la nostra preparazione, noi stessi come risultato del processo dialettico di apprendimento. Noi stessi siamo l’infinito vero della sequenza di momenti finiti (lezioni, esami, seminari ecc.). La laurea guadagnata col sudore ed i sacrifici degli esami suggella il processo dialettico e dà un senso ai momenti finiti del suo sviluppo, essa è la testimonianza che noi abbiamo imparato qualcosa, che siamo diversi da quando ci siamo iscritti all’università, abbiamo conseguito una qualifica, una capacità, la quale ci predispone ad esercitare una professione all’interno della comunità, in cui viviamo. La laurea comprata - esiste purtroppo anche questo -, senza il processo, non ha alcun valore e ciò non per la società, per la quale al contrario magari potrebbe addirittura anche averlo, se nessuno scopre il fatto, ma per noi stessi e per la logica, perché manca tutto il processo dialettico dell’apprendimento e della modifica dell’io (ossia dell’assimilazione del sapere frutto del lavoro di altri esseri umani, altre generazioni ecc.).

Anche un rapporto d’amore è così: la sequenza di incontri, scontri, baci, carezze, magari anche litigi ecc. è un processo che come tale, per avere un senso ed un valore, deve portare ad un risultato, ad un infinito, che è la coppia, la famiglia. Essa contiene in sé il processo, quindi i due singoli, il positivo ed il negativo, ma in un’unità, la coppia in cui ognuno si vede riconosciuto nell’altro. In tale risultato l’io esiste soltanto come momento della coppia, è aufgehoben (participio passato del verso tedesco aufheben, che corrisponde al sostantivo Aufhebung), è dunque superato ma anche conservato ad un livello superiore. Esso non è più solo e ciò grazie all’altro, nel tutto della coppia, e può ora diventare marito, moglie, padre, madre. La coppia stabile è l’infinito vero, il risultato del processo dialettico dell’amore. A sua volta poi la coppia dà vita ad un altro processo, quello della generazione naturale e poi spirituale (educazione) dei figli, in cui l’infinito vero sarà il risultato, ossia il figlio ben educato e capace a sua volta di generale altra umanità ben educata con un altro rapporto d’amore e così via.    

Insomma la logica sostanziale ci fornisce una chiave per interpretare la realtà, in quanto pre-suppone il fatto che le categorie logiche non siano solo proprie del pensiero, ma di tutto l’essere, secondo l’identificazione di pensiero ed essere parmenidea che sta alla base di tutta la storia della metafisica e della filosofia.

Il risultato (vero infinito) come fine interno dello sviluppo

A questi principi fondamentali bisogna aggiungerne un altro, quello del risultato come fine interno. Il risultato non è infatti tale casualmente, ossia dal rapporto tra affermazione e nega-zione vien fuori come risultato una negazione della negazione qualsiasi, bensì è già presente come potenza dall’inizio. Per es. il nostro prima concepire l’Essere come affermazione, poi il Nulla come sua negazione, è già in se stesso Divenire, che poi viene esplicitato alla fine come risultato. In sostanza la Ragione già era in Divenire quando noi ragionavamo sull’Essere e poi sul Nulla, quindi il Divenire non si è aggiunto dopo, quasi come una somma aritmetica di Essere e Nulla, ma era già in atto prima, durante il processo, anzi era il processo stesso. La negazione della negazione è pertanto l’esplicitazione di quel che nel processo di passaggio dall’affermazione alla negazione prima è già implicitamente contenuto. Il vero infinito, dunque, opera già nei suoi momenti finiti e conferisce loro un senso, che è appunto il loro sviluppo ed il fine raggiunto al termine di tale sviluppo. 

Ritornando agli esempi di prima, gli esami non conducono per casualità alla laurea, ma la laurea è già costruita pezzo per pezzo con ogni esame, essa è già presente in ogni singolo momento del percorso che conduce al risultato finale.  Nel caso della coppia avviene lo stes-so: l’uomo e la donna che pian piano capiscono di amarsi e voler vivere insieme vivono ciò non solo nel giorno decisivo, per es. quello del matrimonio, bensì in ogni singolo momento di tutto il percorso che conduce a quel risultato. 

L’infinito vero insomma appare come tale sono alla fine del processo, ma è presente, per quanto in forma nascosta e silenziosa, in tutto il processo. Esso è al fondo dell’intero processo, ne è la sua base, il suo fondamento.

Principi generali dell’Assoluto: il circolo come figura geometrica adatta a rappresentare il processo dialettico 

Un altro principio fondamentale della logica sostanziale è quello del circolo. Esso deriva direttamente da quanto appena detto. Infatti, la figura geometrica adatta a raffigurare tale logica non è la linea retta o semiretta, quanto il circolo. Il processo raggiunge un risultato che come tale però, in forma ideale, gli preesisteva, era appunto il suo fine. In questo senso la realizzazione del risultato, l’infinito vero, è la realizzazione dell’ideale, di un progetto che esisteva in forma ideale sin dall’inizio. Nel caso della prima triade Essere, Nulla, Divenire, il risultato è il Divenire, ma la nostra idea iniziale era già quella di sviluppare la conoscenza della ragione assoluta, quindi operava già il divenire suo come oggetto di conoscenza. Voler conoscere qualcosa, la Ragione nel nostro caso, è già processo, è già Divenire, lo implica. Come posso conoscere qualcosa senza un processo di conoscenza, dunque senza un Divenire? 

Insomma il processo non è casuale, ma tende alla realizzazione di un qualcosa di ideale, che viene presupposto nello sviluppo. Tale sviluppo allora riconduce al punto iniziale, da qui il circolo, con la differenza che all’inizio vi era soltanto l’ideale non realizzato, il concetto dell’albero nel seme, il concetto della famiglia nella coppia che si avvia ad una vita in comu-ne, mentre alla fine il risultato è l’ideale realizzato, quindi l’albero esistente, la famiglia esistente ecc.  

Il processo è dunque passaggio dalla forma ideale dell’essere a quella reale, è un cambiamento dunque di forma, non di sostanza. 

Principi generali dell’Assoluto: la creatività 

Infine, l’ultimo principio che possiamo ricavare, ma che è forse, insieme a quello dell’Aufhebung, quello più significativo, è quello della creatività. L’intero processo logico-dialettico è creazione, nella logica di categorie, nella realtà di essere concreto. La Ragione Assoluta è creatrice, dà vita a tutto quel che è, al Monos, di cui abbiamo parlato, all’Uno-Tutto che esiste ed al suo interno ha tutto ciò che è, che ha un inizio ed una fine, dunque al mondo.

Anche questo principio ha un’influenza decisiva sulla vita pratica nostra: ciò significa che la nostra essenza razionale non vuol dire tanto che siamo capaci di capire, quanto soprattutto che siamo capaci di creare, siamo nella nostra essenza ’creatori’. La nostra felicità, la nostra autorealizzazione allora, non consisterà in altro che nel creare, nel vivere secondo la nostra essenza creatrice.

Creare significa anzitutto ideare qualcosa (un viaggio, un’opera d’arte, una famiglia, una legge, un oggetto artigianale ecc.), poi, attraverso vari momenti, che sono anche fasi o stadi dello sviluppo, i suoi momenti dunque, realizzarlo. Alla fine l’opera compiuta sarà l’infinito vero del processo dei vari momenti finiti (per es. la nascita dei figli, gli stadi della loro vita, sono le fasi, i momenti finiti della vita di una famiglia; gli esami i momenti finiti di una laurea; la costruzione delle fondamenta e dei vari piani i momenti finiti dell’infinito che è poi la casa ultimata, e così via).

Approfondiremo tale concetto fondamentale della creatività nella parte etica, qui era impor-tante gettare un ponte tra la logica-metafisica e l’etica e capire come la seconda si fondi sulla prima.

Unità 8

Il concetto di ‘Spirito Assoluto’ 
e l’essere umano nella sua universalità come l’Assoluto 

*

La comprensione della Ragione come Assoluto rappresenta un nuovo punto di vista raggiunto da noi nella costruzione del sistema ordinato dei concetti, ossia della scienza della saggezza, quindi della filosofia. La verità, espressa in questo concetto, è che l’essere umano è consapevole di essere l’Assoluto nel momento in cui segue la Ragione, ossia pensa e vive nei termini della dialettica, applicandone i principi fondamentali, come sono stati individuati nella Scienza della Logica di Hegel e sintetizzati nelle pagine precedenti. Ovviamente è pensabile che in futuro qualcuno riesca a migliorare la logica hegeliana o addirittura ad elaborare un nuovo modello di logica, che la superi, pur conservandola, come Hegel ha fatto per es. con la logica di Aristotele e di Kant. Ma ciò vale per qualunque scienza, che nel presente è vera, poi in futuro viene superata, ma non per questo contraddetta, semplicemente migliorata. Dobbiamo dunque al momento considerare la logica di Hegel come l’ultima valida e la vera, in quanto al momento ancora insuperata (sia come logica sia come metafisica, naturalmente).

Nei momenti in cui l’essere umano adegui il proprio modo di ragionare alla vera struttura della ragione, ossia alla dialettica, esso iscrive il proprio modo di pensare e quindi anche di agire nel grande quadro dell’universo, ossia nella creazione di tutto quel che costantemente viene creato dal Logos, dell’Assoluto. Nell’essere umano cosciente è, infatti, sempre l’Assoluto che opera, ma non più in modo inconsapevole e necessario, come accade nella materia, bensì in modo consapevole e libero. 

Questa verità rappresenta un nuovo stadio nella nostra costruzione del sapere, siamo passati dal concetto della Ragione Assoluta (o Assoluto) a quello dello Spirito Assoluto, ossia all’essere umano che, avendo compreso la propria essenza razionale creatrice ed avendo as-sunto un modo di pensare e di agire corrispondente a tale razionalità creatrice, lascia agire in sé l’Assoluto, la Ragione assoluta. Dunque a partire da questo momento agisce consapevol-mente, l’Assoluto, non più l’essere umano individuale fatto di sensibilità, passioni, istinti ecc. Esso agisce in forma consapevole, quindi è Spirito Assoluto e non più soltanto Assoluto. È in sostanza l’Assoluto che è cosciente di sé nell’essere umano, quindi nello Spirito.

Si tratta di un passo molto importante nella costruzione del concetto della filosofia come scienza della saggezza. Il presupposto della saggezza è, infatti, che l’essere umano, lo spirito, pervenga a delle conoscenze e quindi prenda delle decisioni equilibrate, sagge appunto, le quali evidentemente non possono avere la propria scaturigine nell’individualità della persona empirica (quindi nel proprio carattere, nelle proprie inclinazioni, nelle proprie passioni), ma devono averne una più alta, devono provenire da un sapere fondato, da un modo di considerare le cose distaccato dalla particolarità del momento e dell’individualità empirica. Insomma al saggio si richiede di pervenire a conoscenze e decisioni più alte, non provenienti dalla sua soggettività particolare, debole come quella degli altri, ma dalla sua capacità di elevarsi all’universale, quindi ad elaborare conoscenze e verità condivisibili in linea di principio da tutti coloro che siano disposti ad elevarsi anch’essi al punto di vista dell’io universale, quindi in definitiva al punto di vista della filosofia.

La posizione intellettuale dello Spirito Assoluto indica, appunto, il fatto che, mettendo da parte la nostra singolarità empirica, siamo riusciti ad elevarci alla comprensione dell’Assoluto, lo abbiamo individuato come Ragione soggettiva ed oggettiva, i cui principi fondamentali di funzionamento sono stati ben compresi grazie allo studio della logica-metafisica, e quindi siamo ora in grado di pensare in modo veramente razionale. In tal modo possiamo prendere delle decisioni che non sono le nostre soggettive, perché anche l’Assoluto al nostro posto le prenderebbe, anzi ad essere più precisi, è l’Assoluto in noi che le prende!

Lo Spirito, dunque, si è identificato con l’Assoluto anche se ciò soltanto per il tempo della vita, determinato empiricamente dal corpo, non dallo spirito. Lo spirito può però determinare il tempo della vita che vivrà come Assoluto, ossia in modo razionale. Se si sarà coerenti con tale posizione filosofica raggiunta, ossia se ci si sforzerà quanto più possibile di pensare e di agire in modo razionale, naturalmente sempre secondo la razionalità dialettica, allora si potrà massimizzare la nostra vita da Assoluto e minimizzare quella da essere individuale empirico, in balia di falsi pensieri e quindi anche di false decisioni ed azioni (false in quanto non ispirate dall’Assoluto, dal vero sapere, dalla razionalità dialettica, ma preda della soggettività individuale).


Unità 9

Lo ‘Spirito Assoluto’ come Religione Razionale Filosofica

*

Questo nuovo punto di vista, questo nuovo orientamento di pensiero e di vita può essere definitivo come una religione, nel senso ovviamente del tutto razionale di ‘visione del mondo’ (secondo il temine tedesco molto diffuso ‘Weltanschauung’). Il principio di tale orientamento di vita, di tale religione razionale, secondo la pregnante definizione di Immanuel Kant, è la Ragione Assoluta come principio primo di tutto. Tale principio sostituisce il Dio delle religioni monoteistiche, che a sua volta aveva sostituito la molteplicità degli dei, propria delle religioni politeistiche.

Ci troviamo pertanto dinanzi ad una svolta epocale, dinanzi all’inizio di una vera e propria nuova civiltà. Dalla civiltà del monoteismo, divisa chiaramente nelle varie forme di monoteismo, si passa alla civiltà della religione razionale, ossia della filosofia, del modo completamente razionale di comprendere ed esprimere l’Assoluto, in una parola alla ’Civiltà dell’Idealismo’, secondo l’equiparazione di filosofia ed idealismo spiegata nell’unità 3.

La piena coscienza di inaugurare una nuova civiltà l’ha avuta Hegel quando, intorno ai 35 anni, ha elaborato la prima versione completa del proprio sistema filosofico, che però non ha mai pubblicato in tale sua forma originaria. Il suo biografo, Karl Rosenkranz, che ne era an-che allievo, incaricato di redigerne la biografia ufficiale, poté però visionare tutte le carte del filosofo dopo la sua morte e quindi riportarci le considerazioni a tal proposito dello stesso Hegel, contenute in un testo che poi purtroppo è andato perduto (o forse è stato distrutto dai suoi eredi, interessati a tramandare un’immagine del filosofo fedele alla religione protestante ed alla monarchia prussiana, cosa che nel periodo pre-berlinese Hegel certamente non era). È necessario riportare per intero tali pagine di Rosenkranz e di Hegel, in quanto esse ci danno una visione chiara del significato epocale della nascita della filosofia hegeliana, dunque del suo significato come nuova religione, oltre che nuova filosofia.

Lo scritto nel quale emerge questa presa di consapevolezza da parte del filosofo del significato epocale del proprio sistema filosofico, che in quegli anni, sono gli anni del soggiorno jenese, stava nascendo ed assumendo la forma poi anche completa di tutti i concetti principali, è un lungo frammento tramandato col titolo Continuazione del Sistema dell’Eticità. Tale titolo fu dato dal Rosenkranz, il quale riteneva che il testo fungesse da conclusione del Sistema dell’Eticità del 1802-03, ossia della prima versione della filosofia dell’eticità, che Hegel originariamente voleva pubblicare, poi dovette però rinunciarvi non avendo trovato una conclusione adeguata. Tale conclusione sarebbe contenuta a giudizio del Rosenkranz appunto nello scritto in questione. La lettura della parte conclusiva della Continuazione rende ciò più chiaro.

Vediamo anzitutto le parole introduttive del Rosenkranz:

“Per quanto Hegel, come risulta sufficientemente dalla presente esposizione, considerasse allora il protestantesimo una forma finita del cristianesimo tale e quale il cattolicesimo, egli non passò tuttavia, come molti dei suoi contemporanei, al cattolicesimo stesso, in quanto  riteneva che dal cristianesimo stesso, attraverso la mediazione della filosofia, sarebbe nata una terza forma di religione. Così si esprimeva al riguardo (...)”.

Ora seguono le parole di Hegel riportate dal Rosenkranz:

“Dopo che il protestantesimo si sarà spogliato della consacrazione estranea, lo spirito potrà giungere a santificare se stesso nella propria forma ed oserà restaurare la conciliazione primitiva in una nuova religione, la quale prenderà in sé il dolore infinito e tutto il peso del suo opposto, ma risolvendolo con purezza e senz’alcuna confusione, quando ci sarà un popolo libero e la ragione avrà rigenerato la sua realtà come spirito etico, che avrà l’audacia di assumere la sua pura forma sul suo proprio terreno e con la sua propria maestà. Ogni singolo è un cieco membro nella catena della necessità assoluta con cui il mondo si sviluppa.  Ogni singolo può raggiungere il dominio di una parte più lunga di questa catena solo nel caso in cui riconosca in quale direzione si muova la grande necessità e da questa conoscenza impari a pronunciare la parola magica che fa nascere la figura di essa. Questa conoscenza, di assorbire in sé l’intera energia del dolore e dell’opposizione, che per due millenni ha governato il mondo e tutti gli aspetti della sua formazione e di sollevarsi nello stesso tempo al di sopra di tale energia, può essere offerta solo dalla filosofia". 

(Karl Rosenkranz, Vita di Hegel, Milano 1974, pp.158-159).

L’espressione ’nuova religione’ anzitutto proietta Hegel in un mondo del futuro, non solo dal punto di vista teoretico e puramente filosofico, ma anche dal punto di vista umano. Hegel per tutta la vita è stato alla ricerca di una religione per sé, essendosi da giovane, insieme a Schelling e Hölderlin, definitivamente distaccato dal Cristianesimo istituzionale protestante, cui pure egli, in qualità di studente del collegio teologico di Tubinga (Tübinger Stift), alla fine era destinato a prestarne i servigi in qualità di teologo e pastore. Ma, dopo tali studi, lavorò come precettore privato anche in città diverse, scegliendo di vivere in città cattoliche oltre che protestanti, per conoscere da vicino tale religione, come emerge dal suo epistolario. Pur tuttavia, come giustamente rileva Rosenkranz, egli non fu soddisfatto neanche dal cattolicesimo, per cui alla fine non gli restò che elaborare da sé, sulla base della filosofia della religione di Kant (come diversi studi recenti hanno ampiamente anche filologicamente dimostrato) una nuova religione anzitutto per se stesso, poi per gli altri. 

Possiamo, dunque, dire che Hegel con il proprio sistema filosofico ha realizzato il programma di una religione razionale, elaborato da Kant nel 1793, come del resto risulta dal carteggio tra Schelling e Hegel, quando i due giovani pensatori erano allievi del collegio universitario protestante di Tubinga. Essi indicavano in Kant il padre della nuova filosofia (‘Vater Kant’, così si esprimevano, ‘padre Kant’) e scrivevano che sentivano come proprio compito di portare a compimento le premesse filosofiche poste da Vater Kant. Ciò è precisamente quel che ha fatto Hegel realizzando nel proprio sistema filosofico la nuova religione razionale, i cui tratti fondamentali erano stati delineati dal filosofo di Königsberg appunto nello scritto del 1792-93 sulla Religione nei limiti della semplice ragione, che Hegel aveva letto e fatto proprio nell’ultimo anno dei suoi studi a Tubinga (1793) e nel primissimo periodo del suo soggiorno come precettore privato a Berna (1794).

Abbandonando ora le considerazioni storico-filosofiche ed anche filologiche, pur necessarie per capire le radici storiche del nostro discorso, che si basa evidentemente sui risultati ottenuti da altri pensatori, ritorniamo ora al livello propriamente filosofico ed anche divulgativo. La nuova religione, che sostituisce la religione monoteista nelle sue varie forme, è dunque la religione razionale ossia la filosofia che conosce l’Assoluto, quale essa si trova espressa nel sistema filosofico hegeliano, in particolare, a livello di fondazione, nella Scienza della Logica. Dunque la nuova civiltà inaugurata dalla nuova religione è la civiltà della filosofia, dove per filosofia non si deve intendere una qualsiasi concezione razionale del mondo, ma soltanto quella autofondata, come abbiamo cercato di spiegare fin qui, contenuta nel sistema filosofico hegeliano, per quanto questo naturalmente vada oggi integrato, modificato, riformulato sulla base sia dei testi giovanili sia anche degli sviluppi ulteriori della società, delle scienze ecc. ecc. 

Si tratta del processo di attualizzazione del sistema filosofico hegeliano, che ne modifica la forma di espressione, adeguandola al nostro tempo, ne individua anche i punti deboli sia do-vuti allo stato delle conoscenze dell’epoca, evidentemente inferiori a quelle di oggi, sia all’accomodamento hegeliano, rilevato da diversi interpreti tra i quali Karl Marx, assoluta-mente innegabile, per quanto però esso non riguardasse lo spirito del pensiero del filosofo, ma soltanto la formulazione esteriore di alcuni concetti, nella quale Hegel dovette prestare attenzione a non urtare la sensibilità delle istituzioni, dalle quali egli non solo dipendeva economicamente, ma ne era anche un autorevole rappresentante, in qualità prima di docente, poi addirittura rettore dell’università. 

Questa opera di attualizzazione è assolutamente necessaria ed indispensabile proprio per ridare vita alla filosofia di Hegel, la filosofia che inaugura la nuova civiltà e che quindi noi non possiamo mettere nel dimenticatoio né considerare alla stregua di altre filosofie come soltanto un fatto culturale d’interesse storico. La filosofia di Hegel, per quanto rivista, riformulata, attualizzata, è la nostra filosofia, in quanto è la filosofia della nostra civiltà, della civiltà post-monoteistica. Cerchiamo ora di definire in modo più preciso tale nuova civiltà.


Unità 10

Lineamenti fondamentali della civiltà filosofica 

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Il primo carattere distintivo della civiltà filosofica è che la sua visione del mondo e della vita dell’essere umano nel mondo è di tipo razionale, dunque appunto una filosofia, in particolare la filosofia dell’idealismo assoluto, secondo quanto appena esposto. Tale filosofia è in accordo con le scienze empiriche naturali e racchiude l’intero complesso del sapere umano in un sistema filosofico. Questo a sua volta fonda poi anche un orientamento etico-politico, ossia indica quale debba essere il comportamento individuale (etica) e sociale (politica) saggio, in quanto idoneo a far vivere l’essere umano nel miglior modo possibile.

Un tale sistema filosofico dev’essere insegnato ai giovani ed al popolo in generale, dando vita così ad una comune visione del mondo e ad un comune mondo di valori. Per ‘popolo’ non va intesa una comunità nazionale particolare, geograficamente definita, quanto l’insieme dei cittadini del pianeta Terra, indipendentemente da razza, religione ecc. Tutti sono infatti portatori in sé dell’Assoluto, del Logos, pertanto tutti, se adeguatamente educati, possono pervenire allo Spirito Assoluto, ossia all’autocoscienza di portare in sé l’Assoluto e di essere quindi qualcosa di più elevato che non la propria mera soggettività empirica.

In questo senso la comunità, cui si rivolge la filosofia come scienza della saggezza, non può che essere la comunità universale dei cittadini del mondo. Dunque il punto di vista cosmopolitico è quello proprio di tale concezione del mondo. Lo scritto kantiano Sulla pace perpetua (1795), nonostante i suoi limiti relativi al punto di vista dualistico della concezione generale kantiana, resta il punto di riferimento di tale concezione come lo è anche il concetto di ‘chiesa universale invisibile’ formulato dallo stesso Kant nello scritto sulla Religione nei limiti della semplice ragione del 1793. Nell’ambito della filosofia hegeliana è invece il concetto di ‘Spirito del Mondo’ (Weltgeist) a svolgere questa funzione.

La diffusione della filosofia dell’idealismo assoluto come filosofia ufficiale presuppone un’autorità che la promuova, dunque una qualche forma di ‘Stato mondiale’. Questo può anche essere visto per es. in una confederazione tipo l’ONU, ma avente decisamente maggiori poteri a livello locale. Queste comunque sono questioni tecniche, che riguardano le modalità della realizzazione del principio filosofico sul pianeta Terra, non la validità razionale del medesimo in sé, per qualsiasi forma di vita razionale cosciente su qualsiasi pianeta dell’universo. Da questo punto di vista la concezione di Giordano Bruno degli ’infiniti mondi’ ha aperto le porte alla filosofia moderna, che trova appunto nel sistema filosofico idealistico-dialettico il suo punto di arrivo.

Lo Stato mondiale, il cui contenuto etico-politico sarà individuato nei capitoli seguenti, pre-suppone a sua volta una lingua mondiale, nella quale gli esseri razionali coscienti possano capirsi. Tale lingua non può essere una lingua nazionale, elevata a lingua mondiale, dunque una seconda lingua per la gran parte dell’umanità ed anche una presenza estranea all’interno delle formazioni politiche locali non parlanti tale lingua, ma dev’essere una lingua che i bambini apprendono sin dall’inizio come madrelingua. Questa può tranquillamente coesistere con una lingua nazionale, la quale a questo punto diventa dialetto locale. Dunque lo Stato mondiale deve promuovere una tale lingua come lingua mondiale insieme alla filosofia idealistica come filosofia mondiale.

Questi sono gli aspetti fondamentali, da un punto di vista strutturale, della nuova civiltà dell’idealismo. Un insieme di valori fondati in modo razionale e condivisi a livello mondiale ed una lingua comune appresa come madrelingua. Il mezzo attraverso il quale deve avvenire una tale reimpostazione della vita umana sulla Terra non può essere dunque che un’educazione filosofica e linguistica mondiale dell’umanità. Essa deve avvenire tramite strutture scolastiche mondiali (programmi comuni d’insegnamento almeno della filosofia e della lingua a livello mondiale), che si devono sovrapporre alle politiche scolastiche locali (per es. a livello locale si può tranquillamente continuare a studiare la storia della letteratura nazionale e quindi il dialetto nazionale – italiano, tedesco, francese, cinese, inglese etc.), ma le materie comuni a tutte le scuole del mondo saranno decise a livello centrale e saranno in primo luogo la filosofia idealistico-dialettica e la lingua mondiale oltre poi alle discipline scientifiche ed alle altre materie di studio già oggi universali (matematica, fisica, chimica, biologia, musica, arte, sport ecc.). 

Queste devono essere, dunque, le travi portanti della civiltà dell’Idealismo, ossia della civiltà filosofica. Vediamo ora quale sia il principio fondamentale della sua eticità, poi passeremo alla discussione dettagliata dei valori in cui questo principio si esplica.


Unità 11

La struttura logica dell’etica: il riconoscimento 

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Il fine dell’etica è individuare il senso della vita umana nel mondo, deducendolo dal concetto di ‘essere umano’, la cui essenza è la Ragione Assoluta, il Logos. Evidentemente questa es-senza è la stessa in tutti gli esseri umani, indipendentemente dal luogo, del tutto casuale, dove essi sono venuti al mondo. In conseguenza di tale luogo essi hanno poi un certo colore della pelle ed altri connotati somatici come anche connotati psichici quali la religione, i valori di vita ereditati e così via. Tutto ciò dev’essere messo in secondo piano, se considerato dal punto di vista dell’assunzione della visione del mondo razionale e scientifica propria della filosofia dell’idealismo e quindi del suo concetto fondamentale dell’Assoluto come essenza razionale dell’essere umano.

Alla base del concetto di etica c’è il riconoscimento tra gli esseri umani come Assoluto, dun-que il fatto che ogni essere umano, adeguatamente educato nel modo precedentemente descritto, vede in se stesso e nell’altro essere umano l’Assoluto, un essere razionale creatore. Da questo punto di vista superiore, allora, il soggetto umano considererà non solo se stesso (in quanto cerca di autorealizzarsi come ente creatore), ma anche gli altri essere umani come enti creatori, soggetti e non oggetti. Egli quindi farà di tutto affinché gli altri esseri umani possano anch’essi autorealizzarsi, possano vivere in modo creativo.

Questa impostazione di vita, che vede lo spirito umano sforzarsi per promuovere la realizza-zione della ragione assoluta in ognuno, dunque indipendentemente dal fatto che essa si trovi in se stessi o negli altri, è appunto l’atteggiamento morale di chi agisce secondo i principi dell’eticità assoluta.

Kant ha espresso questo concetto molto chiaramente nel secondo imperativo categorico, nel quale esorta l’essere umano a considerare l’umanità in sé e negli altri come fine e mai come mezzo:

"Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo."

(Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. Bari 1997, p. 91).

Egli però non ha precisato in cosa poi debba consistere tale umanità come fine, ossia il contenuto della vita etica del soggetto che deve essere scopo delle nostre azioni. Ciò è, invece, proprio quel che ha fatto Hegel, ossia individuare il contenuto dell’etica, ossia in cosa consista l’esser fine l’un per l’altro. Egli ha individuato nel riconoscimento dell’altro come spirito il fondamento dell’etica. Il filosofo definisce tale riconoscimento come ’autocoscienza riconoscitiva’, che esprime con le seguenti parole:

"L’autocoscienza universale è il sapere affermativo di se stesso in un altro se stesso; ciascuno dei quali come individualità libera ha indipendenza assoluta, ma, in forza della negazione della sua immediatezza o appetito, non si distingue dall’altro, è universale ed oggettivo, e ha l’oggettività reale come reciprocità; cosicché esso si sa riconosciuto nell’altro individuo libero, e sa ciò in quanto riconosce l’altro e lo sa libero."

(Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, trad. it. Bari 1989, p. 428).

Tale riconoscimento tra essere umani senza vincoli di alcun tipo potremmo definirlo come ‘riconoscimento orizzontale’, in quanto tra esseri aventi lo stesso livello di esistenza, enti simili. Rispetto a tale riconoscimento orizzontale potremmo definire invece quello tra l’uomo individuale e l’universale, che è in lui, come ‘riconoscimento verticale’, in quanto l’Assoluto, ossia l’universale presente come Ragione Assoluta nell’essere umano individuale, è qualcosa di superiore, di più alto rispetto all’esistenza umana individuale. In questo senso l’essere umano riconosce in sé la presenza di qualcosa di più alto che la mera individualità, ossia appunto la presenza della Ragione Assoluta. 

Possiamo anche definire il riconoscimento orizzontale come riconoscimento etico, in quanto tra esseri umani, ed il riconoscimento verticale come riconoscimento teoretico, in quanto tra l’essere umano e l’Assoluto. Il primo fonda l’etica, ossia la concezione del senso della vita umana nel mondo, il secondo la teoretica, la concezione del senso del mondo. Il riconosci-mento teoretico fonda quello etico, che da esso dipende. Ciò vale non solo per la filosofia idealistica, ma per qualsiasi altra filosofia e religione, compreso anche l’ateismo, nel quale manca tale riconoscimento teoretico, nondimeno anche tale mancanza fonda un’etica, dunque un riconoscimento etico, per quanto si tratti di un’etica non definibile in termini oggettivi, ma solo soggettivi. Proprio la mancanza di un qualsiasi assoluto, lascia il soggetto individuale come ultima fonte della morale, quindi ognuno alla fine può dare a se stesso i propri valori del tutto indipendentemente da qualsiasi fondamento, ed anche darsene di diversi e contraddittori ogni giorno, se vuole.

Il riconoscimento etico razionale, propriamente filosofico ed idealistico si fonda allora sul principio della reciprocità dell’autocoscienza universale, ossia sul fatto che si abbia coscienza di sé come marito, moglie, padre, madre, figlio, figlia, ma anche nel mondo del lavoro come medico, paziente, insegnante, allievo ecc. ecc. sempre e soltanto tramite il riconoscimento dell’altro ed il riconoscimento nostro da parte dell’altro. Tale riconoscimento implica il fatto che l’altro si sia reciprocamente fine e non mezzo. Quindi il marito è fine per la moglie e viceversa; il figlio è fine per il genitore e viceversa, e così via. In tutte le relazioni umane in generale l’altro va visto sempre come fine mai come mezzo, non va mai usato, e ciò deve essere reciproco, per cui si crea un’autocoscienza universale, ossia un rapporto stabile di fiducia, una relazione in cui ognuno si prende cura dell’altro secondo le modalità specifiche del rapporto.

Vediamo quali siano in concreto le forme etiche che assume il meccanismo logico del riconoscimento, quindi quale sia il vero e proprio contenuto dell’eticità assoluta, quella che si fonda dunque sulla determinazione della Ragione Assoluta creatrice quale essenza dell’essere umano.

Soltanto se riconosciuto il soggetto umano può vivere, infatti, come razionalità creatrice, in quanto passa dalla propria esistenza come corpo (natura, materia), oggetto quindi della necessità dell’istinto e del bisogno, che si ripropone incessantemente dopo la soddisfazione, alla propria esistenza come spirito (appunto razionalità creatrice), la quale non mira al soddisfacimento passeggero del bisogno, bensì alla costruzione creativa di qualcosa insieme all’altro. In tale costruzione, che è processo, l’essere umano può realizzare la propria essenza, ossia la razionalità creatrice e quindi vivere da Assoluto, nella libertà, e non da Natura, nella necessità.

Nel primo caso, ossia nella vita organica della Natura, quale si presenta nei bisogni (bisogno di assimilazione, ossia di sopravvivenza individuale tramite le funzioni corporee e biologiche indispensabili per la vita), il soggetto umano è esso stesso oggetto di tali bisogni e, pur soddisfacendoli, vive secondo la categoria del falso infinito, che abbiamo visto essere la modalità non autentica dell’infinito. I bisogni, infatti, continuamente ritornano secondo la modalità del progresso all’infinito, quindi soddisfacimento del bisogno, sua ripresentazione, nuovo soddisfacimento ecc. ecc., in un processo che non perviene mai ad un fine, ad un senso, a qualcosa di stabile. Nel secondo caso, invece, ossia come vita razionale dello spirito, qual è a fondamento dell’autocoscienza universale e quindi del riconoscimento reciproco, l’essere umano vive come soggetto creatore, pertanto soddisfa anche i propri bisogni, il che naturalmente fa parte della vita, ma all’interno di strutture sociali stabili, il cui scopo è spirituale (avere figli, educarli, eseguire un lavoro per qualcuno ecc. ecc.), in quanto esso non è il soddisfacimento del bisogno proprio quanto di quello dell’altro (ciò ovviamente in modo reciproco). Così si crea un legame, si costruisce insieme qualcosa che ha un senso. In tale processo di costruzione non agisce la categoria del falso infinito, bensì quella del vero infinito, si realizza qualcosa di compiuto, di stabile (una famiglia, un’opera lavorativa, un’istituzione sociale e statale ecc. ecc.), all’interno della quale gli esseri umani possono vivere da soggetti liberi e non da oggetti dei bisogni, sempre ricorrenti, della natura materiale. Nondimeno tali bisogni vengono ugualmente soddisfatti, ad un livello spirituale e non puramente materiale, perché ovviamente la propria vita naturale viene superata, ma anche conservata, in quella spirituale, secondo il principio dialettico dell’Aufhebung. 

Unità 12

Valori etici della civiltà filosofica
a. Umanità e Stato Mondiale

*

La comunità umana organizzata, quindi lo Stato inteso come Stato mondiale senza alcun limite geografico, è il primo dei valori etici propri dell’Eticità Assoluta, ossia dell’eticità promossa dallo spirito che si riconosce come Assoluto e si comporta, pertanto, non seguendo le proprie inclinazioni fuggevoli e momentanee, bensì la propria razionalità creatrice. 

Approfondendo il concetto di Stato, possiamo definire in modo più preciso il principio, sul quale esso si basa, come ‘principio della razionalità creatrice’, intesa questa appunto come la presenza della ragione universale assoluta in tutti gli esseri umani. Lo Stato filosofico è anzitutto uno Stato fondato sulla razionalità creatrice come caratteristica e qualità essenziale di ogni essere umano.

La razionalità creatrice determina l’infinita dignità di ogni essere umano, che altrimenti non potrebbe essere in alcun modo fondata. Essa si fonda a sua volta sul fatto che l’essere umano è l’ente la cui essenza è, per quanto in un periodo di tempo limitato a causa della struttura temporale del corpo, è l’Assoluto. Nel tempo della sua vita ogni essere umano ha come pro-pria essenza l’Assoluto, anche nel caso in cui non ne sia cosciente e quindi non viva in modo razionale, ma soggetto alle proprie pulsioni ed istinti di tipo materiale. 

Il principio della assoluta dignità dell’essere umano comporta che esso non deve mai essere considerato come oggetto, ma sempre e solo come soggetto, come creatore. Il motivo di ciò è, appunto, che la sua essenza è costituita dall’Assoluto, dal principio primo del mondo.  Per questo motivo l’essere umano, nella considerazione dei suoi simili, se educato ai principi della filosofia idealista, vede in essi se stesso e quindi è naturalmente portato a considerarli come fine e non come mezzo, a rispettarne la dignità di soggetti ed a non considerarli mai come oggetti. Questo diventa proprio un modo di vivere, un ’habitus’, il proprio vestito comportamentale, potremmo dire.

Dopo la razionalità creatrice e la dignità assoluta, l’altro carattere fondamentale e distintivo dello Stato filosofico idealista è la libertà sostanziale. Proprio in quanto razionale e creatore, l’essere umano non può che essere libero, libero dunque di autorealizzarsi. Lo Stato deve pertanto creare tutte le condizioni affinché l’individuo possa realizzarsi, possa vivere da Assoluto, da Ragione creatrice. 

Si tratta di un significato molto più profondo del concetto di libertà proprio della tradizione liberale e della coscienza comune. ‘Libertà’ non significa fare quel che si vuole, quando e come si vuole, questo è il libero arbitrio, che anche naturalmente fa parte del concetto di libertà, come suo aspetto soggettivo, ma non lo esaurisce. Il libero arbitrio indica il fatto che l’essere umano, come ente razionale, è dotato della facoltà di scegliere e che questa pertanto non gli può essere tolta. Il significato profondo e veramente filosofico del concetto di libertà aggiunge però al libero arbitrio il contenuto della scelta, ossia l’indicazione di cosa debba essere scelto affinché l’individuo possa autorealizzarsi e vivere da Assoluto, quindi realizzando la propria essenza. Una vita libera è essenzialmente una vita creativa, dato che l’Assoluto è pura creatività razionale. Libertà è dunque in fondo sinonimo di creatività, una vita libera è una vita creativa. Quindi le scelte del libero arbitrio vanno indirizzate nel senso della creatività, della ragione creatrice. Questa è appunto la libertà sostanziale promossa dalla filosofia idealistica, che contiene in sé il libero arbitrio, ma gli dà un senso, una direzione, un orientamento. Così l’individuo sa come indirizzare le proprie scelte etiche.

La prima creazione dello Spirito Assoluto e quindi il primo valore etico, la prima esteriorizzazione della libertà sostanziale, è proprio lo Stato mondiale. Il soggetto umano è libero anzitutto se può creare e mantenere in vita uno Stato mondiale filosofico corrispondente al concetto della Ragione Assoluta quale essenza di ogni essere umano.

La forma politica di tale Stato non può che essere la democrazia, come del resto lo stesso Hegel aveva capito nel 1802 a conclusione del manoscritto Sistema dell’Eticità, che poi non pubblicò in quanto gli mancava la parte relativa alla fondazione filosofica, che aggiunse poi con la cosiddetta Continuazione del Sistema dell’Eticità, come abbiamo visto nell’unità 9. Il motivo di ciò è che tutti gli esseri umani sono nella propria essenza l’Assoluto, quindi a tutti spetta la creatività politica sia passiva, tramite la partecipazione alle elezioni, sia attiva, tramite l’offerta della propria candidatura al servizio della comunità. 

Affinché tutto ciò possa effettivamente realizzarsi, lo Stato ha anzitutto il compito di formare i cittadini alla filosofia come scienza della saggezza. Ciò deve avvenire a livello scolastico mondiale. I cittadini, una volta formati alla razionalità creatrice filosofica, sono poi in grado di operare scelte politiche in modo serio tramite il voto. In tal modo la democrazia da mera formalità diventa sostanziale, verace. Ciò in quanto i cittadini devono esser messi dallo Stato anche nelle condizioni concrete di avere le conoscenze storico-filosofiche di base per eleggere in modo veramente cosciente chi debba poi deliberare. 
Cosa diversa è invece la partecipazione attiva alla creatività politica, ossia l’offerta della propria candidatura al servizio della comunità. Per questa non basta assolutamente la preparazione di base storico-filosofica, ma ci vuole una preparazione molto più complessa ed approfondita, che, oltre all’approfondimento della storia e della filosofia come scienza della saggezza, contempli lo studio di tutte le scienze umane e sociali (storia, scienza dello Stato, economia politica, sociologia, psicologia ecc.) nonché anche delle scienze naturali, chiaramente in forma divulgativa. Il politico deve essere anzitutto una persona fortemente preparata in senso sia filosofico sia multidisciplinare, solo così potrà poi affrontare le questioni importanti che la professione scelta inevitabilmente gli porrà. Pensare che si possa fare buona politica senza un’adeguata preparazione, laddove per qualsiasi mestiere, anche quello più semplice, sono richieste, soprattutto nelle società complesse, sempre delle competenze ed anche molto approfondite, è un errore gravissimo, che affligge le attuali democrazie (e tutti gli altri Stati concretamente esistenti sul pianeta Terra).

A questo punto si apre però la questione decisiva da un punto di vista etico e di orientamento di vita: cosa deve creare nello Stato l’essere umano per vivere conformemente alla propria essenza razionale creatrice? Ossia quale dev’essere il contenuto della vita etica degli individui nello Stato filosofico mondiale? Quale dev’essere il contenuto della libertà sostanziale, della vita libera? Cosa deve alla fine creare l’essere umano che abbia raggiunto tale consapevolezza? 


Unità 13

Valori etici della civiltà filosofica
b. Amore e Famiglia

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La seconda creazione etica da parte dell’essere umano, dopo lo Stato che è sicuramente la prima per ordine d’importanza, è la famiglia.  Quest’ordine gerarchico tra le istituzioni etiche di realizzazione del senso della vita umana nel mondo è dovuto a rapporti logici di dipendenza. Lo Stato viene al primo posto in quanto esso pone le condizioni oggettive per l’esistenza di ogni altro aspetto della vita dell’essere umano. Già il linguaggio è qualcosa di comune, quindi relativo allo Stato, poi naturalmente l’educazione e qualsiasi altra attività dell’essere umano s’iscrive in una cornice di possibilità, per es. anche giuridiche, stabilita dalla comunità, quindi da quel che s’intende col concetto generale di ‘Stato’. 

L’essenza della famiglia risiede nel suo scopo principale che è quello della riproduzione della specie. Questa è a sua volta vincolata alla struttura corporea dello spirito, che, in quanto realizzazione dell’Assoluto, contiene in sé non solo il momento della libertà, nella sua esistenza spirituale, ma anche quello della necessità, nella sua esistenza corporea. 

L’Assoluto, infatti, come si è visto nella parte relativa alla logica-metafisica, ha come principio fondamentale del suo sviluppo il concetto del ‘superare conservando’, dell’Aufhebung. Nello sviluppo, pertanto, nulla va perso, ma ogni fase precedente viene conservata in quella seguente. Per questa ragione logica l’essere umano, punto superiore nella scala evolutiva, contiene in sé tutta la realtà, quella materiale come anche quella spirituale. Quella materiale la contiene in sé come ‘superata’, in quanto non appartiene alla propria essenza irrinunciabile, ma tuttavia lo condiziona fortemente, giacché è la base materiale a partire dalla quale poi si sviluppa la sua vera e propria vita essenziale. Quest’ultima, la vita spirituale, razionale e libera, è quella che lo contraddistingue all’interno della gerarchia evolutiva. Essa però presuppone che la base strutturale e materiale dell’essere umano, il corpo, ci sia. Il primo atto che garantisce tale esserci del corpo è l’atto riproduttivo, attraverso il quale due esseri umani, di sesso diverso, uniscono i propri corpi, portano all’unione così i propri fattori riproduttivi ed in tal modo generano materialmente altri esseri umani. 

Tale atto riproduttivo fondamentale, che dà la vita ad un essere umano come corpo, però non basta. Il neonato dev’essere curato, aiutato a crescere ed a diventare a sua volta capace di generare altra umanità, e così si passa dalla prima generazione, quella corporea, alla seconda generazione, quella spirituale. Ciò avviene tramite l’educazione. L’individuo viene educato a sopravvivere nel mondo, a compiere le prime elementari operazioni di sopravvivenza (mangiare, coprirsi dal freddo ecc.), a comunicare, attraverso il linguaggio, in sostanza a saper compiere tutte quelle operazioni necessarie a garantirgli la sopravvivenza.

Tale atteggiamento di cura dei genitori nei confronti del figlio, a partire dalla generazione corporea ed ancor più poi con la generazione spirituale, è determinata dall’amore, ossia dal forte senso di appartenenza reciproca di coloro che sono legati dal vincolo della famiglia, dunque della riproduzione umana comune. 

L’amore da una parte è un sentimento, dall’altra si basa sul riconoscimento, qual è stato espo-sto poco sopra, e quindi è qualcosa che attiene alla coscienza, alla ragione. Tramite il ricono-scimento, gli individui si sanno come marito e moglie, quindi in seconda battuta come padre e madre. Grazie a tale riconoscimento, essi possono dunque creare altra umanità, che è una delle creazioni più elevate e soddisfacenti, di cui un essere umano possa essere artefice. 

La famiglia non si dissolve con il diventare indipendente del figlio, in quanto il processo naturale d’invecchiamento porta i genitori a loro volta a perdere l’indipendenza che avevano come adulti. Di conseguenza il figlio riceve nel corso della propria vita a sua volta il compito familiare di accompagnare i propri genitori nel loro processo d’invecchiamento, rendendolo meno duro e doloroso. Così egli li riconosce come genitori fino all’ultimo giorno della loro vita, come essi hanno riconosciuto lui sin dal primo giorno di vita (ed anche prima, evidentemente).

In tal modo l’essere umano adulto, sia esso femminile o maschile, ha un doppio senso di vita da un punto di vista etico: da una parte la cura familiare dei propri genitori, che stanno invecchiando, dall’altra la generazione di propri figli, quindi la creazione di una propria famiglia. Questa ripeterà il ciclo familiare, in quanto anche il figlio adulto diventerà a sua volta vecchio ed avrà pertanto bisogno dell’aiuto dei propri figli, diventati essi ora adulti. 

Tale sviluppo non sarà mai una mera e semplice ripetizione: in quanto contraddistinti dal principio del ‘superare conservando’, sia la crescita corporea sia soprattutto quella spirituale del figlio saranno in linea generale di un livello superiore a quella dei propri genitori. A livello di corpo il figlio partirà, salvo eccezioni dovute a guerre o altri cataclismi vari, normalmente da condizioni di vita superiori a quelle dei genitori e quindi sarà più forte e più sano. A livello spirituale poi, facendo tesoro di tutto quel che i genitori e la società gli hanno insegnato, potrà fare un passo in più ed aggiungere qualcosa a tale educazione, quando a sua volta educherà il proprio figlio. In tal modo ogni figlio sarà un po’ più adatto a sopravvivere in una società che a sua volta, in quanto anch’essa inevitabilmente dominata dallo sviluppo e dal superamento, sarà ugualmente più evoluta.

Il rapporto familiare, che lega coloro che sono vincolati dall’appartenere ad una medesima discendenza, costituisce dunque un insieme di doveri che però al contempo sono anche diritti: il dovere di generare un figlio che è anche il diritto di diventare padre o madre;  il dovere di crescere ed educare un figlio, ma anche il diritto di educarlo secondo i propri valori (come anche il diritto del figlio ad essere educato); il dover di prendersi cura dei genitori, ma anche il diritto di ricevere tali cure, quando sarà giunto il momento. 

Questa corrispondenza tra dovere e diritto è il contenuto del concetto della libertà come libertà sostanziale e non meramente formale (il libero arbitrio), di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. A dir la verità gli stessi termini ‘dovere’ e ‘diritto’ non sono adeguati ad esprimere tale elevatissimo concetto. Si deve piuttosto usare l’espressione ‘senso della vita’. 

Anzitutto si tratta del ‘senso metafisico della vita’, il quale consiste nel garantire la riprodu-zione della specie, quindi anche dell’Assoluto che è in noi, attraverso la creazione di una famiglia, ossia di un ambiente pieno di cura ed amore, nel quale far crescere sia corporalmente sia spiritualmente i propri figli (o eventualmente anche figli di altri essere umani, per es. tramite l’adozione, che ha evidentemente un profondo valore etico). 

Si tratta poi anche di un ‘senso etico della vita’, che è quindi molto di più che non un semplice dovere o diritto, per come tali termini sono interpretati a livello giuridico, in quanto esso consente all’essere umano di realizzare la propria essenza creatrice. Tale ‘senso etico della vita’ non è assolutamente egoistico, in quanto si basa sulla reciprocità del riconoscimento (come marito, moglie, padre, madre, figlio, figlia, fratello, sorella e così via), ed a livello di sentimento corrisponde all’amore.  Pertanto l’autorealizzazione può avvenire soltanto attraverso l’altro, in senso reciproco, per la qual cosa i due o più esseri umani finiti costituiscono un’entità superiore, il che dal punto di vista logico corrisponde al ‘vero infinito’, ed è questa entità superiore (la coppia, la famiglia) che si autorealizza attraverso l’autorealizzazione dei singoli. Per questo motivo il singolo che si autorealizza nella famiglia non lo fa in senso egoistico, in quanto agisce per il bene comune, non soltanto per il proprio (bene individuale e bene comune nell’eticità assoluta coincidono proprio in quanto il singolo, identificatosi con l’Assoluto che è in lui, non agisce più in modo solo egoistico, ma anche altruistico, quel che fa, lo fa per sé e per gli altri, non esiste una vera e propria separazione tra gli individui, il cui benessere è ormai reciproco ed interdipendente all’interno della comunità etica). 

Nell’eticità assoluta, sia nella famiglia sia anche nello Stato, ‘senso metafisico e senso etico della vita’ alla fine dunque coincidono, sono due aspetti della stessa medaglia. Il ‘senso etico della vita’, che gli individui danno a se stessi nella creazione e nella gestione della famiglia così come di uno Stato, rende possibile l’autorealizzazione dell’Assoluto, il che è il ‘senso metafisico della vita’. Nella famiglia è, infatti, l’Assoluto stesso che, tramite i sacrifici, ripa-gati da amore e sentimento di autorealizzazione, dell’essere umano, si presenta e si riproduce nel mondo nella sua forma propria, che è quella della razionalità e della libertà, ossia dello spirito. Lo stesso si può dire dello Stato, anch’esso senso etico della vita degli individui, i quali addirittura spesso sono disposti a morire per esso, garantendo però in tal modo la presenza nel mondo dell’Assoluto come spirito razionale e libero. 

Da questo punto di vista più alto, dunque, senso della vita umana nel mondo e senso del mondo coincidono. Considerata dal punto di vista dell’essere umano individuale, la famiglia è il suo senso di vita; considerata, però, dal punto di vista universale dell’Assoluto, è il senso del mondo, dunque dell’Assoluto stesso, produrre altra umanità, altri esseri umani razionali e liberi, nei quali quindi esso stesso Assoluto possa venire all’esistenza. L’Assoluto in sostanza si riproduce attraverso gli esseri umani i quali, in cambio della loro opera anche di sacrificio sia per la famiglia sia per lo Stato sia anche, come vedremo nel capitolo immediatamente seguente, per il lavoro, sono ripagati tramite la consapevolezza di aver realizzato qualcosa d’importante, di aver dato un significato alla propria vita, e quindi anche tramite il sentimento di pienezza, che tale consapevolezza genera.

Unità 14

Valori etici della civiltà filosofica

c. Lavoro e Società Civile

*

Dopo lo Stato e la famiglia il terzo valore etico, nel quale si realizza l’essenza razionale, libera e creatrice dell’essere umano, è il lavoro. In termini più precisi, si tratta del contributo che ogni individuo dà alla produzione sociale dei beni necessari alla sopravvivenza di sé e degli altri esseri umani, singolarmente presi. Da un punto di vista materiale e corporeo, tale concetto corrisponde al bisogno dell’assimilazione, ossia dell’assunzione da parte del singolo individuo di quegli elementi naturali che assicurano la sua sopravvivenza anzitutto corporea (cibo, acqua, un tetto sulla testa ecc.), ma anche spirituale (educazione, apprendimento di un mestiere ecc.).

Come la specie si riproduce attraverso l’atto sessuale, che, vissuto in modo libero e spirituale, diventa ‘famiglia’, così l’individuo riproduce se stesso tramite il lavoro necessario a soddisfare i propri bisogni, che, vissuto anch’esso in modo libero e spirituale, diventa ‘lavoro sociale’ che si esplica come ‘società civile’. 

La società civile consiste nell’organizzazione sociale del lavoro tramite il principio della ‘divisione del lavoro’, in quanto l’individuo singolo, da solo, non potrebbe mai farcela contro le forze avverse della natura. Per questo motivo appartiene al concetto del lavoro e non soltanto alla sua concreta evoluzione storica, che anzi ne è una logica derivazione, che il lavoro sia organizzato socialmente e che pertanto gli individui di una comunità, anche soltanto di una stessa famiglia, si dividano il lavoro totale da fare per produrre i beni necessari alla propria sopravvivenza. Tale specializzazione porta ad un miglioramento esponenziale dei risultati del lavoro e quindi anche della qualità della vita umana come della sua quantità (lunghezza della vita in anni, numero degli esseri umani che sopravvivono ai primi anni di vita ecc.).

Il lavoro è pertanto un insieme di operazioni complesse, destinate alla produzione di beni sia materiali (agricoltura, allevamento, industria ecc.) sia spirituali (scuola, ricerca, insegnamento, arte, spettacolo ecc.) ed alla loro distribuzione (commercio, divulgazione ecc.). Quanto più una società è evoluta, tanto più specializzate sono tali operazioni compiute dai singoli. In tal modo si raggiungono dei risultati che sarebbero del tutto impossibili, se gli individui dovessero occuparsi di tutti i beni, di cui hanno bisogno per sopravvivere. 

Producendo il singolo soltanto uno o comunque al massimo pochi beni, s’impone la necessità dello scambio di tali beni con quelli prodotti dagli altri individui. Tale scambio può avvenire in varie forme sia come baratto (bene in cambio di bene) sia tramite un’unità di misura del valore dei beni che funga da mezzo di scambio (il denaro, quindi il lavoro viene scambiato con denaro e poi questo con beni). Come ciò venga regolato in una società è, da un punto di vista filosofico, indifferente, dipende dalle scelte strategiche della medesima. La scienza che se ne occupa è l’economia politica.

In quanto il lavoro è un’attività sociale, ossia rivolta ad altri esseri umani, anche alla sua base, come alla base della famiglia, c’è, secondo il concetto, il riconoscimento dell’altro come fine e non come mezzo. L’individuo produce un bene o un servizio, questo è rivolto ad altri individui che ne hanno bisogno e questi individui devono essere assunti dall’individuo lavoratore come scopi del proprio lavoro, ossia egli deve lavorare per soddisfare nel miglior modo, a lui possibile, i bisogni di tali individui ai quali si rivolge quella sua prestazione.

In tal modo l’individuo riconosce gli altri individui come soggetti, come enti spirituali, razionali e liberi, ossia come se stesso, come suoi simili. L’Assoluto riconosce se stesso, si potrebbe dire anche in questo caso. Il lavoro è pertanto anch’esso cura dell’altro, dove l’altro in questa sfera non è un membro della famiglia, ma della società. Può anche essere che i due individui non si conoscano affatto e che pertanto lo scambio non avvenga in modo diretto, bensì indiretto (come del resto accade nella gran parte dei casi nelle società più sviluppate, ossia quelle in cui la divisione del lavoro è più complessa ed i beni prodotti e distribuiti sono più differenziati). La cura pertanto non è necessariamente diretta, ma può anche essere indiretta attraverso la produzione seria, qualitativamente professionale e quantitativamente adeguata, del bene. Comunque si tratta sempre di un prendersi cura dell’altro, ossia di chi, anche magari a migliaia di chilometri di distanza oppure in un futuro lontano, fruirà del bene. 

Alla base del lavoro, come del resto alla base della famiglia, c’è pertanto l’amore dell’essere umano per l’altro essere umano, il senso di appartenenza alla stessa specie e di aver tutti la medesima essenza razionale libera e creatrice come anche la medesima situazione esistenzia-le, ossia aver bisogni e desideri da soddisfare tramite il lavoro proprio ma anche degli altri.

In quanto atto d’amore il lavoro dà anch’esso, come la famiglia, un senso alla vita dell’essere umano. Nella famiglia tale senso risiede nella creazione di un ambiente d’amore positivo e favorevole alla nascita sia corporea sia spirituale di altri esseri umani; nel caso del lavoro, esso risiede nella creazione di beni, materiali o spirituali, che possano soddisfare i bisogni degli individui e quindi anzitutto garantire poi anche rendere qualitativamente più bella e/o quantitativamente più lunga la loro vita.  

Il lavoro così inteso è quindi un dovere-diritto dell’individuo, nel senso che lo Stato, ossia la società organizzata degli individui, deve garantirlo a tutti come anche deve educare gli individui al lavoro e controllare che essi effettivamente contribuiscano al benessere comune, secondo le modalità che gli saranno proprie.

Naturalmente il lavoro, in quanto consumante le energie vitali dell’individuo, va regolato sia nei suoi tempi sia nelle modalità della sua effettuazione. Questo è appunto uno degli scopi principali dello Stato. Esso deve infatti garantire che sia la regolamentazione della famiglia sia quella del lavoro rendano possibile all’individuo di realizzare in tali valori la propria libertà e creatività ed al contempo assicurando all’Assoluto la sua riproduzione come specie, tramite la famiglia, e come individuo, tramite il lavoro. 

Per questo motivo la politica familiare e la politica economica dello Stato sono particolarmente importanti, in quanto lo qualificano e determinano come Stato Etico  (o, al contrario, come Stato non Etico). Con questo concetto s’intende uno Stato che promuova al proprio interno l’Eticità Assoluta, come essa è stata determinata ed esposta negli ultimi capitoli. L’Eticità Assoluta a sua volta rende possibile la realizzazione del senso di vita degli esseri umani, consentendo loro quindi una vita spiritualmente piena, nella quale ovviamente vengano anche soddisfatti i bisogni più propriamente materiali, legati alle radici biologiche dello spirito. Infine, l’autorealizzazione dello spirito consente la realizzazione dell’Assoluto nel mondo, costituendo questo infatti l’essenza razionale e creatrice dello stesso spirito. 

In tal modo senso della vita umana nel mondo e senso del mondo coincidono, l’Assoluto si realizza attraverso l’autorealizzazione degli esseri umani, e così si chiude il cerchio del rap-porto tra metafisica, scienza dell’Assoluto, ed Etica, scienza che individua il senso della vita umana nel mondo ed i suoi valori.  I valori appena individuati (Stato, Famiglia, Lavoro) costituiscono il contenuto della Saggezza umana, fondata a sua volta dalla Scienza Filosofica. Così è dimostrato in modo logico il concetto della filosofia come ‘Scienza della Saggezza’, quale era stato presentato all’inizio di questo nostro lavoro come il vero e proprio concetto e quindi scopo della Filosofia.


Unità 15

L’eticità come felicità ed
autorealizzazione dell’essere umano

*

All’interno dello Stato Etico (preferibilmente mondiale, ma comunque anche possibile come Stato nazionale), fondato sui principi filosofico-idealistici della razionalità dialettica e della libertà sostanziale, gli individui possono realizzare la propria essenza creatrice tramite la vita etica familiare e lavorativa. In tal modo la Ragione Assoluta, il Logos, si riproduce. In questo senso gli esseri umani individuali sono mezzi per la realizzazione dell’Assoluto, che gli sopravvive. Dove ciò porterà, se un giorno l’umanità non sarà più mezzo dell’Assoluto, ma governerà essa stessa l’Assoluto, non è dato al momento sapere ed è sicuramente una problematica sulla quale riflettere nei prossimi anni. 

Vi è però un premio che l’individuo riceve per aver garantito la riproduzione dell’Assoluto: si tratta della felicità. L’individuo che vive in modo etico, ossia che crea una famiglia stabile, all’interno della quale dà la vita sia naturale sia spirituale ad altri esseri umani, e che tramite il proprio lavoro soddisfa i bisogni di altri esseri umani, che egli riconosce come proprio fine, ha come gratificazione un sentimento di contentezza, di appagamento che lo rende appunto soddisfatto, appagato, contento. Questa è una felicità spirituale, condita da momenti di vera gioia, quale possono essere per es. la fase dell’innamoramento, la nascita di un figlio, la riuscita o ottenimento di un bel lavoro ed insomma tutti quei momenti particolarmente significativi e pieni di coinvolgimento anche emotivo che scandiscono la vita etica degli individui. All’interno di questa felicità spirituale, che è quella adeguata alla natura appunto spirituale dell’essenza razionale propria dell’essere umano, vengono soddisfatti anche quei bisogni, quelle pulsioni, quegli istinti di carattere maggiormente materiale, che ne costituiscono la componente non essenziale, ma comunque anche esistente, ossia la corporeità. 

La vita etica dell’essere umano è dunque una vita piena, sia spirituale sia corporea. La felicità è di carattere spirituale, ma tale da contenere anche il soddisfacimento della sensibilità.

Naturalmente essa è felicità etica, quindi da adulti, non quella propria dei bambini; è quindi una felicità accompagnata dalla coscienza della finitezza della vita umana, una felicità in qualche modo accompagnata dalla malinconia causata da tale coscienza. Ma più di tanto l’essere umano non può fare: l’infinità sta nella compiutezza del finito, come si è visto nella parte relativa alla logica, non nella ripetizione all’infinito degli atti di vita. Pertanto noi dob-biamo aspirare ad una vita compiuta, realizzata, piena, non ad una vita eterna, se vogliamo restare sui binari della logica.

Dunque la vita stessa ha una fine, in quanto ha un compimento. L’essere umano può far tutto affinché la propria vita sia infinita nel senso di essere compiuta, di aver realizzato qualcosa d’importante in essa. Oltre questa compiutezza non può però andare, anche se l’anelito ad andarci è presente. Così anche noi non possiamo andare oltre il concetto della felicità, un po’ velata di malinconia, che abbiamo appena presentato.  

L’essere umano che con costanza e tenacia superi tutte le difficoltà della vita, anche la stessa malinconia, e porti avanti tenacemente la realizzazione della vita etica, ha ‘carattere’. Il carattere è appunto la fermezza, fondata possibilmente su di un saldo sapere filosofico, di quali siano i veri valori della vita. Esso è la fonte della saggezza, che nella prima lezione abbiamo visto essere lo scopo della filosofia, del sapere; saggezza che può e deve essere, quindi, di tutti e non solo di pochi.

Possa questo piccolo libro contribuire a che nel mondo vi sia un pizzico in più di saggezza, di carattere ed anche di felicità!


Conclusione

La verità filosofica ed il mondo attuale

*

Nelle pagine precedenti abbiamo delineato le linee fondamentali di una concezione filosofica di comprensione del principio primo del mondo e del senso della vita umana in esso. Il risultato ne è stata una filosofia intesa come nuova religione, di carattere razionale, adatta al nostro tempo. Oggi viviamo in un’epoca basata sulla ragione, ma che tuttavia non può fare in alcun modo a meno di un orientamento generalmente religioso, per quanto in senso razionale e quindi filosofico. 

Il principio fondamentale della Ragione Assoluta, qual è stato delineato nella prima parte di questo lavoro, ottempera ad entrambi i requisiti: è razionale da una parte, in quanto fondato sulla teoria della conoscenza e sulla logica, ma anche ’religioso’ dall’altra, in quanto si rivela capace di spiegare il mondo ed il suo sviluppo.

Abbiamo anche visto come tale concezione fondi degli ideali di tipo etico del tutto razionali, quali lo Stato, la Famiglia ed il Lavoro, che risultano essere i valori fondamentali che possono dare un senso razionale alla vita dell’essere umano sulla Terra e condurlo ad una vita, per quanto possibile, realizzata, quindi serena e felice.

Insomma il risultato che riteniamo di aver conseguito in questo lavoro, di piccola mole ma, speriamo, di grande portata, è l’aver fornito delle indicazioni, dei lineamenti di una concezione filosofico-religiosa la quale, pur mantenendo il rigore logico della filosofia intesa come scienza, riesca nondimeno ad indicare all’essere umano un orientamento di vita razionale, effettivamente realizzabile nella sua vita terrena e capace di fornire, quindi, un senso alla medesima. 

Questa concezione si basa sull’ultimo grande sistema filosofico, quello hegeliano, e lo espone, comunque ripensandolo ed attualizzandolo, in un linguaggio semplice e vicino a quello della vita quotidiana, concentrandosi sull’essenza di tale filosofia, lasciando perdere i vari aspetti legati alle accidentali condizioni storiche della sua formulazione.

Essa ha l’obiettivo di voler fornire all’essere umano, dotato di una cultura media e che abbia impostato la propria vita in modo esclusivamente razionale, un orientamento di vita che lo guidi nella sua esperienza terrena, fortificandone il carattere e quindi creando in lui una base di saggezza, assolutamente necessaria per prendere nel modo giusto tutte le decisioni impor-tanti che di volta in volta gli si presenteranno. 

Da questo punto di vista tale concezione filosofica ha lo scopo di fornire una religione razio-nale a chi oggi si senta ateo, ossia non abbia un dio trascendente di riferimento. L’ateismo, infatti, se vuole veramente incidere nella società, deve essere in grado di diventare propositivo di principi e valori oggettivi, non può semplicisticamente soltanto negare i principi ed i valori religiosi della tradizione. Esso deve anche fornirne di propri, fondandoli in modo razionale, altrimenti non si capisce proprio come si possa aiutare soprattutto i giovani ad assumere un orientamento di vita basato su solidi principi ed ideali di vita.

L’obiezione principale, che si rivolge spesso alla filosofia ed in particolare a quella idealistica, è che essa sia un’utopia, ossia un insieme di concetti ed ideali magari anche veri e belli da perseguire nella propria vita, ma di difficile o addirittura impossibile realizzazione.

A tale critica di carattere generale v’è da rispondere che la verità ci pensa essa stessa, quando è il momento opportuno, a realizzarsi, nei modi e nei tempi che essa sceglierà. Pensare che la realizzazione della verità, ossia dell’Assoluto, possa dipendere da un essere finito quale l’essere umano, per quanto considerato anche nella sua ampiezza totale come l’umanità mondiale, è un atto di arroganza ed anche d’ignoranza filosofica. L’essere umano è una parte finita del tutto infinito, per quanto ne sia il senso interno, lo scopo immanente dello sviluppo del mondo. Ma quando pronunciamo tale frase altisonante, sicuramente non intendiamo l’umanità specifica e limitata abitante il pianeta Terra, ma il concetto generale di essere umano come ’essere razionale’, che chissà quanti altri pianeti abiti in questo momento, abbia abitato in passato ed abiterà in futuro. Da questo punto di vista superiore, l’umanità presente attualmente sul pianeta Terra è soltanto una minima componente dell’Universo, per quanto comunque al momento l’unica da noi conosciuta che sia autocosciente.

L’Assoluto quindi, ossia la verità, non ha, dunque, bisogno dell’essere umano per realizzarsi, quindi il problema dell’utopia è smontato alla radice: la questione della realizzazione dell’Assoluto e della verità etica non è una questione che ci riguardi, noi esseri umani siamo troppo insignificanti nell’universo per poterci arrogare la presunzione che da noi dipenda la realizzazione di qualcosa di così alto come l’Assoluto o la Verità. 

Nondimeno, tramite la filosofia noi esseri umani abbiamo compreso l’Assoluto, grazie alla scienza empirica abbiamo compreso il mondo ed il suo funzionamento (anzi lo stiamo com-prendendo ancora e sempre di più), quindi comunque qualcosa, per quanto nelle forme limitate a cui la nostra fisicità ci vincola, abbiamo già saputo realizzare ed altro ancora verrà. Per questo motivo, sembra sensato che l’umanità si metta seriamente a riflettere se vuole o meno impostare la propria vita da un punto di vista razionale, seguendo per es. quanto questo libretto, sulla base degli ultimi grandi sistemi filosofici del passato, indica, oppure procedere alla cieca, seguendo moventi impulsivi, ideologici, irrazionali, superstiziosi e così via. La realizzazione dell’Assoluto sicuramente non dipenderà dalle scelte dell’umanità, ma la sua stessa vita, la pace, il suo benessere, la sua serenità, questo sì che dipenderà da tali scelte nei prossimi anni e decenni. 

La grande filosofia sistematica, che ha avuto nel pensiero di Hegel la sua ultima versione, in più di duemila e cinquecento anni di lavoro ininterrotto ha fornito all’umanità la possibilità di orientare le proprie conoscenze e le proprie azioni di vita in modo puramente razionale e conforme alla struttura logica del mondo.  Spetta all’umanità comprendere tale messaggio, farlo proprio prima intellettualmente, per poi realizzarlo. Sempre nella consapevolezza che, se lo farà, lo farà soltanto per se stessa, per vivere meglio la propria limitata esperienza terrena, perché a realizzare la verità assoluta ci penserà e ci sta già pensando l’Assoluto stesso, non essendo questo un compito specificamente umano.

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