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2024: SVILUPPO DIALETTICO E AUTENTICO SIGNIFICATO DELLA FILOSOFIA DI HEGEL

2024: SVILUPPO DIALETTICO E AUTENTICO SIGNIFICATO DELLA FILOSOFIA DI HEGEL

 

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2024

(in corso di stampa)

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Lo sviluppo dialettico del pensiero di Hegel:

nascita e significato del suo sistema filosofico

(1785-1806)

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(Avvertenza: questa è una versione regolarmente rivista
e aggiornata fino a oggi, man mano che sono stati pubblicati
i vari volumi delle Gesammelte Werke di Hegel,

della mia dissertazione filosofica del 1983.
L’aggiornamento è tuttora in corso.
Il testo è attualmente in preparazione per la pubblicazione cartacea
che avrà luogo nella prima metà del 2024).

 

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PREFAZIONE

Sul senso dello studio della filosofia di Hegel

 

Da alcune nostre ricerche precedentemente effettuate (1) è emerso come l’intento fondamentale di Hegel, tanto nel periodo giovanile quanto in quello della maturità, sia stato fornire all’umanità tramite l’elaborazione del proprio sistema filosofico una concezione scientifica, ossia dimostrata e dimostrabile, della saggezza, realizzando in tal modo l’ideale kantiano, espresso dal maestro di Königsberg nella suggestiva frase:

 

"Questa (la filosofia) riferisce tutto alla sag­gezza, ma per la via della scienza, l’unica che, una volta aperta, non si chiude più, e non permette smarrimenti." (2)

"Diese (3) bezieht alles auf Weisheit, aber durch den Weg der Wissenschaft, den einzigen, der, wenn er einmal gebahnt ist, niemals verwächst, und keine Verirrungen verstattet." (4)


Dato che la “filosofia” nella sua essenza è fondamentalmente saggezza e non mero sapere fine a se stesso, come i Greci una volta per tutte hanno insegnato cristallizzando tal elevato concetto proprio in questo termine, si ricava da ciò che l’impresa kantiano-hegeliana di cercare una via per un’adeguata fondazione scientifica della saggezza altro non è che un tentativo di fondare scientificamente la filosofia stessa nel suo autentico significato originario.

Che tale compito elevatissimo non abbia avuto grande importanza soltanto all’epoca dei due grandi pensatori tedeschi, ma sia un compito ancora attuale, addirittura oggi forse ancor più attuale che non allora, dovrebbe risultare evi­dente a chi, indipendentemente dal fase della propria preparazione filosofica, presti un minimo d’attenzione alle vicende etico-politiche del mondo attuale (valgano come esempio la problematica ecologica e gli eccidi di massa,  chiara-mente causati da totale mancanza di saggezza).(5)

Sarà allora senz’altro di grande utilità storico-filosofica seguire questa traccia kantiano-hegeliana e condurre una ricerca approfondita in rapporto al tentativo, intrapreso da Hegel, di fondazione scientifica della saggezza, al fine di comprendere come il pensatore di Stoccarda abbia affrontato una tale impresa, tanto difficile, per chi si disponga a compierla, quanto necessaria, per chi ne abbia bisogno e si disponga pertanto a recepirne i risultati.

 

INTRODUZIONE

Sul corretto metodo dello studio di un sistema filosofico
del passato e di quello hegeliano in particolare

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L’interpretazione della filosofia di Hegel, come del resto di qualsiasi altro si­stema filosofico complesso del passato, non è purtroppo priva d’ostacoli. Il fatto che si tratti di un tema già ampiamente indagato, potrebbe condurre infatti alla conclusione che non vi sia più niente, o almeno niente di nuovo e di veramente decisivo, da scoprire in relazione alla sua interpretazione. Un attento studio della letteratura critica rivela al contrario che alla quantità di studi, finora dedicativi, non corrisponde un’adeguata qualità nei risultati.

Il motivo di ciò risiede soprattutto nel fatto che gli interpreti hanno finora diviso lo studio della filosofia di Hegel in diversi settori, per es. il giovane He­gel, l’Hegel di Jena, quello maturo e, all’interno di quest’ultimo, l’Hegel della logica, della filosofia del diritto etc. perdendo di vista così l’unità sia cronolo­gica sia sistematica del ‘fenomeno Hegel’.

Particolarmente negativa si è rivelata la separazione tra il periodo giovanile e quello maturo dello sviluppo del filosofo. Essa ha avuto come conseguenza che lo studio degli anni giovanili, non sfociando in una migliore comprensione del sistema della maturità, ha finito con l’assumere un valore meramente storico,  mentre l’interpretazione del sistema, non radicandosi nella ricostruzione gene-tica del medesimo, non ne ha colto l’autentico significato, ossia quel significato che tale sistema ha come risultato della lenta maturazione della personalità intellettuale di Hegel.

In tal modo, a causa del taglio che ogni interprete opera più o meno arbitrariamente ad un certo punto dello sviluppo del pensiero hegeliano, concen-trandosi unicamente su quel che viene prima (periodo giovanile) o dopo (sistema della maturità) tale taglio, non si è finora riusciti ad individuare il significato oggettivo che tale sviluppo ha avuto per Hegel stesso, quindi ‘in sé’, ma  soltanto a proporre quello soggettivo ch’esso ha per l’interprete stesso, dunque ‘per noi’.

Proprio a causa di questa impostazione nella scelta dei fondamenti metodologici dell’interpretazione, a Hegel è stato fatto dire tutto e di tutto, ed il suo pensiero è stato usato da progressisti e da conservatori, da cristiani e da atei etc. La ragione di ciò non risiede tanto in un’ambiguità presente nel sistema stesso, nonostante occorra ammettere che Hegel, a causa delle con­dizioni oggettivamente difficili nelle quali si trovava all’epoca ad operare, è stato costretto sin dai tempi di Tubinga e poi ancor di più nel periodo berlinese ad esprimere le proprie idee in forma ‘mimetizzata’; (6) quanto piuttosto nell’improprio principio ermeneutico arbitrario e soggettivo fino ad oggi adottato nell’interpretazione del filo-sofo svevo.

La questione da risolvere è allora anzitutto di carattere ermeneutico-meto­dologico, ossia come fare per interpretare in modo adeguato, ossia  ogget­tivo e non soggettivo, la filosofia di Hegel o, più in generale, un sistema filoso­fico del passato.

 

L’esatto principio metodologico da adottare nello studio di una filosofia del passato

In relazione alla problematica metodologica della corretta interpretazione della filosofia di Hegel occorre infatti anzitutto dire ch’essa va in primo luogo af­frontata non come questione specifica dell’interpretazione del sistema hegeliano, ma come questione generale dell’interpretazione di una qualsiasi filosofia del passato. Bisogna dunque individuare i principi generali di una corretta inter-pretazione di una filosofia del passato e poi applicare tali principi all’inter-pretazione del pen­siero di Hegel.

Nel capitolo 10 di Weisheitslehre dal titolo Zur Begründung einer Theorie der ‘Globalinterpretation’ als des einzig gültigen Weges zur Aktualisierung einer Philosophie der Vergangenheit (Per una fondazione della teoria della ‘interpretazione globale’ come dell’unica valida via per l’attualizzazione di una filosofia del passato) ho elaborato una nuova teoria dell’interpretazione di un sistema filosofico del passato. In particolare ho chiarito le ragioni per le quali, al fine di pervenire ad un’interpretazione non arbitraria e soggettiva, bensì fedele ed oggettiva di una filosofia del passato, occorra condurre una ‘interpre­tazione globale’ della filosofia in questione. Un tale procedimento interpretativo si articola in tre momenti fondamentali.

Anzitutto bisogna ricostruire lo sviluppo di questa filosofia dai primi documenti del pensiero del suo autore fino al momento in cui essa è nata ed ha assunto la forma definitiva. Tramite tale ricerca si può e si deve pervenire alla comprensione del significato generale del sistema filosofico in questione, ossia del motivo per il quale il filosofo lo ha creato e quindi allo scopo ch’egli attraverso di esso intendeva perseguire.

In secondo luogo è necessario condurre una ‘critica immanente’ al sistema stesso, ossia comprendere in quale misura il filosofo sia stato capace di realiz-zare tale significato nel sistema. È senz’altro ipotizzabile infatti che di un siste-ma del passato sia accettabile il significato generale, quindi il senso filosofico che ne è alla base, ma se ne rigetti in tutto o in parte la struttura concettuale, in quanto antiquata oppure espressa in modo poco felice o ancora piena d’errori nel sapere o di contraddizioni logiche. La critica immanente costituisce quindi un approccio all’interpretazione di un sistema filosofico complementare ed integrativo rispetto all’indagine genetica, ch’essa in ogni caso presuppone.

Infine, sulla base dei risultati dell’indagine genetica e della critica sistema­tica, si deve effettuare il terzo passo, consistente nell’ ‘attualizzazione’ del sistema filosofico in questione. Se infatti l’indagine genetica avrà condotto alla conclusione che il significato di tale sistema è ancora valido nel presente e se l’indagine sistematica avrà mostrato che tale significato non è realizzato nel sistema originario in modo adeguato, sarà senz’altro utile condurre un’attualizzazione di tale sistema, ossia esprimere in una nuova struttura sistematica tale significato.

Questo procedimento triadico deve formare la struttura fondamentale dell’interpretazione globale di una filosofia. Soltanto secondo questo lungo cammino è infatti possibile comprendere in un modo effettivamente completo ed oggettivo un sistema filosofico del passato, conferendogli così una nuova vita nel presente.

Per quanto riguarda in modo specifico la filosofia di Hegel, nel capitolo conclusivo di Weisheitslehre (7) ho elaborato le linee fondamentali di un programma di ricerca finalizzato alla sua attualizzazione secondo i principi dell’interpretazione globale.

Il primo passo da compiere nella realizzazione di un tale programma è ov­viamente la ricostruzione genetica dello sviluppo del pensiero di Hegel ed in particolare della nascita del suo sistema filosofico, al fine di poterne comprendere l’autentico significato originario. Tal è appunto l’oggetto del presente studio, che pertanto dev’essere considerato come la prima parte del programma dell’attualizzazione del sistema filosofico hegeliano. La seconda e la terza parte saranno poi costituite rispettivamente dalla critica immanente al sistema e dalla formulazione del nuovo sistema filosofico dell’idealismo assoluto, che conserverà il significato generale della filosofia di Hegel, ma ne perfezionerà la struttura sistematica, attualizzandola.(8)

Vediamo ora quale sono i vari concetti principali formanti la struttura por­tante del metodo adeguato all’indagine genetica sullo sviluppo della filosofia di Hegel.(9)

 

Il concetto di ‘metodo’

Il problema del metodo da adottare è senz’altro uno dei problemi fondamentali d’ogni scienza ed in particolare di quelle scienze, come la filosofia, la storia etc., le quali, data la natura non quantitativa dei rispettivi oggetti di studio, non pos­sono avvalersi del metodo matematico.

La parola ‘metodo’ significa letteralmente via, strada.(10) Scegliere il metodo adatto alla propria ricerca significa allora comprendere quale sia la strada da percorrere per giungere alla verità in quel particolare campo del sapere nel quale si opera.

Questa concezione estremamente semplificata del problema metodologico  si dimostra però ingenua, se si riflette con più attenzione e profondità. Il metodo che il ricercatore sceglie come via, che lo conduca poi alla verità, non può essere infatti un qualsiasi metodo, ma dev’essere quel metodo, quella via che anche la realtà oggettiva ha percorso nel proprio costituirsi.

Per esempio, un ricercatore in biologia, il quale voglia ricostruire lo svi-luppo delle specie viventi più evolute, non può seguire nelle proprie ricerche che un metodo, una via, quella appunto seguita dalle stesse specie viventi nel proprio sviluppo, nella propria evoluzione. Se il ricercatore adotta un altro me­todo, ossia se segue un’altra via, allora finirà, per così dire, fuori strada. Egli in­fatti non ri-percorrerà la via già percorsa una volta dall’oggetto del suo studio, dunque proprio quel percorso ch’egli vuole ricostruire.

Pertanto, che ciò sembri limitante o viceversa preferibile, nella conoscenza di un aspetto della realtà, qualunque esso sia, o della realtà stessa nella sua glo­balità, non può esistere che “un” metodo da adottare, “una” via da seguire da parte del pensiero: quel metodo, quella via che già una volta la realtà ha per-corso nel proprio costituirsi. Il ricercatore che non adotti questo metodo, bensì ne scelga liberamente un altro, produrrà un’opera di ‘fantascienza’, non di scienza, prodotto della fantasia, non della ragione, che avrà magari anche un grande valore, ma letterario ed artistico, non scientifico. Egli infatti non perverrà nelle proprie ricerche ad un accordo con la realtà oggettiva, ma si avrà da parte del suo pensiero un libero produrre e creare la realtà non come essa effet-tivamente è, ma come si vorrebbe che fosse.

Posta quest’indispensabile premessa sul presupposto scientifico adottato nel presente lavoro, ossia che il metodo di una ricerca sia un metodo oggettivo e non  soggettivo, cerchiamo ora di approfondire tale principio della ‘oggettività’.

 

Il concetto di ‘oggettività’

Il concetto di ‘oggettività’, che dobbiamo avere noi oggi, non può più essere certamente il concetto di ‘oggettività’ proprio della filosofia pre-empiristica e pre-idealistica. I filosofi dell’età moderna, sia quelli appartenenti alla cosiddetta corrente razionalistica, sia soprattutto quelli appartenenti all’altra corrente, quella empiristica, hanno infatti poco a poco demolito la fiducia ingenua dell’essere umano antico e medioevale nell’esistenza di un mondo oggettivo in sé, indipendente dal soggetto che lo pensa. La filosofia dell’idealismo oggettivo (Schelling) ed assoluto (Hegel) ha però poi dimostrato come non solo sia incon­cepibile un’esistenza oggettiva, indipendente dal pensiero che la pensa, ma an­che un pensiero soggettivo meramente formale, che non esprima, nel momento stesso in cui è attivo come pensiero, una verità riguardante l’essere, la realtà, l’oggetto.

Pertanto, quando si parla di ‘oggettività’, dopo la lezione dell’idealismo oggettivo ed assoluto, si deve intendere una realtà che è oggettiva non in quanto esiste indipendentemente dal pensiero, bensì in quanto viene espressa da un pen­siero il quale, attenendosi a delle regole logiche ben precise, non fantastica una realtà meramente soggettiva individuale, ma elabora in termini concettuali delle argomentazioni che nella loro stringenza logica sono convincenti e vincolanti. Proprio tale caratteristica vincolante delle argomentazioni ne assicura un’esistenza oggettiva, indipendente dal soggetto che le formula. È piuttosto il soggetto a doversi elevare ed adeguare alla stringenza, alla cogenza degli argomenti, i quali risultano pertanto ancorati a qualcosa di superiore e d’indipendente dal soggetto che li pensa e li formula.

Ovviamente di tale ‘realtà oggettiva’ il pensiero esprime non la struttura mate­riale, che può essere colta soltanto tramite la percezione sensibile, bensì la struttura razionale e concettuale.

Il pensiero, nel momento in cui proceda correttamente e logicamente, espri-me quindi l’essenza intelligibile oggettiva della realtà, la sua intrinseca ra­zionalità e quindi pensabilità.

Chiarito il senso in cui si usa il termine ‘oggettività’, che include in sé in modo inscindibile anche la soggettività che la pensa, occorre ora comprendere come sia possibile che il pensiero soggettivo dell’essere umano riesca a conce­pire l’essenza oggettiva della realtà, nel momento in cui esso segua fedelmente la ragione e la logica ed abbandoni la tendenza alla fantasia ed alla fantastiche­ria. Il problema fondamentale da risolvere a questo proposito è quindi compren­dere cosa s’intenda per ‘ragione’ e ‘razionalità’, dunque per correttezza di un discorso scientifico.

 

Il concetto di ‘ragione’

Il concetto della ragione è sicuramente uno dei concetti fondamentali della filo­sofia. La caratteristica della ragione come oggetto della filosofia è che essa però è anche il soggetto della filosofia, dato che, a prescindere da qualsiasi altro signi­ficato più complesso dell’attività filosofica, il minimo che se ne possa dire è che essa è la ricerca razionale della verità. Pertanto la caratteristica essenziale del discorso filosofico, volto a comprendere l’essenza della ragione, è l’identità di soggetto (ragione conoscente) ed oggetto (ragione da conoscere).

Questa identità di soggetto ed oggetto è caratteristica peculiare della logica, la scienza filosofica che studia la ragione; in nessun’altra scienza infatti la ra­gione ha per oggetto se stessa. Vediamo ora quale sia la conseguenza di questa situazione particolare in cui si trova la scienza logica.

Le altre scienze, in quanto hanno un oggetto di studio in qualche modo in­dipendente dalla stessa ragione (sia un oggetto del mondo della natura che del mondo dello spirito), (11) possono basarsi su dati, su fatti che devono in qualche modo essere interpretati e compresi razionalmente. Da questa comprensione dei fatti viene poi ricavato un ordine logico generale tramite l’elaborazione di leggi razionali, le quali spieghino l’accadere dei fenomeni, non solo di quelli già regi­strati ed analizzati, ma anche di quelli simili futuri.

La logica al contrario non ha dei veri e propri dati da interpretare ed ordi­nare secondo leggi razionali o, per essere più precisi, ha a dire il vero nelle cate­gorie del pensiero dei fatti, dei dati da interpretare ed ordinare, però si tratta di dati del tutto particolari. Le categorie logiche infatti sono quei concetti propri del nostro pensiero che non sono derivati dal mondo esteriore dell’esperienza, bensì costituiscono lo strumento indispensabile attraverso cui il nostro pensiero vive e pensa. Proprio perché le categorie non sono ‘fatti’ estrinseci al pensiero logico, bensì ‘atti’ del medesimo, esse non possono essere osservate, registrate, catalogate, come si fa con gli altri fenomeni del mondo della natura e dello spirito. Un tale modo di conoscenza della ragione condurrebbe tutt’al più alla com­pilazione di un semplice elenco delle categorie del pensiero, senza però com­prenderne l’interna vita, il loro rapporto reciproco e quindi la dinamica propria della ragione. (12) Al fine di comprendere tale propria dinamica interna, la ragione deve allora escogitare un metodo idoneo, diverso da quello delle altre scienze. Esso non può ovviamente consistere nel collegamento estrinseco delle categorie, bensì deve avere a proprio fondamento la ‘deduzione’ delle categorie l’una dall’altra, dunque deve consistere nell’esposizione e nell’organizzazione interna che esse spontaneamente si danno nel proprio autoconoscersi. Soltanto così è possibile comprendere il funzionamento dinamico della ragione, la sua intrin­seca vitalità - che è poi la vitalità di base del nostro spirito in tutte le sue molte­plici funzioni -, proprio come lo scienziato astronomo ricostruisce la vitalità dell’universo ed il biologo la vitalità del corpo vivente.

L’identità di soggetto ed oggetto, propria della scienza logica, ha allora per conseguenza che l’unico metodo, l’unica via che la logica ha per conoscere la ragione - ossia che la ragione ha per conoscere se stessa - è l’autoconoscenza, l’autoesposizione, l’autodeduzione.

Hegel ha felicemente coniato per questa peculiarità metodologica della scienza logica l’espressione ‘via che costruisce se stessa’:

 

“Il sistema dei concetti si deve formare pro­prio secondo questa via - e completarsi se­con-do un andamento inarrestabile, puro e che non accolga nulla da fuori” (SL 1, p. 48)

“In diesem Wege hat sich das System der Begriffe überhaupt zu bilden, - und in unaufhaltsamen, reinem, von Aussen nichts hereinnehmendem Gange, sich zu vollenden.” (GW 21, 38, 14-16)

“Ora io dico che solo su questa via che co-struisce se stessa la filosofia può essere una scienza oggettiva, dimostrata”

(SL 1, p. 10).

Auf diesem sich selbst construirenden Wege allein, behaupte ich, ist die Philosophie fähig, objective, demonstrirte Wissenschaft zu seyn. (GW 21, 8, 19-21)

 

Ciò perché l’oggetto di studio, che la logica deve interpretare ed ordinare, non è già offerto alla sensibilità dall’osservazione empirica, ma si deve dare e presen­tare nel momento stesso in cui si costituisce la scienza logica.

Per costruire tale logica a dire il vero non occorre dar vita ad una logica del tutto nuova. Ciò sarebbe inutile, poiché già la tradizione filosofica fornisce una logica costruita appunto secondo questo metodo: si tratta della scienza logica costruita dai pensatori tedeschi vissuti tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento ed in particolare da Hegel, nel cui sistema filosofico i risultati ot­tenuti da Kant, Fichte e Schelling, per citare soltanto le maggiori personalità di quel magnifico periodo della storia della filosofia, sono magistralmente sintetiz­zati e portati a compimento.(13)

Certamente, alcune parti della logica hegeliana possono essere perfezio­nate (14), ma l’impianto generale, soprattutto nella sua idea centrale dell’auto-costruzione da parte del pensiero, può essere considerato valido ancora oggi o almeno resta ancora l’unico tentativo serio, finora effettuato, di comprendere la ragione rispettandone la vitalità interiore.

Hegel ha dedicato gran parte della propria vita alla costruzione di questa nuova logica basata sull’identità di soggetto ed oggetto e noi, grazie a questo suo lavoro, il quale a sua volta si basava ovviamente sui risultati prodotti dalla tradi­zione logica precedente, in particolare kantiana, possiamo continuare da dove lui, per ovvi motivi di limitatezza temporale della vita umana, ha dovuto inter­rompere. La storia della filosofia, come ogni attività dell’essere umano di cui ci sia storia, è un lavoro che le generazioni svolgono in comune, per il benessere, anch’esso comune, dell’umanità, ed è uno stupido, un malvagio o un folle, chi da quest’opera comune, che è la storia umana, voglia uscire (15). Entrarne a dire il vero non si può, poiché nella storia siamo già da sempre e sin dalla nostra na­scita, se non altro tramite il linguaggio, per le conoscenze ed i valori di cui esso è portatore e che esso ci ha, noi volenti o nolenti, trasmessi (16).

Concentriamo allora la nostra attenzione sulla logica di Hegel e cerchiamo di comprenderne i principi fondamentali tramite i quali essa può condurci a co­noscere la ragione nel suo funzionamento e nella sua vitalità.

 

I principi fondamentali della logica di Hegel

La caratteristica fondamentale della ragione, secondo la logica di Hegel, è la dialettica. La dialettica è un concetto molto antico in filosofia, la cui storia coincide praticamente con la storia della filosofia. In Hegel la trattazione di que­sto concetto ha senz’altro avuto la formulazione più completa. Per dialettica il filosofo di Stoccarda intende il movimento irresistibile del pensiero, ossia della ragione, attraverso il quale le categorie, passando per alcuni momenti fonda­mentali e seguendo un andamento logico ben preciso, si sviluppano l’una dall’ l’altra. Si tratta di un movimento necessario che alla fine perviene all’obiettivo iniziale, ossia alla conoscenza della ragione nel suo funzionamento (nel linguaggio hegeliano l’’idea assoluta’). Tale funzionamento consiste appunto nella dia-lettica e nelle sue leggi.

I momenti fondamentali della dialettica sono tre: l’affermazione, la nega­zione (negazione prima) e la negazione della negazione (negazione seconda). Il principio fondamentale che regola tale sviluppo è il superamento dialettico (‘Aufhebung’). (17)

Secondo tale principio il passaggio da una categoria inferiore (precedente) ad una superiore (seguente) ed in particolare il passaggio dall’affermazione (pri-mo momento della triade dialettica) alla negazione prima (secondo mo­mento) e da questa poi alla negazione seconda (terzo momento) non ne comporta l’abbandono e la perdita, in quanto esse vengono conservate nelle categorie su­periori e seguenti, assumendo un valore ed un significato più elevati.

Così, per riprendere l’esempio hegeliano all’inizio della logica, nella cate­goria del divenire sono comprese le due categorie precedenti, l’essere ed il nulla, in quanto il divenire non è altro che il passaggio dell’essere nel nulla e viceversa (SL 1, p. 86; GW 21, pp. 69-70).

Tramite il superamento dialettico lo sviluppo categoriale è caratterizzato da un accrescimento di significato e dunque di determinazione logica e comporta quindi un progresso logico dal meno determinato (l’Essere come totalità inde­terminata di ciò che si vuole conoscere) al più determinato (l’Idea, ossia la ragione assoluta come totalità delle categorie). Si capisce pertanto come il ri­sultato finale della Scienza della logica, ossia l’ultima categoria dello sviluppo necessario e dialettico del pensiero puro, non sia una categoria tra le altre, bensì la categoria che include in sé tutte le altre: l’Idea, ossia la ragione assoluta, il pensiero assoluto.

Questa è pertanto la struttura fondamentale della ragione come viene rico­struita da Hegel nella sua logica dialettica, l’unico tipo di logica che conosca la ragione dal punto di vista esatto, ossia quello dell’identità di soggetto ed oggetto. Si deve perciò concludere che il corretto metodo da usare nella cono­scenza scientifica non può che essere il metodo dialettico.

A tal proposito s’impone però un approfondimento della logica di Hegel e di tutta la sua filoso­fia, poiché Hegel in numerosi passi delle sue opere, spe-cialmente nella stessa lo­gica, ha precisato che la dialettica non è un metodo nel senso usuale del termine, dunque come procedimento estrinseco rispetto al con-tenuto, perché

 

“[...] un tal metodo non è nulla di diverso dal suo oggetto e contenuto; - poiché è il conte­nuto in sé, la dialettica che il contenuto ha in lui stesso, quella che lo muove”
(SL 1, p. 48).

“Diß erhellt für sich schon daraus, daß sie von ihrem Gegenstande und Inhalte nichts unterschiedenes ist;- denn| es ist der Inhalt in sich, die Dialektik, die er an ihm selbst hat, welche ihn fortbewegt.” 
(GW 21, 38, 20-22)

 

Cerchiamo ora di comprendere quale sia il senso di quest’affermazione hegeliana.

 

La negazione del valore unicamente formale della logica e della dialettica come metodo: l’interpretazione hegeliana della logica come teologia

La negazione hegeliana della caratterizzazione della dialettica come metodo estrinseco è strettamente connessa al punto centrale della problematica metodo­logica in questione, ossia all’esigenza che il metodo da usare nella ricerca scien­tifica sia anche il metodo, la via che l’oggetto, di cui si fa scienza, segue o ha seguito nel proprio costituirsi (dunque l’oggettività del metodo oltre alla sua correttezza logica). Cerchiamo di comprendere anzitutto perché Hegel neghi che la dialettica sia un metodo nel significato comune del termine.

Il concetto fondamentale della negazione hegeliana della dialettica come metodo risiede nella critica che il filosofo svevo rivolge alla logica interpretata in senso meramente formale e soggettivo come mero strumento (‘organon’) della ricerca scientifica e non già scienza essa stessa. Questa è stata la conce­zione della logica fino a Hegel e ha avuto i suoi esponenti principali in Aristo­tele e Kant (su quest’ultimo cfr. SL I, p. 43 ss.; GW 21, pp. 35 ss.) (18).

Ciò che Hegel critica a questi due grandissimi pensatori (19) è di non aver compreso che il pensiero non è soltanto uno strumento utile per la conoscenza del mondo oggettivo ed esteriore all’essere umano, ma un ente come gli altri, anzi, chiarisce il pensatore svevo, l’essenza assoluta, l’archè dei filosofi antichi, il dio dei teologi medioevali.

Considerato il pensiero da questo ‘punto di vista superiore’, ossia non come semplice strumento per la conoscenza del mondo esteriore, ma come l’essenza suprema, come l’assoluto, allora la logica, ossia la scienza del pen­siero, non è soltanto un ‘organon’, secondo la concezione aristotelica ripresa tutto sommato da Kant, ma coincide con la metafisica, in quanto il proprio oggetto, il pensiero, è l’archè, l’essenza suprema. (20)

Rimandando l’esposizione della concezione hegeliana che il pensiero sia l’essenza assoluta soggettiva ed oggettiva alla terza ed ultima parte di questo la­voro, cerchiamo ora di comprendere l’importanza che tale concezione ha per la soluzione della problematica del metodo e della sua oggettività.

 

Dimostrazione dell’oggettività del metodo dialettico

In quanto il pensiero è l’essenza oggettiva sia del mondo della natura che della storia, nonché ovviamente dello spirito soggettivo dell’essere umano, allora la scienza della logica, anziché essere un semplice strumento per la conoscenza del mondo, è la conoscenza suprema di per sé, addirittura, come dice Hegel, non solo metafisica, ma, essendo il pensiero l’essenza oggettiva della realtà, anche teologia. L’essere umano infatti, avendo per propria essenza il pensiero, ossia l’essenza del mondo, è nella propria essenza razionale l’assoluto. (21)

Tal è dunque il motivo per cui Hegel ha criticato ogni concezione della lo­gica come mero strumento per la conoscenza di qualcosa d’altro, come se essa non abbia in sé la dignità di scienza, essa che è a dire il vero la scienza assoluta e suprema, la regina di tutte le scienze.

È possibile ora comprendere per quale ragione questa concezione metafi­sica e teologica della logica, propria della filosofia di Hegel, sia estremamente importante per la problematica della formulazione di un metodo che non abbia un valore soltanto soggettivo, ma anche oggettivo, ossia il cui andamento sia non solo quello del pensiero soggettivo che conosce, ma anche quello dell’oggetto che deve essere conosciuto.

Il motivo di questa oggettività del metodo dialettico, che si continua a chiamare così per semplicità discorsiva, ma che evidentemente, in base a quanto appena chiarito, non è un metodo secondo l’accezione consueta del termine, ri­siede in ciò: poiché la stessa realtà sia naturale che spirituale è strutturata dialet­ticamente, non essendo altro che il pensiero assoluto, il quale poco a poco da materiale, inconscio e necessario diviene sempre più spirituale, conscio e libero, se il pensiero dello scienziato riesce a conoscere l’oggetto secondo i principi della dialettica, potrà allora essere sicuro di coglierne l’essenza. Egli potrà infatti ricostruire il modo in cui tale oggetto poco a poco nel corso del tempo si è co­stituito, diventando ciò che nel momento attuale, in cui esso viene indagato, è.

Pertanto, se si vuole essere sicuri di conoscere oggettivamente (nel senso appena spiegato di ‘oggettività’) un qualsiasi aspetto del mondo che ci cir­conda, dagli aspetti più materiali e meno viventi fino alla spiritualità umana, la via che si deve seguire è quella che la realtà stessa ha seguito nel proprio svi­luppo: la dialettica.

In tal modo si è conclusa la presentazione dei principi fondamentali del me-todo che è stato seguito nella presente ricerca.(22)

Vediamo ora come è stato ap­plicato il metodo dialettico nel nostro caso specifico della ricostruzione dello sviluppo del pensiero di Hegel.

 

L’esigenza di una comprensione storicistica delle opere della maturità di Hegel  come motivazione filosofica del presente scritto

Anzitutto è da dire che il proposito originario, da cui ha preso le mosse questo studio genetico su Hegel, non era la comprensione del pensiero giovanile del fi­losofo, bensì del suo sistema filosofico maturo. Dopo aver letto le opere fonda­mentali del filosofo, risultò però chiaro che l’unico modo per comprenderne l’autentico significato fosse interpretarle alla luce della loro evoluzione attra­verso lo sviluppo del suo pensiero. Si era infatti intuito che in quelle opere matu-re si celasse una risposta a problemi propri anche della nostra civiltà attuale (23), tuttavia il senso effettivo di quale fosse il reale significato del sistema filosofico hegeliano sfuggiva. Così furono interrogati gli scritti giovanili del filo­sofo, nella speranza di trovarvi una chiave per la comprensione delle sue opere mature ed in particolare dei loro concetti fondamentali (per es. l’assoluto, lo spi­rito, l’eticità etc.) e quindi indirettamente anche per la comprensione ed even­tualmente soluzione di quei problemi della nostra attualità.

Cerchiamo ora di comprendere perché, per pervenire alla comprensione e ad una corretta interpretazione delle opere della maturità di Hegel, sia assoluta­mente necessario lo studio dei suoi scritti giovanili.

Nelle pagine precedenti sono stati esposti i principi fondamentali della dialettica. Tra questi ve n’è uno - forse il principio assoluto - la cui esposizione è stata volontariamente rinviata a questa sede. Si tratta del principio storicistico. Il metodo dialettico è infatti essenzialmente un metodo storicistico.

Lo storicismo dev’essere considerato come un modo di vedere la vita, che si basa sul presupposto fondamentale che la realtà non è statica ma dinamica, os-sia sviluppo, in particolare evolutivo, nel caso della natura, e storico, nel caso dello spirito. Non ci si meravigli a questo proposito che, trattando dello storicismo, ci si riferisca anche alla natura. Anche se fino ad oggi si è parlato di storicismo soltanto in riferimento alla realtà umana, ciò non significa che sia esatto escludere la natura da una considerazione storicistica della realtà. Lo sviluppo delle scienze naturali nel corso degli ultimi due secoli ha infatti ampia-mente mostrato come anche la natura abbia una propria storia, di certo con con-notati diversi da quella umana, comunque a tutti gli effetti ‘storia’. Qui non è di certo il luogo per affrontare questa importante questione, la quale comunque meriterebbe uno studio accurato.

Nella realtà, considerata giustamente in perpetuo movimento, ogni ente ha una propria nascita, un proprio sviluppo e poi una propria fine. Se si vuole ef­fettivamente conoscere un ente non basta allora studiarne la struttura attuale, ma occorre ricostruirne la genesi, a partire dalla nascita, per poi poter anche preve­dere eventualmente il corso futuro del suo sviluppo.

Infatti, anche se a noi la realtà appare fissa e stabile, in verità ogni cosa è destinata a svolgere la sua funzione nel mondo, per poi cedere il posto ad un al­tro ente. (24) Nella terminologia della dialettica hegeliana, la nascita è il fondamento o essenza di un ente, la struttura è l’essere stesso dell’ente, il decorso futuro o fine è il suo concetto, la funzione ch’esso svolge nel mondo. (25)

Dunque, alla luce della struttura temporale e storicistica della dialettica he­geliana, per conoscere l’essere di un ente occorre risalirne al fondamento, ossia alla sua nascita; essa indicherà poi quale sia l’essenza dell’ente in questione, os­sia perché esso abbia proprio questa natura, questa struttura e non un’altra; (26) così sarà possibile giungere alla comprensione del concetto dell’ente, ossia della sua funzione nel mondo.

Dal punto di vista di questa concezione storicistica e dinamica dell’essere allora la ricerca sul giovane Hegel appare immediatamente quale unica via, unico metodo per pervenire alla comprensione del significato autentico del pen­siero maturo del filosofo, ossia di quel significato che Hegel stesso voleva dare al proprio sistema filosofico. Tale significato ha la sua nascita (il suo fonda­mento o la sua essenza) nella problematica spirituale che travagliò l’animo gio­vanile del pensatore ed il suo fine (il suo concetto) nel senso che la filosofia di Hegel ha nel mondo, quindi nella funzione ch’essa è chiamata a svolgere nella storia.

In sintesi, il metodo che è stato applicato - o, il che è lo stesso, la via che è stata seguita - nella presente ricerca, al fine di comprendere il sistema filosofico di Hegel secondo il suo significato autentico, è stato il metodo dialettico inqua­drato nella concezione dello storicismo, nel senso appena chiarito. Si è cercato dunque di ripercorrere tutte le fasi percorse dal pensiero di Hegel nel suo costi­tuirsi e nel suo dar vita, alla fine dello sviluppo propriamente detto, al sistema filosofico della maturità.

 

Sul rapporto tra la scienza filosofica e quella filologica

Prima di dare una visione generale delle fasi in cui si articola lo sviluppo del pensiero di Hegel, anticipando la partizione di questo lavoro, è opportuno preci­sare un ultimo concetto, molto importante dal punto di vista della esatta com­prensione metodologica del presente studio. Si tratta del rapporto tra la scienza filosofica e quella filologica. La dialettica infatti, pur essendo un metodo univer-sale, da applicare dunque in qualsiasi ricerca (27), sia naturale che storica, nonché ovviamente logica, se si vuol effettivamente comprendere l’essenza og­gettiva dell’oggetto studiato, nondimeno dev’essere di volta in volta adattata alla specificità di tale oggetto. Per esempio, nel caso di una ricerca naturale condotta col metodo dialettico, tale metodo dovrà essere posto in sintonia col metodo matematico, sul quale si basano le ricerche naturali, nonché ovviamente con i ri­sultati delle ricerche sperimentali, che forniscono i dati elementari da elaborare col metodo dialettico; nel caso delle ricerche di logica, il metodo dialettico può procedere invece liberamente, senza doversi accordare con alcun dato, poiché è esso stesso a produrre le categorie, ossia i dati, tramite la deduzione logica; in­fine, per quanto riguarda le ricerche di carattere psico-sociale e storico, cui an­che la presente appartiene, il metodo dialettico deve essere posto in accordo con quei dati che sono i fenomeni psico-sociali o i documenti storici; dunque, nel caso del presente lavoro, con gli scritti giovanili di Hegel.

Cerchiamo ora di capire come il metodo dialettico debba essere applicato agli scritti di un filosofo nella loro successione cronologica, quindi per esempio agli scritti giovanili di Hegel, fino al momento della formulazione della versione definitiva, anche se di certo non ancora completa in tutti i particolari, del suo pensiero maturo (dunque, nel caso di Hegel, fino alla prima versione definitiva, quantunque non ancora completa, del suo sistema filosofico della maturità, che  si ebbe al termine del periodo jenese).

Alla base della presente ricerca interpretativa (e di qualsiasi ricerca che ri­guardi qualunque altro filosofo) v’è un intenso lavoro di filologi, i quali nel caso di Hegel anzitutto hanno scoperto/riscoperto e pubblicato i suoi scritti giovanili, evidentemente intuendone l’importanza al fine dell’esatta comprensione del si­stema maturo (si tratta dei contributi per es. di Rosenkranz, Thaulow, Dilthey, Nohl, Hoffmeister etc.); in secondo luogo poi altri studiosi hanno ricostruito l’esatta cronologia di questi scritti, consentendone così uno studio ordinato da un punto di vista strettamente storico-cronologico (si tratta soprattutto di Gisela Schüler, Heinz Kimmerle ed infine  Friedhelm Nicolin nelle note all’ultima edi­zione di tali scritti nel primo e nel terzo volume dei Gesammelte Werke). (28)

Il punto di partenza della presente ricerca, come del resto di ogni altro stu­dio interpretativo dello sviluppo del pensiero sia di Hegel che di qualunque altro filosofo, non può ovviamente che essere costituito dalla lettura e dall’approfon­dita conoscenza di questi scritti pre-sistematici, nella loro esatta successione cronologica ed in tutte le altre caratteristiche di carattere meramente formale, quindi filologiche. Questo materiale costituisce il dato, per così dire, grezzo, a partire dal quale può svilupparsi la ricerca interpretativa.

Con l’interpretazione di questi scritti si passa poi dal piano della filologia a quello della filosofia, dal livello cronologico a quello logico dello sviluppo. A questo punto occorre inserire, come è stato fatto nella presente ricerca, l’uso del metodo dialettico. Porre infatti i testi giovanili di un filosofo in un esatto ordine cronologico non è certo sufficiente a comprendere il significato ed il senso del loro sviluppo. Compito superiore al mero lavoro filologico è, a dir la verità, co-gliere lo sviluppo “immanente” al pensiero del filosofo, nel senso storicistico-dialettico precedentemente spiegato. Come Vico ha una volta per tutte insegnato, anche nel caso di una filosofia, come di qualsiasi altro avvenimento storico, per comprenderne la “natura”, ossia il suo significato autentico, occorre indagare i “modi” e le “guise” del suo “nascimento”, dunque lo sviluppo del pensiero del filosofo.

In questo lavoro è stato quindi ripensato dialetticamente il contenuto di pensiero di ogni scritto e frammento, dal momento in cui possiamo notare nella produzione del giovanissimo Hegel una prima impronta di riflessione (29) perso­nale originale sulle abbondanti letture ch’egli da giovanissimo effettuava, fino al momento in cui si può considerare per la prima volta nato il suo sistema filosofico. (30)

‘Ripensare dialetticamente’ il contenuto di pensiero dei vari frammenti si­gnifica ripercorrere lo sviluppo del pensiero di Hegel secondo il principio del ‘superamento dialettico’ (‘Aufhebung’), dunque ricostruirne l’immanente continuità, consistente nell’aver realizzato tramite uno sviluppo logico e conse­guente l’ideale sorto all’inizio  (le varie tappe di questo sviluppo costituiscono per l’appunto i “modi” e le “guise” del “nascimento” della “natura”, ossia dell’essenza, del sistema filosofico hegeliano della maturità). (31)

Il contributo di questa interpretazione logico-dialettica e storicistica dei dati grezzi, forniti delle ricerche filologiche (cronologiche e grafologiche), consiste nel mettere in luce i rapporti logici tra i vari testi, integrandoli ai rapporti cronologici. È opportuno chiarire a questo punto in che consista la differenza tra i rapporti logici e quelli cronologici all’interno della successione dei testi giovanili di un filosofo ed in particolare di Hegel.

 

Sul rapporto tra sviluppo logico e cronologico

I rapporti logici e quelli cronologici costituiscono le due prospettive secondo le quali si può ricostruire lo sviluppo del pensiero di Hegel (ed ovviamente di qual­siasi altro filosofo). Secondo i rapporti cronologici Hegel ha redatto un determi­nato testo in un certo momento del proprio sviluppo e tale testo si trova di con­seguenza dopo uno precedente e prima di uno seguente. Secondo i rapporti lo­gici occorre invece stabilire quale sia il contenuto concettuale espresso più o meno esplicitamente nel testo in questione e quale sia la sequenza concettuale tra i vari pensieri che costituiscono lo sviluppo del pensiero del filosofo in quell’arco di tempo. In tal modo, individuando nei rapporti cronologici i corri­spettivi rapporti logici, è possibile ricostruire secondo continuità lo sviluppo del pensiero immanente alle diverse manifestazioni esteriori (i vari testi), a volte lacunose, incomplete e parziali. (32)

Così noi nel nostro pensiero, tramite la deduzione logico-dialettica, fondata sul ritmo della nostra ragione, del nostro Logos (affermazione, negazione prima e negazione seconda) (33), il quale, in base al presupposto gnoseologico dell’identità di soggetto e oggetto, non può non essere stato anche il ritmo del pensiero hegeliano, del Logos hegeliano dunque, possiamo colmare le lacune esistenti a livello cronologico, ricostruendo nel nostro pensiero e rivivendone in noi lo sviluppo.

A ciò si deve aggiungere un altro vantaggio procurato dalla lettura dei rap­porti cronologici secondo la prospettiva dei rapporti logici: negli scritti giovanili di Hegel - come di qualsiasi altro filosofo - non si trovano espressi tutti i suoi pensieri in modo esplicito, in quanto tali scritti, non essendo concepiti per essere letti da altre persone, non sono il risultato di uno sforzo di massima oggettiva­zione del proprio pensiero da parte dell’autore. Lo studio accurato di questi scritti, peraltro sovente tramandati in forma soltanto frammentaria, il che li rende già solo per questo motivo inadatti a rendere tutto il pensiero dell’autore nel periodo della loro stesura, rivela quindi l’esistenza di due livelli: il livello del pensiero esplicito e quello implicito.

Il livello esplicito è costituito dai pensieri chiaramente espressi dal filosofo e formanti la problematica e le conclusioni inequivocabilmente leggibili nei testi  pervenuti.

Il livello implicito è costituito invece da pensieri che, pur dovendo venir presupposti per motivi logici, in quanto indispensabili nell’ambito dei ragiona­menti espliciti dell’autore, nondimeno non si trovano formulati esplicitamente in alcun testo pervenuto. Da ciò si deve concludere che tali pensieri, pur formando la struttura logica del pensiero dell’autore al tempo della redazione dei relativi scritti, o erano contenuti in modo esplicito in testi non pervenuti, o l’autore non li ha espressi esplicitamente in quanto li ha considerati per sé del tutto chiari e non bisognosi di una particolare riflessione scritta o ancora egli volontariamente non ha dato loro una forma esteriore scritta, per esempio per evitare la censura (come potrebbe essere nel caso del periodo di Tubinga).

In ogni caso comunque la lettura dei rapporti cronologici tramite la pro­spet-tiva dei rapporti logici consente di colmare le lacune esistenti per vari motivi a livello esplicito attraverso l’inserimento di pensieri che, seppur non formulati esplicitamente, sono presupposti dai pensieri espliciti e fanno quindi parte a pieno diritto della problematica filosofica giovanile del pensatore e delle relative conclusioni cui egli giunse.

Tramite l’adozione della duplice prospettiva cronologica e logica, si potrà così pervenire, alla fine della via seguita, alla comprensione dialettica della ge­nesi della filosofia di Hegel. Conducendo poi la ricostruzione genetica fino al ‘fondamento’ di tale filosofia, dunque fino al suo ‘nascimento secondo certi modi e certe guise’, ne avremo compreso l’’essenza’, ossia il suo significato autentico, secondo lo scopo che all’inizio dell’impresa ci si era prefissi. Da ciò sarà anche deducibile il ‘concetto’ di questa filosofia, ossia il compito ch’essa ha da svolgere nella storia umana secondo l’ideale del suo autore.

 

Lo studio dello sviluppo del pensiero di Hegel come studio dello sviluppo immanente

Da quanto si è finora detto deriva un’ultima conseguenza metodologica. Il pre­sente studio, in quanto si fonda su di una ricostruzione logico-dialettica dello sviluppo del pensiero di Hegel, ossia rivissuta nel nostro pensiero tramite quelle leggi dialettiche che non possono non essere state anche le leggi di sviluppo del suo pensiero, è una ricostruzione ‘immanente’ dello sviluppo del pensiero del filosofo. Non si prenderà dunque in considerazione la provenienza storica dei vari concetti formanti la struttura del pensiero del giovane Hegel, ma soltanto il loro interno movimento, la loro dialettica interiore, immanente, che ha poi con­dotto, secondo interna necessità, alla formazione del sistema maturo.

In ciò si seguiranno le indicazioni fornite da Hegel stesso nella logica, per esempio nella già ricordata (cfr. p. 9) definizione dell’immanenza:

 

“Il sistema dei concetti si deve formare proprio secondo questa via - e completarsi secondo un andamento inarrestabile, puro e che non accolga nulla da fuori.”

 

Non si deve pertanto cercare in questo studio l’influenza che Hegel ha subito da Schiller, Rousseau, Hölderlin etc., in quanto tale influenza non è deducibile se­condo la logica dialettica, ma è un fatto meramente storico, esteriore rispetto al-l’evoluzione interiore di Hegel. Ciò non significa ovviamente che la ricerca sulle fonti del pensiero hegeliano non sia estremamente importante. Nel già citato la­voro Einfluß ho per esempio analizzato l’importanza fondamentale che Rous­seau ha avuto nella formazione del pensiero di Hegel. Nello stesso lavoro è emerso come anche altri pensatori, per es. Zimmermann, Nicolai e Mendelssohn, abbiano svolto un ruolo centrale in tale formazione. Per fornire un altro esempio, le ricerche di d’Hondt hanno gettato nuova luce sulla matrice anche massonica del movimento studentesco a Tubinga al tempo di Hegel e Hölderlin.

La ricerca sulle fonti, al pari del lavoro filologico sui testi, è pertanto im­portantissima e costituisce senz’altro un pilastro basilare nella ricerca genetica sullo sviluppo del pensiero di un filosofo. Nondimeno, se si vuol comprendere l’autentico significato di una filosofia alla luce della sua genesi, occorre abban­donare il lavoro sulle fonti, come anche quello filologico - pur dopo averlo svolto, si capisce - e concentrarsi sulla ricostruzione del cammino delle idee at­traverso gli scritti dell’autore in questione. Soltanto così, seguendo questa “via che costruisce se stessa e che non accoglie nulla da fuori”, si può pervenire alla comprensione della genesi e quindi dell’autentico significato dei concetti fon­damentali formanti l’ossatura della sua filosofia. Che poi questi concetti siano stati recepiti in tutto od in parte da questo o quell’altro pensatore, ha un’importanza centrale nell’ambito di una più generale storia delle idee del pe­riodo, ma soltanto relativa nell’ambito della ricostruzione della genesi e del si­gnificato della filosofia del pensatore che si studia.

L’indagine sulle fonti del pensiero hegeliano farebbe quindi parte integrante di uno studio logico-dialettico sullo sviluppo della cultura tedesca tra ‘700 ed ‘800, poiché in questo caso tali fonti sarebbero immanenti all’oggetto studiato e non esteriori rispetto ad esso, ma è esterna e non immanente allo sviluppo del pensiero di Hegel.

Ovviamente nel presente studio saranno indicate alcune delle più significa­tive e soprattutto documentabili influenze esercitate su Hegel da altri pensatori, esse però non faranno parte della sequenza logico-dialettica costituente la strut­tura portante della ricerca, bensì ne costituiranno un corredo esteriore, avente il compito di collegare lo sviluppo immanente del pensiero di Hegel alla cultura della sua epoca, di cui esso è un aspetto.

Posta quest’ultima premessa metodologica, vediamo ora qual è la parti­zione anticipata dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel.

 

Partizione anticipata dello sviluppo del pensiero di Hegel

Conformemente ai principi fondamentali della dialettica, lo sviluppo del pensiero di Hegel si articola in tre cicli di vita o macroperiodi  principali.


Il primo ciclo di vita, l’affermazione, tradizionalmente definito  ’giovanile’, va dalle prime testimonianze scritte di Stoccarda (diario, compiti scolastici, estratti) fino all’elaborazione del sistema filosofico definitivo, ma non ancora completo alla fine del periodo jenese. Sono gli anni dal 1785 al 1806. In questo primo periodo Hegel formula l’ideale etico-religioso della propria vita intellettuale, ossia la realizzazione di una religione razionale che sia in fase d’illuminare un popolo intero e non soltanto i dotti, come fa invece la filosofia. 


Il secondo ciclo di vita (negazione prima) individuabile e con una chiara fisionomia è quello caratterizzato dall’elaborazione delle grandi opere sistematiche nella loro prima edizione, quindi la Fenomenologia dello spirito, la Scienza della Logica, l’Enciclopedia delle scienze filosofiche e i Linementi di filosofia del diritto. In queste opere Hegel espone nei dettagli il sistema elaborato a Jena e realizza in tal modo il proprio ideale giovanile. La religione razionale in fase d’illuminare il popolo è la propria filosofia, ossia l’idealismo assoluto come terza e definitiva religione dell’umanità dopo il politeismo e il monoteismo. Sono gli anni del 1807 al 1820.


Infine, il terzo e ultimo ciclo di vita, negazione seconda o negazione della negazione, corrispondente agli anni di Berlino, è costituito dal tentativo di realizzare concretamente la nuova religione razionale, ossia il sistema filosofico, che Hegel cerca in tutti i modi di affermare come filosofia dello Stato prussiano, sforzandosi di far coincidere il razionale, appunto il sistema, con il reale, quindi con lo Stato prussiano dell’epoca, con tutti gli aspetti positivi ma anche negativi che un tale sforzo titanico richiese. Sono gli ultimi anni della sua vita, dal 1821 al 1831, anno della morte, purtroppo prematura. 
Dal punto di vista della dialettica tale ciclo corrisponde al momento della negazione seconda, ossia al ritorno all’affermazione, ma arricchita ora del lato della realtà. Si tratta quindi della realizzazione compiuta dell’ideale. 

 

In sintesi lo sviluppo del pensiero di Hegel si articola in questo modo (divi­sione in cicli o macroperiodi principali):

 

1° Ciclo (affermazione; 1785-1806): formulazione dell’ideale della fondazione di una nuova teoria etico-religiosa di reinserimento dell’essere umano nella na­tura e sua realizzazione teorica nel primo sistema definitivo, anche se non ancora completo.

2° Ciclo (negazione prima; 1807-1820): processo di realizzazione teorica dell’ideale tramite la costruzione del sistema filosofico nei dettagli.

3° Ciclo (negazione seconda; 1821-1831): processo di realizzazione pratica del sistema nella società del tempo tramite la sua affermazione accademica e nella società civile.

 

Si tratta di tre cicli di vita ben distinti, che non furono solo diversi in riguardo al lavoro intellettuale di Hegel, ma anche nella sua vita privata. Nel primo ciclo abbiamo a che fare con un giovane uomo che costruisce non solo il proprio sistema, ma anche la propria vita, con tutte le difficoltà e anche gli errori che appartengono alla gioventù, oggi come allora. II secondo ciclo è più stabile, Hegel gode di situationi lavorative piuttosto stabili, pur mancandogli ancora quel grande riconoscimento accademico cui giustamente aspirava, ma può metter su famiglia e dare stabillità alla propria vita anche affettiva. Infine, il terzo ciclo di vita del filosofo vede arrivare quel successo accademico tanto agognato, ma nella Prussia della restaurazione in condizioni sicuramente non favorevoli a una filosofia che era invece nata come filosofia della libertà e della rivoluzione. Hegel dovette pertanto arrampicarsi sugli specchi per rassicurare il potere teologico-politico del tempo, il suo datore di lavoro, della corrispondenza tra il proprio pensiero e la realtà politica del tempo. Ciò lo portò a compromessi sia pratici sia teoretici che non solo gli resero amaro questo stesso successo tanto agognato, ma lo costrinsero anche ad allontanarsi dal vero spirito rivoluzionario del proprio sistema originario e autentico, cosa questa molto grave per un filosofo e che attirò poi in seguito, per es. da parte di Marx, accuse in parte anche giustificate di accomodamento. Ciò ha naturalmente poi gettato un’ombra sul suo pensiero e ne ha impedito quell’affermazione mondiale che invece, come cerchermo di mostrare qui, il sistema nella sua forma autentica e originaria, precedente l’accomodamento, sicuramente merita. 

Tal è la struttura dialettica fondamentale dello sviluppo del pensiero e della vita intellettuale di Hegel. Per quanto riguarda l’articolazione interna dei singoli periodi, occorre precisare che ogni ciclo si suddivide a sua volta in periodi, i periodi in fasi, le fasi in stadi e gli stadi in gradi. In tal modo lo sviluppo logico-dialettico del pensiero di Hegel viene pre­sentato in questo studio secondo i seguenti livelli:

 

primo livello: ciclo di vita o macroperiodo

secondo livello: periodo 

terzo livello: fase

quarto livello: stadio

quinto livello: grado

sesto livello: momento.

 

A tal proposito è infine da precisare che il momento non corrisponde ad un pe­riodo cronologico, ma, all’interno di uno stesso periodo cronologico (ciclo, periodo, fase, stadio o grado), a diversi aspetti o lati del contenuto concettuale di esso.(34) 

In questo lavoro ci occuperemo del primo ciclo dello sviluppo del pensiero di Hegel, quello giovanile. Così, dopo l’anticipazione della partizione di questo scritto e corrispondente­mente dello sviluppo del pensiero di Hegel si può senz’altro passare ora alla sua viva ricostruzione dialettica.

Volgiamoci ora alla comprensione del primo ciclo di vita e di pensiero di Hegel. 

 

*

 

PRIMO CICLO

DI PENSIERO E DI VITA
DI HEGEL

(1785-1806)

 

La nascita del sistema filosofico come realizzazione
dell’ideale giovanile della fondazione di una nuova
dottrina etico-relkgiosa popolare, naturale e razionale

di reinserimento dell’essere umano nella natura

 

Tale primo ciclo corrisponde all’elaborazione del sistema completo di tutto le parti fondamentali, ma non ancora sviluppato nei dettagli. Si tratta del sistema di Jena, concepito negli anni 1803-06, che contiene tutte le parti del futuro sistema filosofico hegeliano e quindi deve essere a pieno titolo ritenuto il primo vero e proprio sistema filosofico di Hegel. Esso porta a compimento la fase giovanile. In effetti, nel 1806 ormai il grosso del lavoro è fatto, tant’è che Hegel nella sua prima autentica opera. la Fenomenologia dello Spirito, non farà altro che annunciare al mondo intero che la verità è stato scoperta in modo scientifico, che è appunto per lui il modo del sistema. La Fenomenologia sarà da lui, infatti concepita come un’introduzione al sistema. Essa allo stesso tempo quindi chiudi il periodo giovanile e apre quello della maturità.


*

1.0

 

PRIMO PERIODO

(affermazione)

 

La nascita dell’ideale della fondazione di una nuova dottrina
etico-religiosa naturale, popolare e razionale

per l’illuminamento dell’uomo comune

 

Arco temporale: 1785 - 1794
Fonti principali: diario, estratti, compiti scolastici,
prediche, testi di Tübingen e Berna

 

 

Considerazioni introduttive

 

Il primo periodo dello sviluppo del pensiero di Hegel va dal 1785 (35) al 1794 e si articola in tre fasi.

 

Affermazione: La prima fase, dal 22 aprile 1785 al 7 gennaio 1787, consiste nella formulazione del proposito originario di Hegel; ossia comprendere come sia possibile realizzare un illuminamento dell’uomo comune.

 

Negazione Prima: La seconda fase, dal 7 gennaio 1787 all’autunno-inverno 1792/93, è costituita dall’elaborazione di una concezione naturale del mondo e dell’essere umano.(36) Questa fase corrisponde in buona parte con il cosiddetto periodo degli ’anni oscuri’ dello sviluppo del pensiero di Hegel. (37)
 

Negazione Seconda: La terza fase, dal 10 gennaio 1792 fino a tutto il semestre invernale 1793/94, consiste nella formulazione, sulla base di tale concezione naturale del mondo e dell’essere umano, dell’ideale etico-religioso capace di condurre all’illuminamento dell’uomo comune. (38) Soltanto in que­sto modo, dunque tramite la promozione di una moralità naturale nell’essere umano per opera di una nuova religione, può infatti aver luogo secondo Hegel l’illuminamento dell’uomo comune.

 

Così la dialettica di questo primo periodo è chiusa e l’ideale giovanile come negazione seconda o negazione della negazione contiene in sé sia il mo­mento dell’affermazione, ossia il proposito originario della comprensione delle modalità di realizzazione di un illuminamento dell’uomo comune, sia quello della negazione prima, vale a dire la comprensione del concetto dell’essere umano e della moralità ad esso idonea. È bene ora precisare almeno a grandi li­nee il contenuto specifico di ognuna di queste fasi. (39)

 

*

1.1

PRIMA FASE

(affermazione)

 

La nascita della problematica 
dell’illuminamento dell’uomo comune

 

Arco temporale: 22 aprile 1785 - 7 gennaio 1787

Fonte principale: diario

 

Questa fase è caratterizzata dal sorgere della problematica fondamentale dell’intero pensiero hegeliano, anche successivo. Si tratta della problematica dell’illuminamento dell’uomo comune, espressa da Hegel in termini espliciti nelle ultime pagine del diario, redatte probabilmente verso la fine del 1786. Alla formulazione di questa problematica Hegel non pervenne improvvisamente, bensì tramite un lento processo di maturazione, che si svolse attraverso tre stadi.

 

Situazione filologica delle fonti e loro datazione

I testi di questi primissimi anni dello sviluppo dialettico del pensiero del giovane filosofico sono stati tramandati per fortuna in modo se non completo, comunque sicuramente sufficiente all’elaborazione di una ricostruzione senza lacune della fase. Anche la loro datazione, trattandosi di testi quasi tutti datati da Hegel stesso, è sicura e affidabile. 

 

Stadi della prima fase

Nel primo stadio, estendentesi dagli inizi del suo sviluppo intellettuale (22 aprile 1785 secondo la documentazione pervenutaci) fino al 24 agosto dello stesso anno (40), si delinea l’interesse filosofico fondamentale del giovane pensatore. Esso riguarda chiaramente la morale, ossia il modo di vivere degli uomini ed i principi che lo reggono. La lettura del diario, nel quale Hegel annota i propri pensieri in tale fase del proprio sviluppo spirituale, (41) rivela senza ombra di dubbio l’impronta illuministica del suo pensiero in questi anni. Egli si sofferma a riflettere sul modo di vita dei suoi concittadini e critica il fatto che la maggior parte di loro, anche i dotti, sia ancora superstiziosa. In opposizione a tale atteggiamento Hegel ne pone uno razionale ed equilibrato, in sintonia coi tempi illuminati.

Nel secondo stadio - dal 24 agosto 1785 al 15-24 febbraio 1786 - il giovane studente del ginnasio di Stoccarda si sofferma soprattutto a ri­flettere sul senso della vita, ossia sul valore fondamentale della morale. Egli ri­flette quindi su temi molto vicini alla vita dell’uomo comune, quali per es. la fe­licità e la socievolezza, (42) come documentato da diversi scritti - sia pagine di dia­rio sia estratti - appartenenti a questo fase e riguardanti direttamente od indi­rettamente tali concetti (43) Attraverso tali riflessioni egli perviene alla conclusione che il senso della vita per l’uomo comune sia da rinvenire nella felicità e che la socievolezza, quindi il rapporto con gli altri esseri umani, sia la via maestra in fase di condurre al raggiungimento di questo scopo.

Il terzo ed ultimo stadio di questa fase, in quanto negazione della negazione, è contraddistinto dalla fusione o sintesi dei due concetti fondamentali dei gradi precedenti, ossia del concetto dell’illuminismo quale affermazione e del concetto della felicità quale negazione prima. Tale sintesi prende la forma di una domanda, ossia della questione dell’illuminamento dell’uomo comune. Se infatti l’illuminismo o, il che è lo stesso, la razionalità è l’atteggiamento giusto ed equilibrato da assumere nei confronti della vita e se la felicità è d’altra parte lo scopo supremo da raggiungere nella medesima, si pone a Hegel il problema di come siano conciliabili tali due fattori, entrambi quindi indispensabili. Il problema non riguarda tanto l’essere umano dotto, il quale comunque perviene tramite gli studi alla razionalità ed inoltre i dotti rappresentano la minoranza dell’umanità, quanto l’uomo comune, dunque la stragrande maggioranza degli esseri umani.

Tale questione può essere posta nel modo più chiaro attraverso la seguente domanda: com’è possibile illuminare l’uomo comune e far sì ch’esso pervenga tramite il proprio atteggiamento razionale alla felicità? Con la formulazione di tale problematica si conclude lo sviluppo del pensiero di Hegel in questa prima fase.

Hegel non si sentiva però ancora in grado di affrontare direttamente tale problematica. In una pagina fondamentale del diario egli afferma infatti che l’approfondimento e la soluzione di tale questione, difficile anche per persone dotte, sia poi per lui anche più difficile, non avendo egli ancora studiato la storia da un punto di vista filosofico e a fondo. (44)

Per questa ragione il giovane pensatore da questo momento in poi sviluppa tale argomento non con riferimento all’uomo comune bensì all’essere umano dotto, ossia si concentra sull’illuminamento tramite le scienze e le arti. Su questo terreno egli si sentiva più sicuro non solo per i motivi da lui stesso addotti, ma anche perché gli mancava ancora la necessaria esperienza pratica per comprendere la vita dell’uomo comune. Esperienza di studio ne aveva invece già abbastanza, per cui sentiva di poter affrontare la questione su questo livello, più vicino alla propria attività quotidiana ed alla propria personalità.

 

*

1.1.1

 

PRIMO STADIO

(affermazione)

 

L’INTERESSE ORIGINARIO DI HEGEL
PER LA MORALE DI UN POPOLO 

 

Arco temporale: 22 aprile 1785 – 24 agosto 1785 
Fonti principali: diario, estratti

 

In questo primo stadio, estendentesi dagli inizi del suo sviluppo intellettuale (22 aprile 1785 secondo la documentazione pervenutaci) fino al 24 agosto dello stesso anno, si delinea l’interesse filosofico fondamentale del giovane pensatore. Esso riguarda chiaramente la morale, ossia il modo di vivere degli uomini ed i principi che lo reggono. 

Le riflessioni che Hegel conduce nelle prime pagine del suo diario, che sono anche la prima testimonianza scritta del suo sviluppo spirituale, dimostrano che egli era principalmente interessato al modo di vita delle persone che vivevano nel suo ambiente.  Degli altri due interessi del giovane Hegel documentati nel diario, l’interesse per le lingue classiche greca e latina, e l’interesse per la ‘storia pragmatica’, nessuno dei due può essere descritto come principale (45):  il primo, perché riguarda più la forma che il contenuto dell’interesse originale, spirituale, di Hegel e solo con lo sviluppo del concetto della naturalità del linguaggio degli antichi nei saggi degli anni 1787-1788 raggiunge un primo status propriamente, filosofico; il secondo, perché è subordinato al principale interesse etico per il modo di vivere degli uomini, poiché lo studio della storia non era per il giovane studioso fine a se stesso, ma serviva alla comprensione della vita degli uomini. Ciò si può ben vedere, tra l’altro, dall’annotazione di diario del 01-07-1785 e soprattutto dal testo molto importante sull’Illuminismo (vedi il terzo stadio di questa fase).

Mi sembra quindi giustificato definire ‘morale’ l’interesse principale originario di Hegel. Con questo intendo tutto ciò che si riferisca alla vita spirituale dell’uomo, al suo modo di pensare e, quindi, al modo di vivere che, più o meno consapevolmente, ne deriva in ogni individuo.  Nell’estratto "Filosofia. Panorama generale" del 9-10 agosto 1787 (46),  c’è una definizione di filosofia pratica che può servire come delimitazione concettuale di questo atteggiamento morale fondamentale di Hegel: 

 

"II. Die practische Philosophie begreift überhaupt Alles, was sich auf die äussere und innere Glückseligkeit des Menschen bezieht. [...] Die moralische Theorie des Menschen setzt alle die allgemeinen Grundsätze fest, welche in allen Theilen der practischen Weltweisheit aus der moralischen Betrachtung des Menschen müssen vorausgesetzt werden; das allgemeine Gesetz der Natur und die allgemeine Verbindlichkeit der Menschen dazu; die wahren Begriffe von Tugend und Laster, von Glückseligkeit und Unglückseligkeit, von natürlichen Belohnungen und Strafen, von Schuld und Unschuld." (GW 3, S. 117). 

"II. La filosofia pratica comprende tutto ciò che si riferisce alla beatitudine esteriore e interiore dell’uomo....] La teoria morale dell’uomo stabilisce tutti i principi generali che devono essere presupposti in tutte le parti della saggezza pratica del mondo dalla considerazione morale dell’uomo; la legge generale della natura e l’obbligo generale dell’uomo nei suoi confronti; i veri concetti di virtù e vizio, di beatitudine e beatitudine, di ricompensa e punizione naturale, di colpa e innocenza. (tr.  dell’autore).    

 

Questa definizione si adatta molto bene ad esprimere la visione morale del mondo di Hegel in quel momento, poiché contiene molti concetti (beatitudine e felicità, virtù e vizio, ecc.) che spesso compaiono nelle riflessioni morali del giovane Hegel, soprattutto in quei primi anni. I termini "filosofia pratica", "teoria etica o morale" o "contemplazione dell’uomo", "visione morale del mondo", "saggezza pratica del mondo", ecc. riflettono esattamente il modo di pensare di Hegel negli anni di Stoccarda.  
Mi sembra quindi corretto usare le espressioni ’moralità’ e ’morale’ per questi primi passi nel pensiero di Hegel come descrizione molto semplice e generale della dimensione del comportamento o dell’azione umana; significati più complessi del termine, come la famosa differenza tra ’moralità’ ed ’eticità’ dal sistema filosofico successivo di Hegel, non sono qui rilevanti. In questo modo si può rimanere direttamente sul piano del pensiero del giovane Hegel, che fondamentalmente non aveva un concetto di moralità più profondo e differenziato di questo, soprattutto nel periodo di Stoccarda.  
Poiché questo interesse morale ha plasmato non solo l’inizio, ma anche il successivo sviluppo di Hegel, come dimostra il presente studio con riferimento al periodo dal 1785 al 1794, deve essere considerato non solo come un interesse originale, ma anche come l’interesse principale del suo filosofare almeno fino all’inizio degli anni bernesi.  
Una designazione dell’interesse principale di Hegel come "morale" è già stata suggerita da Peperzak (1960). Egli ha ragione quando descrive il principale atteggiamento filosofico del giovane Hegel come "la vision moral du monde". Hegel era davvero alla ricerca di una nuova etica, e quindi questa interpretazione è sostanzialmente corretta. Tuttavia, è unilaterale per due motivi:

- in primo luogo, perché Peperzak con questo termine significa la visione dualistica del mondo alla Kant, che Hegel ha poi trattato in dettaglio nella fenomenologia (pp. XIV-XV). Tuttavia, i testi di Hegel si basano su una visione etica unitaria e monista;  

- in secondo luogo, perché si oppone alle interpretazioni religiose o politiche (p. XIII) senza assorbirle in sé o, utilizzando il linguaggio della scienza della logica, cancellandole e non pervenendo a un quadro completo del giovane Hegel.  

Le annotazioni del diario, in cui Hegel ha espresso più chiaramente il suo principale interesse, sono le seguenti: 

- 01-07-1785:(47)  questa annotazione mostra molto chiaramente come Hegel fosse interessato alla storia, perché credeva di poter capire meglio la vita delle persone:

"Una storia pragmatica, credo, è una storia che racconta non solo i fatti, ma anche il carattere di un uomo famoso, di un’intera nazione, i suoi usi, costumi, abitudini, religione [...]".  

- 08-07-1785:(48)  Hegel riflette sul carattere dei sessi e cita alcuni versi di Orazio (49)  per capire il carattere del sesso femminile (ma anche in parte del sesso maschile). La ripetizione letterale del termine "carattere" e le corrispondenti parafrasi in due annotazioni(50) appaiono molto interessanti, poiché dimostrano che l’attenzione di Hegel era rivolta in modo molto specifico alla comprensione del carattere dell’uomo.  

- 9/10/11.07.1785:(51) In queste annotazioni Hegel critica la superstizione dei suoi concittadini. L’occasione è stata la credenza popolare nel "cosiddetto Muthes Heer".(52) L’annotazione del 07-09-1785 è particolarmente importante, perché è la prima volta che Hegel usa i termini "superstizione" e "illuminismo" nelle proprie riflessioni sul carattere umano. Da quest’annotazione si vede molto chiaramente come egli in quel momento guardasse il mondo da un punto di vista convintamente illuministico e di conseguenza fosse radicalmente critico nei confronti di ogni espressione di superstizione. In particolare, egli critica che tra le persone che pensavano di aver visto "Muthes Heer" ci fossero

"[...] anche persone da cui ci si aspetta più illuminamento e che occupano uffici pubblici".(53)

Quest’osservazione dimostra che la critica di Hegel al modo di pensare o di vivere delle persone che lo circondavano era diretta contro coloro che non stavano al passo con i tempi illuminati

"O tempora! O mores! Accaduto nell’anno 1785. Oh! Oh! Oh!").(54)

La sua critica non era dunque diretta contro un certo strato della società e non era di classe, anche se è evidente che egli considerasse particolarmente scandaloso che il ceto più alto, quello dominante, fosse ancora superstizioso e non avesse assorbito nulla della nuova visione del mondo illuminista.  

- 30-07-1785:(55)  Anche una vecchia edizione di Cicerone (56) è un’occasione per  riflettere sui sentimenti e le intuizioni di persone che erano state in qualche modo occupate da questa edizione e furono poi dimenticate dai posteri. Anche in queste riflessioni apparentemente senza importanza filosofica risalta, invece, la sensibilità di Hegel per la vita interiore dell’uomo e per i destini umani.  

- 22/23/24-08-1785:(57)  In questi giorni Hegel avvia delle riflessioni sull’argomento:

"Quale sia in realtà la peggiore confusione mentale che ha portato le più grandi sventure alle persone - individui e comunità -, alle città e ai villaggi, agli Stati e agli imperi" (58).

Che questo sia l’intento di un chiaro programma di riflessione e di studio, anche se naturalmente ancora allo stato iniziale, lo si può vedere da quanto egli afferma nella seguente frase della stessa annotazione:

"Vediamo dunque quali conseguenze abbiano avuto la gloria, la sete d’oro, l’arroganza, l’invidia, la disperazione, l’odio, la rabbia e il desiderio di vendetta".  

Hegel si occupa qui principalmente della comprensione dell’anima umana o del carattere umano, ciò sembra evidente e indubitabile. Così, l’interpretazione finora perseguita in questo lavoro, ossia che l’interesse originario di Hegel sia la comprensione della vita morale dell’uomo, viene ulteriormente suffragata da questi ulteriori chiarissimi indizi. È particolarmente interessante a tal proposito che egli intenda tale "programma" sia in relazione al singolo essere umano, cioè moralmente, sia in relazione alle "comunità", ossia socialmente o politicamente. Diventa evidente come per il giovane anche in questa prima fase del suo sviluppo mentale il punto di vista morale e quello socio-politico formino un’unità che ha il proprio nucleo nella comprensione dell’uomo e del suo carattere.  

- 22/23-12-1785:(59)  Il il 22 dicembre del 1785, dopo una lunga malattia, Hegel riprende l’esecuzione del programma:

"Molto prima di essere colpito dalla grave malattia, ho cominciato a spiegare, secondo la misura del mio talento, ciò che di male e di bene segua dalla passioni dell’anima".(60)

Il 22 dicembre scrive poi che aveva già spiegato "così com’è per quanto riguarda l’onore [...]", poi avvia l’annotazione del 23 dicembre con le parole:  "Vogliamo procedere  ora con la sete d’oro e di ricchezza". 

Ciò conferma che si tratta di una continuazione delle considerazioni morali e sociali iniziate il 22 agosto 1985. L’analogo inizio dell’annotazione dell’11-02-1786: "Vogliamo tornare a questa nostra vecchia impresa per il miglioramento dello stile, che è stata interrotta per un lung periodo di tempo [...]" è senza dubbio un’altra prova della continuità dello sviluppo spirituale di Hegel almeno per quanto riguarda il suo profondo interesse per la moralità, per le lingue antiche e per la storia pragmatica. Già da questi primissimi passi del campo del sapere si può notare come il giovanissimo pensatore procedesse in modo evidentemente molto sistematico nell’approfondimento del proprio interesse fondamentale per la comprensione dell’animo umano.  

Sulla base delle annotazioni del diario sopra elencate, è ora possibile descrivere in modo più preciso l’originale interesse morale principale di Hegel. 
In primo luogo, il suo pensiero era focalizzato sulla comprensione del carattere umano, dell’animo umano. Voleva capire le ragioni che, in un modo o nell’altro, spingono l’uomo ad agire in un modo anziché in un altro. Un buon esempio di ciò sono le sue riflessioni sulla fede e la superstizione e sulla questione del perché questi atteggiamenti spirituali verso la vita spesso conducano anche persone che dovrebbero essere ragionevoli a pensieri e azioni invece irragionevoli. L’interesse morale di Hegel per l’uomo aveva quindi una componente psicologica in primo luogo, cioè mirava a comprendere l’animo umano.

In secondo luogo, il giovane voleva elaborare un concetto illuminato dell’uomo che potesse servire da modello per la propria auto-educazione. È molto impressionante il modo in cui Hegel affronta la propria anima nel suo diario e come sia sempre alla ricerca del giusto percorso di vita per se stesso, per es. quando legge i classici greci e latini, parla con i propri insegnanti oppure osserva il modo di vivere dei concittadini. Il suo interesse morale era quindi chiaramente allo stesso tempo un interesse pedgogico, anche se va precisato a questo proposito che in questi primi anni egli voleva soprattutto educare se stesso a una moralità equilibrata. Quindi era alcontempo allievo e maestro di se stesso. 
In terzo luogo, le sue considerazioni di Hegel erano anche socialmente e politicamente orientate.(61) La ricerca di una morale equilibrata e illuminata era legata alla critica del presente che, a suo parere, non aveva una vera e propria teoria morale razionale.  Il proposito di Hegel di scoprire una tale morale per se stesso era quindi connesso con l’idea che questa nuova morale dovesse essere valida anche per gli altri, cioè per la società. L’interesse etico-pedagogico aveva quindi allo stesso tempo anche una validità socio-politica. 
La comprensione dell’animo umano, l’autoeducazione a un comportamento morale illuminato, equilibrato e saggio, la trasformazione di questo comportamento morale in un ideale socio-politico sono quindi le tre caratteristiche principali dell’originario interesse principale di Hegel. 
Tra queste tre dimensioni ci sono relazioni precise e logiche: la dimensione psicologica è il presupposto per le altre dimensioni, perché senza la conoscenza dell’animo umano non è possibile formulare una teoria morale; la dimensione etico-pedagogica è a sua volta il presupposto per la dimensione socio-politica, perché non si può essere un "educatore del popolo" se non si è in grado di educare moralmente anzitutto se stessi.  
La dimensione moral-pedagogica sembra quindi occupare il posto centrale nell’interesse principale di Hegel e quindi svolgere il ruolo più importante come suo principale obiettivo. In relazione a essa, la dimensione psicologica sembra essere la condizione necessaria e la dimensione socio-politica la logica conseguenza. Dopotutto, l’obiettivo e l’interesse principale di Hegel non era solo psicologico o puramente socio-politico, ma soprattutto moral-pedagogico: voleva sviluppare per sé uno stile di vita equilibrato e illuminato, e poteva raggiungere questo obiettivo solo attraverso l’autoeducazione, poiché non riusciva a ottenere dall’ambiente un modello morale adatto.

 

*

 

1.1.2

 

SECONDO STADIO

(negazione prima)

 

L’individuazione della socievolezza come mezzo
e della felicità come scopo della vita umana

 

Periodo: 24 agosto 1785 - 15 - 24 febbraio 1786

Fonte principali: estratti, diario
 

Il passo successivo che il giovane Hegel fece nella sua ricerca di uno stile di vita equilibrato e illuminato fu quello di determinare il valore principale di questa morale. Cercò di capire cosa sia veramente decisivo nella vita umana, quali siano le questioni che rivestono un ruolo di primo piano nella vita dell’uomo. Egli trovò una risposta a questa importante domanda nei giorni dal 15 al 24 febbraio del 1786. In particolare riportò il proprio pensiero nelle seguenti annotazioni del diario: 15/16/18/24-02-1786.(62)

In questi giorni Hegel si preparò per gli esercizi per la promozione dell’eloquenza che si sarebbero svolti in estate.(63) Come soggetto di cui voleva parlare, scelse un argomento molto vicino al suo principale interesse morale, ovvero ‘l’interazione sociale’. Questa, a suo parere, consiste nell’
 

"…incontrarsi spesso, discutere, passeggiare e uscire per partecipare a un certo progetto comune; la cosa più eccellente è il piacere di discutere le varie cose, di intraprendere qualcosa e portarla a termine".(64)
 

Spiega la ragione della scelta di questo tema dicendo che risponde ai seguenti requisiti: appartiene a un "ambito di studio vicino"e “non troppo lontano dalla nostra epoca e dai nostri costumi"; infine, è

"un tema non completamente storico, che non lascerebbe spazio a una riflessione personale".(65)
In questo progetto il principale interesse morale di Hegel e il suo ulteriore interesse per lo stile di una corretta scrittura e di un corretto modo di parlare sono meravigliosamente uniti. Il primo dà il contenuto, il secondo la forma per il progetto del suo discorso, che può essere considerato come una prima sintesi dei risultati delle sue precedenti riflessioni.

L’idea principale di questo progetto è che frequentare altre persone, "se fatto correttamente e con le persone giuste", può essere molto utile per il giovane e per la formazione della sua mente. Hegel si occupa in particolare di due forme d’interazione sociale: l’interazione con le persone più  anzianee con  (66) le donne.(67)

Il giovane pensatore trova particolarmente utile la compagnia delle persone più anziane, perché permette ai giovani di acquisire una comprensione della natura umana.(68)  Hegel stesso cercava la compagnia di uomini più anziani per beneficiare delle loro conoscenze e soprattutto della loro conoscenza della natura umana, come testimoniano diverse annotazioni del diario in cui riporta il contenuto culturale delle sue conversazioni durante le passeggiate per es. con il suo maestro Cleß o con il defunto e venerato maestro Löffler (vedi tra l’altro soprattutto le annotazioni del 4-7, 6-7, 7-7,15-07, 21-07, 21-7 e 22-07-1785).

Questo è un ulteriore segno che le osservazioni che ha scritto nel suo diario hanno non solo un valore oggettivo come lenti passi verso la comprensione del mondo e delle persone, ma anche un valore soggettivo, come lunghi passi verso la comprensione di se stesso e verso la formazione di un ideale dell’uomo, secondo il quale ha voluto orientarsi come modello e formare il proprio carattere.

Per quanto riguarda il trattamento delle donne, scrive:
 

"Chi voglia essere felice tra le persone che oggi popolano il globo - e sono sicuro che ognuno di voi lo vorrà e già lo fa - deve, direi, buttare via le scorie, e in nessun luogo questo può essere fatto meglio e più a fondo che in compagnia di donne. Esse hanno il monopolio della fama e della vergogna”.(69)
 

Entrambe le forme di interazione sociale possono quindi, secondo Hegel, essere molto utili per il giovane studioso, e ciò probabilmente suona come un invito etico a superare la solitudine e a cercare una soddisfacente convivenza umana. Dopo aver scritto che la convivialità "[...] ci è imposta dalla natura [...]", Hegel ne parla nell’annotazione del 18-02-1786 in questo modo:
 

"[...] la solitudine può anche essere lodata da molti, anche dai più esperti, [...]. Solo alcuni di quelli che godono sempre di questa separazione dagli uomini potranno citarne alcuni, nondimeno potrai indicare solo poche persone che si rallegrino sempre di questa separazione dagli uomini, perché tutte le volte che essi, esausti, vorranno riprendersi dal lavoro spirituale,  -[...]- cercheranno la compagnia degli uomini, certamente di quelli adatti e simili. [...]. La solitudine ha il proprio tempo, la propria misura e il proprio obiettivo, così come anche la compagnia ha i propri".(70)
 

È difficile non pensare alla filosofia dello spirito oggettivo e soprattutto alla sua sezione sull’eticità, in cui Hegel trova nella vita per la famiglia, per la società (lavoro comune) e per lo Stato, cioè nella vita "sociale", la forma più completa di realizzazione dello spirito umano, quindi la sua libertà e felicità.(71)

Nei paragrafi 478 e seguenti, che appartengono ancora alla filosofia dello spirito soggettivo, il filosofo spiega prima come la felicità nel suo significato più profondo sia la libertà (§480),(72) e poi come la realizzazione della libertà dello spirito, che ne è l’essenza, avvenga nello sfera oggettiva dello spirito (§ 482). Quest’ultima consiste nella sua forma più alta nell’eticità,(73) che a sua volta trova la propria espressione nelle istituzioni interpersonali della famiglia e dello Stato, appunto basate sul reciproco riconoscimento dell’autocoscienza (‘autocoscienza universale’).

Colpisce come i concetti fondamentali di questa parte centrale del sistema di Hegel si leghino meravigliosamente con le sue prime riflessioni nel diario: il concetto di ’felicità’, che il maturo Hegel intende come ’libertà’; il concetto di ’carattere’ dell’uomo, che egli pone in stretta relazione con quello della libertà;(74) infine, il concetto di ’socievolezza’, che non è esplicitamente menzionato, ma che è indubbiamente legato al concetto di ’autocoscienza universale’ e alle istituzioni intersoggettive dell’autocoscienza etica, basate su di esso.(75)
 

"L’autocoscienza universale è la conoscenza affermativa di sé nell’altro sé, [...]. Questa ricomparsa generale della autocoscienza [...] è la forma di coscienza della sostanza di ogni spiritualità essenziale, famiglia, patria, stato, così come di tutte le virtù, amore, amicizia, coraggio, onore, gloria”.(E, § 436)
 

Il parallelismo sopra descritto tra l’eticità come parte centrale del sistema di Hegel e la socievolezza come uno dei concetti di base di questi primissimi anni mostra come i concetti rinvenuti finora nelle annotazioni del diario (carattere, beatitudine, virtù e valori umani, socievolezza, etc.) abbiano mantenuto nel tempo il loro ruolo centrale nella vita spirituale di Hegel, e quindi conferma la correttezza dell’interpretazione, da noi proposta, dell’interesse morale di Hegel come suo principale interesse.

Non sembra quindi sbagliato attribuire alle annotazioni del diario del febbraio 1786, sulla base dei loro concetti fondamentali di ’socievolezza’ e ’felicità’, un posto altrettanto centrale nel primo sviluppo del pensiero di Hegel come i concetti di ’eticità’ e ’libertà’ l’avranno nel sistema successivo.

Tale conclusione è supportata in modo decisivo dalla connessione logica tra i concetti di base delle annotazioni del diario degli anni 1785-1786. Essa consiste nel fatto che Hegel ora rivolge il proprio  interesse originario per la comprensione dell’uomo e del suo carattere ai concetti di felicità e socievolezza nonché ai rapporti umani in generale. A tal proposito è particolarmente significativo il rapporto ch’egli instaura tra il concetto di socievolezza e di felicità:dalle annotazioni del diario del 18 febbraio e del 24 febbraio 1786 risulta che per lui la socievolezza è un presupposto per la felicità e che quest’ultima non può essere raggiunta attraverso la solitudine.

Il legame tra socievolezza e felicità può certamente essere considerato come l’idea principale di Hegel in questo primissimo fase per quanto riguarda il suo principale interesse morale. Così, da quel momento in poi, la convivialità e la felicità diventeranno i principi guida nella sua ricerca di uno stile di vita corretto e illuminato. La felicità è l’obiettivo della vita morale dell’uomo e la socievolezza è la via attraverso la quale l’uomo può realizzare tale obiettivo. Entrambi insieme costituiscono il senso della vita umana.

Per cogliere tale pensiero fondamentale, Hegel dovette riflettere profondamente e sistematicamente, e attraverso questa profonda e sistematica riflessione, fu in fase per la prima volta nello sviluppo del proprio pensiero di cogliere non solo i concetti prevalentemente morali già citati, ma anche almeno due concetti generalmente validi, che determineranno in seguito il suo pensiero fino alla nascita  del sistema. Si tratta dei seguenti concetti:

- l’ ‘utilità’ e il ‘vantaggio’ della ‘conoscenza’ nella vita dell’uomo(76) e in particolare della "conoscenza dell’uomo" (annotazione del 24-01-1786: "Inoltre c’è... conoscenza dell’uomo");

- la natura come colei che ha impiantato il bisogno d’interazione sociale nell’uomo (annotazione del 15-02-1786: "Prima voglio parlare..." e del 18.02.1786: "Che questa natura..."). 

La prima apparizione di questi termini generalmente validi, così come i concetti morali raggruppati intorno alla coppia di termini ‘socievolezza’ e ‘felicità’, che avranno poi un ruolo decisivo nel successivo sviluppo di Hegel, è da considerarsi come un’ulteriore prova della continuità del suo sviluppo spirituale, nonché dell’importanzt di questi mesi iniziali del 1786 per la formazione della sua emergente visione morale.


*

1.1.3

 

TERZO STADIO

(negazione seconda)

 

La nascita della questione fondamentale

di un "illuminamento dell’uomo comune"

 

(24 febbraio 1786 - 7 gennaio 1787)

Fonte principale: diario, compiti scolastici
 

Nel febbraio 1786, l’ideale morale della vita di Hegel, che si andava gradualmente formando, si presenta nel modo seguente: per quanto riguarda il suo contenuto, il concetto di felicità, come scopo principale della vita umana, riveste il ruolo principale, insieme al concetto di socievolezza, come suo indispensabile presupposto; per quanto riguarda la forma, il concetto d’illuminismosvolge il ruolo principale, poiché l’ideale etico della vita deve necessariamente avere come prerequisito la razionalità. Questi due concetti, felicità e illuminismo, costituiscono quindi la struttura di base dell’emergente ideale etico di vita del giovanissimo pensatore. 

Un ulteriore passo avanti nello sviluppo del suo pensiero è evidenziato principalmente da due annotazioni, che purtroppo sono conservate in forma molto incompleta. Si tratta dell’annotazione del 22 marzo 1786(77) e della annotazione, senza inizio e quindi anche senza data, che si trova in GW 1 a pag. 30 (da 30,1 al 30,19). La prima annotazione è interrotta, e abbiamo solo l’inizio;(78) della seconda annotazione mancano l’inizio e la fine,(79) e quindi abbiamo solo una parte del testo.

Per quanto riguarda il contenuto, queste due annotazioni riguardano concetti diversi. La prima riguarda il concetto di felicità, mentre la seconda quello d’illuminismo. 

Per quanto riguarda la datazione della parte rimanente del testo, si può ipotizzare quanto segue: poiché Hegel parla dell’erudizione degli Egizi verso la fine dell’annotazione(80) e su questo stesso argomento aveva scritto un estratto il 23 dicembre del 1786,(81) la parte del testo sembra essere stata scritta dopo questo estratto, cioè nel periodo dopo il 23 dicembre 1786 fino all’inizio del 1787, quando Hegel smise di riportare i propri pensieri in questo suo primo diario.(82) Questa parte del testo costituirebbe quindi il confine tra il secondo e il terzo fase di questa prima fase dello sviluppo giovanile del filosofo, giacché Hegel si occupava ancora principalmente del concetto di felicità nel periodo da marzo a ottobre 1786, come testimoniano diversi estratti di questi mesi,(83) mentre dalla fine del 1786 iniziò le sue riflessioni sull’illuminismocon diversi estratti (vedi a questo proposito la fase successiva del suo sviluppo).

Da questo punto di vista contenutistico, quindi, la parte del testo appartiene giustamente al terzo fase di questa prima fase, mentre l’annotazione sul concetto di felicità e gli estratti ad essa relativi appartengono in realtà al secondo fase sempre di questa prima fase. 

Per quanto riguarda la forma, entrambe le annotazioni mostrano una chiara somiglianza, poiché ambedue contengono la definizione di un concetto.(84) Per questa somiglianza e per il fatto che le due annotazioni sono state tramandate immediatamente l’una dopo l’altra a causa delle parti mancanti, l’annotazione del 22 marzo viene qui presentata all’interno del terzo fase e in stretta relazione con la parte del testo sull’illuminismo senza data, anche se mi sembra che concettualmente esa appartenga ancora al secondo fase, insieme agli altri testi sul concetto di felicità che hanno avuto origine in questi mesi. Ciò non avrà tuttavia conseguenze per la correttezza della ricostruzione dell’intero sviluppo di questa fase, poiché la descrizione della sequenza nello sviluppo intellettuale di Hegel non ne è influenzata.

Nella prima parte dell’annotazione del 22 marzo 1786 Hegel riflette sul concetto di felicità. Egli scrive:

 

"Tutti gli uomini hanno l’intenzione di rendersi felici";(85)

 

e in tal modo ripete il suo pensiero che la felicità è lo scopo principale della vita umana, come aveva già affermato nell’annotazione del 24 febbraio 1786. 

Quando poi inizia a definire il concetto di felicità, il testo s’interrompe:

 

"Ma prima devo definire il concetto di felicità. Io intendo, in effetti, con esso un...".(86)

 

La parte del testo senza data inizia con la presentazione del concetto di Illuminismo:

 

"...qui su carta, devo prima anticipare ciò che intenda per illuminismo".(87)

 

Nelle righe successive, Hegel presenta il proprio concetto di illuminismo. Egli distingue l’illuminismoin ‘illuminamento tramite le scienze e le arti" e "illuminamento dell’uomo comune".(88)

L’illuminamento attraverso le scienze e le arti si riferisce esclusivamente agli studiosi,(89) mentre l’illuminamento dell’uomo comune(90) riguarda tutto il popolo. "Elaborare un progetto di un illuminamento dell’uomo comune", viene ritenuto da Hegel un compito estremamente difficile, anche per le persone colte.(91) Per lui era "ancora più difficile", perché non aveva “ancora studiato la storia in modo filosofico e approfondito".(92) Per questo decide di occuparsi qui solo dell’illuminamento attraverso le scienze e le arti.(93)

Va detto in questo contesto che anche qui sono contenute alcune riflessioni che sembrano non essere importanti, ma che concordano in modo impressionante con la filosofia matura di Hegel. Prima di tutto, a proposito dell’illuminamento dell’uomo comune, egli scrive:  

 

"Altrimenti credo anche che quest’illuminamento dell’uomo comune sia sempre stato basato sulla religione del tempo".

 

Questa frase ci ricorda le ‘Lezioni sulla filosofia della storia’, in cui, per esempio, si può leggere:

 

"La religione è il luogo in cui un popolo si dà la definizione di ciò che considera vero".(94)

 

Da ciò si evince che anche per l’Hegel maturo, l’illuminamento del popolo, cioè dell’uomo comune, avviene attraverso la religione.

Per quanto riguarda l’Illuminismo attraverso le scienze e le arti, il giovanissimo Hegel scrive:

 

"In considerazione di queste sono dell’opinione che prima fiorirono in Oriente e nel Sud e poi migrarono da lì sempre più verso ovest”.(95)

 

Anche in questo caso viene subito in mente un passaggio della filosofia della storia, che suona come una sintesi della relativa visione di Hegel:

 

"La storia del mondo va da est a ovest, perché l’Europa è la fine della storia mondiale per eccellenza, l’Asia l’inizio".(96)

 

Se si aggiunge l’impressionante corrispondenza di questi pensieri del giovanissimo Hegel del periodo di Stoccarda con quelli del maturo Hegel di Berlino agli altri, già documentati, la continuità dello sviluppo spirituale del filosofo emerge molto chiaramente e si è tentati - e probabilmente a ragione -  di affermare tale sviluppo non consisté nell’inventare nuove verità, quanto piuttosto nell’esplicitare meglio le idee di base della giovinezza e nel sostanziare le verità qui contenute in modo più dettagliato e ‘scientifico’ (ovviamente secondo il concetto di scienza proprio della successiva ‘Scienza della Logica’, dunque in modo ‘dialettico’).(97)

È molto importante capire come Hegel abbia avuto l’idea di elaborare una "bozza dell’ illuminamento dell’uomo comune. È probabile che la parte mancante dell’annotazione lo menzioni. Dopo la lacuna testuale, l’annotazione ricomincia con le parole:

 

"...qui su carta, devo prima dire ciò che intendo per illuminismo" (GW 1, p. 30,1-2).

 

Cosa voleva Hegel "mettere su carta"? Deve essere qualcosa che conteneva la parola ‘illuminismo’ nel proprio concetto e probabilmente anche nella formulazione scritta, altrimenti Hegel non avrebbe scritto qui che doveva dire in anticipo cosa intendesse per illuminismo. Quindi sarà probabilmente una qualche forma di illuminismoche Hegel qui intendeva "mettere su carta".

Riassumendo, manca da un lato la definizione del termine ’felicità’ nella parte mancante dell’annotazione del 22 marzo 1786, come si può dedurre dall’ultima frase prima della lacuna ("Ma prima devo definire il termine di felicità...), e, dall’altro, la presentazione del termine di una qualche forma di illuminismonella prima parte del testo senza data, come si può concludere dal riavvio del testo dopo la lacuna.(98)

Sulla base della ricostruzione dell’evoluzione dell’interesse etico di Hegel finora realizzata, è tuttavia possibile farsi un’idea dell’argomento attorno al quale il pensiero di Hegel ha ruotato tra la prima annotazione del 22 marzo 1786 sul concetto di felicità e la seconda parte non datata del testo sul concetto di illuminismo (probabilmente scritta intorno al dicembre 1786), e cercare di colmare la lacuna nella tradizione dei manoscritti con l’ordine logico dello sviluppo del pensiero.

Nel periodo da marzo a dicembre 1786, Hegel sembra essersi preoccupato principalmente di definire il suo ideale etico di vita, utilizzando il concetto di illuminismo come forma razionale e il concetto di felicità come obiettivo sostanziale. Dalla parte non datata del testo si evince chiaramente che egli sentiva il bisogno di "elaborare una bozza di un illuminamento dell’uomo comune”, altrimenti non sarebbe giunto alla conclusione di non essere sufficientemente preparato a questo per la mancanza di uno studio approfondito e filosofico della storia.(99)

Per il giovanissimo Hegel, "elaborare una bozza dell’illuminamento dell’uomo comune" poteva significare solo che la pretesa di razionalità dell’illuminismo doveva essere applicata anche all’uomo comune, cioè alla gente, e che l’illuminismo doveva quindi essere collegato con lo scopo principale della vita dell’uomo comune, ossia con la felicità. Hegel si astenne dal farlo, tuttavia, non perché non volesse o non lo considerasse importante, ma perché non sapeva ancora come prepararsi a ciò. Poiché non aveva ancora studiato la storia in modo approfondito e filosofico, decise di condurre le sue indagini sul collegamento tra l’illuminismo e la felicità prima nel campo della scienza, cioè di collegare l’illuminismo inteso come "illuminamento attraverso le scienze e le arti" con il concetto di felicità.

Hegel, dunque, non iniziò subito a elaborare il progetto di un "illuminamento dell’uomo comune", perché voleva studiare la storia in modo approfondito e filosofico in anticipo. Il suo obiettivo finale era però lavorare a un tale progetto.(100)

Si può quindi affermare che l’emergere della questione dell’ iIlluminamento dell’uomo comune sia stato molto probabilmente il contenuto principale del testo non datato. La sfida teorica consisteva principalmente nella connessione del concetto di felicità con quello dell’illuminismo, come Hegel lo aveva definito nelle annotazioni corrispondenti. A questo proposito egli unificava i due presupposti del suo ideale etico che stava emergendo in quel momento: la felicità come obiettivo principale e contenuto della vita umana, che di per sé include la socievolezza, e l’illuminamento come forma di comportamento umano che dovrebbe portare a tale obiettivo e che sarebbe vuota da sola senza questo contenuto.

In questo contenuto concettuale sono pertanto riassunte le idee principali di questa primissima fase dello sviluppo spirituale di Hegel, la pretesa  di razionalità della condotta etica e di felicità della vita umana. La questione di un illuminamento dell’uomo comune può quindi essere considerata la logica conclusione di questa fase. Sebbene non sia stata risolta immediatamente da Hegel, essa ha fatto da sfondo allo sviluppo ulteriore del suo pensiero, che proseguì per una necessaria deviazione, costituita dall’indagine sull’ illuminamento attraverso le scienze e le arti.

 

*

1.2.0

 

SECONDA FASE

(negazione prima)

 

La ricezione della categoria della naturalità e

lo sviluppo di una concezione monista e naturalista

del mondo e dell’uomo

 

Arco temporale: 7 gennaio 1787 – 10 gennaio 1792

Fonti principali: estratti, compiti scolastici

 

 

Concetto fondamentale della secondo fase del primo periodo

La seconda fase di questo primo periodo  dello sviluppo del pensiero hegeliano è quindi dominato dalla problematica della questione dell’illuminamento dell’essere umano dotto attraverso le scienze e le arti, nondimeno resterà al fondo di esso, pronta ad emergere al momento opportuno, l’altra questione, ben più complessa e inerente all’interesse fondamentale di Hegel, dell’illuminamento dell’uomo comune.

L’illuminamento dell’essere umano dotto viene approfondito dal giovane filosofo soprattutto tramite la lettura delle riviste culturali dell’epoca, dalle quali egli trascriveva o riassumeva gli articoli che maggiormente lo interessavano. Di questi estratti ne sono conservati per fortuna molti. Essi ci consentono di rico­struire lo sviluppo del suo pensiero dal gennaio 1787, mese in cui è interrotta la stesura del diario, al settembre 1788, mese in cui Hegel redige l’ultimo estratto pervenutoci tra quelli redatti in questo periodo.(101)

Mentre i progressi intellettuali compiuti nel primo fase sono stati annotati dal giovane nel diario e sono quindi ricostruibili tramite la lettura di questa fonte, i progressi compiuti in questo secondo fase sono stati, per così dire, ‘fermati’ da lui in forma scritta tramite degli estratti dalle opere lette.

La ragione di ciò, ossia della diversa forma scritta in cui Hegel registrò di volta in volta i propri progressi intellettuali, non è da rinvenire in motivi casuali o psicologici, come per es. il suo maturare e il conseguente abbandono dell’uso di un diario, bensì nella dialettica immanente dello sviluppo del suo stesso pen­siero.

La forma introspettiva del diario andava bene a Hegel fin quando egli do­veva raccogliere le proprie riflessioni sull’ambiente che lo circondava e formare nonché esprimere il proprio giudizio su tale ambito della propria esperienza di vita quotidiana. Proprio tale procedimento osservativo e contemporaneamente giudicativo conduce Hegel negli anni 1786-1787 a formare il proprio giudizio sulla società del tempo (ovviamente secondo il proprio, limitato orizzonte geo­grafico) ed ad individuare nella dottrina dell’illuminamento dell’uomo comune la soluzione di quello che gli sembrava il problema più grande dell’epoca, ossia la sopravvivenza della superstizione popolare nonostante l’avvenuto illumina­mento.

Una volta pervenuto a questa conclusione, nonché all’ulteriore considera­zione della necessità di studiare prima le modalità dell’illuminamento dell’essere umano dotto per poi passare alla comprensione delle modalità dell’illuminamento dell’uomo comune, s’inaugura nello sviluppo del pensiero hegeliano un nuovo fase. Esso non consiste, come il primo, nell’osservare il mondo del presente e nel giudicarlo, formando così un ideale morale, bensì nello studio del mondo del passato e nella comprensione attraverso di esso delle mo­dalità fondamentali del funzionamento della società umana. Soltanto in questo modo Hegel poteva infatti comprendere le caratteristiche fondamentali dell’illuminamento dell’essere umano dotto tramite le scienze e le arti. Gli anni 1787-1788 sono pertanto contraddistinti da letture approfondite su vari aspetti della società umana, soprattutto del passato.(102)

Nei mesi immediatamente successivi, Hegel cercò ovviamente dunque di rimediare alla mancanza di conoscenza della natura umana e, soprattutto, di uno studio approfondito e filosofico della storia, delle scienze e delle arti, per poter poi risolvere la questione dell’ ‘illuminamento dell’uomo comune’ su questa solida base. Vediamo ora i singoli stadi dei suoi progressi intellettuali.

 

Stadi della seconda fase del primo periodo

Questo fase si articola anch’esso in tre stadi. Nel primo stadio (affermazione), dal 7 gen­naio 1787 al 16 agosto 1787, Hegel comprende la struttura logica fondamentale che deve contraddistinguere il vero illuminismo: si tratta della categoria della naturalità. Egli recepisce infatti tramite l’elaborazione di un estratto dal libro di Nicolai Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, il con­cetto del lento decorso naturale come modello di uno sviluppo razionale, unitario ed armonico, nel quale il dentro ed il fuori, il tutto e le parti si trovino in perfetto equilibrio.(103) Egli recepisce quindi la categoria della ‘naturalità’ come modello di un corretto illuminamento.

Il secondo stadio (negazione prima), dal 16 agosto 1787 al 7 agosto 1788, contiene l’applicazione di questa concezione dell’illuminismo alla storia. Proprio in quanto ‘appli­cazione’, quindi attività in prima persona, il documento fondamentale che ci te­stimonia quest’ulteriore passo compiuto da Hegel, non è un estratto, bensì un compito scolastico.(104) In esso il giovane filosofo perviene per la prima volta in modo esplicito alla glorificazione degli antichi Greci come di un popolo i cui dotti (per es. i poeti) sono riusciti a vivere ed a creare secondo il principio della naturalità, quindi secondo il vero illuminismo. Da questo momento in poi gli antichi Greci diventano per Hegel il modello del vero illuminismo, ossia della raggiunta armonia tra il dentro ed il fuori, il tutto e le parti. In tale compito scolastico si nota come il giovanissimo pensatore applichi la categoria della ‘naturalità’ al campo delle scienze e delle arti, in particolare alla differenza tra la poesia degli antichi e dei moderni. Così egli perviene alla comprensione dell’educazione naturale dei Greci e di conseguenza del loro modo di vivere naturale. La grecità classica diventa per lui da questo momento un modello e un ideale di vita. Tale fase abbraccia il periodo che va dal 16 agosto del 1787 al 7 agosto del 1788. In questo giorno Hegel redige il saggio ‘Su alcune caratteristiche differenze’, in cui si trova l’idea fondamentale della naturalità dei Greci.

Il terzo stadio (negazione seconda) consiste, infine, nell’applicazione all’illuminamento dell’uomo comune dei risultati raggiunti tramite l’approfondimento della problematica relativa all’illuminamento dell’essere umano dotto. Dopo aver compreso l’illuminamento tramite le scienze e le arti, il giovane pensatore può, infatti, finalmente tornare al proprio scopo originario, ossia alla comprensione dell’illuminamento dell’uomo comune. Egli realizza ciò tramite la lettura di Rousseau, in particolare almeno dell’Emilio.

 

Situazione filologica delle fonti e loro datazione
Purtroppo, come vedremo, la mano censoria si è abbattuta pesantemente su questo periodo molto importante dello sviluppo del giovane filosofo, che nei primi anni dell’università partecipò intellettualmente alle contemporanee vicende rivoluzionarie in Francia, anche stringendo amicizia con la comunità di studenti francesi dello Stift (da Colmar e Montbéliard). Sappiamo che Hegel insieme a Hölderlin e Schelling parteggiava apertamente per le forze rivoluzionarie e possiamo ben intuire di che tenore fossero stati i suoi scritti e le letture dell’epoca. Di ciò non è rimasto purtroppo quasi nulla. Gli scritti degli anni dal 1789 al 1792, proprio i primi anni universitari, quelli più formativi in cui sicuramente avrà scritto tanti saggi propri ed elaborato  estratti dalle molteplici letture che sicuramente avrà fatto, sono andati perduti o, forse più precisamente e come ampiamente documentato nell’ambito della Hegel-Forschung, distrutti.(105).

Nondimeno grazie a diverse testimonianze a lui contemporanee e studi specifici svolti recentemente, è possibile oggi ricostruire un quadro dei progressi intellettuali compiuti da Hegel anche in questi anni, giustamente definiti dalla critica ‘oscuri’, proprio per la mancanza quasi totale di fonti primarie. Nondimeno tali anni sem­brano esser stati per lui di grande importanza.(106) Emerge così un quadro molto interessante, costituito dalla nascita della concezione monista e naturalista di Hegel, che resterà poi alla base del proprio pensiero negli anni futuri. 

Grazie alle ricerche condotte in Einfluß è possibile in ogni caso pervenire almeno alla conclusione che Hegel negli anni 1789-1792 ha sicuramente letto l’Emilio di Rousseau, subendone un influsso determinante. Tale lettura deve averlo messo, infatti, in condizione di effettuare il passaggio dalla comprensione dell’illuminamento dell’essere umano dotto a quella dell’illuminamento dell’uomo comune. Il modello pedagogico-morale rousseauiano dell’essere umano na­turale diventa infatti da questo momento in poi anche il modello pedagogico-morale hegeliano.

Illuminare l’uomo comune significa, infatti, per Hegel, a partire da questo fase del proprio sviluppo spirituale, educarlo così da farlo comportare in modo naturale, ossia secondo quell’armonia tra il dentro ed il fuori, tra il tutto e le parti, che contraddistingue a livello metafisico lo sviluppo d’ogni organismo naturale ed a livello storico-culturale la civiltà antica ed in particolare greca ri­spetto a quella moderna.

Con l’applicazione della categoria della naturalità alla problematica dell’illuminamento dell’uomo comune si chiude dunque il circolo dialettico di questo secondo fase e si apre contemporaneamente quello del terzo. Si pone, infatti, a Hegel a questo punto la questione di come possa essere promosso nell’uomo comune un tale comportamento naturale.

La risposta a tale domanda segna contemporaneamente il ritorno dialettico al primo fase, ossia al momento dell’affermazione, che si era appunto con­clusa con la formulazione della questione dell’illuminamento dell’uomo co­mune.

A partire poi dall’autunno del 1792 ci sono stati per fortuna tramandati i suoi scritti, che – guarda caso – da questo momento in poi s’incentrano su tematiche religiose. Vedremo però che alla base delle riflessioni filosofico-religiose del periodo 1792-1794 ci sarà una filosofia monista e naturalista, frutto della ricezione del pensiero di Rousseau ed elaborata negli ‘anni oscuri’ immediatamente precedenti l’autunno del 1792.

 

BIBLIOGRAFIA DIGITALE

José María Ripalda: Poesie und Politk beim frühen Hegel

Marco de Angelis: Die Rolle des Einflusses von J.-J. Rousseau auf die Herausbildung von Hegels Jugendideal. Ein Versuch, die ’dunkle Jahre’ (1789-1792) seiner Jugendentwicklung zu erhellen (1995)

Marco de Angelis (Recensione zu ’Einfluß’)

 

*

 

1.2.1

 

PRIMO STADIO

(affermazione)

 

La ricezione della categoria della naturalità
come fondamento di un’educazione equilibrata

 

7 gennaio 1787 - 16 agosto 1787

Fonte principale: estratti

 

È molto interessante osservare nella sequenza cronologica degli estratti come questi, fino all’ottobre 1786, possano ancora essere attribuiti principalmente alle riflessioni soggettive psicologico-morali-pedagogiche di Hegel sul concetto di felicità, mentre dal dicembre 1786 in poi, con l’estratto ‘Dell’erudizione degli Egizi’, si passa alle riflessioni più teorico-oggettive sull’Illuminamento attraverso le scienze e le arti(107). Come già spiegato in precedenza, il periodo tra ottobre e dicembre 1786 fu il periodo in cui Hegel passò dalle riflessioni sul concetto di felicità, che avevano avuto il loro punto di partenza nella annotazione del diario del 22 marzo 1786, alle riflessioni sul concetto di illuminismo/illuminamento. Negli estratti che redasse dal 23.12.1786 in poi, Hegel si occupò principalmente di elaborare un concetto preciso di ‘illuminismo’. Egli raggiunge tale obiettivo nell’estratto da Mendelssohn del 31 maggio 1787(108) e soprattutto nell’estratto della descrizione di Nicolai di un viaggio attraverso la Svizzera del 16 agosto 1787 nonché nella sua continuazione del 23 agosto 1787(109). Questi due estratti sono strettamente collegati, in particolare il secondo si presenta come il logico proseguimento e completamento del primo.

 

Estratto da Moses Mendelssohn

Nel primo estratto, Mendelssohn esamina il rapporto tra istruzione, cultura e illuminismo. Secondo lui, tutte e tre sono ‘modificazioni della vita sociale’.(110) L’educazione comprende la cultura e l’illuminismo. La cultura è più il lato pratico, l’illuminismo più il lato teorico dell’educazione. Il lato esteriore e formale della cultura è la ‘cortesia’ (‘gentilezza’). L’educazione di un popolo si misura dall’armonia dello stato sociale con la missione dell’uomo.(111) La missione dell’uomo può essere divisa nella missione dell’uomo come uomo e come cittadino. La cultura e la ‘cortesia’ dipendono dallo stato sociale e dalla professione dell’uomo. l’illuminismo, invece, "è generalmente senza distinzione di classe".(112) Esso riguarda l’uomo come uomo. Ci dovrebbe essere armonia tra illuminamento dell’uomo e illuminamento del cittadino. Lo Stato in cui quest’armonia non viene raggiunta è infelice.(110) L’illuminazione e la cultura possono entrambi degenerare.(114) Ma "se ne vanno a pari passo", si proteggono a vicenda dalla degenerazione (corruzione) e permettono l’educazione ottimale di una nazione, che a sua volta determina il fase di felicità nazionale. Quando il picco più alto della felicità nazionale è stato raggiunto attraverso l’istruzione, una nazione "rischia di cadere perché non può salire più in alto.(115)

In questo estratto sono importanti i seguenti punti:

 

  • in primo luogo, la questione del rapporto tra illuminismo e felicità e la sua trasposizione a livello sociale come rapporto tra l’educazione (cultura + illuminismo) e la missione dell’uomo;

  • in secondo luogo, la conclusione cui Mendelssohn perviene in questo contesto, ossia la dipendenza della felicità di un popolo dalla sua educazione e soprattutto dal rapporto in essa realizzato tra cultura e illuminamento ovvero tra la missione dell’uomo come essere umano e come cittadino. Solo quando questo rapporto è armonioso il popolo è felice. Mendelssohn presenta, quindi, la felicità delle persone in queste pagine come qualcosa di sociale e d’individuale. Giacché l’educazione, la cultura e l’illuminamento sono ‘modificazioni della vita sociale’, il loro effetto, la ‘felicità nazionale’, appartiene anche all’area del sociale.

  • Infine, in questo estratto, tuttavia, non è ancora chiaro quali ‘passi’ l’illuminamento e la cultura dovrebbero continuare per realizzare una forma corretta e completa di educazione, cioè come si possa realizzare la loro armonia. Hegel trovò la risposta a questa domanda nell’estratto da Nicolai del 16.08.1787.
     

Estratto da Christoph Friedrich Nicolai

In questo estratto si affronta esattamente la questione principale del giusto rapporto tra Illuminismo e cultura:
 

"Cultura e Illuminismo sono entrambi potenti motori della prosperità di una nazione: entrambi devono [unirsi], entrambi devono lavorare in proporzione adeguata l’uno all’altro, in proporzione adeguata alla massa di attività e al modo di pensare di una nazione; altrimenti il loro effetto non sarà né sicuro né duraturo".(116)

 

La cultura, secondo Nicolai, "si riferisce" a "tutta la massa dell’attività di una nazione" (arti, mestieri, costumi, ecc.), mentre l’Illuminismo è
 

"…la riflessione su tutti gli oggetti della vita umana nella misura in cui essihanno un’influenza sul benessere di ogni individuo e sul benessere generale".(117)

 

La cultura e l’illuminismo di una nazione dovrebbero essere in armonia tra loro e con gli altri aspetti della vita della nazione per adempiere al loro compito di ‘forze trainanti per la prosperità di una nazione’. Se questo non è il caso, allora stanno degenerando. La cultura degenera in "cortesia" quando è solo qualcosa di esterno; l’illuminismo degenera in presunzione quando la riflessione soggettiva supera la capacità oggettiva di pensare. Secondo Nicolai, lo standard che può servire da modello per il giusto rapporto e il giusto fase di cultura e d’illuminazione di una nazione è il cammino (Gang) della natura:
 

"La natura va passo dopo passo, non ha effetto senza cause, e in essa ogni effetto diventa necessariamente una nuova causa che produce un nuovo effetto; e così essa continua costantemente" e "va per la propria strada [...] e non produce più effetti di quanto non esistano cause".(118)

 

Secondo Nicolai, il cammino della natura non è mai troppo, non produce mai nulla d’irreale e nulla di sbagliato;

 

"l’immaginazione", invece, "salta, crea a volontà, vuole avere effetti prima che le cause ci siano, non vede niente così com’è, ma come vorrebbe che fosse [...]".(119)


Questi pensieri, che Hegel estrae dalla ‘Descrizione’ di Nicolai, sono molto importanti perché hanno avuto un profondo effetto sulla sua mente e gli hanno fornito la categoria principale su cui da questo momento in poi basò il proprio modo di pensare.  Si tratta della categoria della ‘naturalità’, cioè la specificità della natura, il suo ‘cammino’, il modo particolare in cui essa si sviluppa.

Grazie a questa categoria e allo studio dell’illuminismo attraverso le scienze e le arti, Hegel è entrato ora in possesso di un proprio concetto di illuminismo. L’illuminismo, cioè la ragione, non deve essere diretto contro la natura, ma deve seguirla. La natura diventa così per Hegel lo standard sia dell’illuminamento che quindi della ragione.  Per lui da questo momento in poi essere ‘ragionevole’ significherà essere ‘naturale’. La categoria della ‘naturalità’ diventa per lui da questo momento anche lo standard per il corretto rapporto tra l’interno e l’esterno, il contenuto e la forma, uno standard che può impedire a qualcosa di  degenerare.

La naturalità, come misura dell’armonia, acquista un valore metafisico che non solo modellerà gli anni immediatamente successivi dello sviluppo giovanile di Hegel (si pensi alla visione di Hegel a Tubinga della vita armoniosa degli antichi Greci), ma costituirà la categoria principale su cui il pensatore maturo fonderà la logica dialettica con la sua progressione immanente e autodeterminantesi. Nell’ambito della logica la naturalità sarà lo sviluppo della ‘cosa stessa’, la quale ha in sé il proprio principio, la propria armonia, in un’unità perfetta di interno ed esterno. L’autosviluppo dell’idea logica non sarà altro che la forma definitiva e compiuta che assumerà tale criterio della naturalità recepito tramite l’estratto da Nicolai. Com’è risaputa, l’intero sistema filosofico si baserà poi sulla logica, e non potrebbe essere altrimenti, perché il principio della ‘naturalità’ riguarda evidentemente tutto l’essere.

A questo punto si dovrebbe capire una volta per tutte perché lo studio degli scritti giovanili di Hegel, compresi i suoi primissimi scritti di Stoccarda, non vada assolutamente considerato come uno studio di solo valore storico, cioè senza rilevanza per la comprensione del sistema successivo di Hegel, bensì come il presupposto indispensabile per la corretta e oggettiva comprensione di tale sistema, se si vuole restare fedeli alle intenzioni di Hegel e non imporgli una nostra interpretazione soggettiva. Un’interpretazione del sistema di Hegel senza la ricostruzione del suo sviluppo può essere solo incompleta, se non addirittura errata. Solo dalla storia dello sviluppo di Hegel è possibile ricostruire l’origine e quindi il reale significato dei principali concetti della sua visione del mondo, cioè il significato che essi hanno ’in sé’,(120) sulla base quindi del loro autosviluppo, proprio come Hegel ci ha insegnato con la sua dialettica, e non il significato che noi vogliamo attribuire loro ’per noi’, ’dall’esterno’.(121)

In questo contesto, va aggiunto che agli scritti di Stoccarda è stato raramente attribuito un valore teorico. Uno sviluppo originale del pensiero di Hegel, significativo per il sistema successivo, è stato considerato da molti critici solo a partire dal periodo di Tubinga.(122) La ricostruzione dello sviluppo del pensiero di Hegel negli anni di Stoccarda,  fin qui realizzata, ha invece dimostrato che Hegel lasciando il ginnasio e passando all’università portava già con sé sia l’elaborazione della questione principale della propria filosofia, quindi l’illuminamento dell’uomo comune, sia la categoria principale necessaria per la soluzione di tale questione, ossia la categoria della ‘naturalità’. Tutto ciò era già ben chiaro al giovanissimo pensatore sin dal 16 agosto del 1787, quindi nove giorni prima del suo diciassettesimo compleanno e un buon anno prima che entrasse nel collegio protestante di Tubinga per gli studi universitari.

Gli scritti di Stoccarda di Hegel, quindi, non sono affatto solo i primi passi culturali e tentativi di un liceale dotato; al contrario, essi contengono in nuce già l’opera del filosofo successivo. Questi, all’inizio del proprio cammino intellettuale, era impegnato a elaborare la propria questione filosofica fondamentale e a porre le basi della propria visione del mondo futura, cosa che all’epoca non poteva certo neanche lontanamente immaginare.(123) A questo proposito va quindi detto che non ci sono ‘due o addirittura più Hegel’, cioè l’Hegel di Stoccarda, di Tubinga, di Francoforte ecc. e poi l’Hegel definitivo  del sistema berlinese, ma un solo Hegel, il cui sviluppo intellettuale cresce  continuamente (secondo l’Aufhebung) attraverso le varie fasi, non necessariamente scandite da cambi di residenza – ciò sarebbe un elemento esterno, quindi ‘innaturale’ rispetto alla logica naturale della ‘cosa stessa’ - e culmina, infine, nel sistema. Quest’ultimo a individuato anzitutto nel sistema jenese del 1805-06, che contiene tutte le parti che poi ritroveremo nelle altre versioni del sistema, e in forma più completa ed elaborata nell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche del 1817. Purtroppo a partire dal 1819 circa, in seguito ai Decreti di Karlsbad, che imponevano un regime di controllo molto severo sui professori universitari, sulle loro lezioni e le loro opere, le pubblicazioni di Hegel non saranno più al 100% ‘autentiche’, come al contrario quelle precedenti non sottoposte a controllo e a censura, ma parzialmente ‘inautentiche’, poiché dettate dal timore di essere perseguito per le proprie posizioni filosofiche. Il che non significa che le pubblicazioni hegeliane posteriori al 1819 non siano da considerare testi rappresentativi del suo pensiero, ma solo che occorrerà sapientemente distinguere in essi ciò che costituisce l’effettivo, autentico pensiero hegeliano, che ritroviamo fino a tutto il 1817, e ciò che invece il pensatore dovette aggiungere per difendersi dalle accuse di ateismo, rivoltegli, del resto non a torto, dai suoi nemici, con la speranza di fargli perdere quella posizione prestigiosa nell’Università di Berlino ch’egli si era assicurato grazie a una vita dedicata alla ricerca e all’insegnamento. Soltanto attraverso quest’opera di ‘pulizia’ le pubblicazioni hegeliane post-1819 possono essere utilizzabili per comprenderne il pensiero, altrimenti esse sono fuorvianti, come lo sono state per molti dei suoi interpreti, a iniziare da Marx, i quali, non conoscendo i testi autenticamente hegeliani pre-1819 ne hanno dato nel corso dei decenni un’interpretazione del tutto sbagliata. È proprio tale interpretazione sbagliata di Hegel che ha causato il declino di tale filosofia, che invece in quegli anni dominava in Germania, quindi nel paese più avanzato dal punto di vista filosofico e culturale di tutta l’umanità. Il declino della filosofia di Hegel, causato dall’aver preso le opere inautentiche per opere autentiche, ha causato il declino dell’intera cultura tedesca, europea e mondiale, con i risultati che sono oggi davanti agli occhi di tutti. Ecco perché è assolutamente fondamentale recuperare oggi il vero senso della filosofia hegeliana, il che può essere fatto solo ripercorrendo il proprio sviluppo a partire dagli anni di Stoccarda.

Per concludere, parafrasando Kant, da questo punto di vista strettamente dialettico ed evolutivo, l’interpretazione del sistema filosofico della maturità senza la ricostruzione del suo sviluppo sarebbe ‘vuota’, mentre una ricostruzione del pensiero del giovane Hegel senza il collegamento al sistema maturo finirebbe con l’essere ‘cieca’.(124)

 

BIBLIOGRAFIA ONLINE

 

Sulla Filosofia Popolare tedesca dell’epoca:

https://dizionario.internazionale.it/parola/filosofia-popolare
https://www.jstor.org/stable/44024040?seq=1
Allgemeine Deutsche Bibliothek

 

*

 

1.2.2

 

SECONDO STADIO

(negazione prima)
 

L’applicazione della categoria della naturalità alle scienze e alle arti

l’origine della prima visione filosofica della storia di Hegel e

l’idealizzazione della naturalità degli antichi Greci

 

Arco temporale: 16 agosto 1787 - 7 agosto 1788

Fonte principale: saggi scolastici

 

Il secondo stadio di questo fase dello sviluppo del pensiero hegeliano è quindi dominato dalla problematica della questione dell’illuminamento dell’essere umano dotto attraverso le scienze e le arti, nondimeno resterà al fondo di essa, pronta ad emergere al momento opportuno, l’altra questione, ben più complessa ed inerente all’interesse fondamentale di Hegel, dell’illuminamento dell’uomo comune.  L’illuminamento dell’essere umano dotto viene approfondito dal giovane filosofo soprattutto tramite la lettura delle riviste culturali dell’epoca, dalle quali egli trascriveva o riassumeva gli articoli che maggiormente lo interessavano. Di questi estratti ne sono conservati per fortuna molti. Essi ci consentono di rico­struire lo sviluppo del suo pensiero dal gennaio 1787, mese in cui è interrotta la stesura del diario, al settembre 1788, mese in cui Hegel redige l’ultimo estratto pervenutoci tra quelli redatti in questo periodo.(125)

Mentre i progressi intellettuali compiuti nel primo fase sono stati da lui annotati nel diario e sono quindi ricostruibili tramite la lettura di questa fonte, i progressi compiuti in questo secondo fase sono stati, per così dire, ‘sintetizzati’ dal giovane studente in forma scritta tramite degli estratti dalle opere lette.  La ragione di ciò, ossia della diversa forma scritta in cui Hegel registrò di volta in volta i propri progressi intellettuali, non è da rinvenire in motivi casuali o psicologici, come per es. il suo maturare e il conseguente abbandono dell’uso di un diario, bensì nella dialettica immanente dello sviluppo del suo stesso pen­siero.  La forma introspettiva del diario andava bene a Hegel fin quando egli do­veva raccogliere le proprie riflessioni sull’ambiente che lo circondava e formare nonché esprimere il proprio giudizio su tale ambito della propria esperienza di vita quotidiana. Proprio tale procedimento osservativo e contemporaneamente giudicativo condusse Hegel negli anni 1786-1787 a formare il proprio giudizio sulla società del tempo (ovviamente secondo il proprio, limitato orizzonte geo­grafico) e ad individuare nell’ideale dell’illuminamento dell’uomo comune la soluzione di quel che gli sembrava il problema più grande dell’epoca, ossia la sopravvivenza della superstizione popolare nonostante l’avvenuto illumina­mento. Una volta pervenuto a questa conclusione, nonché all’ulteriore considera­zione della necessità di studiare prima le modalità dell’illuminamento dell’essere umano dotto per poi passare alla comprensione delle modalità dell’illuminamento dell’uomo comune, s’inaugura nello sviluppo del pensiero hegeliano una nuova fase. Essa non consiste, come la prima, nell’osservare il mondo del presente e nel giudicarlo, formando così un ideale morale, bensì nello studio del mondo del passato e nella comprensione attraverso di esso delle mo­dalità fondamentali di funzionamento della società umana. Soltanto in questo modo Hegel poteva, infatti, comprendere le caratteristiche fondamentali dell’il-luminamento dell’essere umano dotto tramite le scienze e le arti. Gli anni 1787-1788 sono pertanto contraddistinti da letture approfondite su vari aspetti della società umana, soprattutto del passato.(126)

Dopo aver recepito la categoria della naturalità come metro di misura per un corretto rapporto tra l’interno e l’esterno, il contenuto e la forma, e quindi come criterio idoneo a un corretto illuminamento che portasse alla felicità individuale e sociale, fu in fase di eliminare la sua mancanza di uno "studio approfondito e filosofico della storia", come si era espresso nel diario. Ciò non significa che da quel momento in poi abbia iniziato a studiare la storia in modo sistematico, bensì che iniziò a riflettere sul materiale storico che aveva raccolto finora e che  continuava a raccogliere in quei mesi, giungendo a una prima interpretazione filosofica della storia. Ci riuscì, proprio perché ora aveva finalmente una categoria su cui basare il proprio giudizio filosofico.

Nel formulare un’interpretazione filosofica della storia, Hegel rimane in questi anni ancora al livello delle scienze e delle arti e non ritorna ancora al livello dell’ “illuminamento dell’uomo comune". In particolare, egli esamina la storia della poesia sotto forma di confronto tra l’arte dei poeti antichi e moderni, all’epoca un tema importante per gli intellettuali,(127) ma lo fa con lo scopo di chiarire le proprie questioni filosofiche e non di prender parte al dibattito a lui contemporaneo.

Su tale tema scrive in particolare due saggi “Su alcune caratteristiche differenze dei poeti antichi (dai moderni)” del 7 agosto 1788 (128) e, meno significativo, “Su alcuni vantaggi che ci apporta la lettura degli antichi scrittori classici greci e romani (dicembre 1788) (129). Questo secondo saggio, tuttavia, non appartiene a questa fase, poiché si può chiaramente dimostrare che il culmine di questa fase, cioè il pensiero che ne costituisce l’essenza, è pienamente raggiunto da Hegel attraverso il primo saggio. Questo saggio non può quindi contenere ulteriori progressi nello sviluppo spirituale di Hegel in questa fase. Per quanto riguarda il suo ruolo nello sviluppo di Hegel, ci sono quindi due possibilità: o contiene una mera ripetizione dei pensieri già contenuti nel primo saggio, oppure contiene nuovi pensieri che possono già indicare un nuovo fase o una nuova fase. Affronteremo la questione nel terzo fase di questa seconda fase, in cui ci occuperemo degli scritti che furono redatti da Hegel dal 7.8.1788 fino alla fine del mese di  agosto del 1792. 

Nei quindici mesi che intercorrono tra l’estratto sulla naturalità dal saggio di Nicolai e il primo di questi saggi, Hegel ha ovviamente ripreso ed elaborato la categoria della naturalità; dopo questo necessario ‘periodo di assimilazione’, era finalmente pronto ad applicarla all’interpretazione della storia dell’arte.

L’idea principale del saggio del 7-8-1788 è che i poeti antichi ebbero un successo maggiore e un’influenza più profonda (130) sul popolo con le loro opere rispetto ai moderni:

“Ai nostri tempi il poeta non ha più una sfera di attività così estesa.” (GW 1, p. 46,1)

Hegel individua la ragione di ciò nel fatto che essi crearono la propria arte poetica in modo più spontaneo:

"Una caratteristica squisitamente suggestiva delle opere degli antichi è quella che chiamiamo semplicità, che si sente più di quanto si possa distinguere chiaramente" (GW 1, p. 46,22-23).

La caratteristica principale della loro arte era quindi la semplicità, che, come scrive Hegel, consiste in ciò:

"[…] gli scrittori ci presentano fedelmente l’immagine della cosa." (GW 1, p. 46,24-25)  

Essi erano dunque originali, e secondo Hegel

"dovevano essere originali" (GW 1, p. 47,2),

perché ricevevano le loro idee, sensazioni e concezioni direttamente dalla natura (GW 1, p. 48,14-16) e dall’esperienza(131) e non già preparate ed elaborate da altre persone o culture.(132) I poeti antichi furono fedeli alla "cosa stessa",(133) come già in questo saggio Hegel si esprime in modo molto significativo, poiché esprimevano spontaneamente il contenuto del loro spirito senza rendere (l’immagine della cosa)

"[…] più interessante e affascinante per sottili tratti secondari, per allusioni dotte o per una piccola deviazione dalla verità, come pretendiamo oggi" (134).

In una parola, si può dire che gli antichi erano ‘naturali’, che crearono  inconsapevolmente la propria arte secondo il principio della ‘naturalità’ (135).

Di conseguenza, gli antichi avevano un’ampia sfera di attività e quindi successo e influenza sul popolo,(136) anche se, a differenza dei moderni, essi

"[…] producevano le proprie opere senza riguardo per il pubblico" (GW 1, p. 47,25-26).

A differenza degli antichi

"[...] i concetti e la cultura dei ceti sociali sono troppo diversi perché un poeta del nostro tempo possa ripromettersi di essere generalmente compreso e letto." (GW 1, p. 46,11-13).

È interessante che Hegel ritorni qui al concetto di ‘uomo comune’ per la prima volta dal 1786, anno a partire dal quale risale molto probabilmente la parte di testo relativa. Ciò significa che egli stava per uscire dalla prospettiva dell’illuminamento attraverso le scienze e le arti, il quale si limita alla classe dei dotti e su cui inizialmente aveva concentrato le proprie indagini e riflessioni, per tornare alla prospettiva del proprio interesse morale originario, cioè alla prospettiva dell’illuminamento dell’uomo comune.

Ci sono altri due aspetti che sono degni di nota in questo saggio: la sua analisi della lingua, in particolare il suo interesse per il greco antico e il latino, e l’influenza di Lessing.

Si è già notato come l’interesse del giovane Hegel per le lingue antiche, oltre al suo principale interesse morale, occupi un posto importante in questo periodo.  Osservazioni e riflessioni sulle lingue greche e latine antiche, così come sul concetto stesso di ‘linguaggio’, si trovano in tutto il diario, come è già stato ampiamente mostrato in questo studio. Lo stesso vale per gli estratti su tal argomento. Iin questa fase del suo sviluppo, la riflessione di Hegel sul linguaggio assume però un significato particolare perché egli applica la categoria della naturalità al concetto di ‘linguaggio’. Le sue riflessioni sul linguaggio gli suggeriscono l’idea che sia vantaggioso potersi esprimere in un linguaggio che ci si è formati da soli e non che si sia ricevuto dall’esterno. Poiché questo non è più possibile oggi, perché gli esseri umani sono costretti a imparare la lingua e i suoi contenuti già formati nel corso della propria educazione, sarebbe almeno molto importante riappropriarsi del significato originario e genuino delle parole, come è possibile leggere nell’estratto da Kistenmaker del 18 marzo 1788 (137).

Poiché questo estratto di Hegel è stato copiato esattamente nel periodo compreso tra l’estratto da Nicolai (16.08.1787) e il saggio “Su alcune caratteristiche differenze…”  (07.08.1788), non si può escludere la sua influenza su di lui. Lo si può vedere nel fatto che questa lettura ha contribuito alle riflessioni di Hegel sul linguaggio, che fino ad allora aveva avuto un ruolo secondario nel suo pensiero. Tale tematica, collegandosi con la direzione principale delle sue riflessioni, gli fornì un supporto importante per l’emergere della sua interpretazione filosofica della storia anche dal punto di vista della filosofia del linguaggio.

Per quanto riguarda l’influenza di Lessing sul giovane Hegel, è molto importante che in questo saggio faccia la sua prima apparizione la frase del Nathan di Lessing, spesso citata da Hegel in seguito e che certamente esprimeva uno dei suoi pensiero principali

"...ma poteva ancora dire di tutto ciò che sapeva: Come? Dove? Perché? l’avesse imparato..." (138).

Il contenuto concettuale di questa frase si lega al concetto di naturalità (semplicità, originalità). Ha un valore generale, cioè non è vincolato incondizionatamente all’interpretazione dell’arte o del linguaggio, ma riguarda la formazione della mente umana in generale.  Il modello di qualsiasi educazione è un’educazione naturale (originale, autentica ecc.). Un’educazione che si basi su concetti che non si sono autoformati e di cui non si comprende il contenuto, è da considerarsi ‘morta’, ‘vuota’, ‘fredda’, ‘letterale’.  

Dietro questa concezione si deve anche vedere una critica dell’educazione di quel tempo, e in questo senso questa frase di Hegel è usata negli anni di Tubinga contro l’insegnamento nel collegio.  Si tratta quindi di un concetto centrale nel pensiero di Hegel, ed è molto importante a questo proposito poter stabilire l’influenza di Lessing sull’emergere della prima interpretazione filosofica della storia di Hegel nel periodo tra l’agosto 1787 e l’agosto 1788.

Guardando indietro, si può dire che Hegel in questo secondo fase ha certamente approfondito la propria comprensione del termine ‘illuminismo-illuminamento’ (entro il 7 agosto 1788). Aveva già assunto la categoria della naturalità e, confrontando l’arte degli antichi con quella dei moderni dal punto di vista proprio di questa categoria, potè pervenire a una sua prima un’interpretazione filosofica della storia.

Secondo questa interpretazione, la formazione dello spirito degli antichi sembra aver soddisfatto il criterio della naturalità, cosa che non avviene più nei tempi moderni. Di conseguenza, Hegel sembra essersi appropriato di un’immagine della storia come decadenza, e da questo momento in poi assumerà come proprio modello etico e pedagogico l’immagine di una vita umana naturale, come egli riteneva fosse quella degli antichi, in particolare dei Greci (139).

 

*

1.2.3

 

TERZO STADIO

(negazione seconda)
 

Gli ‘anni oscuri’ e l’applicazione della categoria

della naturalità all’”illuminamento dell’uomo comune”

 

(7 agosto 1788 - 10 gennaio 1792)

 

Il concetto principale del nuovo stadio

Il terzo stadio di questa seconda fase dello sviluppo del pensiero del giovane Hegel è contraddistinto dall’applicazione della categoria della naturalità al campo specifico dell’illuminamento dell’uomo comune. Hegel, infatti, aveva dovuto procedere per una via secondaria, quella dell’applicazione della categoria della naturalità al campo delle scienze e delle arti,  perché si sentiva ancora troppo giovane e soprattutto poco esperto nel  settore dei rapporti umani per poter procedere direttamente all’individuazione delle modalità dell’illuminamento dell’uomo comune.  Dopo aver compiuto però tale operazione di applicazione della categoria della naturalità al campo delle scienze e delle arti tramite la riflessione storica sulla differenza tra la poesia degli antichi e dei moderni, il giovane studioso si sente ora, alla fine del percorso di studi ginnasiali e liceali e all’inizio della sua carriera universitaria, quindi tra il 1788 e il 1789, se non esperto del settore dei rapporti umani, almeno però in grado di considerare da un punto di vista filosofico la storia.  Questo era uno dei principi fondamentali  concetti sin dall’inizio delle sue riflessioni, quando, intorno al 1785, aveva individuato  come presupposto quasi gnoseologico  per poter poi condurre un discorso di tipo morale etico e pedagogico, proprio tale modo di considerare la storia. L’applicazione della categoria della naturalità al campo della poesia lo ha messo ora nelle condizione di capire la superiorità  almeno in alcuni aspetti fondamentali della vita della civiltà antica greca  rispetto alla civiltà cristiana e monoteista a lui contemporanea. Mentre, infatti, i poeti antichi elaboravano le proprie creazioni a diretto contatto con la natura quindi in modo spontaneo e naturale,  i poeti moderni invece riflettono in astratto sulle regole estetiche e letterarie,  creano quindi a partire da altre creazioni e non a partire dalla natura stessa. Per tale ragione essi hanno perso il contatto diretto con l’essere, potremmo dire da un punto di vista metafisico.  Compare qui per la prima volta il tema della scissione dell’uomo moderno che poi acquisterà un valore sempre più importante nel corso delle ulteriori riflessioni di Hegel, la cui filosofia almeno danni anni di Jena in poi, quindi circa dieci anni dopo rispetto al periodo che stiamo affrontando ora, prenderà su di sé proprio il compito d’individuare una possibile via di riconciliazione dell’uomo con la natura e la vita. 

 

Situazione filologica dei testi: gli ‘anni oscuri’

Nel periodo del passaggio tra il Gymnasium Illustre di Stoccarda e lo Stift evangelico di Tubingen, appunto il periodo che stiamo approfondendo ora,  Hegel compie questo passaggio dall’applicazione della categoria della naturalità dal campo delle scienze delle arti al campo dell’etica, della morale e della pedagogia.  Il grande filosofo cui il nostro in tale processo chiaramente si riferisce e dal quale sicuramente riceve l’influenza principale è Jean-Jacques Rousseau. Purtroppo abbiamo pochissimi elementi diretti per ricostruire questa influenza perché proprio gli scritti di questi anni quindi tra il 1789 e 1792 sono andati totalmente perduti oppure, come suggeriscono due studiosi tedeschi, volontariamente distrutti.  Sembra, infatti, che la vedova di Hegel e suo figlio Karl abbiano compiuto una cernita all’interno dei manoscritti lasciati dal filosofo a causa della sua morte improvvisa, distruggendo quegli scritti che rischiavano di fornire un’immagine atea, antireligiosa e politicamente rivoluzionaria del filosofo.  Insomma fu fatto di tutto anche dopo la sua morte per conservare di Hegel un’immagine fedele  dalla monarchia prussiana e alla chiesa protestante.  Questo è l’Hegel che ci hanno voluto tramandare, ma non è l’unico Hegel e, come stiamo cercando  di mostrare in questo percorso di studio genetico e dialettico della sua filosofia, neanche il vero Hegel. L’Hegel che abbiamo ricevuto è un compromesso tra l’Hegel vero,  autentico, quello che può solo risultare da un’indagine genetico-dialettica, e l’Hegel  che era tollerabile per così dire digeribile, per la società del tempo.  Se non si capisce questo,  non si sarà mai in fase di pervenire a una comprensione oggettiva del suo pensiero, che gli renda merita e ristabilisca il vero pensiero hegeliano dopo 200 anni di bugie, errori e falsità. 

Questi tre anni, quasi quattro anni di sviluppo del pensiero di Hegel  sono stati indicati dalla critica come gli ‘anni oscuri’ (Ripalda, de Angelis).  Eppure, a ben riflettere,  devono essere stati gli anni più ricchi di travaglio intellettuale considerato che il giovane entrando nello Stift di Tubinga  venne a contatto con  con alcuni degli spiriti più elevati del tempo,  come per esempio Schelling  e Hölderlin. Inoltre, proprio nel 1789 era scoppiata la rivoluzione francese. Diversi studenti francesi delle cittadine confinanti con lo Stato del Württemberg, in particolare Colmar e Montbéliard,  studiavano presso la stessa istituzione universitaria frequentata da Hegel, per cui egli aveva un diretto contatto con tali avvenimenti.  Si tramanda inoltre che Hegel fu proprio amico di questi studenti francesi che risultano essere tra i suoi migliori amici dell’epoca. Sicuramente essi facevano parte di quel gruppo di studenti, insieme anche a Schelling e Hölderlin, che erano accesi sostenitori della rivoluzione. 

Per questa serie di ragioni  sembra veramente impossibile da credere che il giovane studente abituato a una vita tanto rigorosa fatta sia di letture e relativi estratti sia di componimenti propri, nei quali riportava gli sviluppi del proprio pensiero,  proprio in questi anni così ricchi di  fermento politico filosofico e spirituale non abbia scritto nulla.  Questa ipotesi è quindi assolutamente da scartare, nche perché poi dopo dalla fine del 1792 in poi abbiamo di nuovo una serie di componimenti di Hegel sul tema della religione, per cui manca chiaramente un anello tra gli scritti del periodo di Stoccarda relativi allaa prima fase dello sviluppo del suo pensiero e la terza fase che si avvierà verso la fine del 1792.  In essa  il giovane pensatore pian piano  darà vita a quegli studi di carattere religioso che costituiranno poi la dimensione del proprio pensiero fino almeno alla fine del secolo. 

È lecito pertanto porsi la domanda che su cosa possa essere accaduto in questi quattro anni tre anni e mezzo di tanto grave da impedirgli addirittura la redazione di un solo scritto. Non risulta che sia accaduto qualcosa, al contrario risulta che egli ebbe una mole enorme di suggestioni e d’influssi.  Si deve pertanto essere purtroppo dolorosamente d’accordo con gli studiosi tedeschi che parte del lascito hegeliano venne volontariamente distrutto dai suoi familiari dopo la morte del filosofo.  Sicuramente fa parte di questo gruppo  di manoscritti volontariamente distrutti l’intera produzione hegeliana degli anni 1789-1791 nonché della prima metà del 1792:  appunto gli ‘anni oscuri’.

 

Gli "anni oscuri" nella ricerca hegeliana

Nel suo saggio su Leutwein del 1965 Henrich aveva già sottolineato la scarsa conoscenza di questi anni dello sviluppo intellettuale giovanile di Hegel e allo stesso tempo l’enorme importanza di questo periodo per la formazione della sua filosofia:
"La storia giovanile di Hegel non è stata ancora sufficientemente chiarita. Per alcuni anni dei suoi studi a Tubinga non abbiamo documenti di suo pugno. Infatti, il primo manoscritto degli scritti editi da Nohl è stato redatto nell’ultimo anno degli studi teologici (1792/3), mentre la produzione a noi pervenuta del periodo del Ginnasio di Stoccarda, non del tutto scarna, si conclude con un saggio del periodo in cui Hegel si era appena insediato nello Stift teologico. Tra i due, Hegel subisce una profonda trasformazione e inizia il percorso che gli è peculiare. Su tale percorso divenne un filosofo" (S. 39).

Venticinque anni dopo, nel suo saggio “Aufklärung beim jungen Hegel (L’illuminismo nel giovane Hegel) (140), Ripalda ribadisce questo punto di vista, definendo lo studio di questi anni "ancora un desideratum":


"Molto resta da esplorare nel primo Hegel, soprattutto negli anni oscuri del grande cambiamento tra il 1789 e il 1792; un’integrazione delle varie componenti - scienza, poesia, politica, filosofia, teologia - sullo sfondo storico e tra loro è ancora un desideratum." (S. 126)


La caratterizzazione di Ripalda di questo periodo come "anni oscuri" dello sviluppo intellettuale di Hegel sembra quindi riassumere molto bene lo stato attuale delle nostre conoscenze in merito (141).

 

Continuità dello sviluppo intellettuale di Hegel nel periodo tra il 7 agosto 1788 e il 10 gennaio 1792

Confrontando le idee principali del periodo dal 1785 al 1788 con quelle degli anni 1792/93-94, sembra che il periodo dal 1789 al 1792 non sia stato una pausa bensì una transizione nello sviluppo intellettuale di Hegel. L’argomento principale a sostegno di questa tesi è che l’ideale di Hegel di fondare una nuova religione popolare razionale fosse proprio la realizzazione del progetto originario delIl primo periodo, ossia l’ "illuminamento dell’uomo comune". I seguenti passaggi, che si trovano nella prima metà e specialmente nel foglio f Aufklärung - wirken wollen durch den Verstand (Illuminismo - voler incidere tramite l’intelletto...) del testo 16, sono a tal proposito molto significativi:

 

- "Quando si parla di ciò: s’illumini un popolo [...]" (GW1: 95,1).

- "[...] anche principi corretti, che superano l’esame dell’intelletto, sono per il popolo (la gente) comune [...]" (GW1: 95,11)

- "[...] - liberare il popolo dai pregiudizi, illuminarlo, significa dunque - [...]" (GW1: 95,16-17)

- "[...] che una religione, la quale debba essere in generale per il popolo [...]" (GW1: 96,6).

 

In questi passaggi appare evidente che le riflessioni di Hegel non riguardano più il campo dotto dell’illuminamento attraverso le scienze e le arti, ma quello dell’illuminamento del cosiddetto "uomo comune". Infatti, con l’ideale della fondazione di una nuova religione popolare, Hegel mirava a illuminare non i dotti ma il popolo, cioè l’uomo comune. Questo ideale non è quindi altro che la soluzione, provvisoria, della questione di un’illuminamento dell’uomo comune. Essa conclude questa prima fase dello sviluppo dialettico del pensiero del giovane filosofo.

Con la visione che l’illuminamento dell’uomo comune possa essere promossa attraverso l’istituzione di una nuova religione popolare, anche l’assunto del 1786 trova conferma che l’illuminamento dell’uomo comune dipende dalla religione. Ciò è stato poi ritenuto vero da Hegel anche nel sistema maturo, ovviamente in un senso esteso del termine ’religione’, che in sé comprende anche la filosofia (142).

Il confronto tra i contenuti della prima e della terza fase dello sviluppo intellettuale di Hegel porta quindi alla conclusione che nel 1792/93-94 egli fece un importante passo avanti nella soluzione della sua questione originale di realizzare un illuminamento dell’uomo comune. Non ha ancora risolto la questione, ma ha già capito come risolverla, cioè fondando una nuova religione popolare. Così ha posto le basi necessarie per la sua successiva soluzione.

Il riconoscimento della continuità tra il primo e il terzo stadio di questa fase dello sviluppo intellettuale di Hegel porta all’ulteriore questione di come questa transizione sia avvenuta. Il punto principale qui è capire di quali pensieri si occupava Hegel negli anni tra il 1789 e il 1792. Lo sviluppo di Hegel fino all’agosto 1788 si completa con l’estrazione del modello del poeta greco. 

Hegel ha così eliminato la lacuna che gli aveva impedito nel 1786 di intraprendere immediatamente un illuminismo dell’uomo comune, cioè la mancanza di uno "studio approfondito e filosofico della storia". Studiando l’Illuminismo nel campo delle scienze e delle arti, e in particolare confrontando l’arte dei poeti antichi e di quelli più recenti, giunse a un atteggiamento del tutto negativo nei confronti della cultura contemporanea e, d’altra parte, a una valutazione positiva della cultura antica, specialmente quella greca. Questo nasconde anche una visione non esplicita ma implicita della storia del mondo come decadenza. Per il giovane Hegel, la cultura greca antica diventa il modello di una società i cui membri sapevano vivere naturalmente, cioè in armonia con la natura e con se stessi.

Con il raggiungimento di questa intuizione, le indagini di Hegel nel campo delle scienze e delle arti sono completate. Ciò che ci si aspetta da lui, quindi, come passo successivo nel suo sviluppo intellettuale, è l’applicazione di questi risultati al concetto di "uomo comune", con l’obiettivo di realizzare un’illuminazione dello stesso. Una risposta alla domanda se lo sviluppo del pensiero di Hegel negli "anni oscuri" sia davvero consistito principalmente in questa applicazione può venire solo da un esame stratificato dei testi di questo periodo.

 

Il metodo specifico applicato alla comprensione degli ‘anni oscuri’: l’analisi stratificata

Com’è possibile sulla base di questa situazione filologica così difficile nondimeno comprendere quale passo in avanti abbia compiuto questo giovane studioso che, come abbiamo visto finora, quasi ogni mese della propria vita riusciva a compiere un un progresso intellettuale?  Per pervenire a questo scopo,  si è deciso di applicare un metodo definibile come “analisi stratificata”.  Si tratta del metodo che viene usato per esempio della geologia oppure anche dall’archeologia quando si ha nel corso della storia un sovrapporsi di prove testimoniali dell’esistenza di una civiltà o di un’epoca geologica precedenti. Andando a analizzare i vari strati  è possibile scoprire sotto uno strato superficiale degli strati più profondi che dalla visione esterna non sono più verificabili, non sono più esperibili, poiché coperti dallo strato superficiale e quindi per comprenderli e analizzarli occorre, appunto, scavare al di sotto dello strato superficiale, pervenendo agli strati precedenti. 

Possiamo applicare quest’analisi stratificata alla storia della filosofia in particolare della storia del pensiero hegeliano perché, per nostra fortuna, abbiamo  un’abbondanza di testi sia precedenti il 1789 sia seguenti il 1792.  Possiamo pertanto ricostruire in modo preciso sia il pensiero precedente sia quello seguente gli anni oscuri. In che modo possiamo dedurre da questa conoscenza precisa che precede e da quella che segue gli anni oscuri il contenuto di tali anni? Esso consisterà in quel contenuto di pensiero che è implicito negli scritti successivi al 1792, ma non è contenuto in modo esplicito negli scritti che arrivano fino al 1789. Si tratta quindi  di fare quasi un’operazione matematica, cioè sottrarre dal contenuto di pensiero che abbiamo negli scritti immediatamente successivi al 1792 sia quel che in tali scritti non viene tematizzato apertamente, eppure è presente in essi senza che sia stato dal filosofo tematizzato nei testi precedenti il 1789. Il risultato di quest’operazione di sottrazione sarà evidentemente quel che il giovane studente ha elaborato come propria nuova verità nel periodo degli anni oscuri.

Ci sono però anche altri elementi di nostra conoscenza che ci possono aiutare in quest’impresa difficile, ma non impossibile impresa di capire lo sviluppo intellettuale di Hegel negli anni oscuri. Esistono, infatti brevi documenti, per esempio dediche nell’ album dei ricordi di Hegel oppure testimonianze di studenti che furono con lui in quegli anni a Tubinga.  Tutti questi documenti non possono chiaramente rivelarci nei dettagli il contenuto filosofico del pensiero di Hegel in quegli anni, ma possono essere considerati degli indizi atti a confutare o smentire quelli che saranno poi i risultati della vera e propria analisi stratificata.

 

La testimonianza di Leutwein

Il più importante di questi documenti è la testimonianza di Leutwein,  un compagno di studi di Hegel che divenne poi pastore protestante in quella regione, la carriera normale per tutti coloro che frequentavano lo Stift. 

Di Leutwein  abbiamo la seguente testimonianza:

 

“Durante i quattro anni della nostra frequentazione la metafisica in modo particolare non rientrava negli interessi di Hegel. Il suo eroe era Jean Jacques Rousseau, in particolare l’Emilio, il Contratto Sociale, le Confessioni”.

 

Ciò non ci scandalizza e non ci stupisce perché Rousseau era il filosofo della rivoluzione e sappiamo benissimo che anche Hegel, come del resto i suoi amici del cuore Schelling e Hölderlin,  erano tutti seguaci della rivoluzione, l’appoggiavano e s’aspettavano grandi cose da questi moti rivoluzionari francesi.  Hegel ebbe un atteggiamento di apertura verso la rivoluzione fin dal primo momento.  Del resto non poteva essere diversamente perché abbiamo visto che nel periodo di Stoccarda, quindi negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione francese, egli era fortemente imbevuto di cultura illuministica. Addirittura anzi andava al di là e voleva sviluppare ulteriormente l’illuminismo, ampliarlo ed estenderlo dallo stato sociale dei dotti a quello dell’uomo comune. Quindi è nel caso di Hegel abbiamo addirittura il pensiero di una rivoluzione filosofica che pervenga fino alla persona più semplice. Questo era l’atteggiamento filosofico di Hegel nei mesi immediatamente precedenti la rivoluzione.  per questo motivo non ci stupisce la dichiarazione di Leutwein. Ovvio quindi che frequentasse con particolare piacere gli studenti francesi e festeggiasse la rivoluzione insieme ai suoi amici del cuore. 

 

La Ricerca delle Costellazioni (Konstellationsforschung)

Nel suo lavoro storico sulla filosofia dell’idealismo tedesco Henrich usa il metodo della "Ricerca delle Costellazioni". Non si tratta principalmente dello sviluppo dei pensieri di un singolo pensatore, ma delle costellazioni rilevanti dello ’spazio di pensiero’ in cui sono sorti i suoi pensieri filosofici. Nel fare ciò lo studioso tedesco prende in considerazione non solo le opere filosofiche delle personalità studiate, ma anche le loro lettere nonché le discussioni e conversazioni condotte nel loro ambiente. Henrich distingue due tipi di costellazioni, la costellazione tra le formazioni concettuali e sistematiche delle maggiori teorie come anche le costellazioni delle conversazioni filosofiche a partire dalle quali so formano ed emergono i grandi sistemi di pensiero

Uno dei risultati più importanti di questa ricerca è la scoperta del ruolo di Hölderlin nello sviluppo della filosofia post-kantiana.

Nel 2004 Henrich ha pubblicato la sua grande opera storica “Grundlegung aus dem Ich”, in cui ha ricostruito la genesi dell’idealismo tedesco. L’opera è il risultato di decenni di ricerche sulle carte di Tubinga, da lui scoperte, del kantiano Immanuel Carl Diez. 

La questione principale posta da Henrich è come sia successo che un nuovo movimento filosofico abbia potuto formarsi poco dopo l’apparizione delle opere principali di Kant. Nel suo studio lo studioso tedesco esamina il ruolo di un certo numero di figure importanti, ma meno conosciute, che hanno preceduto l’idealismo vero e proprio: Johann Benjamin Erhard, Friedrich Gottlieb Süßkind, Friedrich Immanuel Niethammer e soprattutto Immanuel Carl Diez.

In "Werke im Werden" (2011), Henrich esamina l’emergere delle concezioni filosofiche. Il suo obiettivo è identificare i tratti essenziali nel divenire delle "grandi opere" della filosofia. 
Secondo Henrich, queste devono soddisfare i seguenti criteri:

 

1. Hanno la loro origine in un’improvvisa intuizione filosofica che sorge in modo unico nella vita.

2. L’intuizione filosofica porta a una "concezione filosofica" che è rilevante per l’ulteriore vita dell’autore.

3. La concezione è supportata da un piano di progettazione.

4. L’opera cambia "gli orizzonti del pensiero" del suo tempo e oltre.

 

Secondo lo studioso tedesco le intuizioni filosofiche hanno successo soprattutto "negli anni giovanili della vita". Coloro che li hanno acquisiti una volta, di solito perdono la loro apertura alle nuove scoperte; la stessa chiarezza può "difficilmente essere riconquistata". Per la maggior parte, i filosofi hanno bisogno di una "controparte" per formare i loro pensieri, qualcuno con cui confrontarsi e che possa fungere da stimolo per elaborare in modo dettagliato la propria intuizione filosofica.

 

La costellazione ’francese’ nello Stift di Tubinga: Hegel, gli studenti francesi e il vento fresco della rivoluzione


Quaderni di dediche (Stammbuchblätter)

Ci sono diversi Stammbuchblätter superstiti che contengono chiari riferimenti a Rousseau, a pensieri su di lui o nello spirito della sua filosofia. Sono stati scritti da Hegel stesso ai suoi compagni oppure a Hegel dai suoi compagni di studi, e tra questi in particolare, e molto probabilmente anche non a caso, dai suoi amici francesi. Costoro gli trasmisero il pensiero filosofico della Rivoluzione francese e di Rousseau in particolare.

Le dediche in questione sono le seguenti:

 

Dedica n. 4 (p. 40)

"Il passato non è più; [...] Approfitta, mio caro, di un consiglio, godi, nel seno della pace e della libertà, dei beni della natura semplice, e ricordati del tuo amico Bernard de Montb(éliard), Tubingue nell’anno terzo della libertà francese (1791). Vive Jean-Jacques. [...]"

 

Dedica n. 21 (p. 45)

"L’arte di rompere le catene di cui sentiamo il peso spesso non è così difficile come quella di giocare con esse" (M. Göriz, Stoccarda il 25.02.1791)

 

Dedica n. 24 (p. 46)

"Cosa s’apprezza più dell’oro? La libertà!" (M. Gros, Stoccarda 19.04.1791)

 

Dedica n. 39 (p. 51)

"Oh Libertà!
Tono d’argento per l’orecchio, luce per la mente,
alto volo del pensiero
grande sentimento nel cuore!
Questa esclamazione, su cui tu certamente concordi, volle apporre a ricordo di una lunga amicizia il tuo M. Leutwein" 
(20.09. 1792)

 

Dedica n. 61 (p. 58)

"In Tyrannos! Ulrich Hutten" (D. Staeudlin, s.d.).

 

In queste dediche alcune parole e termini ricorrono particolarmente spesso. Sono le seguenti espressioni: Libertà, Patria, Saggezza (v. in seguito la dedica di Hegel a Weigelin), Natura, Felicità. Sono fondamentalmente le stesse parole e quindi gli stessi valori che stavano dietro le celebrazioni durante la Rivoluzione Francese: 

 

"Queste celebrazioni rappresentavano il magnifico tentativo di sostituire la religione cattolica con una Nuova Religione: la religione della libertà e della ragione, della natura e della patria" (Bertaux, 1969, p.83). 

 

Queste parole ricorrono anche molto frequentemente negli Inni di Tubinga di Hölderlin e nei testi di Tubinga di Hegel. Sono senza dubbio i concetti principali attorno ai quali ruotava la visione del mondo emergente e rivoluzionaria degli Stiftler.

Quando si considera che lo scopo di una dedica era esprimere in poche parole il significato, l’essenza del legame dell’amicizia, in modo che l’amico lo ricordasse un giorno rileggendolo, si può concludere che si deve attribuire grande importanza a queste poche parole, come se non fossero singole parole ma quasi interi libri. 

In effetti, ogni dedica riassume alcuni anni di stretta convivenza. Esse esprimono le esperienze che hanno fatto insieme nonché gli ideali di una società nuova e migliore che hanno elaborato  a stretto confronto con la società del tempo. Si tratta proprio del concetto di ’costellazione’, coniato da Henrich.

Sappiamo dalla successiva corrispondenza tra Schelling, Hegel e Hölderlin, tra gli altri, che per gli studenti progressisti dello Stift si trattava soprattutto di elaborare un’alternativa alla teologia ufficiale e prevalente dei loro professori. Uno studio sistematico di queste espressioni e del loro contenuto intellettuale può dunque essere molto rivelatore, giacché può mostrarci su quali principi e ideali si basasse la concezione elaborata congiuntamente e quali influenze filosofiche vi stessero dietro.

La prima cosa che colpisce, leggendo queste dediche, è il ruolo importante che hanno le componenti francesi in esse. Alcune dediche sono scritte in francese, altre sono scritte da amici francesi, altre ancora si riferiscono esplicitamente a pensatori francesi o a pensieri scritti da loro. La ragione di ciò è facile da trovare: questi sono gli anni della  Rivoluzione francese, evento di cui gli studenti dello Stift si occupavano quotidianamente e di cui erano entusiasti. Questo entusiasmo trova espressione diretta nelle loro dediche.

I principi e gli ideali che univano gli studenti dello Stift sono riassunti simbolicamente nell’espressione "Liberté raisonné!" usata da André Billing de Colmar. Sono anche espressi in un modo o nell’altro in altre dediche ("vive la liberté, "Morte al Gesindel", "In Tyrannos", ecc. - per Gesindel s’intende un gruppo di persone da disprezzare: evidentemente ci si riferiva ai docenti).

La libertà è l’ideale principale per il quale si voleva combattere. La libertà si basa sulla ragione. Si suppone che sia una libertà razionale, cioè una "liberté raisonné", e in nessun modo una libertà arbitraria. La ragione presuppone, naturalmente, una conoscenza vicina all’uomo, piena di contenuto: l’unica vera conoscenza, cioè saggezza (vedi sotto la dedica di Hegel). Solo su questa base di saggezza, ragione e libertà l’uomo può raggiungere la meta della felicità. Questa felicitá non è altro che una vita vissuta in pace, in armonia con la natura e con se stessi.
Lo studio sistematico delle dediche porta così alla luce un’intera visione del mondo che formava il legame tra gli Stiftler e il fondamento su cui si basava la loro alleanza. 

Il pensatore che c’è dietro è chiaramente Rousseau. "Vive Jean-Jacques!" grida Bernard de Mont[béliard], presentando la pace e la libertà come beni appartenenti alla "natura semplice". Pensieri simili, originati da Rousseau, ricorrono in altre voci: M. Göriz, per esempio, parla di "catene di cui sentiamo il peso", e questa espressione risveglia immediatamente in noi il ricordo del racconto di Leutwein, che recita: 

 

"Il suo eroe era J.J. Rousseau [...]; e altri in cui prevalgono sentimenti simili, e in cui ci si liberava di certe fisse mentali (Verstandesregulierungen), o, come diceva H., catene".


Sia l’atmosfera generale che il vocabolario sembrano essere stati influenzati in generale da Rousseau.

La comunanza di ideali e altri indizi che si possono ricavare dalla lettura delle dediche indicano anche una lotta comune in cui gli studenti sembrano essere impegnati.  Hanno elaborato e vissuto insieme i loro ideali, e insieme vogliono lottare per essi,  come chiarisce l’atteggiamento combattivo di diverse dediche ("In Tyrannos", "Tod dem Gesindel", ecc.).
Questo atteggiamento è alla base anche dell’Inno alla libertà di Hölderlin:

 

"Dal cielo scende l’amore,
Coraggio maschile e alto sentimento fioriscono. 
E tu riporti i giorni degli dei,
Figlio della semplicità! Dolce tristezza!
La fedeltà conta! E i salvatori degli amici cadono,
Maestosamente, come il cedro cade,
E i vendicatori della patria incedono
In trionfo verso il mondo migliore".

 

È evidente che Hegel era d’accordo non solo con i pensieri che formano il contenuto delle dediche, ma anche con l’atteggiamento militante, altrimenti non così tanti suoi buoni amici avrebbero avuto l’idea di lasciargli pensieri così rivoluzionari come ricordo per la vita.
A proposito di questo atteggiamento combattivo si deve precisare quanto segue: quando si parla di "atteggiamento combattivo", bisogna sempre ricordare il giudizio di Hölderlin sui tedeschi dell’epoca, "poveri di azioni e ricchi di pensieri". Ma ciò non deve assolutamente essere considerato come qualcosa di negativo, perché i pensieri sono anche atti, e atti che, una volta pronunciati, sono capaci di provocare le più grandi rivoluzioni. Gli ideali più profondi della rivoluzione francese, come quello di una nuova religione come nuova organizzazione della vita umana, erano già falliti dopo pochi anni di rivoluzione politica, ma continuano a vivere ancora oggi nei pensieri e negli scritti per es. di Hölderlin e Hegel.  In questa forma teorica, attraverso Marx, essi hanno ispirato la rivoluzione socialista. A questo proposito, è condivisibile l’opinione di Bertaux che la Nuova Religione 


"[...] tramandata da Hegel, interpretata da Marx, è oggi, non come una religione poetica, non come una religione filosofica, ma come una religione politica, la religione di una parte considerevole dell’umanità [...]".

 

Non si può inoltre escludere che in futuro questi pensieri ispirino una nuova rivoluzione religiosa e politica. Questo, tra l’altro, era anche il desiderio e lo scopo di Hölderlin, risvegliare nel proprio tempo i germi "che matureranno in uno futuro", Hegel, con il suo ideale della fondazione di una nuova religione, non intendeva diversamente, come vedremo più precisamente in seguito.

Gli studenti che scrissero queste dediche devono essere immaginati come un gruppo di giovani impegnati, rivoluzionari almeno in teoria, che erano d’accordo con gli ideali della rivoluzione francese e s’ispiravano alla filosofia di Rousseau. Questa conclusione trova una conferma decisiva così come anche un ampliamento nelle ricerche di Jacques D’Hondt nel suo libro “Hegel sécret”. 
Da esso si apprende che dietro l’alleanza tra gli studenti non c’era solo il pensiero di Rousseau, ma anche gli ideali della Massoneria. Il pensiero massonico era rappresentato e diffuso dalla rivista Minerva, pubblicata da Archenholz e letta segretamente e regolarmente dagli Stiftler.

Anche in questo caso, si deve riconoscere alla Francia un ruolo di primo piano come fonte di pensiero per gli Stiftler, perché Minerva pubblicò soprattutto testi di pensatori francesi appartenenti al gruppo massonico ’cercle social’ di Bonneville.

Non è compito di questo studio approfondire lo sfondo massonico del pensiero degli Stiftler, e quindi di Hegel di Tubinga. Qui si può solo far notare che dietro il pensiero della massoneria c’è, tra gli altri, sempre anche il  pensiero di Rousseau. Così anche la traccia della massoneria porta in definitiva a Rousseau. Il filosofo ginevrino poté dunque avere un’influenza non solo diretta ma anche indiretta, attraverso la massoneria e le letture massoniche degli studenti dello Stift, sul loro pensiero.

D’Hondt mostra, per esempio, come nel poema Eleusis, dedicato a Hölderlin, ci siano contemporaneamente tracce massoniche e rousseauiane. In senso strettamente cronologico questo poema non appartiene al periodo che stiamo trattando in questo stadio, poiché fu redatto da Hegel nel 1796. Tuttavia è anche molto significativo per la comprensione degli anni di Tubinga, a posteriori, perché Hegel qui si riferisce esplicitamente alla "vecchia alleanza" con l’amico di Tubinga. Così, saltando tre anni di distanza temporale in una volta sola, crea un ponte ideale verso quel tempo, così che si deve concludere che i motivi spirituali di questa poesia sono gli stessi che hanno unito i due compagni nel periodo di Tubinga.

Nella trasmissione del pensiero della Rivoluzione francese, e in particolare del pensiero di Rousseau, gli studenti francesi devono aver avuto un ruolo molto importante. Non è senza motivo che alcune delle dediche più espressive e combattive sia proprio redatte da loro. Si è tramandato che due di questi studenti di Montbéliard furono particolarmente "ripresi" dal duca durante la sua visita, e che gli studenti francesi avevano la ’pessima’ reputazione di diffondere le idee della Rivoluzione tra gli studenti tedeschi del collegio. 

Mettendo tutte queste componenti insieme, e considerando il fatto che lo spirito di base degli studenti dello Stift era rivoluzionario, al quale contribuirono elementi giacobini e massonici, si può pervenire alla ragionevole, quasi ovvia supposizione che gli studenti di Montbéliard furono il legame vivente tra gli eventi teorici e politici in Francia e gli studenti dello Stift. Probabilmente essi hanno tenuto gli studenti al corrente dei progressi della rivoluzione, hanno diffuso materiale di propaganda, incoraggiato la lettura di libri e periodici francesi, ecc. Sarebbe molto strano se non fosse stato così! Sarebbe quindi molto utile condurre ulteriori ricerche specificamente su questi studenti francesi. 
Si potrebbe così trovare la risposta alla domanda di quali influenze dirette, "umane", gli Stiftler, e tra loro specialmente i tre più promettenti, Hölderlin, Schelling e Hegel, portarono alla formazione della loro concezione del mondo e dell’uomo, "povera di fatti", ma "ricca di idee”.

 

Dedica di Hegel all’amico Weigelin

Tra le dediche dello Stammbuch, la dedica di Hegel a Weigelin ha un significato molto speciale rispetto al nostro tema, poiché consiste in una citazione dell’Émile di Rousseau, leggermente modificata dal giovane pensatore. 

Essa è molto importante per due motivi:

 

- In primo luogo, perché è l’unico documento scritto da Hegel stesso che, a nostra conoscenza, si è conservato del periodo 1789-1791 (in effetti, non si può escludere che uno o più documenti, la cui datazione non ha ancora potuto essere determinata e che sono quindi pubblicati di seguito sotto il titolo "Non databili in modo piú preciso" ("Nicht näher Datierbares") in GW 1 e 3, risalgano a questo periodo. Ciò potrebbe valere in particolare per i seguenti documenti:

 

"Sulla corrispondenza di Lessing con sua moglie" (GW 1, pp. 405-407)

"Lettera di Rousseau a M. D’Alembert" (GW 3, pp. 237-238). 

 

Tali due documenti sembrano essere in linea con la problematica intellettuale di Hegel dei primi anni a Tubinga.

 

- In secondo luogo, perché conferma in modo decisivo il resoconto di Leutwein sulla lettura di Rousseau da parte di Hegel nei primi quattro anni a Tubinga. Eppure, nonostante la sua importanza, tale dedica non è stata ancora studiata a fondo nell’ambito della ricerca hegeliana. 

 

La citazione dell’Émile riguarda il rapporto tra l’uomo e la morale, dal punto di vista particolare della pedagogia. Si tratta in particolare dell’inutilità della conoscenza se non porta ad alcun reale miglioramento morale dell’uomo, ma rimane solo qualcosa di esteriore. Applicando la coppia di categorie di Nicolai ’Politur’ (educazione formale) e ’cultura’, si potrebbe dire che secondo Rousseau la conoscenza è utile e preziosa per l’uomo solo come ’cultura’, mentre come ’Politur’ essa è completamente inutile e senza valore, se non addirittura dannosa.

Hegel condivideva certamente l’opinione di Rousseau quando scelse la frase per la dedica al suo amico. La superiorità della religione soggettiva sulla religione oggettiva, che avrà un ruolo centrale nel suo ideale di una nuova religione popolare del 1793, presuppone tale nozione di inutilità della conoscenza, che rimane solo teoria se non assume una forma pratica e vivente.
La dedica di Hegel a J.P. Weigelin è la seguente (l’originale è in francese):


"Delle conoscenze che sono alla nostra portata, le une sono sbagliate, le altre sono inutili, le altre ancora servono soltanto a nutrire l’orgoglio di colui che le ha. Solo il piccolo numero di quelle che contribuiscono realmente al nostro benessere è degno delle ricerche di un uomo saggio; non si tratta di sapere ciò che è, ma soltanto ciò che è utile". 

(J.-J. Rousseau, G.W.F. Hegel)


Questo pensiero è una dedica di Hegel a Weigelin, suo compagno di studi, ed è tratto dall’ ‘Émile’ (p. 428 dell’edizione tedesca). Hegel ha solo omesso le parole "& par consèquent d’un enfant qu’on veut rendre tel" dopo "d’un homme sage", poiché Weigelin non era evidentemente un bambino come invece l’Émile di Rousseau.
La frase è di particolare importanza perché contiene la seguente idea, che appare nel pensiero sia del giovane Hegel che di Rousseau: lo scopo della conoscenza è la saggezza e non la conoscenza in se stessa, considerata come una mera quantità di nozioni acquisite. 
Sebbene la saggezza consista anche nella conoscenza, questa non deve essere fine a se stessa, ma deve servire al nostro benessere. 
La sensazione di benessere dell’uomo è quindi la misura dell’utilità della conoscenza e, dunque, del suo reale valore.

La filosofia è nella propria essenza saggezza e non conoscenza, come i greci hanno stabilito una volta per tutte con la loro scelta della parola ’filosofia’, e dovrebbe soprattutto essere principalmente un modo di vivere e non solo di pensare, di cui Socrate ha fornito il modello imperituro. In questo senso, l’accordo tra Rousseau e il giovane Hegel è estremamente importante e fondante, perché non si riferisce a nessun concetto specifico, ma riguarda l’interpretazione della filosofia e il suo compito in generale, e può quindi servire come base di qualsiasi altro concetto particolare.

Questo accordo è ulteriormente evidenziato non solo dalla dedica a Weigelin, ma da diversi passaggi nei testi hegeliani dell’ultimo anno di studi a Tubinga, specialmente per esempio dal seguente:


"Qualcosa di diverso dall’illuminamento, dal résonnement, è la saggezza - Ma la saggezza non è scienza - la saggezza è un’elevazione dell’anima, che si è innalzata attraverso l’esperienza unita alla riflessione al di sopra della dipendenza dalle opinioni e dalle impressioni della sensualità e deve necessariamente, se deve essere una saggezza pratica, non una semplice saggezza autocompiacentesi o vanagloriosa, essere accompagnata da un calore quieto, un dolce fuoco; [...] Essa non ha comprato la sua convinzione sul mercato generale, dove la conoscenza è data via a chiunque paghi il giusto, [...] ma parla dalla pienezza del cuore". (GW1, testo 16, pag. 97)

 

Sulla base di queste considerazioni capiamo ora perché Henrich abbia scritto che Hegel proprio nei primi anni di studio a Tubinga divenne filosofo: in quegli anni il giovane pensatore recepì e fece proprio da Rousseau il concetto stesso della filosofia come amore della saggezza, dunque iniziò a guardare alla conoscenza da filosofo. Henrich ha quindi ragione, come ampiamente dimostrano i testi appena citati.
In considerazione del fatto che la filosofia rischia di scomparire come saggezza nel pensiero dello Hegel maturo a causa della sua legittima intenzione di presentarla come ’scienza’, queste riflessioni possono contribuire alla riscoperta del significato genuino del sistema maturo di Hegel come ’dottrina della saggezza’ e non solo come ’sistema della scienza’.

In sostanza occorre capire che al fondo della concezione hegeliana della filosofia come ‘sistema della scienza’, vi è una concezione della scienza, ossia del sapere. come saggezza. Per Hegel il suo sistema della scienza deve fondare un mondo dove gli uomini, tutti, nessuno escluso, si ‘sentano bene’. Questo è il senso della ‘libertà per tutti’, che per Hegel è il senso ultimo della storia, cui la filosofia e l’idealismo assoluto come nuova forma di civiltà dopo il monoteismo devono condurre. 

Tal è il significato pienamente umano del sistema filosofico di Hegel, che non possiamo comprendere se non comprendiamo il suo pensiero giovanile, fondamento del suo pensiero maturo. I concetti che usava Hegel nelle opere mature presuppongono un significato che si trova nei testi giovanili. Hegel pensava e viveva cosi quei concetti, li presupponeva, egli dava per scontato tale significato, noi  lo possiamo scoprire solo attraverso lo studio del suo pensiero giovanile, quindi del periodo in cui tali concetti si formarono. 

 

La prima concezione filosofica di Hegel

Da questi studi esplicitamente dedicati a tale problematica è emerso pertanto che gli scritti hegeliani, collocabili cronologicamente tra la fine del 1792 e il 1794, in particolare il testo 16, di sicuro il testo più importante di questo periodo, presuppongono una concezione naturalistica o monistica del mondo e della natura che s’ispira chiaramente alla filosofia di Rousseau.

Hegel in questi scritti  parte dal presupposto che non vi sia un Dio esterno alla natura,  ma che la divinità sia essa stessa della natura. Quindi abbiamo sicuramente una visione monistica e non dualistica.  La natura viene vista come un organismo ordinato,  che ha un proprio ordine indipendente dall’uomo e Dio è il garante di questo ordine, ma un Dio immanente non esterno, non trascendente.  Infine, l’uomo è considerato come buono in sé,  poiché appartiene a tale ordine, in cui ogni ente ha in se stesso la giustificazione del proprio essere e quindi la propria bontà.  La sede di tale bontà dell’uomo è il cuore,  alla quale Hegel oppone l’intelletto che spesso va contro le ragioni del cuore. Queste sono però l’espressione dell’autenticità e della naturalità dell’essere umano, quindi l’intelletto sbaglia ad andare contro le ragioni del cuore. 

Questa è una visione sicuramente diciamo semplificata di quel che però è la struttura filosofica di base dei testi hegeliani immediatamente successivi al 1792.  In tale visione riecheggia sicuramente la concezione filosofica che Rousseau aveva elaborato nella propria opera "Emilio o dell’educazione" (1762).  Sicuramente questa è l’opera che Hegel ha letto sia perché si possono ritrovare una serie di parallelismi letterali, come è stato monstrato nel nostro studio del 1995,  sia perché questo era il genere di letture che prediligeva Hegel all’epoca.  Ricordiamo appunto la lettura del testo sulla solitudine di Zimmermann come anche la lettura del testo Theophron di Campe. Erano testi di carattere pedagogico-educativo che servivano a dare un orientamento al giovane intellettuale. 

La lettura di Rousseau si pone quindi come una fondamentale sintesi  da parte di Hegel di tutto ciò che aveva letto e recepito fino a quel momento.  L’Emilio di Rousseau gli consentì  di elaborare una prima sintesi filosofica del proprio pensiero,  una  prima vera e propria filosofia,  seppur non formulata ancora in un vero e proprio sistema filosofico.  È questa filosofia che costituisce la base  dei frammenti pervenutici dal 1792 in poi, in essi implicitamente sottintesa, ma non esplicitamente tematizzata.  Poiché essa, però, non è neanche contenuta in modo esplicito negli scritti che vanno fino al 1789,  occorre concludere che Hegel elaborò questa prima sua concezione filosofica di stampo rousseauiano nel periodo degli anni oscuri.  Egli sicuramente, come era solito fare, lesse tanto e redasse sia estratti dalle proprie letture sia elaborò degli scritti propri. Sicuramente portò con sé anche questi scritti per tutti i suoi vari traslochi, come fece del resto con gli scritti precedenti e seguenti.  Si sarà trattato anche di una massa enorme di materiale, perché ci saranno stati i suoi appunti di lezione quindi dei corsi universitari. Insomma non si sarà trattato soltanto di poche paginette, come nel caso del diario, ma di tanti estratti, di tante considerazioni sulle lezioni universitarie, di tanti sunti dall’Emilio di Rousseau ed eventualmente anche da altre opere. Tanti scritti sicuramente tutti risalenti a quegli anni oscuri. Poiché tali scritti evidentemente contenevano una visione filosofica improntata a Rousseau e quindi fortemente rivoluzionaria rispetto sia alla monarchia  sia alla teologia protestante,  giacché la posizione di Rousseau era democratica e laica, non potevano essere tramandati senza così promuovere un’immaine della personalità filosofica di Hegel da giovane completamente diversa rispetto a quella che invece intendevano tramandare la famiglia e lo stato prussiano. 

Per questa serie di motivi sembra scientificamente fondato riempire il vuoto degli anni oscuri con l’operazione compiuta da Hegel dell’elaborazione della propria prima filosofia chiaramente di origini rousseauiane,  sulla base della quale poi egli elaborò negli anni immediatamente seguenti le proprie riflessioni di carattere filosofico-religioso.  Se non comprendiamo questa filosofia naturale di tipo monistico,  non possiamo neanche comprendere appieno quelle riflessioni religiose, che non sono altro che l’applicazione alla tematica religiosa di tale filosofia di fondo.

 

*

1.3.0

TERZA FASE

(negazione seconda)
 

Nascita del programma della fondazione di una nuova dottrina

etico-religiosa capace di illuminare l’uomo comune
 

Arco temporale: 10 Gennaio 1792 - semestre invernale 1793/94

Fonti principali: testi di Tubinga e primi testi bernesi

 

Concetto fondamentale della terza fase

Grazie all’insegnamento di Flatt, Hegel comprende che la religione ha una funzione importantissima nella vita di un popolo e che tale funzione non può essere svolta da una filosofia come quella kantiana, destinata ad un pubblico dotto. Egli pertanto segue la posizione di Flatt, il quale riteneva che la filosofia di Kant avesse appunto valore illuminante unicamente per i dotti e che invece alla religione spettasse il compito della promozione della morale del popolo. Hegel però, al contrario di Flatt, non è del tutto convinto che sia proprio la religione cristiana quella idonea a svolgere tale funzione ed elabora pertanto i lineamenti di una nuova dottrina etico-religiosa che possa essere in fase do condurre all’illuminamento dell’uomo comune. 

Situazione filologica delle fonti e loro datazione

Nonostante gli scritti appartenenti a questa terza fase siano in gran parte frammenti e per di più non datati, la datazione di questa fase nel suo complesso si può basare su degli accu­rati studi grafologici condotti in Germania nel corso degli ultimi decenni, i quali hanno stabilito, sulla base dei pochi scritti hegeliani contemporanei datati - per es. le lettere -, almeno nelle linee generali la successione dei frammenti e l’arco di tempo in cui essi sono stati redatti. Ciò rende possibile una ricostruzione ge­netica abbastanza precisa dell’ultimo anno dello studio di Hegel presso lo Stift di Tubinga, quindi dalla fine del 1792 alla fine del 1793, nonché del primo anno del suo soggiorno svizzero, quindi dalla fine del 1793 alla fine del 1794.(143)

Stadi della terza fase 

Il primo stadio, all’incirca dal 10 gennaio 1792 all’inverno 1793, è costituito dalla comprensione da parte di Hegel della necessità di salvare la religione dalla critica illuministico-kantiana. Si tratta a questo proposito della presa di posizione da parte del giovane filosofo nei confronti dell’intenso dibat­tito allora in corso tra coloro che appoggiavano la concezione kantiana dei po­stulati della ragion pratica, quindi della fondazione della religione tramite la mo­rale, e viceversa coloro che restavano ancorati alla posizione teologica tradizio­nale ed ufficiale della fondazione della morale per opera della religione. Questo dibattito era particolarmente vivace proprio nello Stift, in quanto qui insegnava Flatt, uno dei più intelligenti critici di Kant e sostenitori della posizione teolo­gica.(144)

Sulla base dell’insegnamento di Flatt, Hegel comprende infatti che la reli­gione ha una funzione importantissima nella vita di un popolo e che tale fun­zione non può essere svolta da una filosofia come quella kantiana, destinata ad un pubblico dotto. Egli pertanto segue la posizione di Flatt, il quale riteneva che la filosofia di Kant avesse appunto valore illuminante unicamente per i dotti e che invece alla religione spettasse il compito della promozione della morale del popolo. Hegel però, al contrario di Flatt, non è del tutto convinto che sia proprio la religione cristiana quella idonea a svolgere tale funzione (ecco perché nei testi di questo fase egli parla di una ‘religione popolare’ in contrasto evidentemente con la filosofia di Kant come ‘religione dotta’).

Nel secondo stadio di questa fase, dall’inverno 1792/93 all’estate del 1793, il giovane studente conduce riflessioni profonde e accurate sui connotati fondamentali che deve avere la religione popolare idonea ad assolvere tale importantissimo compito.

Sulla base di questa concezione kantiana, Hegel elabora nel terzo e ultimo stadio di questa fase (dall’estate 1793 al semestre invernale 1794), grazie alla lettura dello scritto kantiano sulla religione, il proprio ide­ale della fondazione di una nuova dotrina religiosapopolare e razionale capace di promuovere l’illuminamento dell’uomo comune. 

Anche questo fase si articola in sottogradi. Nel primo grado Hegel recupera all’interno della concezione razionale della religione la dimensione della sensibilità e della naturalità. Nel secondo grado egli conduce un’analisi serratissima, volta a rispondere alla domanda se la religione cristiana sia o non una religione razionale. La sua risposta è negativa: la religione cri­stiana non è nella propria essenza una religione razionale. Il giovane pensatore abbandona quindi definitivamente tale religione e nel terzo e ultimo grado di questo fase elabora esplicitamente l’ideale della fondazione di una nuova religione, la quale sia una religione razionale, ossia il cui fondamento sia dimostrabile e possa pertanto adempiere il compito difficilissimo, ma anche indispensabile, dell’illuminamento dell’uomo comune.

 

*

1.3.1

 

PRIMO STADIO

(affermazione)

 

La comprensione della necessità del salvataggio 
della religione
come ’religione popolare’ 
dalla critica dell’intelletto

 

Periodo: agosto 1792 – primavera 1793
Fonte principale: testo 12

 

La prima chiara presa di posizione di Hegel nei confronti della discussione filosofico-religiosa che si svolgeva allora nello Stift è costituita da un’esplicita critica rivolta a coloro che ritenevano che la religione non avesse alcuna validità teoretica.
Purtroppo a causa della mancanza dei testi degli anni 1789-1791 non è possibile stabilire con precisione cronologica quando sorse questa concezione hegeliana. Possiamo però affermare con un buon margine di certezza che essa non può essersi sviluppata prima del 10 gennaio 1792. Infatti è tramandata una predica, tenuta da Hegel in questo giorno, nella quale egli esprime l’opinione che la funzione della religione nella vita dell’uomo non sia indispensabile e che la fondazione della morale possa essere realizzata ugualmente tramite la voce della coscienza. Si tratta evidentemente di una posizione di tipo rousseauiano, come del resto sembra sia stata improntata al filosofo francese l’impostazione generale del pensiero hegeliano nei primi quattro anni del soggiorno tubinghese (143).
La comprensione da parte di Hegel del ruolo centrale e insostituibile della religione nella vita dell’uomo può essere documentata per la prima volta in modo inequivocabile soltanto col testo 12 “In qual misura è da apprezzarsi la religione...”. Questo testo venne redatto dal giovane filosofo tra la fine dell’agosto 1792 e la primavera del 1793 (144). La sua presa di posizione rispetto alla discussione dello Stift dev’essere dunque collocata al più tardi in questo lasso di tempo.
Nel testo si trova l’inizio del confronto di Hegel con la problematica filosofico-religiosa. Tale confronto sarà poi sviluppato nei testi successivi ed otterrà negli ultimi fogli del testo 16 una prima sistematizzazione completa.
La questione fondamentale è quella del salvataggio della religione in una nazione illuminata, come si evince da queste parole:

“I sacrifici,(145) ed i concetti su cui essi si fondano, non si possono mai introdurre in un popolo che abbia raggiunto un certo fase di illuminamento [...]. Come possono mantenersi, una volta che ci siano, in una nazione illuminata?”

(SG 1, 159).

Ecco l’originale tedesco:
“Opfer und die Begriffe auf die [sie] sich gründen, lassen sich bei einem Volk nimmer einführen, das einen gewissen Grad von Aufklärung erreicht hat -[...]- wie können sie, wenn sie einmal da sind, bei einer aufgeklärten Nation sich halten.” 
(GW 1, 75, 7-11).

Sviluppando questa problematica, il giovane pensatore si domanda ulteriormente come debba essere costituita una religione, la quale voglia superare la critica dell’intelletto ed allo stesso tempo possa contenere quelle componenti sensibili che le consentano di esercitare un influsso sulla mentalità del popolo.
La risposta a tale quesito costituisce il motivo centrale di tutti i frammenti di questi anni fino a quelli del semestre invernale del 1793/94, che furono redatti già a Berna. Alle prime righe del testo 12 viene dunque espressa la questione fondamentale che sarà poi alla base dello sviluppo del pensiero di Hegel nei mesi ed anni a venire.
In questo importante testo si trovano, oltre alla questione fondamentale del salvataggio della religione presso un popolo illuminato, anche diverse altre riflessioni, che rappresentano già un passo ulteriore nello stabilimento dei caratteri fondamentali di una tale religione. Particolarmente importanti sono le riflessioni condotte da Hegel in rapporto alla duplice questione se una tale religione sia da preferire come soggettiva od oggettiva ed ancora come privata o pubblica.
Subito all’inizio del testo Hegel tratta immediatamente della distinzione tra religione soggettiva ed oggettiva:

“In qual misura è da apprezzarsi la religione, come soggettiva o come oggettiva?” (SG 1, 159).

Ecco il testo originale:

“...wiefern ist Religion zu schäzen als subjektive oder als objektive?”  (GW 1, 75, 3).

Tale questione viene trattata da lui espressamente in rapporto a Fichte ed è perciò da collegare alla sua ricezione della Offenbarungsschrift(146). Dato che Hegel esplicitamente pone a se stesso la questione se l’una o l’altra forma di religione sia giusta - ciò negli altri frammenti tramandati sarà già chiaro (147)-  almeno per questo motivo di contenuto, risulta evidente che questo testo fu redatto prima degli altri.
La continuazione del testo presuppone poi oltre alla lettura di Fichte quella dell’opera Jerusalem di Moses Mendelssohn (148). Dalla lettura di questo testo Hegel ha recepito soprattutto la distinzione tra religione privata e religione popolare (’Volksreligion’) (149). Tali concetti ricorrono nel testo molto spesso (150).
Hegel prende posizione per la religione popolare e contro la religione privata. Lo scopo della religione popolare viene espresso da lui nel modo seguente:

“...formare il carattere della nazione nella totalità” (SG 1, 160).

In originale: “[...] den Charakter der Nation im Grossen zu bilden” (GW 1, 76, 4).
Le coppie di concetti soggettivo-oggettivo e pubblico-privato, entrambe in rapporto alla religione, svolgono un ruolo centrale nei testi immediatamente seguenti. Per questo motivo occorre dunque assegnare al testo 12 grande importanza, in quanto noi possiamo ricostruire per il suo tramite come è sorta la problematica che è alla base dei testi seguenti e sfocia poi nei testi del primo periodo bernese nell’ideale della fondazione di una nuova religione.
Questa problematica può essere così sintetizzata:

- lo scopo fondamentale di Hegel è il salvataggio della religione presso un popolo illuminato;

- la questione fondamentale è quale aspetto debba avere tale religione;

- caratteristiche fondamentali di tale religione, che Hegel proprio in questi mesi cerca di definire, sono la soggettività e la popolarità.

Resta da risolvere un’ulteriore questione, ovvero in base a quale ragionamento Hegel voleva salvare la religione, dunque qual fosse il motivo fondamentale del suo interesse per questo aspetto della vita umana.

Dagli altri testi sappiamo che Hegel vedeva nella religione la possibilità della ‘promozione della moralità’ (‘Beförderung der Moralität’), in quanto essa fornisce i ‘moventi’ (‘Triebfedern’) o ‘motivi determinanti’ (‘Beweggründe’) all’agire umano (151). 
Questa concezione non compare esplicitamente nel testo, ma i concetti sui quali essa si fonda sono presenti. (152) Dato che essa è fondata nella filosofia morale di Kant tramite la teoria dei postulati, e questa teoria era stata ripresa da Fichte nella sua Offenbarungsschrift, Hegel potrebbe averla recepita tramite la lettura sia di Kant sia del testo fichtiano (153).
L’influenza dell’insegnamento di Flatt e del saggio di Rapp "Über die moralischen Triebfedern, besonders der christlichen Religion", considerate la loro diretta e quotidiana presenza nello Stift dell’epoca, sono però ben più probabili.
Si può comunque concludere che il motivo fondamentale, per il quale Hegel voleva salvare la religione, ossia la sua funzione nella promozione della moralità del popolo, nel periodo della stesura di questo testo era già stato già concepito da Hegel.
Nel testo 12, dunque, è espressa in modo chiaro la presa di posizione di Hegel nei confronti della discussione filosofico-religiosa dello Stift: egli era dell’opinione che la religione in un popolo fosse da salvare e ciò doveva accadere nella forma di una religione soggettiva e popolare (subjektive Volksreligion).
Il passo successivo, che Hegel doveva compiere, era la soluzione della questione fondamentale dell’aspetto che tale religione debba avere in un popolo illuminato, ossia egli doveva elaborarne le caratteristiche principali. Ciò lo fece nei mesi immediatamente successivi, com’è abbondantemente e chiaramente documentato dal testo 16. 

 

*

1.3.2.0

 

SECONDO STADIO

(negazione prima)

L’elaborazione delle caratteristiche fondamentali
della nuova religione popolare

 

Arco temporale: autunno/inverno 1792/93 - estate 1793
Fonte fondamentale: Testo 16

 

A partire da un periodo compreso all’incirca tra la fine del 1792 e l’inizio del 1793 Hegel comincia a procedere alla determinazione delle caratteristiche fondamentali della forma di religione popolare capace di salvare la religione dalla critica dell’intelletto. Egli viene a capo di tale questione attraverso tre gradi diversi di sviluppo, ognuno dei quali è contraddistinto da un passo che egli  compie nella determinazione del concetto della religione popolare.

Il primo grado, all’incirca autunno/inverno 1792/93, è costituito dall’elaborazione della concezione della religione popolare come ‘religione del cuore’ (o ‘religione soggettiva’). Hegel oppone una tale religione, basantesi unicamente sulla bontà naturale dell’essere umano, in cui egli, seguendo fedelmente Rous­seau, ancora crede, alla teologia (o ‘religione oggettiva’), fredda espressione dell’intelletto ed incapace di esercitare un influsso positivo sulla condotta morale umana.

Il secondo grado, dall’inverno 1792/93 al 1 maggio 1793, è contraddistinto da una crisi di pensiero in cui il giovane viene a trovarsi in seguito alla lettura e alla ricezione della concezione antropologica espressa da Kant nel primo capitolo della Religionsschrift. In esso Kant aveva infatti chiarito come nella natura umana siano compresenti sia la disposizione al bene che al male e che quindi il compito della religione consista nel condurre l’essere umano a seguire la prima disposizione, annullando di conseguenza la seconda. Hegel mostra negli scritti di questo fase (la seconda e la terza predica tubinghese) di aver recepito tale lezione kantiana, averla fatta propria e con ciò aver superato la concezione del fase precedente della ‘religione del cuore’.

Il terzo grado infine (dal 1 maggio 1793 all’estate del medesimo anno) con­siste nell’assimilazione  della concezione filosofico-religiosa contenuta nel secondo e soprattutto nel terzo capitolo dello scritto kantiano ci­tato. Hegel rivela, infatti, nei frammenti appartenenti a questo grado e in particolar modo nel foglio ‘h’ del testo 16 d’aver assimilato completamente la dottrina kantiana della religione vera come religione razionale e di condividerla.(154)

Così il giovane pensatore mostra d’aver definitivamente abbandonato la propria conce­zione originaria del cuore come fondamento della religione e d’aver compreso la lezione kantiana, ossia che soltanto la ragione possa costituire il fondamento adatto a fondare una religione vera, quindi assoluta e universale. Egli è passato dunque dalla concezione della religione come ’cosa del cuore’ alla religione come ’cosa della ragione’.

 

Situazione filologica delle fonti  loro datazione

I fogli da ‘a’ a ‘g’ del manoscritto corrispondente al testo 16 contengono la concezione originaria di Hegel della religione popolare. Sulla base delle note molto esaurienti e informative dei curatori del primo volume dei Gesammelte Werke è possibile condurre un’analisi precisa di tale testo. Da queste note si viene a conoscenza che il cosiddetto ‘frammento di Tubinga’, dunque il testo 16 di GW 1 (e in italiano di SG 1), non è un testo unico bensì una raccolta di diversi testi redatti da Hegel in vari momenti e poi da lui stesso messi insieme a formare uno scritto tematicamente omogeneo.(155)

Soprattutto la cesura al luogo 99,28-29 di GW 1 è importante, giacché essa rappresenta lo spartiacque tra due gruppi di testi che si differenziano l’un dall’altro tramite una concezione del tutto diversa della ‘Volksreligion’.(155a)

I testi collocati prima di questa cesura contengono, infatti, una concezione della religione popolare come ‘cosa del cuore’, mentre quelli collocati dopo di essa presentano la concezione della ‘Volkreligion’ come ‘Vernunftreligion’, dunque come religione razionale, come ‘cosa della ragione’.

Una compresnioen talmente dettagliata del testo 16 è stata dunque resa possibile soltanto dal lavoro filologico estremamente accurato svolto dai curatori del primo volume dei Gesammente Werke. 

 

*

1.3.2.1

 

PRIMO GRADO

(affermazione)

 

La religione popolare come ‘cosa del cuore’
 

Arco temporale: autunno/inverno 1792/93
Fonte principale: testo 16 (fogli a, b, c, d, f, g)

 

In questo paragrafo ci si soffermerà sulla prima concezione, mentre la se­conda verrà discussa più tardi, poiché essa presuppone la lettura della ‘Religionsschrift’ di Kant, dunque, secondo l’intelligente periodizzazione proposta dal Flügge, appartiene già al secondo periodo dello sviluppo della discussione sulla problematica teologico-morale stimolata dalla pubblicazione delle opere kantiane di filosofia pratica. 

Un’analisi approfondita dei diversi fogli da ‘a’ fino a ‘g’ del testo 16 ri­vela la presenza di singoli passi concettuali compiuti da Hegel, tramite i quali egli ha sviluppato la concezione della religione popolare come ‘cosa del cuore’. Tali passi si lasciano distinguere precisamente l’uno dall’altro. Ricostruiamoli ora uno dopo l’altro: 

 

Foglio ‘a’  
(GW 1: da 83,1 a 85,13) (156)

 

Qui si trova un’introduzione all’intera problematica. Hegel comincia con la giu­stificazione del tema, spiegando quale sia l’importanza della religione nella vita degli uomini. Così recita infatti l’inizio di tale foglio ed anche del testo 16:

“La religione è una delle questioni più importanti della nostra vita” (SG 1, 169)

“Religion ist eine der wichtigsten Angele­genheiten unsers Lebens [...]” (GW 1, 83, 1)

Se si pensa alla critica cui era sottoposta la religione all’interno dello Stift (per es. alla posizione degli atei/naturalisti come Diez),(157) si può concludere che già queste prime parole rappresentano una chiara presa di posizione contro tale at­teggiamento estremo e, anche se non esplicitamente, a favore del salvataggio della religione auspicato da Flatt. 

Hegel argomenta questa importanza della religione con il fatto che nella “natura dell’uomo” vi è “un bisogno naturale” di essa,(157a) così che la religione e soprattutto “quel che nella dottrina di Dio ha valore pratico” trova nell’”incorrotto senso umano” un terreno molto ricettivo. 

Dopo aver rilevato la centralità della religione nella vita dell’uomo, il gio­vane studente spiega inoltre che da un punto di vista metodologico è importante procedere con molto tatto, se si vuol trattare questo tema con successo, ossia se si vuol influire effettivamente sulla moralità degli uomini. Non bisogna mai di­menticare infatti che

“[...] la sensibilità è l’elemento principale in ogni azione e sforzo umano” (SG 1, 170).

“[...] Sinnlichkeit das HauptElement bei allem Handeln und Streben der Menschen ist” (GW 1, 84, 16-17).

Continuando poi egli si esprime così:

“La natura dell’uomo è, per così dire, soltanto impregnata dalle idee della ragione”

e paragona l’influsso di tali idee sul comportamento morale dell’uomo con quello del sale in una pietanza, ossia col fatto che questo ne modifica il gusto senza però che la sua presenza sia visibilmente riconoscibile. 

Quel che Hegel con ciò intende dire è che la morale, fondata su principi razionali, può esercitare un influsso sull’uomo soltanto se riesce ad incidere sulla sua sensibilità. 

La morale dunque, per avere successo, deve modificare in tal modo la sen­sibilità umana da farla diventare in se stessa ‘morale’. Se ciò avviene, allora l’uomo agisce sì ancora seguendo uno stimolo sensibile, dato che in ogni caso non può fare altrimenti, avendo però la religione ‘moralizzato’ la sensibilità, egli si comporterà indirettamente anche in modo morale. 

Foglio ‘b’ 
(GW 1: da 85,14 a 87,15) (158)

 

A tale pensiero della sensibilità come elemento fondamentale dell’agire umano si collega l’inizio del secondo foglio. Dopo aver sottolineato che la religione non acquista validità come semplice scienza di Dio, bensì soltanto se essa “interessa il cuore”, in quanto mette a disposizione i ‘Beweggründe’ della moralità, Hegel afferma che la religione deve essere “sensibile”

“[...] per poter agire sulla sensibilità” (trad. nostra).

“[...] um auf die Sinnlichkeit wirken zu kön­nen” (GW 1, 86, 2).

Si tratta di un pensiero importante, che nel corso dello sviluppo del pensiero di Hegel non andrà perduto, ma formerà una componente fissa del suo ideale reli­gioso. 

In questi primi due fogli abbiamo una prima sistematizzazione delle rifles­sioni del giovane pensatore sul concetto di ‘Volksreligion’. Tramite essa Hegel cerca di elaborare la concezione di una religione popolare, la quale possa ottenere un effettivo successo presso il popolo. 

A tal fine il giovane Stiftler cerca di stabilire i caratteri fondamentali indi­spensabili per pervenire a questo risultato. Nel foglio ‘b’ questo carattere fon­damentale è la sensibilità e con questa considerazione termina tale foglio.(159) 

 

Foglio ‘c’ 
(GW 1: da 87,16 a 90,25) (160)

 

Questo foglio forma il nucleo centrale del primo gruppo di frammenti. In esso Hegel tratta il seguente: ‘Disamina della differenza tra la religione oggettiva e soggettiva. Importanza di questa disamina per l’intera problematica’ (SG 1, p. 173 ss. - trad. dell’autore).(161) Si tratta di un tema particolarmente importante in rapporto all’elaborazione del concetto di ‘religione popolare’ (anche il tentativo del pen­satore di determinare quale sia il “...punto principale di una religione popo­lare...”, come si legge nel foglio ‘b’,(162) vale come chiaro segno del fatto che He­gel in questi fogli tratti in effetti un’unica questione principale, vale a dire quella della determinazione del concetto di una ‘religione popolare’). 

Hegel espone qui prima il concetto di ‘religione oggettiva’ (GW 1, p. 87,18 fino a 89,15)(163) e poi quello di ‘religione soggettiva’ (p. 89,16 fino a 90,2).(164) 

In questa esposizione egli non resta imparziale, ma prende chiaramente po­sizione per la religione soggettiva, che è qualcosa di vivente, e contro la religione oggettiva, che al contrario è qualcosa di morto. 

Le sue conclusioni si trovano all’ultimo paragrafo di questo foglio, nel quale il giovane pensatore esprime la propria intenzione fondamentale. 

“Il mio intento non è di cercare quali dottrine religiose abbiano il maggior interesse per il cuore, o possano dare nell’anima il maggior conforto e sollievo, né quali debbano essere gli insegnamenti di una religione che debba rendere migliore e più felice un popolo, bensì quali siano le disposizioni per cui la religione - fuse dottrina e forza nel tessuto delle sensa­zioni umane, uniti i loro impulsi ad agire - si mostri in questi viva e efficace, divenga inte­ramente soggettiva. Se essa è tale, allora non manifesta semplicemente la sua esistenza col congiungere le mani, col piegare le ginocchia e con l’inchinare il cuore di fronte alle cose sacre, ma si estende sino a tutte le ramifica­zioni delle tendenze umane (senza che l’anima ne sia propriamente cosciente) e so­prattutto opera, ma solo in modo mediato; essa opera, per così dire, negativamente, nel lieto godimento delle gioie umane o nel com­pimento di fatti eminenti, nell’esercizio delle dolcissime virtù dell’amore per gli uomini”.

(SG 1, p. 175)

“Meine Absicht ist nicht, zu untersuchen, welche religiöse Lehre am meisten Interesse fürs Herz haben, [...], sondern was für An­stalten dazu gehören, daß die Lehren und die Kraft der Religion in das gewebe der menschlichen Empfindungen eingemischt, ihren Triebfedern zu handeln beigesellt, und sich in ihnen lebendig und wirksam erweise - daß sie ganz subjektiv werde - wenn sie das ist - so äussert sie ihr Daseyn nicht blos durch Händefalten, [...], sondern sie ver­breitet sich auf alle Zweige der menschli­chen Neigungen (ohne daß die Seele gerade es sich bewust ist) und wirkt überall - aber nur mittelbar mit - sie wirkt, um mich so auszudrücken, negativ, bei dem frohen Ge­nus menschlicher Freude - [...], wenn sie auch nicht unmittelbar einwirkt, so hat sie doch den feinern Einfluß, daß sie die Seele wenigstens frei und offen dabei fortwirken läst,[...]-”

(GW 1, p. 90, 3-25)

Tale intenzione consiste allora nell’analizzare come la religione possa divenire soggettiva, ossia “...quali siano le disposizioni (‘Anstalten’) per cui la religione - [...] - divenga interamente soggettiva”. 

Con ciò Hegel ha stabilito un ulteriore carattere fondamentale della religione (dopo la sua ‘popolarità’ e ‘sensibilità’): la soggettività.

 

Foglio ‘d’ (165)
(GW 1: da 90,26 a 93,27)

 

Si tratta di un foglio molto importante in quanto in esso Hegel trae delle prime conclusioni dalle riflessioni condotte nei fogli precedenti.(166)

Collegandosi all’esposizione della differenza tra religione soggettiva ed og­gettiva, egli presenta all’inizio di questo foglio il concetto centrale che contrad­distingue la propria concezione della religione popolare: distingue di nuovo tra teologia e religione e completa questa distinzione tramite l’importante conside­razione che la teologia è ‘cosa dell’intelletto’ (‘Sache des Verstandes’), men­tre la religione è ‘cosa del cuore’ (‘Sache des Herzens’):

“Se la teologia è cosa dell’intelletto e della memoria [...] la religione è invece cosa del cuore [...]” (trad. dell’autore).

“Wenn Theologie Sache des Verstands und des Gedächtnisses ist [...] Religion aber Sa­che des Herzens [...]”

(GW 1, 90, 26-28).

Nelle righe immediatamente seguenti Hegel espone in un modo molto preciso tale definizione della religione, adoperando una struttura concettuale che si rifà chiaramente sia alla kantiana ‘Critica della ragion pratica’ che alla di Fichte.(167)

La definizione della religione come ‘cosa del cuore’ contiene ‘Offenbarungsschrift’ dunque in sé tutti quei caratteri fondamentali della religione popolare, che Hegel fino a questo fase del proprio sviluppo ha potuto individuare.

Tale espressione si trova ancora in due luoghi di questo gruppo di fram­menti - nei frammenti successivi non si troverà più -, in particolare ai passi 92,8 del foglio ‘d’ e 96,28 del foglio ‘g’. A partire dal foglio ‘h’, sotto l’influsso chiaro della ‘Religionsschrift’ di Kant, la caratterizzazione della religione come ‘cosa del cuore’ viene poi sostituita dal concetto di ‘Vernunftreligion’ (reli­gione della ragione o razionale).(168)

Il resto del foglio ‘d’ (pp. 91-93 di GW 1) contiene un’apologia del cuore sulla base del Nathan di Lessing. Al cuore viene qui contrapposto l’intelletto, incapace di essere fondamento della morale.

 

Foglio ‘f’ (169) 

(GW 1: da 94,1 a 96,24) (170)

 

Questo foglio contiene la ‘resa dei conti’ da parte di Hegel con l’intelletto e l’illuminismo. Con l’espressione ‘illuminismo’ il giovane studente intende so­prattutto l’atteggiamento che vuole prescrivere agli uomini una morale consi­stente in ‘freddi’ principi,(171) senza tenere in considerazione la sensibilità (si veda l’esempio da lui fornito all’inizio del foglio ‘a’ sull’effetto del sale in una pietanza). La sua critica è rivolta in modo particolare contro Campe.(172)

L’argomento fondamentale della critica di Hegel è che l’intelletto può sol­tanto servire a chiarire le verità della religione oggettiva, ma è del tutto incapace di trasformarle in un comportamento pratico, morale. Esso non può insomma fornire alcun aiuto alla religione soggettiva, come si esprime il nostro in modo calzante:

“L’illuminamento dell’intelletto rende sì più avveduti, ma non migliori” (SG 1, 179).

“Aufklärung des Verstands macht zwar klü­ger, aber nicht besser” (GW 1, 94, 12).

La parte centrale di questo foglio è particolarmente importante, in quanto in essa viene espresso molto chiaramente quale sia la problematica fondamentale con la quale Hegel si confronta in questi testi. Si tratta della problematica dell’illuminamento del popolo:

“Quando si parla di ciò: s’illumini un popolo [...]” (trad. dell’autore)

“Wenn man davon spricht: man kläre ein Volk auf [...]” (GW 1, 95, 1).

In riferimento a questa problematica - che altro non è se non la ripresa della que­stione dell’’illuminamento dell’uomo comune’, centrale nelle riflessioni del periodo di Stoccarda -(173) Hegel perviene alla seguente conclusione:

“Poiché è impossibile che una religione, la quale debba essere in generale per il popolo, possa consistere di verità universali, alle quali in ogni tempo sono pervenuti soltanto uomini eccezionali [...] - è dunque necessario che ad essa debbano esser sempre mescolate delle aggiunte, le quali devono essere accettate soltanto per fedeltà e fede - oppure che le proposizioni più pure, rese più semplici, siano poste in un involucro più sensibile, se devono esser  capite e rese accettabili alla sensibilità, [...] così appare evidente che è impossibile che la religione popolare possa esser edificata sulla semplice ragione - se le sue dottrine devono essere efficaci nella vita e nelle opere”

(trad. dell’autore).

“[...] da es unmöglich ist, daß eine Religion, die allgemein fürs Volk seyn soll, aus allge­meinen Wahrheiten bestehen kan, worauf zu jeder Zeit nur ausgezeichnetere Menschen gekommen sind [...] - und also immer theils Zusäze beigemischt seyn müssen, die blos auf Treu und Glauben angenommen werden müssen - oder daß die reinern Säze vergrö­bert in eine sinnlichere Hülle gestekt werden müssen, wenn sie verstanden werden und der Sinnlichkeit annehmlich seyn sollen, [...] so erhellt daß Volksreligion [...] - wenn ihre Lehren in Leben und That wirksam seyn sollen - unmöglich auf blosse Vernunft ge­baut seyn könne”

(GW 1, 96, 5-16).

Con questa chiara conclusione, la quale formula sia la questione posta (l’illuminamento del popolo) sia anche la relativa soluzione pensata da Hegel al momento della redazione di questo foglio (la religione popolare come ‘cosa del cuore’) si chiude il foglio ‘f’.

 

Foglio ‘g’ 

(GW 1: da 96,25 a 99,28)(174)

 

Questo foglio si apre con la stessa questione che è alla base anche del foglio ‘f’:

“Come la religione in generale è una cosa del cuore, così potrebbe essere una questione, fino a che punto il ragionamento possa mi­schiarvisi, per restare religione” (trad. dell’autore).

“Wie Religion überhaupt eine Sache des Herzens ist, so könnte es eine Frage seyn, wie weit sich Räsonnement einmischen darf, um Religion zu bleiben”.

(GW 1, 96, 28-29)

La parte centrale di questo foglio contiene un confronto tra illuminismo e saggezza.(175) L’illuminismo esce da questo confronto ovviamente come per­dente. Hegel lo critica come già ha fatto nel foglio ‘f’. Al contrario la saggezza vien posta da lui in rapporto diretto con il cuore, ossia con il fondamento della ragione.

“Ma saggezza non è scienza - saggezza  è un’elevazione dell’anima [...] essa ragiona poco [...] non ha comprato le proprie  convinzioni al mercato generale, [...] ma parla dalla pienezza del cuore” (trad. dell’autore).

“Aber Weisheit ist nicht Wissenschaft - Weisheit ist eine Erhebung der Seele [...] sie räsonnirt wenig [...] sie hat ihre Überzeu­gungen nicht auf dem allgemeinen Markt eingekauft, [...] sondern spricht aus der Fülle des Herzens”

(GW 1, 97, 8-19).

Dopo un ulteriore, piuttosto duro attacco a Campe, in particolare al ‘regolo di Campe’ (‘Kampische Lineal’), all’illuminismo, ed ai ‘tempi libreschi’ (‘vollgeschriebenen Zeiten’), alla loro ‘erudizione libresca’ (‘Buchgele­hrsamkeit’“) ed ‘all’uomo della lettera’ (‘BuchstabenMenschen’)

“[...] che non ha vissuto e tessuto da se stesso” (trad mia),

“[...] der hat nicht selbst gelebt und gewebt” (GW 1, 99, 18-19)

come prodotto di tali tempi, Hegel chiude questo foglio con l’immagine bella e piena di speranza della religione capace di aiutare l’uomo a costruire la sua ca­setta

“[...] che solo allora egli può chiamare propria [...]” (SG 1, 185)

“[...] das der Mensch alsdenn sein eigen nennen kan [...]” (GW 1, 99, 27-28)

Non poteva mancare in queste importanti pagine, nelle quali si rivela chiara­mente la soggettiva, anche passionale partecipazione di Hegel alla problematica religiosa trattata, il riferimento al ‘Nathan’ di Lessing ed in particolare al passo sul quale il giovane pensatore svevo già al tempo di Stoccarda aveva fondato la propria comprensione della grecità:

“E di molte cose potrei dirti

come, dove, perché le ho imparate”

(SG 1, da 175,3 a 175,21, p. 185)

(GW 1, 99,25-26)

L’aver creato il proprio sapere, la propria spiritualità dal di dentro, quindi il non averli ricevuti dal di fuori (al mercato), è la caratteristica fondamentale della saggezza, dunque del vero illuminamento, secondo il giovane Hegel (come lo sarà del resto anche per lo Hegel maturo). 

 

*

1.3.2.2

 

SECONDO GRADO

(negazione prima)

 

Dalla religione come ’cosa del cuore’ 
alla religione come ’cosa della ragione’

 

Arco temporale: primavera 1793

Fonte principale: prediche, testo 16, foglio h
 

Come già chiarito in precedenza, i fogli ‘h, i, k, l’ del testo 16, benché da un punto di vista tematico appartengano allo stesso gruppo degli altri, nondimeno contengono una concezione del tutto diversa della religione. L’idea centrale di questa concezione è che il fondamento della religione non debba essere il cuore, bensì la ragione.
La diversità tra questa concezione e quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ è molto marcata e appare con l’inizio del foglio ‘h’, dove si parla subito della religione razionale (‘Vernunftreligion’) come della giusta forma di religione, improvvisamente e senza un chiaro passaggio logico. Per tal motivo si deve parlare di una rottura, di una profonda cesura tra i due blocchi di fogli.(176)
Da questa prospettiva appare chiaro che Hegel ha redatto il secondo gruppo di fogli in un periodo posteriore e che l’inizio del foglio ‘h’ non può essere in alcun caso la continuazione della fine del foglio ‘g’. Se così fosse, infatti, il giovane pensatore avrebbe sicuramente scritto delle frasi di passaggio.
Nasce pertanto la questione se il vuoto, che si è venuto così a creare, possa venir in qualche modo colmato dal materiale scritto pervenutoci. Un’analisi degli altri testi tramandatici e risalenti a questi anni può essere a tal proposito istruttiva.
Alcuni di questi testi non possono fornire indicazioni utili a tal riguardo e devono quindi venir già esclusi, poiché essi o dal punto di vista del contenuto sono stati redatti chiaramente prima del testo 16, come per es. il testo 12, o dopo di esso, come per es. i testi dal 17 al 26, che anche dal punto di vista della cronologia appartengono sicuramente già al periodo di Berna.(177)
I testi dal 13 al 15 contengono una critica della religione cristiana (testo 13), della vita nella Germania del tempo paragonata alla vita degli antichi Greci (testo 15), mentre il testo 14 è infine soltanto un foglio con alcune annotazioni sulle tradizioni del popolo tedesco.
Nel complesso questi testi sembrano dunque rinviare ad un periodo precedente dello sviluppo del pensiero di Hegel. La tematica della religione popolare, come anche l’attrezzatura concettuale ad essa connessa, mancano qui del tutto.
Soltanto il testo 13 contiene alcune osservazioni sulla natura dell’uomo, fatta di sensibilità e ragione,(178) le quali possono ben accordarsi con l’inizio del foglio ‘a’ del testo 16. In un’aggiunta posteriore a margine di questo testo Hegel parla inoltre del popolo comune (‘gemeines Volk’).(179)
Questo testo contiene inoltre una critica della religione cristiana, che a giudizio di Hegel non sarebbe capace di dirigere la capacità di rappresentazione del popolo sulla fantasia.(180) Esso è pertanto sorto chiaramente all’interno del confronto di Hegel con il concetto della sensibilità. In tale testo manca però qualsiasi accenno alla ragione quale fondamento della religione o in generale al superamento della concezione propria dei fogli da ‘a’ a ‘g’.
Anche questo testo non può dunque essere d’aiuto nel riempimento della lacuna tra i fogli ‘g’ e ‘h’ del testo 16. Quel che resta son dunque soltanto le prediche.
La prima predica (testo 8), che tratta della giustizia divina, si fonda su di una concezione secondo la quale ‘la voce della coscienza’ o anche ‘il cuore’ dell’uomo corrispondono direttamente alla volontà divina e possono perciò essere fondamento della morale, una concezione questa che è molto vicina a quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ (essa potrebbe addirittura rinviare ad una fase precedente).
Anche da un punto di vista cronologico questa predica è stata sicuramente redatta prima del testo 12, in quanto essa porta la data 10 gennaio 1792 e pertanto sia per la tematica sia per la cronologia non può in alcun modo costituire il passaggio tra i due gruppi di fogli del testo 16.
La seconda predica (testo 9), la cui datazione è molto problematica,(181) mostra al contrario un contenuto che lascia trasparire una nuova fase nello sviluppo del pensiero di Hegel. Essa tratta dello ‘spirito di riconciliazione’ (‘Versöhnlichkeit’) e contiene l’importante pensiero del “cambiamento e miglioramento del cuore”.(182)
Hegel usa questo concetto in rapporto alla distinzione tra due differenti atteggiamenti nei confronti del comportamento morale, che - seguendo Kant e Fichte - possono essere definiti come ‘moralità’ e ‘legalità’. A dir la verità Hegel non usa esplicitamente queste espressioni, ma senza alcun dubbio presuppone nelle sue riflessioni questa coppia concettuale.
Egli distingue qui, infatti, tra coloro che hanno come impulso (‘Beweggrund’) all’agire morale l’amore per Dio e per gli uomini e coloro che esercitano le virtù per altri motivi. Soltanto i primi possono essere considerati veri cristiani, gli altri invece no, poiché essi non si comportano “nello spirito della dottrina di Gesù”.(183)
Questo pensiero, che il giovane Stiftler considera come presupposto per l’essere veri cristiani, è molto interessante al riguardo della questione relativa al riempimento della lacuna tra i fogli ‘g’ ed ‘h’ del testo 16, in quanto esso non si lascia in alcun modo inquadrare nella concezione presente nei fogli da ‘a’ a ‘g’.
Secondo la concezione di questi fogli, infatti, il cuore dell’uomo è in se stesso puro e ha bisogno dell’aiuto della religione soltanto per mettere in moto un comportamento morale. Questo aiuto non deve però influire direttamente sul cuore, bensì sulla sensibilità, la quale tramite la religione deve essere trasformata - ossia raffinata - in un ulteriore impulso o movente all’agire morale. Il cuore al contrario non ha bisogno di alcuna trasformazione! Risulta infatti molto difficile immaginarsi che il cuore, che secondo la concezione di questi fogli dev’essere il fondamento della religione, abbia bisogno di una “völlige Umänderung und Besserung”, dunque di “totale cambiamento e miglioramento”, come Hegel si esprime nella predica.
L’incompatibilità tra il pensiero del ‘cambiamento e miglioramento del cuore’ e la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ appare ancora più chiaramente in un luogo di questa predica, dove si parla del cuore “migliorato tramite l’amore per Dio”.(184)
Qui non è più infatti il cuore fondamento della religione, bensì al contrario la religione fondamento di un cuore puro, al quale conduce, infatti, l’amore per Dio. Da ciò si può dedurre che senza la religione il cuore non sarebbe puro, ossia che l’uomo che non ami Dio non può essere in grado di comportarsi moralmente.
In questa predica si è posti dunque senza ombra di dubbio dinanzi a una concezione del tutto diversa rispetto a quella della religione come ‘cosa del cuore’.
Si potrebbe a tal proposito obiettare che si tratta di una predica e che Hegel sia stato costretto a dire in essa quel che nello Stift da lui si voleva sentire. Un confronto con le altre prediche mostra però che il giovane pensatore, nonostante non potesse in esse esprimere apertamente il proprio vero e molto critico giudizio sulla religione cristiana, cosa che al contrario faceva nei testi destinati a uso privato, neanche era però così vigliacco da tacere del tutto la propria concezione religiosa.
Nella prima predica per es. il giovane pensatore da una parte si esprime in modo molto positivo sulla “legislazione rivelataci da Dio”, addirittura precisando che questa rivelazione è avvenuta sia tramite il Vecchio Testamento sia tramite Gesù;(185) dall’altra parte però aggiunge immediatamente che:


“Quest’ordine si accorda nel modo più completo con quel che la nostra coscienza ci dice” (trad. dell’autore) 
(GW 1, 58,14-18)


Se si legge tra le righe di questa aggiunta, si può concludere che, se la coscienza contiene la medesima legislazione morale del Vecchio Testamento e della dottrina di Gesù, allora gli uomini in linea di principio non hanno bisogno di alcuna religione che insegni loro il comportamento morale.
Anche l’analisi delle altre prediche mostra che Hegel in esse cercava da una parte di non esprimersi in modo esplicito contro la religione cristiana, dall’altra però non rinunciava a lasciar trasparire in modo implicito qua e là quel ch’egli effettivamente pensava.
Si deve dunque concludere che in queste prediche occorre distinguere due livelli diversi d’esposizione: un livello superficiale, formato da pensieri che fanno apparire Hegel come un teologo cristiano, e un livello nascosto, nel quale lo studente esprime in modo molto astuto la propria autentica concezione filosofico-religiosa.
Da questo punto di vista bisogna, dunque, attribuire certamente importanza ai pensieri contenuti nelle prediche e queste non devono essere considerate come meri scritti occasionali, ma come tracce autentiche dello sviluppo spirituale di Hegel.
In rapporto alla seconda predica e al pensiero del “cambiamento e miglioramento del cuore” dev’essere posta dunque la questione, come sia da spiegare che un apologeta di una religione popolare definita come ‘cosa del cuore’ improvvisamente e senza costrizione esterna sostenga l’opinione del “cambiamento e miglioramento del cuore” come presupposto di un comportamento autenticamente morale.
Per fornire una risposta a questa domanda occorre anzitutto condurre un’analisi approfondita della concezione filosofico-religiosa che è alla base della seconda predica.
Un’attenta lettura della predica porta infatti alla conclusione che in essa viene sostenuta una concezione sostanzialmente negativa del cuore umano, la quale non viene alla luce soltanto nelle frasi citate, ma permea di sé l’intero testo. Si prendano come esempio le seguenti espressioni: tra le fonti, “dalle quali sgorga lo spirito di irreconciliazione (‘Unversöhnlichkeit’)”(186) il giovane pensatore annovera: amor proprio, il desiderio di vendetta, odio e rancore. Allo stesso luogo egli parla inoltre di
“[...] uomini che hanno in cuore amarezza e odio [...] (trad. dell’autore),  “[...] Menschen die Bitterkeit und Haß im Herzen haben [...]” (GW 1, 61,7-8)
chiudendo la predica poi con la formulazione di un pensiero inconciliabile con la concezione della religione come ‘cosa del cuore’:
“Il vero cristiano deve essere severo con se stesso, ma tollerante verso gli altri” (trad. dell’autore; originale: “der wahre Christ soll streng gegen sich selber aber geduldig gegen andere seyn”, GW 1, 64,21-22; SG 1, 124).
Di questa frase non è la prima parte, bensì la seconda a destare meraviglia. In rapporto a essa e al pensiero espressovi si pone spontaneamente la seguente domanda: dov’è il giovane Stiftler che credeva all’innocenza dell’uomo comune, spontaneo e naturale, agente soltanto sulla base di un cuore puro?
In effetti, sembra che nell’ottica di questa predica l’uomo, per comportarsi moralmente, abbia bisogno di molto di più che non del solo aiuto della religione, secondo la concezione espressa nei fogli da ‘a’ a ‘g’ del testo 16.
L’analisi approfondita della seconda predica dev’essere, dunque, conclusa con la constatazione che qui non si ha a che fare con un atto occasionale di nascondimento da parte di Hegel della propria autentica opinione, causato da circostanze esterne, bensì con un radicale cambiamento dei fondamenti filosofico-religiosi del pensiero del giovane studente.
Per tal ragione vale senz’altro la pena di seguire questa traccia e analizzare anche la terza e quarta predica, prima di fornire, sulla base dei risultati raggiunti, una risposta definitiva alla questione della lacuna tra i fogli ‘g’ e ‘h’ del testo 16.
La terza predica (testo 10) (187) tratta della ‘vera fede’ e si ricongiunge dunque al concetto di ‘vero cristiano’ presente nella seconda predica.
La conclusione, cui si è pervenuti tramite l’analisi della predica precedente, ossia che la concezione filosofico-religiosa di Hegel sia qui diversa da quella dei fogli da ‘a’ a ‘g’ del testo 16, viene confermata dalla lettura di questa terza predica.
Già all’inizio si trova l’espressione “[...] il corrotto cuore umano [...]”(188) e verso la fine della predica Hegel definisce “corrotta” anche la natura dell’uomo.(189)
Queste formulazioni confermano l’ipotesi fin qui sostenuta di un radicale cambiamento avvenuto all’epoca nella concezione filosofico-religiosa hegeliana.
A dire il vero si trovano in questa predica anche altre espressioni che ricordano molto la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ come per es. nella frase rivolta a Dio:

“Fa’ che questa scienza diventi in noi fede vivente, che essa diventi ricca di buoni frutti [...]” (trad. dell’autore).  “Gib daß dise Wissenschaft zum lebendigen Glauben in uns werde, daß er reich werde an guten Früchten [...]” (GW 1, 68, 26-27).
Qui viene alla luce il pensiero nascosto della religione soggettiva che non dev’essere morta scienza, ma vivente agire morale.
Anche la frase
“Questa fede non è semplicemente cosa dell’intelletto” (trad. dell’autore)  “Diser Glaube ist nicht blos Sache des Verstandes” (GW 1, 69,13)
ci riporta in un universo concettuale già familiare.
Le espressioni riferentisi al ‘corrotto cuore dell’uomo’ sono però chiare indicazioni del fatto che Hegel in questa predica si muova ormai in un nuovo orizzonte concettuale e abbia quindi raggiunto un nuovo livello nello sviluppo del proprio pensiero.
La sopravvivenza di pensieri appartenenti ad un livello precedente, come per es. in questo caso quello della ‘religione soggettiva’, è da spiegarsi tramite il concetto metodologico del ‘superamento dialettico’ (‘Aufhebung’). I pensieri più importanti della concezione filosofico-religiosa degli stadi precedenti restano presenti nella concezione del nuovo livello, all’interno della quale essi assumono però un significato e un valore diversi.
La quarta predica (testo 11) (190), che tratta del ‘regno di Dio’, mostra, infine, in un modo ancora più evidente che è avvenuta una svolta nella concezione filosofico-religiosa del giovane Hegel: la concezione filosofico-religiosa di fondo di questa predica è, infatti, senza alcun’ombra di dubbio quella elaborata dal maestro di Königsberg nella Religionsschrift.(191)
Lo studioso tedesco Friedhelm Nicolin nel suo saggio "Verschlüsselte Losung. Hegels letzte Tübinger Predigt" ha infatti mostrato proprio tramite un’analisi approfondita della quarta predica che la concezione filosofico-religiosa del giovane Hegel si fonda in essa sulla filosofia della religione di Kant. Egli ha, inoltre, messo in evidenza come il confronto di Hegel e degli altri Stiftler con la Religionsschrift sia avvenuto immediatamente dopo la pubblicazione di quest’opera nel 1793.
Oltracciò occorre aggiungere che gli editori di GW 1, dunque lo stesso Nicolin e Gisela Schüler, hanno documentato in diverse annotazioni che numerosi luoghi dei frammenti hegeliani di questi anni e soprattutto del testo 16 sono da collegarsi direttamente agli scritti kantiani e in particolare proprio alla Religionsschrift.(192)
All’annotazione 99,29 relativa al testo 16 per esempio si legge:(193) 
“I pensieri e i concetti di Hegel sono qui così chiaramente determinati tramite questo scritto di Kant che da ciò si ricava un’indicazione per la datazione del testo 16”.
L’importanza dello scritto filosofico-religioso di Kant per la stesura dei testi giovanili hegeliani e in particolare della seconda parte del testo 16 è dunque talmente chiara ed i riferimenti espliciti a Kant sono così numerosi che tramite di essi si può addirittura pervenire alla datazione di alcuni di questi frammenti, come se si trattasse di un commento allo scritto di Kant da parte del giovane Hegel.
Per quanto riguarda il contenuto è da menzionare il riapparire sia del pensiero del miglioramento del cuore come presupposto del comportamento morale sia dell’altro pensiero relativo alla corruzione del cuore umano, che Hegel qui definisce addirittura come ‘innata’ (‘angeboren’).(194)
Dall’analisi delle prediche 2, 3 e 4 si deve dunque concludere che al momento della stesura di questi testi era in corso una svolta sia nei fondamenti filosofico-religiosi del pensiero di Hegel sia anche e per conseguenza nella sua concezione della religione popolare. Queste prediche, infatti, non sostengono più una concezione della religione come ‘cosa del cuore’.
Nella quarta predica è possibile dimostrare con sicurezza l’influsso della Religionsschrift. In modo indiretto si può anche concludere che essa implicitamente sostiene la concezione della religione popolare come religione razionale, in quanto i pensieri, che formano il suo ‘livello nascosto’ e che derivano da Kant (il regno di Dio come qualcosa di interiore, dunque il concetto della chiesa invisibile e così via), possono essere individuati come “religione razionale”.
Resta pertanto da determinare soltanto quale concezione filosofico-religiosa sia alla base delle prediche 2 e 3 e di conseguenza quale concezione della religione popolare venga in esse sostenuta.

 

*

1.1.3.2.3

 

TERZO GRADO

(megazione seconda)

 

La ‘religione popolare’come ‘religione razionale’

 

Arco temporale: estate 1793

Fonte principale: Foglio ‘h’  (da 99,29 a 103,2)

 

Com’è stato accennato nei paragrafi precedenti, si apre con la quarta predica una nuova fase nello sviluppo di Hegel. Essa consiste principalmente nel fatto che il giovane pensatore sostituisce la concezione della religione come ‘cosa del cuore’ con la concezione della religione come ‘Vernunftreligion’, ossia ‘religione razionale’ o ‘religione della ragione’.
Di seguito analizzeremo il contenuto del ragionamento filosofico-religioso hegeliano, come esso è ricostruibile tramite l’analisi del foglio ‘h’ del testo 16 e della quarta predica; in secondo luogo verrà poi descritta la nuova concezione della religione del popolo come religione razionale, secondo l’esposizione sistematica fornitane da Hegel nei fogli da ‘i’ a ‘l’ del testo 16.

 

Foglio ‘h’

(GW 1: da 99,29 a 103,2)(195)

L’inizio del foglio ‘h’ si riallaccia immediatamente al quarto ed ultimo capitolo dello scritto di Kant. Qui Hegel mette a confronto, con le parole ed i concetti del pensatore di Königsberg, la religione della ragione con la fede dei feticisti e conclude che è 

“[...] così importante per l’umanità condurla sempre più verso la religione razionale e reprimere la fede feticistica” (trad. dell’autore). 
“[...] so wichtig für die Menschheit ist, diese immer mehr zur VernunftReligion hinzuführen, und den FetischGlauben zu verdrängen” (GW 1, 100,4-5).
Hegel pone questo scopo espressamente a se stesso, formulando tale convinzione tramite i pensieri seguenti:
“[...] una chiesa universale e spirituale resta solo un ideale della ragione” (trad. dell’autore); 
“[..] eine allgemeine geistige Kirche nur ein Ideal der Vernunft bleibt” (GW 1, 100, 6); 

“non è possibile che possa essere istituita una religione pubblica, la quale impedisca qualsiasi possibilità di ricavare da essa una fede feticistica” (trad. dell’autore). 
[nicht wohl möglich ist, daß eine öffentliche Religion etablirt werden könnte, die alle Möglichkeit, FetischGlauben daraus zu ziehen benähme" (GW 1, 100, 6-8)]
Entrambe queste delimitazioni derivano chiaramente da Kant, nella cui opera per esempio si legge: 
“L’idea sublime mai completamente raggiungibile di una essenza etica comune [...]”(196]) (trad. dell’autore). 
[“Die erhabene nie völlig erreichbare Idee eines ethischen gemeinen Wesens [...]” (p. 129) ]
Dopo aver chiaramente posto entrambi questi due limiti, Hegel pone la questione 
“[...] come una religione del popolo debba essere istituita in generale” (trad. dell’autore), 
“[...] wie eine Volksreligion im allgemeinen eingerichtet werden müsse” (GW 1, 100, 8-9), 
affinché possano venir raggiunti i seguenti due scopi: 
- in primo luogo, evitare che si diffonda tra il popolo la fede feticistica (“FetischGlauben”) (scopo negativo) (GW 1, 100,9-10); 
- in secondo luogo, condurre il popolo alla “religione razionale” (“VernunftReligion”) (scopo positivo) (GW 1, 100,11-12): 
Questa presa di posizione nei confronti di Kant mostra che Hegel non solo ha letto, compreso ed assimilato la Religionsschrift, ma anche che si è appropriato della concezione filosofico-religiosa di Kant, sviluppandola ulteriormente a partire dal punto in cui il filosofo di Königsberg aveva condotto il proprio lavoro. 
Con ciò risulta chiaro cosa vuol dire Hegel quando scrive a Schelling nelle due lettere posteriori della fine di gennaio e del 16 aprile 1795 che sta lavorando ad una ‘applicazione’ (Anwendung’) della filosofia di Kant e che ne attende il ‘completamento’ (‘Vollendung’).(198)
Ciò è quel che egli fa nel periodo della stesura di questo foglio: applica i risultati a cui era arrivato Kant alla propria concezione della ‘Volksreligion’.(199) Questa applicazione è contemporaneamente un completamento visto che egli inoltre tenta di realizzare quel da cui Kant era indietreggiato nel paragrafo 5 del terzo capitolo, ossia compiere il passo decisivo dalla comprensione teoretica della religione razionale  come dell’unica vera ed assoluta religione alla decisione pratica della sua elaborazione teorica. 
Tramite la concezione della possibile unione della fede storica e della religione della ragione Kant ha cercato una via d’uscita da questa conseguenza necessaria della sua teoria, perché gli sembrava impossibile di poter fondare veramente una religione razionale. Per questo si è incamminato sulla via del compromesso tra religione razionale e fede storica. 
Questa via gli ha però creato solo problemi ed ostacoli come per es. i problemi di cui parla nel quarto capitolo. Se egli fosse stato coerente nei propri pensieri, sarebbe arrivato alla conclusione che era compito del tempo educare il popolo e con ciò portarlo alle verità pure e morali della religione razionale. In tal modo egli sarebbe potuto diventare l’iniziatore della vera religione ed il fondatore della ‘chiesa invisibile’ come anche del ‘regno di dio’ come ‘società etica’ degli esseri umani. Ma Kant non aveva questa propensione: egli era un grande teorico ma non un educatore del popolo! Al contrario la aveva Hegel, il quale già dai tempi di Stoccarda era mosso dalla domanda come ‘l’uomo comune’ potesse venir ‘illuminato’. 
Hegel infatti in questo foglio non si pone alcun problema sulla possibilità del-l’accordo tra la fede storica e la religione razionale: sa che ciò non è possibile. Il giovane filosofo prosegue il programma di Kant in quanto si fa portatore in prima persona del compito di condurre il popolo alla religione razonale. Ciò è provato senza dubbio dalle righe sopra citate del foglio ‘h’ e in particolare dalla loro inclinazione alla prassi.(200) 
Nelle pagine successive Hegel conduce ulteriori riflessioni sul concetto di religione del popolo, le quali però non aggiungono niente di nuovo. Esse sono comunque importanti al fine della comprensione dell’influsso di Kant, in quanto contengono alcuni concetti e relative formulazioni linguistiche che Hegel ha ripreso talvolta anche letteralmente dal filosofo di Königsberg. Ecco una lista parziale di questi concetti: 
- ‘idea della santità come ultima grandezza dell’eticità’ (GW 1, 100,13; in Kant: p. 47 e p. 159);(201)
- ‘inclinazione alla sensibilità’ (GW 1, 100,20) (in Kant: p. 28: “Con inclinazione (propensio) intendo [...]” - si veda anche l’intero secondo paragrafo della prima parte Von dem Hange zum Bösen in der menschlichen Natur); 

- le espressioni ‘legalità’ (100,21), ‘movente’ (100,22), e ‘carattere empirico’ (101,6; 100,9; 101,14) si trovano fra l’altro anche nella ‘Annotazione generale’ alla prima parte (vedi soprattutto p. 46-47).(202) 
A partire dal passo 101,21 Hegel riflette sul concetto di ‘religione popolare’. Egli riprende nuovamente alcuni pensieri precedenti, come per es. il pensiero dell’importanza del cuore e della fantasia nella vita dell’uomo.(203)
Queste riflessioni sono particolarmente interessanti perché qui egli tenta di riprendere nella nuova, nascente concezione della religione popolare come religione razionale le caratteristiche principali che formavano il contenuto della sua precedente concezione della religione come ‘cosa del cuore’. 
A questo proposito chiarisce che l’uomo è 
“[...] una cosa così complessa che tutto si può fare di lui” (trad. dell’autore) 
“ [...] ein so vielseitiges Ding ist, daß sich alles aus ihm machen läßt” (GW 1, 102, 3-4) 
e, dopo aver premesso quanto sia vario il tessuto delle sensazioni dell’uomo,(204) dà una definizione molto bella del “compito della religione popolare”(“Geschäft der Volksreligion”), che deve consistere “ [...] nell’intrecciare questi bei fili della natura conformemente ad essa in un nobile legame”. (trad. dell’autore). 
“ [...] dise schöne Fäden der Natur dieser gemäs in ein edles Band zu flechten” (GW 1, 102, 78) 
Qui si mostra che la lingua e i concetti, con i quali Hegel lavora in questi passi, non derivano più in modo esclusivo e diretto dallo scritto sulla religione di Kant, ma ricordano piuttosto la terminologia dei fogli da ‘a’ a ‘g’. Ciò significa che Hegel a partire da questo passo ha lasciato già dietro di sé il lavoro intenso ed immediato sulla Religionsschrift e, dopo aver applicato il contenuto principale di quest’opera alla sua problematica, ritorna ai propri pensieri - temporaneamente messi da parte -, riprendendoli nella nuova concezione della religione popolare come religione razionale. 
Ciò è anche confermato dal fatto che nelle righe seguenti il giovane filosofo ritorna di nuovo anche sulla distinzione tra religione popolare e religione privata, con la differenza che ora la religione svolge un ruolo ben più importante nella promozione della moralità di quanto non fosse all’interno della concezione della religione come ‘cosa del cuore’. 
Nell’ambito della concezione della religione come ‘cosa del cuore’ Hegel era infatti dell’opinione che l’effetto della religione sulla moralità dovesse risultare ‘mediato’(205) o ‘negativo’, come viene alla luce nel paragrafo già citato(206) ]“Il mio intento [...]” del foglio ‘c’, che contiene una definizione ben precisa della sua prima concezione della religione popolare. 
All’interno della nuova concezione della religione popolare come religione razionale la funzione della religione nella promozione della moralità è diventata fondamentale. Il suo compito adesso non è più inteso da Hegel come mero aiuto alla promozione della pura coscienza morale (90,19-25). Al contrario l’effetto che la religione deve esercitare sugli uomini viene da lui definito come ‘potente’ ed ‘indispensabile’:
“La religione popolare si distingue dalla religione privata soprattutto in quanto il suo scopo, agendo potentemente sulla fantasia e sul cuore, è di infondere nell’anima in generale la forza e l’entusiasmo, - dunque lo spirito che è indispensabile alla virtù grande e sublime” (trad. dell’autore). 
“VolksReligion unterscheidet sich von privatReligion vornehmlich dadurch, daß der Zwek jener ist, indem sie mächtig auf Einbildungskraft und Herz wirkt, der Seele überhaupt die Kraft und den Enthusiasmus - den Geist einzuhauchen, der zur grossen zur erhabenen Tugend unentbehrlich ist” (GW 1, 102, 10-13). 
Un confronto tra questo passo, nel quale Hegel definisce la nuova concezione della religione popolare, con il passo già menzionato “Il mio intento [...]”, contenente la definizione della sua prima concezione della religione popolare, mostra dunque che nel frattempo si è verificato un gran cambiamento nello sviluppo della problematica filosofico-religiosa dello Stiftler. Causa di ciò è stata indubbiamente la ricezione della Religionsschrift. Tramite questo scritto Hegel ha recepito l’ideale della religione razionale come della vera forma di religione come anche l’altro ideale, connesso al primo, della fondazione di una società etica universale come ‘chiesa invisibile’, ‘regno di dio’ tra gli uomini. 
Nella formulazione di questo duplice ideale culmina lo sviluppo delle riflessioni filosofico-religiose del giovane Hegel, il cui punto di partenza è da cercare nel testo 12. In tale ideale viene anche fornita una prima soluzione completa alla questione, espressa nel testo 12, circa il ‘salvataggio’ della religione in una società illuminata.(206)
Si tratta a tal proposito di una soluzione da definire come ‘prima’, ma non come ‘definitiva’ perché Hegel nel periodo di Jena, in particolare per lo meno dal momento della stesura del frammento Fortsetzung des Systems der Sittlichkeit (1802/1805), sarà dell’opinione che solo la filosofia possa assolvere al compito della promozione della moralità in un popolo illuminato. Questa sarà la sua soluzione definitiva della questione relativa al salvataggio della religione. In una nazione illuminata la religione può essere ‘salvata’ e superata (nel senso di ‘aufgehoben’) soltanto come filosofia. Ovviamente si tratta di una filosofia che è anche religione, in quanto essa consiste in un sistema assoluto dal quale gli uomini possono ricevere delle direttive chiare per il comportamento morale. 
Paragonata alla filosofia come soluzione ‘definitiva’ allora la concezione della religione come religione razionale appare come la ‘prima’ soluzione della problematica del salvataggio della religione in una nazione illuminata.(207)

 

*

1.1.3.3

 

TERZO STADIO

(negazione seconda)

 

La nascita del programma della fondazione

di una nuova religione popolare

 

Arco temporale: semestre invernale 1793/94)

Fonti principali:  testo 16, fogli da ‘i’ a ‘l’, testi 17-25

 

Considerazioni introduttive

I testi successivi al testo 16 rivelano il raggiungimento di un nuovo fase nello sviluppo spirituale del giovane pensatore. In essi, infatti, Hegel conduce soprattutto riflessioni sulla religione cristiana, per comprendere i motivi del suo fallimento come religione popolare. I risultati, cui egli perviene, sono contenuti soprattutto nei testi 25 e 26, con i quali si conclude Il primo periodo del suo sviluppo spirituale.

In questo processo di riflessione sulla religione cristiana possono essere chiaramente distinti tre gradi.

  • Un primo fase in cui il giovane pensatore recupera alcuni aspetti relativi alla sensibilità, che ora non vede più come contrapposti alla ragione, ma piuttosto da porre in armonia con essa nell’ambito di una religione della ragione.

  • Un secondo fase in cui Hegel confronta la religione cristiana con la propria attuale concezione della religione popolare come religione della ragione, al fine di chiarire se essa, in quanto fede storica, possegga i caratteri fondamentali propri di un’autentica religione popolare;

  • Infine, un terzo fase nel quale il giovane studente, avendo fornito una risposta negativa a questa domanda, perviene alla conclusione che dev’essere suo proprio compito la fondazione di una nuova religione razionale, la quale possa essere un’autentica religione popolare. Così nasce l’ideale che determinerà poi dall’interno il futuro sviluppo spirituale del giovane filosofo Hegel.

Per quanto riguarda la cronologia, tutti questi testi sono stati già redatti da Hegel a Tschugg-Berna, dunque nel periodo del primo semestre invernale 1793/94.(208) Una cronologia analitica più precisa non è purtroppo possibile, l’unica cosa che si può affermare con correttezza filologica è che i testi 24-26 sono sorti dopo gli altri tramandati come appartenenti al periodo universitario.(209)

 

*

1.1.3.3.1

 

PRIMO GRADO

(affermazione)

 

‘Religione popolare’ come
‘religione sensibile e naturale’

 

Arco temporale: autunno 1793

Fonte principale: testo 16, fogli da ‘i’ a ‘l’

 

Il ritorno dei concetti principali, cui Hegel era pervenuto già al tempo della concezione della religione come cosa del cuore, perviene al suo culmine nei fogli da ‘i’ a ‘l’, con i quali termina il testo 16. Questi fogli contengono in una forma ben ordinata sistematicamente i risultati delle riflessioni condotte da Hegel in questo periodo.

 

Fogli da ‘i’ a ‘l’

(GW 1: da 103,2 fino a 114,26)(210)

In questi fogli continua il tentativo hegeliano di stabilire i caratteri principali della religione popolare. Il giovane pensatore è ora convinto che solo una forma della religione adeguata al tempo possa aver successo nel popolo, condurlo alla religione razionale e così promuoverne la moralità.(211)

Nel paragrafo che inizia con le parole “Come deve essere costituita la religione popolare?” (GW 1, da 103,14) sono descritti sistematicamente i ca­ratteri principali della religione popolare secondo la nuova concezione di He­gel.

La religione popolare deve essere così costituita (nell’elencazione delle caratteristiche principali della religione popolare si seguirà fedelmente il testo hegeliano):

“I. Le sue dottrine devono essere fondate sulla ragione universale” (trad. dell’autore),

“I. Ihre Lehren müssen auf der allgemeinen Vernunft gegründet seyn” (GW 1, 103, 18)

essa deve essere allora ‘razionale’ secondo quanto già stabilito da Kant tra­mite il concetto della ‘Vernunftreligion’;(212)

“II. Fantasia, cuore e sensibilità non devono uscirne a mani vuote” (trad. dell’autore),

“II. Phantasie, Herz und Sinnlichkeit müs­sen dabei nicht leer ausge­hen” (GW 1, 103, 19)

essa deve essere dunque anche ‘sensibile’ e non solo razionale, così da poter essere comunicabile a tutto il popolo e non solo a pochi dotti;(213)

“III. Essa deve essere così costituita che tutti i bisogni della vita - le azioni dello Stato vi si colleghino” (trad. dell’autore),

“III. Sie muß so beschaffen seyn, daß sich alle Bedürfnisse des Lebens - die öffentli­che StaatsHandlungen daran anschliessen”

(GW 1, 103, 20)

dunque deve essere ‘naturale’, non deve essere contraria ai “bisogni natu­rali” (“natürlichen Bedürfnissen") dell’uomo, “agli impulsi di una sensibilità ben ordinata” (“den Trieben einer wohlgeordneten Sinnlichkeit”) (GW 1, 103,20-21)”.

Sintetizzando, la religione deve prendere in considerazione la concreta e reale costituzione dell’uomo, la quale non consiste solo di ragione ma anche di sensibilità. Quando ciò non si verifica,

“non appena sussiste un muro divisorio tra vita e dottrina, allora sorge il sospetto - che la forma della religione contenga un errore - o che essa si serva troppo di parole vuote o che ponga pretese troppo grandi e bigotte agli uomini” (trad. dell’autore),

“sobald eine Scheidewand zwischen Leben und Lehre" besteht, "so entsteht der Ver­dacht - daß die Form der Religion einen Feh­ler habe - entweder daß sie zuviel mit Wort­krämerei umgeht, oder an die Menschen zu grosse frömmelnde Foderungen macht”

(GW 1,

come si esprime Hegel in modo molto preciso sull’argomento (GW 1, 109,29 ss.).

La religione dunque non deve in alcun caso essere una prigione per gli uomini, piuttosto essa deve aiutarlo nella costruzione della casetta

“[...] che l’uomo possa chiamare sua propria” (trad mia.),

“[...] das der Mensch alsdenn sein eigen nennen kann” (GW 1,

nella quale egli si senta a proprio agio ed il cui simbolo è la frase dal Nathan di Lessing, da Hegel più volte citata.

Ai caratteri addotti sono da aggiungere inoltre la ‘pubblicità’ (‘Öffen­tlichkeit’) e la “soggettività”, già implicite peraltro nel concetto di ‘religione popolare’, come lo intendeva il giovane studente.

Tutti questi caratteri indispensabili della religione ideale (soggettività, pubblicità, razionalità, sensibilità e naturalità) caratterizzano la concezione hegeliana della religione popolare capace di condurre il popolo alla religione razionale e tramite ciò di promuovere negli uomini una pura moralità.

Questa concezione può essere definita come la concezione di una reli­gione popolare che sia razionale, sensibile e naturale (nell’attributo ‘popolare’ sono contenute anche la soggettività e la pubblicità). Essa deve essere considerata in stretto collegamento alla Religionsschrift di Kant e come diretta applicazione, ma anche ampliamento della medesima.

Nei paragrafi successivi dei fogli qui presi in esame Hegel analizza sin­golarmente i diversi caratteri principali della religione popolare. Nei fogli ‘i’ e ‘k’ (103,27 fino a 106,32) viene descritto il carattere della razionalità, nel foglio ‘k’ (107,1 fino a 109,28) quello della sensibilità ed infine nel foglio ‘l’ (109,29 fino a 113,26) come anche nel paragrafo 114,1 ss. - che a dire il vero non appartiene al foglio ‘l’, ma contiene una rielaborazione dello stes-so -, quello della naturalità.

Nell’esposizione della razionalità e della sensibilità della religione po­polare Hegel non arriva ad alcun nuovo risultato: in fondo ripete quello che aveva scritto nei testi relativi e si riferisce per quanto riguarda il carattere della razionalità soprattutto al concetto della religione razionale, mentre per quel che concerne il carattere della sensibilità si rifà alla concezione della re­ligione come ‘cosa del cuore’. In questa ripresa dei risultati già raggiunti precedentemente, benché in una costellazione di pensieri in linea generale nuova, agisce di nuovo il principio della ‘Aufhebung’ secondo il quale nella vita niente di veramente importante va perduto.

Del tutto diversa sembra la situazione relativa al carattere della natura­lità, della quale si parla sia nel foglio ‘l’ sia nella sua rielaborazione.(214) Que­sto carattere fondamentale agisce sulla vita pratica degli uomini quindi sulla moralità. Nel foglio ‘l’ viene esposto il carattere della naturalità della reli­gione popolare dettagliatamente e poeticamente. Hegel tenta di ricostruire l’immagine di una vita naturale dell’uomo,

“l’immagine di un genio dei popoli - un figlio della felicità, della libertà, un discepolo della bella fantasia [...]” (trad. dell’autore).(216)

“das Bild eines Genius der Völker - eines Sohns des Glüks, der Freiheit, eines Zög­lings der schönen Phantasie [...]”

(GW 1, 114, 3).

Egli confronta quest’immagine della vita umana, com’essa dovrebbe essere, con la vita reale quale era effettivamente ai suoi tempi. Quest’ultima possiede ai suoi occhi caratteristiche negative (infelice, scontenta etc.):

“L’Occidente ha escogitato un altro genio delle nazioni - [...]” (trad. dell’autore).

“Einen anderen Genius der Nationen hat das Abendland ausgehekt – [...]” (GW 1, 113, 1).

Il contrasto tra queste due immagini relative a due diverse possibilità della vita umana ha anche un riferimento storico, come sempre in Hegel: il genio della vita gioiosa corrisponde alla vita dei Greci, mentre il genio della vita in­felice corrisponde alla vita nella Germania del tempo.

Hegel descrive dunque il modello di vita che deve essere promosso dalla religione popolare ed il trattamento di questo tema nel foglio ‘l’ è, all’interno dell’intera sintesi sistematica, una ripresa di convinzioni già raggiunte e consolidate, come nel caso degli altri caratteri fondamentali.

Nel testo tramandato non è possibile rinvenire un rimando ad un’imminente esposizione dedicata specialmente a questo carattere principa-le. Ci sono qua e là accenni, ma manca un’esposizione speciale dei motivi a favore o contro questo carattere, come si trova per gli altri caratteri della reli­gione popolare. Ciò è curioso in quanto si tratta di quel carattere che dovrebbe essere più importante di tutti gli altri, poiché la morale è scopo della religione e non il contrario.

Si deve dunque concludere che, se Hegel si è occupato così dettagliata­mente della problematica religiosa, dovrebbe essersi occupato ancora più dettagliatamente della problematica morale, in quanto questa gli stava parti­colarmente a cuore.

Da ciò nasce la duplice questione in quali testi Hegel si sia occupato di­rettamente della problematica morale e soprattutto quando ciò abbia avuto luogo.

Alla prima domanda non si può dare una risposta diretta perché tra i testi di quegli anni, che sono stati tramandati, non ve n’è alcuno che contenga una tale, dettagliata elaborazione della problematica morale. Si può però ricavare un’indicazione se si esamina attentamente il periodo di Stoccarda. Questo pe­riodo termina con la comprensione della naturalità della vita dei Greci antichi ed ancora nei primi mesi del periodo di Tubinga Hegel tratta questo pen­siero.(215) Così viene creata una relazione con il momento nello sviluppo spiri­tuale di Hegel, dove la ricostruzione genetica deve essere interrotta per man­canza di scritti trasmessi. Hegel deve essersi occupato della problematica mo­rale e quindi del carattere della naturalità della religione popolare nel periodo dei cosiddetti ‘anni oscuri’, dunque negli anni 1789-1792.(216)

 

*

1.1.3.3.2

 

SECONDO GRADO

(negazione prima)

 

Inadeguatezza della religione cristiana
come religione razionale

 

Arco temporale: estate 1793 - inverno 1794
Fonti principali: testi 17-24

 

La lettura dei testi 17-26 mostra che si è verificato un cambiamento nella vi­suale secondo la quale Hegel tratta ora la problematica della religione popolare. Egli non si occupa più della questione puramente teoretica circa i caratteri principali di una religione popolare, bensì della questione pratica riguardante la fondazione di una tale religione. Si può notare, dunque, che il giovane pensatore, avendo terminato con l’elaborazione del concetto di ‘religione popolare’, si dedica ora agli aspetti pratici e realizzativi della stessa.

Nel testo 17 egli sviluppa un paragone tra Socrate e Gesù. Qui non sono tanto importanti le conclusioni, quanto piuttosto il fatto che Hegel sentisse il bisogno di confrontarsi con le personalità di grandi educatori del popolo e fondatori di religioni e visioni del mondo. Ciò mostra chiaramente la svolta avvenuta allora nel suo pensiero dalla pura teoria alla prassi.

Il testo 18 è un breve foglio di appunti che si occupa di Gesù come fondatore di una religione.

Nel testo 19 si tratta di nuovo di qualcosa di pratico e cioè dell’organiz-zazione esterna della chiesa.

Il testo 20 è molto interessante perché qui si accennano già alcuni punti della critica di Hegel al Cristianesimo, risultato delle riflessioni fatte nei testi precedenti. In particolare lo studente dello Stift si sofferma qui sul fatto che questa religione sia adatta soltanto come religione privata ma non come reli­gione popolare (cfr. il passo 129,23 ss.).

Anche il testo 21 contiene una critica severa alla religione cristiana, in particolare alla sua antropologia pessimistica (cfr. il passo 131,28 ss.), mentre nel testo 22 questa religione risulta chiaramente perdente da un confronto con il modo di vivere dei Greci in relazione all’atteggiamento nei confronti della morte.

Tutti questi singoli punti di critica nei confronti della religione cristiana si ritrovano nella sintesi che Hegel elabora nei testi dal 23 al 26.

Il testo 23 contiene a questo riguardo solo un tentativo. In questo testo ritornano molti concetti appartenenti alla problematica generale della reli­gione, come per es. la differenza tra religione soggettiva e oggettiva. A tal proposito il giovane pensatore perviene anche a un nuovo risultato interes­sante, ossia che lo Stato ha il compito di trasformare la religione da oggettiva in soggettiva:

 

“Rendere la religione oggettiva soggettiva dev’essere il grande compito dello Stato [...]”

(trad. dell’autore).

A questo proposito Hegel si chiede se la religione cristiana sia adatta a ciò(217) e nel tentativo di trovare una risposta a questa domanda usa concetti che ri­mandano chiaramente all’opera Jerusalem di Mendelssohn. (218)

Si tratta di un’analisi della religione cristiana che Hegel conduce in forma di punti fondamentali. Per ogni punto fondamentale (per es. il fonda­mento storico del Cristianesimo oppure il modo di vivere da esso fondato), il giovane filosofo dà un giudizio che risulta essere, nella maggior parte dei casi, negativo.

In questo testo il pensatore non perviene ancora però a un giudizio defini­tivo e complessivo sull’idoneità della religione cristiana come religione popolare. Ciò avviene nei testi, redatti poco più tardi, dal 24 al 26.

Nel testo 25 vengono sintetizzati e sistematizzati i risultati delle rifles­sioni precedenti sul Cristianesimo. Per questo motivo questo testo può ben valere come ‘resa dei conti’ di Hegel con tale religione. Dopo aver elencato i punti di vista più importanti secondo i quali deve essere considerata una religione,(219) il giovane Stiftler si confronta con la seguente questione fondamentale:

 

“Quali sono i requisiti di una religione popo­lare al riguardo di questi punti di vista - li ritroviamo nella religione cristiana?”

(trad. dell’autore).(220)

“Welches sind die Erfordernisse einer Volksreligion in Ansehung dieser Gesichts­punkte - treffen wir sie bei der christlichen Religion an” (GW 1, 155, 3-4).

 

Hegel perviene alla conclusione che la religione cristiana non può essere una religione popolare. Motivo di ciò è che essa è condannata al fallimento nel compito della promozione della moralità nell’uomo perché si fonda sulla sto­ria e non sulla ragione.(221)

La religione cristiana è, dunque, fondata sull’autorità esterna della tradi­zione storica e non sull’autorità interna della ragione umana. La conseguenza è che Cristo è visto dagli uomini come simbolo della virtù.(222) Tale virtù non è però accessibile agli uomini soltanto grazie alla propria buona volontà.(223)

Su questo argomento Hegel scrive esplicitamente:

 

“Ahimé! Ci si è lasciati persuadere che queste facoltà ci siano estranee, che l’uomo appar­tenga soltanto alla serie degli enti naturali, ed a dire il vero di quelli corrotti - si è comple­tamente isolata l’idea della santità e la si è attribuita soltanto ad un’essenza lontana, con­siderandola inconciliabile con la limitazione propria di una natura sensibile” (trad. dell’autore).

“Ach man hat uns überredet, daß diese Ver­mögen fremdartig, daß der Mensch nur in der Reihe der Naturwesen, und zwar verdor­bener gehöre -  man hat die Idee der Heilig­keit gänzlich isolirt, und allein einem fer­nem Wesen beigelegt sie mit der Ein­schränkung unter eine sinnliche Natur für unvereinbar gehalten” (GW 1, 160, 23-26).

 

E allo stesso luogo aggiunge:

“Quest’umiliazione della natura umana non ci permise pertanto di riconoscerci come uomini virtuosi” (trad. dell’autore).

“Diese Erniedrigung der menschlichen Natur erlaubte es uns also nicht, in tugendhaften Menschen uns wieder zu erkennen”.

Come ‘immagine della virtù’ v’è bisogno secondo la dottrina cristiana di un ‘uomo-dio’ e ciò contraddice la concezione hegeliana, di chiara provenienza kantiana, che l’idea della legge morale

“[...] noi alla fine la dobbiamo ricavare senz’altro da noi stessi” (trad. dell’autore).

“[...] wir am Ende freilich aus uns selbst ho-len müssen” (GW 1, 161, 4-5)

L’umiliazione dell’uomo è, quindi, il motivo fondamentale per cui la reli­gione cristiana non può promuovere la moralità negli uomini. Essa, infatti, non riconosce la natura dell’uomo nel suo valore positivo, anzi lo considera come un qualcosa di corrotto.

Hegel non poteva essere d’accordo con questa concezione. Benché in una fase del proprio sviluppo - all’incirca nella primavera 1793 - sotto l’influsso della prima parte della Religionsschrift - egli fosse pervenuto a un pensiero parzialmente simile, la ricezione delle altri parti di questo scritto lo aveva condotto poi più tardi all’elaborazione di un’antropologia né pessimistica né ottimistica, bensì equilibrata.

Secondo tale antropologia la natura dell’uomo non è né buona né cattiva. Essa include in sé le due possibilità, quella del comportamento morale come anche immorale. Su ciò si fonda anche il compito della religione, che consiste nel promuovere la prima possibilità e nel reprimere la seconda.

Prova chiara di quest’antropologia equilibrata di Hegel già alla fine di questo periodo sono per es. il pensiero già citato “L’uomo è una cosa così complessa [...]” del foglio ‘h’ come anche la concezione di una ‘sensibilità ben ordinata’, contenuta soprattutto nel foglio ’l’.

 

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1.1.3.3.2

 

TERZO GRADO

 

La decisione hegeliana di fondare

una nuova religione popolare

 

Arco temporale: inverno 1794

Fonti principali: testi 24-25

*

Il fallimento della religione cristiana come religione popolare significa per Hegel allo stesso tempo il fallimento di ogni fede storica in questo compito. Ogni fede storica - e non solo il Cristianesimo - si fonda sulla storia; perciò, se il Cristianesimo è incapace per questo motivo di essere una religione po­polare, lo sarà anche qualsiasi altra fede storica.

Ciò di cui si ha bisogno è a suo giudizio allora una nuova religione popolare, la quale possegga i caratteri fondamentali indispensabili, da lui stabiliti, e tramite questi possa insegnare all’uomo a riconoscere la virtù in se stesso e non in un’essenza estranea, anche se divina.

I tempi erano insomma maturi per separare finalmente la pura virtù dalla persona di Gesù e adorarla come qualcosa di umano, come “il bello della na­tura umana” e non come un qualcosa di divino. Hegel espone chiaramente questi pensieri nel testo 26, che per il suo contenuto sembra essere l’ultimo di questo fase del suo sviluppo spirituale:(224)

 

“Perciò, quando dopo secoli l’umanità è di nuovo in fase di avere idee, l’interesse per l’individuale sparisce, l’esperienza della cor­ruzione degli uomini a dir il vero resta, ma la dottrina dell’abiezione dell’uomo scompare, e quel che ci rendeva interessante l’individuo affiora sempre di più esso stesso come idea nella sua bellezza, pensato da noi, diviene nostra proprietà. Il bello della natura umana, che noi stessi ponevamo nell’individuo estra­neo, [...], viene riconosciuto da noi con gioia come nostra opera, ce ne appropriamo, e con ciò impariamo a sentire rispetto per noi stessi, mentre prima ci credevamo solo oggetto di di­sprezzo” (trad. dell’autore).

“Daher wenn nach Jahrhunderten die Menschheit wieder Ideen fähig wird, das In­teresse an dem Individuellen verschwindet, die Erfahrung von der Verdorbenheit der Menschen zwar bleibt, aber die Lehre von der Verworfenheit des Menschen abnimmt, und dasjenige was uns das Individuum in­teressant machte, selbst als Idee in ihrer Schönheit nach und nach hervortritt, von uns gedacht unser Eigenthum wird, [wir] das schöne der menschlichen Natur, was wir selbst in das fremde Individuum hineinleg­ten, [...] wieder als unser eignes Werk freu­dig erkennen, es uns wieder aneignen, und dadurch Selbstachtung für uns empfinden lernen [...]”(GW 1, 164, 3-13)

 

La nuova religione popolare deve conferire alla religione finalmente una “propria, vera e autonoma dignità” come viene detto nell’ultima frase di questo importantissimo testo:

 

“Il sistema della religione, che ha sempre as­sunto il colore dell’epoca e delle costituzioni statali, la cui più alta virtù fu l’umiltà, la co­scienza della propria impotenza, che aspetta tutto, in parte anche il male, dall’esterno, ri­ceverà ora una propria, vera ed autonoma di­gnità” (trad. dell’autore).

“Das System der Religion, das immer die Farbe der Zeit und der StaatsVerfassungen annahm, deren höchste Tugend Demuth, Be­wußtsein seines Unvermögens, das alles an­ders­woher - das Böse selbst zum Theil er­wartet - wird izt eigne wahre, selbständige Würde erhalten -” (GW 1, 164, 20-24)

 

Così il giovane filosofo aggiunge al proprio concetto della religione popolare un altro carattere, quello della sua ‘assolutezza’. Considerato che la nuova religione popolare non può più prendere “i colori dell’epoca e delle costituzioni sta­tali”, si deve concludere che la sua fondazione sarà indipendente dalla storia. In ciò sussiste in fondo la sua “propria, vera e autonoma dignità”. Una religione che sia indipendente dalla storia è di conseguenza ‘assoluta’.

Qui è già riconoscibile la tendenza di Hegel ad una concezione fondata in modo ultimo (‘letztbegründet’) dell’assoluto, che riceverà poi nella Scienza della logica la sua più completa espressione.

Le frasi appena citate non solo nel loro contenuto concettuale, ma anche nei loro riferimenti temporali sono così esplicite (“Il sistema della religione [...] riceverà ora [...]”; “[...] quando dopo secoli [...]”), che si può riconoscere in esse un’intenzione cosciente, un programma di vita, il programma della fondazione di una nuova regionale razionale, sensibile, naturale e assoluta, idonea a promuovere moralità negli uomini.

Quest’intenzione può essere considerata come il risultato delIl primo periodo dello sviluppo giovanile di Hegel (1785-1794) e come il fermo programma filosofico della sua vita.

 

 

*

Riflessioni storiche conclusive sul primo periodo
dello sviluppo dialettico del pensiero di Hegel

1. I testi 16 e 26 in rapporto
al sistema filosofico maturo

Il sistema filosofico di Hegel si presenta come la realizzazione dell’ideale giovanile della fondazione di una nuova religione popolare, razionale e naturale. La formulazione di questo ideale, avvenuta in modo compiuto nel semestre invernale 1793/94, chiude il primo periodo dello sviluppo del pensiero di Hegel con la formulazione chiara, esplicita e cosciente del proposito di dare alla religione, che costituiva all’epoca l’oggetto dello studio universitario e anche delle riflessioni personali del giovane filosofo, una propria autonoma dignità. Questo pensiero è espresso in modo chiarissimo nel testo 26. Rileggiamo le sue parole:

“Il sistema della religione, che ha sempre assunto il colore dell’epoca e delle costituzioni statali, la cui più alta virtù fu l’umiltà, la coscienza della propria impotenza, che aspetta tutto, in parte anche il male, dall’esterno, riceverà ora una propria, vera ed autonoma dignità” 
(trad. dell’autore; in SG 1 p. 260, ultimo capoverso del testo 26)

Tale testo chiude la seconda fase del soggiorno di Tübingen, che Hegel aveva lasciato da pochi mesi per trasferirsi come precettore privato nei pressi di Berna a Tschugg. Di tale fase ci sono rimasti per fortuna molti testi, non sappiamo se tutti quelli redatti da Hegel, ma comunque sicuramente in quantità tale da ricostruire nei dettagli le sue riflessioni sul concetto di religione. 
In particolare il testo 16 è fondamentale, non solo poiché è il più lungo, ma anche perché contiene il punto in cui Hegel mostra chiaramente di aver letto il testo sulla religione di Immanuel Kant, “La religione nei limiti della semplice ragione”, che era uscito da poco tra la primavera del 1792 (solo il primo capitolo) e il 1793 (completo). La ricezione di tale testo porta il giovane pensatore ad abbandonare la posizione del tutto rousseuiana, che aveva sostenuto fino a quel momento, fondata sul cuore come sede della religione, per una posizione in cui è la ragione a dover elaborare una religione capace di essere veramente universale. Questa era appunto la concezione di Kant. 
Le riflessioni di Hegel sulla religione sono molto articolate e complesse, ma fondamentali per capire non solo il suo sviluppo giovanile, ma soprattutto la portata religiosa del suo sistema maturo. Ricordiamo, infatti, che Hegel al §554 definisce ancora nell’ultima edizione dell’Enciclopedia, quella del 1830, quindi un anno prima della sua morte, la sfera dello spirito assoluto, che culmina nella filosofia, come ‘religione’ in generale. 

“La religione, come può essere definita in generale questa sfera più alta, […]”
(Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, trad. dell’autore, § 554) 

Inoltre, abbiamo già ampiamente visto come la Scienza della Logica abbia un significato teologico, oltre che logico e ontologico, giacché il suo oggetto, l’Assoluto (o Idea nel linguaggio hegeliano) viene da Hegel anche indicato come Dio “prima della creazione di una natura e uno spirito finiti”. Rileggiamo quanto da lui scritto nell’Introduzione alla Scienza della Logica:

In quanto scienza, la verità è la pura autocoscienza autosviluppantesi e ha la figura del sé, che l’in sé e per sé autosapentesi concetto, il concetto come tale, è l’essente (ciò che è) in sé e per sé.
Questo pensare oggettivo è allora il contenuto della scienza pura. Anziché formale, anziché priva di materia per una conoscenza vera ed effettiva, soltanto il suo contenuto è dunque la verità assoluta, ossia, se ci si vuole ancora servire della parola «materia», la materia vera, – ma una materia a cui la forma non è un esterno, perché questa materia è anzi il pensiero puro, quindi la stessa forma assoluta. 
La logica va quindi presa come il sistema della ragione pura, come il regno del pensiero puro. Questo regno è la verità stessa, come è in sé e per sé stessa senza involucro; perciò si può dire che questo contenuto sia l’esposizione di Dio, qual è nella sua essenza eterna, prima della creazione della natura e di uno spirito finito. 
(Scienza della Logica, ed. Laterza, 1978, p. 41)

Queste indicazioni, che ritroviamo poi anche in diversi altri luoghi delle sue opere e sono uno dei temi sempre ricorrenti, ci conducono a una prima conclusione che possiamo formulare così: il sistema filosofico di Hegel, in particolare la Scienza della Logica, sua prima parte, costituisce la realizzazione dell’ideale giovanile, formulato nel testo 26, del conferimento alla religione di una “propria autonoma dignità”. 

La religione diventa degna di tale nome quando non è più dipendente da fattori ed elementi storici (rivelazione, testi sacri e tutto ciò che il giovane Hegel in modo sprezzante definisce ‘positivo’, quindi istituzionale e storico, di contro a ciò che invece è ‘naturale’, ossia appartenente al mondo in sé, indipendentemente dalle istituzione umane). 
Una religione che non dipenda da fattori storici, è anzitutto universale, quindi non nazionale, poiché razionale, quindi fondantesi sull’essenza umana, comune a tutti gli esseri umani. 
Una religione pienamente razionale e quindi universale, non legata ad alcun popolo e ad alcuna tradizione nazionale specifica, può essere alla fine però soltanto una religione scientifica, come si espresse il compagno di studi di Hegel, Friedrich Niethammer, nel suo libretto “La religione come scienza”. 
Una religione scientifica è quindi una concezione fondata in modo razionale e logico dell’Assoluto, del primo principio e del mondo da esso creato, quindi è una filosofia. 
Quel che Hegel ha dunque realizzato nel proprio sistema filosofico è stata la fondazione della religione come scienza. Dopo di lui non era l’ateismo a dover essere sviluppato (come fece la sinistra hegeliana e in particolare ovviamente Marx) né la religione cristiana a dover essere ritenuta fondata come vera (come fece la destra hegeliana), bensì la religione come tale, nel suo concetto, è stata resa scienza e in quanto tale essa oggi, ossia nel mondo dopo Hegel, coincide con la filosofia, nel senso ovviamente della metafisica idealistica e dialettica. 

Questa è la rivoluzione compiuta da Hegel, l’aver dato vita a una religione adatta ai tempi illuminati, come del resto aveva scritto nelle pagine del diario di Stoccarda. 
Purtroppo il mondo post-hegeliano non ha capito tale messaggio e ha scelto la via dell’ateismo, sia liberale sia comunista, oppure della religione tradizionale (per es. nei paesi islamici ancora teocratici, il che vale però anche per lo Stato del Vaticano, del tutto obsoleto e incompatibile con l’Europa, anche se nessuno osa dirlo). 
Oggi dobbiamo pertanto ripartire dal 1831, quel che è venuto dopo è stato solo un tragico errore storico, che ha certo le sue cause, ma comunque resta un errore.

 

*

2. Il concetto hegeliano di ‚religione‘: 
differenza tra religione soggettiva e oggettiva

(testo 16 e precedenti)

Hegel non pervenne subito dopo il testo 26 a tale importantissima conclusione, ma ci vollero altri 7-8 anni di studi e di riflessioni, prima che poi intorno al 1801-02 formulasse in modo chiaro e distinto la concezione della differenza tra fede e sapere, secondo l’omonimo saggio del 1802. È chiarissimo ora perché tale saggio si chiami Fede e Sapere e non Religione e Filosofia: mentre infatti per Hegel Fede e Sapere sono alla fine inconciliabili, Religione e Filosofia sono al contrario conciliabili. In particolare, la filosofia è la forma più perfetta e compiuta della religione come religione razionale. Le due quindi coincidono, mentre tra fede e sapere non può in alcun modo esserci una coincidenza, ma solo un’opposizione. 
Questa visione hegeliana fu formulata dal giovane pensatore nella seconda parte del periodo di studi tubinghesi e quindi si trova tematizzata e risolta nei testi di questo periodo, antecedenti il testo 26 con il suo programma filosofico. Come ampiamente detto, a tal proposito è particolarmente importante il testo 16. Essa restò poi invariata per tutta la sua vita, per cui quando ancora ormai pochi mesi prima di morire all’età di 60 anni al paragrafo 554 il nostro definisce la sfera dello spirito assoluto in generale come religione, è evidentemente a tale significato di questo termine che egli si riferisce e non al significato come fede che esso ha nella vita quotidiana allora come del resto anche oggi. Se non comprendiamo il significato sedimentato di questo vocabolario specifico hegeliano, non possiamo comprendere la sua filosofia, poiché egli utilizza tali termini in un significato coniato negli anni giovanili, ma non formulato in modo esplicito in alcuna sua opera matura. 
Hegel non redasse una sorta di ‘vocabolario idealistico-assoluto’, forse questo oggi bisognerebbe farlo per facilitare la comprensione delle sue opere sistematiche. Del resto ogni filosofo originale utilizza un proprio linguaggio, formatosi negli anni giovanili come ha ben spiegato Dieter Henrich. Pensare di capire un filosofo senza conoscere tale suo linguaggio e quindi le sue opere giovanili, è un’illusione. 
Nella ricostruzione dello sviluppo del pensiero dialettico di Hegel occorre ripercorrere tutte le varie fasi e gli stadi interni di tale progressivo e costante cammino del giovane pensatore dall’ideale di una nuova religione degna di tale nome alla sua realizzazione nella propria filosofia. Ci sonoo tanti scritti da leggere e passaggi logici da ricostruire.  Vediamo qui soltanto di approfondire il concetto della dignità della nuova religione e quindi perché già in tale ideale giovanile fosse presente in nuce l’idea del sistema filosofico.
Il primo carattere che deve avere la nuova religione è in primo luogo la razionalità, la ‘fondabilità’ logica. Solo una religione razionale può essere degna e autonoma. Questa concezione è chiaramente la ripresa del contenuto fondamentale dello scritto kantiano del 1792-93. Approfondiremo in seguito tale aspetto. Ciò però non bastava a Hegel. La religione del futuro oltre a essere razionale, seguendo Kant, dovrà avere un’altra connotazione: essa dovrà essere ‘popolare’. Nei suoi testi di questi anni tubinghesi Hegel usa sempre l’espressione ‘Volksreligion’, ossia religione popolare.
Egli la contrappone all’idea di una religione dei dotti, ossia alla teologia. Per Hegel non è la teologia a essere importante, poiché essa può riguardare soltanto poche persone dedite agli studi, bensì la religione nel senso pieno del termine, che egli definisce anche ‘soggettiva’. La teologia, intesa come sapere dotto del contenuto della religione, è invece ‘oggettiva’, che nel linguaggio hegeliano di questi anni ha un valore negativo corrispondente al concetto di ‘positivo’, ossia istituzionale e storico. 
Hegel si esprime anche così, che la religione soggettiva è qualcosa di vivente, mentre quella oggettiva di morto. La prima vivifica la spiritualità degli uomini, mentre la seconda l’opprime. La prima corrisponde a un sapere autentico inteso come saggezza (che costituisce l’eredità dell’influsso esercitato dalla lettura di Rousseau negli anni oscuri 1789-92, come abbiamo visto in precedenza), la seconda invece al laboratorio del naturalista dove la vita è conservata solo in forma di reperti biologici ormai morti. Ciò corrisponde a un sapere inteso come statico, fisso, non vitale e vivente.  Vediamo a tal proposito alcuni passi hegeliani, molto interessanti.

 

Testo 12 (v. cronologia)
“In qual misura è da apprezzarsi la religione, come soggettiva o come oggettiva?” (SG 1, 159).

Qui Hegel pone una delle questioni fondamentali della propria ricerca e lo fa chiaramente in rapporto al testo di Fichte “Tentativo di una critica di ogni rivelazione”, pubblicato nel 1792. 

La risposta a tale domanda si trova nel testo 16, il più ampio ed anche il più conosciuto di questi testi giovanili. Esso è composto di vari fogli manoscritti, che sono stati indicati dai curatori dei Gesammelte Werke con differenti lettere dell’alfabeto dalla a alla l. Esso inizia con le parole famose nell’ambito della ricerca hegeliana:

“La religione è una delle questioni più importanti della nostra vita.” (SG, p. 169)

Nella prima parte del testo, fogli a-b, Hegel sintetizza i suoi pensieri intorno al concetto di religione, come li aveva sviluppati fino a quel momento.Dalla pagina 173 in poi (edizione italiana del 1993), che si trova nel foglio c del manoscritto, egli affronta poi tale questione a viso aperto.

La religione soggettiva, che Hegel indica come l’unica forma di religione ancora valida nel mondo ormai illuminato e secolarizzato, come diremmo noi oggi, è strettamente legata all’agire etico, al comportarsi bene, in una parola alla saggezza. La religione razionale per essere popolare deve quindi essere soggettiva, ossia essa deve essere in fase di promuovere (befördern, concetto che ricorre spessissimo non solo negli scritti hegeliani, ma in quelli di tanti altri giovani studiosi del periodo) un comportamento buono e saggio, ossia etico. 
Il motivo di questa centralità della problematica del promovimento dell’etica oppure, come anche si diceva all’epoca, della ricerca di un Beweggrund, di un movente etico, deriva proprio dal venir meno della religione ufficiale (oggettiva) come fondamento dell’etica. Come un palazzo non può sussistere senza fondamenta, così per questi giovani studiosi di teologia che guardavano al mondo nuovo secolarizzato, neanche l’etica avrebbe potuto sopravvivere senza un proprio fondamento. Occorreva pertanto cercare un nuovo fondamento dell’etica che non fosse oggettivo e dogmatico, ma soggettivo e fondato. Questa era la problematica fondamentale comune a tutti questi giovani teologi rivolti al nuovo, del cui gruppo faceva parte Hegel (della cui costellazione, potremmo dire, seguendo Henrich). 
Potremmo definire la religione soggettiva anche come religione etica, che non si manifesta in preghiere e atti esteriori, bensì in opere concrete di aiuto al prossimo, anzi in un atteggiamento di vita nel quale, seguendo sempre Kant, potremmo dire che l’altro essere umano viene visto soprattutto come fine, non solo come mezzo. Anche se non troviamo nell’Hegel di questo periodo alcun accenno specifico alla teoria kantiana degli imperativi categorici, nondimeno questo è quel che si può leggere tra le righe. Gli esseri umani ispirati dalla religione soggettiva, operano secondo il bene e lo realizzano sulla terra. Essi si comportano dunque in modo etico. Così aggiungiamo un altro elemento caratterizzante la dignità della nuova religione: essere deve essere etica. Ma cosa significa per Hegel ‘etico’ (o morale) in questo periodo? 
Il concetto che ricorre più spesso è quello di una ‘sensibilità ben ordinata’, ossia di una vita che segua quel che il sentimento e le sensazioni indicano all’uomo, quindi in generale la sensibilità, ma vissuta in modo ordinato, quindi equilibrato, saggio, senza eccessi. 
Leggiamo a tal proposito il seguente passo dal foglio k:

“III. Non appena si verifica una scissura tra vita e dottrina, oppure soltanto una separazione o un ampio allontanamento reciproco, sorge il sospetto che la forma della religione difetti in qualcosa, sia che faccia troppe ciance, sia che faccia agli uomini richieste esorbitanti di falsa devozione, contrastando ai loro bisogno di una sensibilità bene ordinata, τῆς σωφροσύνης, oppure entrambe le cose. Quando la gioia e la letizia umana deve vergognarsi di fronte alla religione, quando colui che ha preso diletto di una pubblica festa deve entrare di soppiatto nel tempio, la forma della religione ha un aspetto troppo tetro perché vi si possa ripromettere di rinunciare alle gioie della vita per le sue richieste”. (SG 1, p.196)

Si tratta dell’ideale di una vita naturale, anch’esso, come abbiamo visto, eredità dell’influsso di Rousseau e della filosofia popolare tedesca, che a lui si era ispirata (Mendelssohn, Nicolai). Hegel sostiene in questi anni, ma non diversa sarà la concezione nel sistema maturo, l’idea di una morale naturale, ossia che renda possibile all’uomo la realizzazione della propria essenza naturale, fatta non solo di ragione, ma anche di corpo. 
Per questo motivo Hegel pur considerando l’uomo come fine per l’altro uomo, non ha mai nutrito una particolare simpatia per la morale kantiana degli imperativi categorici. A suo giudizio se una religione soggettiva e vivente ispira l’essere umano, questi in modo naturale e spontaneo si comporterà in modo etico, quindi considererà gli altri esseri umani come fine, mai solo come mezzo. Non si tratta per Hegel di un dovere da compiere, ma di un piacere, di un diritto, di un senso della vita. 

Per Hegel la convivialità, come abbiamo visto negli scritti di Stoccarda, è un aspetto fondamentale della felicità, anzi la sua condizione imprescindibile. Senza convivialità (Geselligkeit) non ci può essere felicità (Glückseligkeit). Stare con gli altri uomini e considerarli come fine dev’essere una cosa naturale, spontanea, non forzatamente indotta da un dovere intellettuale, quasi che invece la sensibilità ci spingesse a usarli come mezzi. Se un essere umano si comporta in modo non etico e sfrutta altri esseri umani, significa che qualcosa nella sua educazione è andato storto e tale individuo non ha potuto recepire una religione soggettiva, ossia un modo saggio ed equilibrato di vivere la propria sensibilità. Perché è la sensibilità che ci porta ad avere rapporti sociali, non l’intelletto. Il bisogno è di per sé già intersoggettivo e richiede l’altro per essere soddisfatto, come Hegel spiegherà poi molto bene nella matura filosofia dello spirito. 
Se la sensibilità ci conduce direttamente all’altro, occorre che tale sensibilità sia guidata da un modo saggio di viverla, quindi sia ‘ben ordinata’ e questo è il compito principale della religione soggettiva. Non lo si deve fare però come dovere, poiché se l’individuo ha bisogno di avvertire come ‘dovere’ il considerare l’altro come fine, significa che senza tale dovere lo userebbe come mezzo, ma allora egli è già immorale in sé, quindi portatore del ‘male’. Per Hegel invece l’individuo, se gli viene insegnata sin da bambino e da giovane una religione soggettiva, quindi un modo saggio di vivere i propri bisogni e la propria sensibilità, egli poi da adulto automaticamente, naturalmente considererà gli altri come fine e non dovrà farlo in base a un imperativo, a un dovere, poiché per lui sarà un piacere condividere la propria vita e anche la propria sensibilità con i propri simili. 
L’ideale della grecità s’innesta proprio qui: i Greci (politeismo) per Hegel, seguendo Hölderlin, avevano realizzato tale unità di anima e corpo, ragione e sensibilità, che poi il monoteismo ha infranto, attribuendo alla corporeità una connotazione negativa come sede del male. Per Hegel invece il corpo è parte del bene, poiché senza gli istinti e i bisogni non ci sarebbe convivialità e quindi neanche felicità. Occorre solo educare gli individui da giovani a vivere in modo armonico, ben ordinato la propria corporeità, i propri bisogni, e questo è appunto il compito della morale e dell’etica (non troviamo ancora nel giovane Hegel una distinzione tra questi due concetti), quindi della religione in quanto soggettiva, in quanto modo di vivere. 
La nuova religione dovrà pertanto essere: razionale, popolare e fondare un’etica naturale, non intellettualistica, basata sul piacere, moderato e ben ordinato, non sul dovere.

Nel sistema maturo Hegel ha realizzato anche tale aspetto, in particolare nella teoria dell’eticità assoluta (absolute Sittlichkeit). Anche in questo caso la sua formulazione si ha all’inizio de periodo di Jena, intorno al 1802-03 nello scritto "Sistema dell’eticità". Nel sistema definitivo è invece la filosofia dello spirito oggettivo a contenere tale dottrina. 
I valori etici della famiglia, del lavoro (società civile) e dello Stato sono l’espressione etica della Scienza della Logica, intesa come religione soggettiva. Un essere umano che ispiri la propria vita alla nuova teologia costituita dalla Scienza della Logica, vedrà nella creatività l’Assoluto e quindi vivrà con gli altri esseri umani in modo conviviale, creando con essi qualcosa in cui siano felici. Tale convivialità si fonderà ovviamente sul corpo e sui bisogni: quello della riproduzione conduce gli esseri umani alla famiglia che è il modo ‘ben ordinato’, armonico di vivere l’istinto sessuale e tutto ciò che appartiene a questa sfera naturale della nostra vita; il lavoro sarà il modo ’ben ordinato’ e armonico di vivere l’istinto dell’assimilazione, relativo alla sopravvivenza individuale, tramite la divisione del lavoro e quindi l’esercizio di un mestiere più o meno creativo; infine, lo Stato è la creazione assoluta poiché esso consente una vita ’ben ordinata’ e armonica degli uomini. Senza lo Stato sarebbe la guerra di tutti contro tutti, è lo Stato alla fine che ha il compito di diffondere e promuovere (befördern) la religione soggettiva, prendendosi cura dell’educazione ‘religiosa’ dei giovani, che per Hegel ovviamente può essere a questo punto solo un’educazione filosofica, in particolare logico-metafisica. 
Lo Stato etico, che spesso viene interpretato in modo sbagliatissimo come stato dittatoriale, è per Hegel invece lo Stato della religione soggettiva, ossia capace di educare gli esseri umani a una vita saggia, filosofica, ’ben ordinata’ in armonia con la natura interna (corpo) ed esterna (ambiente) nonché con gli altri esseri umani. 
Questo è il messaggio che Hegel ha voluto lasciarci sia nel 1794 con l’ideale della creazione di una religione etica degna di tale nome sia negli anni della maturità con l’ideale di un’eticità assoluta da realizzare sulla Terra tramite Stati in fase di educare gli uomini alla saggezza, quindi a una vita filosofica.
Oggi noi dobbiamo proseguire in tale opera magistrale di unificazione di filosofia e vita, di sapere e azione, di soggettività e oggettività, che è stato il Leitmotiv, il motivo fondamentale dell’intero percorso intellettuale e di vita del nostro Maestro. Solo la filosofia assoluta, dunque la logica-metafisica dialettica, può essere la religione degna di questo nome, quindi capace di promuovere saggezza ed eticità negli uomini sin da giovani tramite un’adeguata educazione filosofica, così che poi da ultimi non abbiano proprio bisogno di un imperativo morale, poiché per essi considerare l’altro essere umano come fine sarà un ‘costume’, una Sitte in tedesco, un modo di vivere quotidiano, un’ovvietà.
Rendere l’etica un automatismo in senso positivo, ovviamente, questo mi sembra il senso dell’idealismo dialettico: il saggio realizza il bene senza neanche pensarci, perché egli (in senso neutro, lui o lei) incarna il bene, è il bene stesso diventato vivente. Questo fu il senso della vita e dell’opera di Hegel, ossia come rendere il bene qualcosa di vivente, ed è anche il senso della stessa filosofia in sé. 
Tale concetto di ‘Bene vivente’ è il perno intorno al quale ruota l’intero discorso etico, ma anche giuridico e politico, hegeliano, come possiamo leggere nei "Lineamenti di Filosofia del Diritto" al §142, introduttivo proprio alla sezione relativa all’eticità:

“L’eticità è l’idea della libertà, in quanto bene vivente. Che ha nell’autocoscienza la sua consapevolezza, la sua volontà e, mediante l’agire di questa, la sua realtà; così come questo ha, nell’essere etico, il suo fondamento che è in sé e per sé e il fine motore, - è il concetto di libertà, divenuto mondo esistente e natura dell’autocoscienza.”

(Lineamenti di Filosofia del Diritto, Bari 1979, p. 163).

 

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Riflessioni sistematiche conclusive sul primo periodo
dello sviluppo dialettico del pensiero di Hegel

La fondazione di una nuova teoria etico-religiosa

di unificazione dell’uomo con la natura

come ideale filosofico della vita di Hegel

 

Lo sviluppo intellettuale di Hegel ha abbondantemente mostrato, nella sua dialettica immanente, che il suo studio non ha soltanto un valore storico riguardante la genesi del sistema, ma anche un vero e proprio valore filosofico e sistematico, consistente nella comprensione delle motivazioni ultime di tale sistema. Ritenere che vi sia un salto dalla religione alla filosofia intorno al 1800 nello sviluppo del pensiero del filosofo è un grande errore, spesso compiuto dalla Hegel-Forschung. L’Hegel precedente il 1800 è già pienamente filosofo e ciò, oltre a essersi già evidenziato da solo nelle pagine precedenti, verrà con più forza ancora mostrato in questo capitolo. Al contempo l’Hegel posteriore al 1800 riterrà sempre la religione una componente inscindibile del pensare filosofico che nella sua punta più elevata sia teoretica, come conoscenza dell’Assoluto, sia etica, come vita condotta secondo valori morali assoluti, assume indiscutibilmente una piena valenza religiosa. Ovviamente per religione il filosofo intenderà sempre quel concetto di religione razionale che, recepito nell’ultimo periodo di Tubinga da Vater Kant, non abbandonò mai più. Per Hegel sia giovane che maturo la religione ha senso solo come razionale e quindi filosofica e la filosofia ha senso solo come conoscenza dell’Assoluto e quindi sostenuta da un afflato religioso. 
Certamente nel proprio sviluppo intellettuale Hegel a un certo punto s’accorse che i concetti propri della tradizione religiosa non erano più adeguati a esprimere l’Assoluto e quindi passò ad adoperare quelli propri della logica e della filosofia. Su un piano formale egli pertanto si distaccò dagli studi prevalentemente religiosi compiuti fino a quel momento, ossia all’incirca al 1800. Sul piano del contenuto però egli traspose, come vedremo poi meglio nella seconda fase di questo primo periodo, il medesimo contenuto e la stessa problematica etico-religiosa affrontata negli anni precedenti su di un piano propriamente filosofico, per cui tra le due fasi c’è una chiarissima continuità filosofica e di contenuto. Se non si capisce questo, si perde proprio la possibilità di aprire lo scrigno del sistema usando la stessa chiave che usò il suo fondatore, ossia la chiave della religione. Solo interpretando il sistema come realizzazione dell’ideale religioso giovanile, esso acquista un senso compiuto, che è poi il vero senso autentico che ebbe per lo stesso Hegel. 
Se solo la dialettica è adatta a concepire la ’cosa stessa’, ossia ogni sviluppo nella propria logica immanente che è appunto dialettica, come lo stesso Hegel a insegnato nella Scienza della Logica, allora lo stesso sviluppo intellettuale del pensatore svevo non può sfuggire a questa ferrea logica ontologica, come del resto non può sfuggirle qualsiasi altro sviluppo intellettuale o addirittura di ogni ente del mondo. Tale logica ontologica evidenzia chiaramente una continuità nello sviluppo intellettuale di Hegel, che è al fondo delle forme apparentemente diverse che il suo pensiero assunse nella varie fasi della sua vita. 

I testi hegeliani degli anni 1793-94 rivelano, insomma, una vera e propria struttura filosofica di base, che coglie alle radici la problematica esistenziale dell’essere umano, considerato come parte dell’universo; e resterà a fondamento dell’intero percorso successivo degli studi e delle pubblicazioni del filosofo. Comprendere tale filosofia originaria di base è pertanto fondamentale per poter poi penetrare a fondo il senso profondo del sistema filosofico della maturità. 

Tramite queste attente riflessioni Hegel ha dunque posto negli anni giovanili le basi stabili e già profondamente filosofiche del proprio sviluppo spirituale suc­cessivo, che altro non sarà che la realizzazione di tale ideale originario.

In tali testi Hegel si sforza di capire come l’essere umano possa vivere in armonia con se stesso, con la natura e la società circostanti ed elabora quei concetti fondamentali relative all’etica e alla visione del mondo, che saranno poi alla base dell’intero suo percorso filosofico successivo. Si tratta di concetti che la società mondiale degli esseri umani non ha ancora assimilato e capito bene, nonostante ormai 190 anni di ricerca hegeliana dopo la morte del filosofo, avvenuta del 1831. Il risultato di questa ancora manchevole comprensione del significato profondo della filosofia dialettica hegeliana è la causa  principale del mondo dilaniato del Novecento con le sue due guerre mondiali e la possibilità di una terza, nonché della crisi ambientale, che diventa sempre di più una minaccia per la stessa sopravvivenza dell’umanità. Tutto ciò affonda le sue radici nella scissione dell’uomo contemporaneo, nella sua incapacità a vivere in armonia con se stesso, con gli altri esseri umani e con la natura circostante. Il giovane Hegel, agli albori della contemporaneità, aveva capito a fondo tale problematica e seriamente affrontata nel corso della sua vita e dei suoi studi. Solo un confronto altrettanto serio e attento con il suo pensiero può metterci in condizione di recuperare il senso perduto dell’armonia con noi stessi e con la vita. 

Conciliando la religione cristiana e la filosofia critica di Kant, il giovane Hegel ha pertanto formulato all’incirca nel 1794 l’ideale della fondazione di una nuova dottrina etico-religiosa di reinserimento dell’essere umano nella natura, la quale sia ‘naturale’ come etica, ‘popolare’ e ‘razionale’ come religione.

Vediamo ora che rapporto esiste tra queste due componenti dell’ideale etico-religioso, con la formulazione del quale si chiude il primo periodo dello sviluppo immanente del pensiero hegeliano.

L’ideale religioso è in funzione dell’ideale morale. Esso deve condurre in­fatti alla conoscenza dell’essenza naturale dell’essere umano tramite la cono­scenza del principio primo del mondo. Solo la comprensione del principio primo del mondo e quindi dell’essenza specifica dell’essere umano all’interno del mondo può rendere infatti possibile la formulazione di una dottrina morale natu­rale. Il passaggio logico tra l’ideale religioso popolare e razionale e l’ideale mo­rale naturale è quindi il seguente: occorre anzitutto reinserire la ragione nel mondo per poi reinserire lo spirito nella materia, ma alla fine l’opera completa sarà il reinserimento dell’essere umano nella natura.

 

PRIMO MOMENTO

L’ideale hegeliano della fondazione

di una nuova dottrina morale naturale

 

Abbandoniamo dunque il terreno della ricostruzione storica, la quale deve sem­pre seguire il tracciato filologico costituito da date, fonti etc., per affrontare il di­scorso ora da un punto di vista strettamente filosofico. Esso consisterà nel tenta­tivo di comprendere la visione del mondo e del senso della vita umana che è al fondo dell’ideale etico-religioso hegeliano. Occorre quindi, lavorando sui con­cetti fondamentali formanti la struttura portante di tale ideale, scavare in profon­dità al fine di pervenire alla concezione metafisica e antropologica (225) che ne è il fondamento.

 

1. Il concetto hegeliano della morale

Il concetto principale, intorno al quale ruota la riflessione hegeliana negli anni 1792-1794 ed al quale si devono riferire tutti i concetti secondari, è l’essere umano. Si tratta del tema più comune e più noto a tutti noi; è l’aspetto del mondo col quale siamo più in familiarità, per il motivo molto semplice che per tutta la vita il nostro destino è avere rapporti umani ed in base ad essi orientare il nostro comportamento. Inoltre noi siamo esseri umani e per quest’identità tra noi ed il concetto dell’essere umano, quest’ultimo ci è noto, familiare. L’essere umano dunque è ciò che è più noto e familiare per l’essere umano; eppure, come Hegel ammonisce nella Fenomenologia dello spirito:

“In generale, infatti, ciò che è noto, appunto in quanto noto, non è conosciuto.” (FS,  85).

„Das Bekannte überhaupt ist darum, weil es bekannt ist, nicht erkannt.“(GW 9, 26, 21)

La riflessione hegeliana ha quindi come obiettivo originario e fondamentale (dunque sia in senso cronologico che logico) la conoscenza dell’essere umano.

L’essere umano può essere conosciuto secondo varie prospettive: come ente biologico, psicologico, sociale e così via. Il giovane Hegel riflette in particolare sul concetto universale dell’essere umano, sulla vita umana in gene­rale. La mente del giovane studente dello Stift di Tubinga si muove nella

 

“[...] considerazione dell’essere umano in ge­nerale e della sua vita [...]” (SG 1, p. 170).

“[…] bei Betrachtung des Menschen überhaupt und seines Lebens […].“(GW 1, 84, 24)

 

Tale prospettiva di studio dell’essere umano non è meramente naturalistica né socio-psicologica; essa non esamina quindi un aspetto parziale di tale concetto, ma riflette su di esso in generale. Si tratta della prospettiva morale o etica, la quale non studia specificamente la costituzione fisica o psichica dell’essere umano, ma piuttosto riflette sul suo agire pratico o, se si vuol usare un termine più carico di valore filosofico, sulla sua funzione nel mondo che lo circonda, sia nel mondo naturale sia in quello sociale.

A tale prospettiva morale dello studio dell’essere umano corrisponde nell’essere umano concreto, quindi sul piano della realtà, la sua moralità, ossia il suo atteggiamento nei confronti della vita in generale e, più precisamente, il senso che dà alla propria esistenza.

La moralità poi, come senso dell’esistenza, ha un significato ancora più profondo: essa ha il compito di reinserire l’essere umano nella natura, indican­dogli una direzione per la sua attività vitale, direzione che agli altri enti della natura è data immediatamente dalla propria costituzione materiale.

Un animale per es. non ha certo problemi di conferimento di senso alla propria esistenza, giacché la sua materialità, la sua sensibilità lo spingono di volta in volta al movimento secondo un certo scopo.

L’essere umano invece non solo una volta soddisfatti i propri istinti mate­riali ha altro potenziale di energia da dedicare ad altri scopi non meramente sen­sibili, ma perviene alla stessa soddisfazione degli impulsi sensibili attraverso procedure etico-sociali in cui una cornice di senso spirituale avvolge e dà un ul­teriore significato alla base materiale dell’agire. L’essere umano quindi non ha la propria attività determinata completamente in modo immediatamente materiale, ma per la maggior parte la possiede come materia da plasmare e potenzialità da attuare.

Questa distinzione tra i due livelli di determinazione dell’agire può essere in generale presentata come distinzione tra , determinazione immediata dell’attività, e , determinazione mediata dell’attività.

Il significato preciso del concetto, sopra espresso, che la moralità ha il compito di reinserire l’essere umano nella natura è allora il seguente: poiché l’essere umano come spirito non è determinato immediatamente nella propria attività dalla materia, ma si autodetermina, progetta la propria attività secondo un certo fine o scopo, tale scopo costituisce il senso della sua esistenza e forma quindi il nucleo centrale della sua moralità. Così grazie alla moralità ed al suo aspetto teorico, la morale, l’essere umano in quanto spirito può avere una pro­pria sfera d’attività che gli enti materiali -dalle particelle elementari agli animali- ricevono invece immediatamente dalla propria costituzione fisica. In tal modo anche l’essere umano può assumere il proprio posto all’interno del grande quadro della natura, in cui ogni ente ha la propria attività da svolgere, la propria sfera di vita.

Allora il significato più profondo della moralità è ch’essa reinserisce l’esse-re umano, inteso come spirito, nella natura, intesa come materia. La moralità ridà infatti all’essere umano quella determinazione della sua attività vitale, an­data perduta con il graduale affermarsi nel corso dell’evoluzione della dimensione spirituale su quella materiale.

Ciò che è stato appena illustrato è il senso filosofico del concetto della mo­rale - o etica - e della moralità - o eticità - (il giovane Hegel non distingue anco-ra rigorosamente tra questi due concetti come invece farà nella matura filosofia dello spirito) come può essere ricavato soprattutto dai manoscritti degli anni 1792-94.

Per quanto riguarda il significato profondo di tale concetto, ossia di essere il reinserimento dell’essere umano nella natura a livello di spirito e materia, esso non è esplicitamente espresso in questi scritti, bensì dev’essere considerato come un ragionamento inconscio, implicito di Hegel, ed è compito di questa ricerca portarlo alla luce della coscienza, dunque renderlo esplicito.

Il pensiero del giovane Hegel negli ultimi anni di Tubinga lavorava infatti su concetti inconsciamente definiti, i quali ne formavano la base, a partire dalla quale si sviluppavano poi tutte le ulteriori riflessioni consce. Se non s’interpreta adeguatamente questa struttura concettuale inconscia, risultano poi in­comprensibili anche le riflessioni esplicitamente espresse negli scritti pervenu­tici e di conseguenza risulterà anche incomprensibile il significato filosofico del sistema filosofico maturo, le cui radici affondano senza alcuna soluzione di con­tinuità proprio nei manoscritti del periodo giovanile e quindi in tali pensieri originari del filosofo.

 

2. Hegel si confronta con le principali dottrine morali dell’epoca

 

Dopo aver individuato il concetto hegeliano della morale, occorre ora approfon­dire il confronto che il giovane filosofo condusse tra il proprio implicito concetto della morale e le principali dottrine morali dell’epoca.

Di contro al concetto hegeliano della morale e della relativa moralità v’era la moralità reale del tempo e le contemporanee teorie morali che la fondavano. Hegel ha senza alcun dubbio elaborato il proprio concetto della morale a stretto confronto con queste teorie morali, come rivela la lettura dei suoi scritti di que­gli anni.

Il concetto hegeliano della morale è stato appena illustrato: la morale deve reinserire l’essere umano nella natura, aiutandolo in tal modo a superare la scis­sione tra spirito e materia, inerente allo stesso sorgere dello spirito nel corso dell’evoluzione. Nell’elaborazione del proprio concetto della morale Hegel pone a se stesso la questione, se le teorie morali del tempo riuscissero o non a reinserire l’essere umano nella natura. Egli stabilisce dunque un confronto tra il proprio concetto della morale e le contemporanee teorie morali.

La moralità degli uomini nella società della Germania del tempo era legata a due posizioni teoriche fondamentali: da una parte la morale religiosa  tradizionale, il cristianesimo istituzionale soprattutto protestante; dall’altra la dottrina rivoluzionaria della morale, quella di stampo illuministico-kantiano. Hegel viene a diretto contatto con queste due dottrine grazie ai suoi studi teologici nel seminario protestante di Tubinga. Vivacissima era infatti allora la polemica tra i maggiori rappresentanti di quest’illustre istituzione, roccaforte del cosiddetto , ed il ‘razionalista’ Kant ed i suoi seguaci (226).

Vediamo ora quali sono, secondo lo studente dello Stift, le caratteristiche che accomunano e quelle che distinguono queste due concezioni morali, natu­ralmente in rapporto al concetto della morale come reinserimento dell’essere umano nella natura a livello di spirito e materia, che operava di nascosto in tutti i suoi ragionamenti.

Entrambe le dottrine, in quanto riguardanti la morale, inducono l’essere umano ad adottare un certo atteggiamento dinanzi alla vita, quindi a dare un de­terminato senso alla propria esistenza e lo reinseriscono quindi nella natura, nella quale appunto ogni ente ha una propria sfera di vita. Per Hegel tali dottrine non riescono però a reinserire completamente l’essere umano nella natura, bensì lasciano una certa lacerazione o scissione tra lo spirito e la materia, l’anima ed il corpo.

La dottrina morale del cristianesimo istituzionale pone il senso dell’esistenza umana non in questa, ma in un’altra vita, la quale dovrebbe aver luogo dopo la morte fisica dell’individuo. In rapporto a questa seconda e vera vita l’esistenza terrena dell’essere umano avrebbe soltanto un valore preparato­rio.

Tale visione morale fondamentale del cristianesimo istituzionale, che qui è stata ovviamente semplificata al massimo e ridotta al suo concetto fondamen­tale, dà un senso all’esistenza dell’essere umano e quindi in linea generale è con­forme al concetto hegeliano della morale. Essa però, poiché non pone tale senso in questa vita ed in questa esistenza terrena, lascia una chiara separazione tra l’essere umano e questa natura, in cui la sua vita ha luogo.

Anche la dottrina morale illuministico-kantiana a giudizio di Hegel non consente all’essere umano un completo reinserimento nella natura. Essa infatti pone a dire il vero il senso dell’esistenza umana in questa vita, in particolare come realizzazione di una vita razionale (costituita dalla creazione del ), interpreta però questo senso della vita come frutto di una fredda rea­lizzazione intellettualistica di precetti morali prestabiliti ed imparati a memoria (Campe) o come un astratto dovere, un imperativo che la ragione deve imporre alla sensibilità ed alla spontaneità, le quali, se lasciate a se stesse, condurrebbero l’essere umano ad un’esistenza ‘immorale’, ossia priva di senso (Kant) (227).

Per Hegel questa concezione supera la scissione ancora presente nella dot­trina morale del cristianesimo istituzionale ed in questo senso è più conforme al concetto della morale ch’egli aveva elevato a proprio metro di giudizio. Essa però ripristina la scissione tra essere umano e natura a livello intraumano tra la ragione e la sensibilità. Secondo Kant infatti il senso che lo spirito come ragione dà alla propria esistenza, fatta anche di sensibilità, è un senso che contrasta in li­nea di principio con la direzione dell’agire indicata all’essere umano dalla pro­pria componente sensibile e deve pertanto essere imposto a questa tramite gli ‘imperativi’. La dottrina morale kantiana riporta pertanto nell’essere umano la scissione lasciata dal cristianesimo tra una vita celeste felice, virtuosa e piena di significato, ed una vita terrena infelice, malvagia ed insignificante, così che l’essere umano in quanto ragione possiede il bene ed in quanto sensibilità è in­vece portato al male. Il suo risultato è quindi che la separazione tra spirito e materia, anima e corpo, non è ancora eliminata e di conseguenza l’essere umano non è del tutto reinserito nella natura.

In conclusione sia la morale del cristianesimo istituzionale sia quella illu­ministico-kantiana sono inadeguate al concetto della morale che, inconsciamente formulato, agiva nella mente del giovane pensatore.

 

3. La nascita dell’ideale hegeliano della fondazione
di una nuova dottrina morale ‘naturale’

Sulla base di queste considerazioni, che possono essere ricostruite riflettendo in modo approfondito sulla concezione filosofica immanente ai testi hegeliani degli anni 1792-94, il giovane Hegel formula l’ideale che poi governerà l’intero svol­gimento successivo del proprio pensiero: si tratta del progetto filosofico di con­cepire una nuova dottrina morale, la quale sia adeguata al proprio concetto della moralità e sia dunque in fase di reinserire completamente l’essere umano nella natura.

Per conseguire tale obiettivo tale dottrina deve continuare sulla strada già tracciata dal cristianesimo istituzionale e da Kant. Il risultato, cui è giunta questa tradizione, è la dottrina morale illuministico-kantiana; ad Hegel pertanto toccava superare la scissione tra spirito e materia ancora sussistente nel pensiero di Kant, ossia la scissione tra ragione e sensibilità, per reinserire del tutto l’essere umano nella natura e comprendere così il senso autentico all’esistenza umana nel mondo.

L’ideale morale di Hegel diventa allora la soluzione della scissione tra ra­gione e sensibilità. Egli pone a se stesso il compito di unificare ragione e sensi­bilità, concependo la ragione non come una ‘fredda’ ragione, ma come avente in sé anche componenti sensibili, e la sensibilità non come ‘malvagia’, ma come in sé già razionale. In termini di moralità ciò significa che il senso dell’esistenza, indicato all’essere umano dalla ragione, non deve essere un imperativo, un co­mando interno o esterno all’essere umano, ma deve sorgere spontaneamente dalla sua stessa costituzione naturale.

Si tratta in sostanza della problematica relativa al tema dei dell’agire pratico, derivante dalla ricezione da parte di Hegel del contenuto del capitolo Dei moventi della ragion pura pratica, facente parte della Analitica della ragion pura pratica. Tale capitolo fu infatti al centro del dibattito sui fon­damenti della moralità che si svolse all’epoca nello Stift di Tubinga grazie so­prattutto alla sensibilità filosofica per questi temi del docente di filosofia Flatt e di diversi ripetitori, tra i quali per es. Rapp e Mauchart (228).

In diversi luoghi dei suoi scritti giovanili Hegel pone un’etichetta ben pre­cisa, sebbene non sempre in termini espliciti, alle dottrine morali del cristiane­simo istituzionale e di Kant: la prima è da lui giudicata, rispetto al proprio con­cetto della morale e della moralità, ‘soprannaturale’, in quanto pone il senso dell’esistenza umana in un altro mondo, una ‘soprannatura’ e non in questa natura, in questa vita; la seconda poi viene da lui ritenuta ‘antinaturale’, in quanto con­sidera il senso dell’esistenza umana come un comando che la ragione deve im­porre alla sensibilità e quindi all’aspetto naturale e materiale dell’essere umano.

La nuova morale deve essere allora, secondo il giovane pensatore svevo, una morale ‘naturale’, nel senso che essa deve indicare all’essere umano un senso della sua vita che sia radicato nella stessa sensibilità e non la mortifichi, in quanto questa appartiene anch’essa a pieno diritto alla ‘natura’ umana,. Tale senso della vita umana deve in sostanza essere impresso nella costituzione naturale sia sensibile sia razionale dell’essere umano, deve essere dunque la destinazione che l’essere umano, come ogni altro essere, ha in questa natura, in questo mondo. Il senso che l’essere umano deve dare alla propria esistenza deve essere insomma lo stesso senso che l’esistenza dell’essere umano ha ‘per natura’, vale a dire secondo il posto occupato dall’essere umano nel graduale sorgere dei vari generi e delle varie specie in seno allo sviluppo della natura.

Questo ideale, che Hegel elabora in questo periodo giovanile della sua vita e realizzerà (229) poi nel periodo della maturità tramite il sistema filosofico, corri­sponde al concetto della morale e della moralità che agiva in modo latente inconsapevole nella sua mente.

 

SECONDO MOMENTO
L’esigenza della comprensione della natura umana

Il compito della morale naturale è d’indicare all’essere umano il senso della sua esistenza basandosi unicamente sulla sua natura o essenza naturale. L’essere umano infatti è parte dell’universo ed ha in esso una propria destinazione natu­rale. Tale destinazione, come per ogni altro ente naturale, è impressa nella strut­tura della sua essenza o natura.

Da queste considerazioni di carattere sistematico sul concetto di morale e di naturalità deriva la seguente conclusione di carattere storico: Hegel ad un certo punto dello sviluppo del proprio pensiero giovanile ed in ogni caso dopo il concepimento dell’ideale morale naturale (230) dev’essersi confrontato con la questione squisitamente filosofica della determinazione dell’essenza o natura dell’essere umano (231). Infatti, se la nuova morale deve indicare all’essere umano una direzione, un senso dell’agire che siano basati non su comandi astratti ed innaturali, provenienti  da un’autorità divina esterna o da un’autorità razionale interna, ma si fondino invece sulla sua reale essenza o natura, occorre in primo luogo individuare quale sia tale essenza naturale dell’essere umano.

Ma che significa comprendere l’essenza naturale dell’essere umano? Ve­diamo di dare una risposta a questa domanda seguendo il ragionamento di Hegel, come lo si può ricavare dai testi giovanili di cui ci stiamo occupando nella nostra analisi del primo periodo dello sviluppo del suo pensiero.

 

TERZO MOMENTO

L’ideale hegeliano della fondazione
di una nuova religione popolare e razionale

1. Il concetto hegeliano della religione

 

Nelle proprie riflessioni intorno al concetto della morale Hegel si è sicuramente confrontato con la questione del senso della propria vita nonché ovviamente dell’essere umano in generale (232). Tale problematica corrisponde a quel momento spesso adolescenziale della vita di noi esseri umani in cui ci si chiede: che ne devo fare della mia vita? (233)

Questa ulteriore riflessione del giovane Hegel ha invece un carattere più te­orico, in quanto riguarda la determinazione dell’essenza naturale dell’essere umano, dunque la ricerca della propria identità, momentaneamente perduta in seguito alla crescita spirituale ed al superamento dell’infantile uguaglianza con sé (234). Questa problematica può essere sintetizzata nella domanda: che cosa sono io?

L’autocomprensione della ragione - poiché la ricerca dell’identità da parte dell’essere umano altro non è che la ragione che vuole comprendere se stessa - può avvenire con successo soltanto nel porsi in relazione col proprio diretto opposto: il mondo. Ritroviamo infatti in questa ricerca d’identità da parte dell’essere umano la stessa coppia di termini ed i relativi concetti in gioco nella problematica morale: l’essere umano e la natura. Nella problematica morale l’essere umano e la natura figurano come ‘spirito’ e ‘materia’; in questa nuova problematica, che è la problematica religioso-metafisica, l’essere umano e la natura figurano come ‘ragione’ e ‘mondo’.

A questo punto entrano dunque in gioco questi due concetti: ragione e mondo. La ragione è alla ricerca della conoscenza della propria identità; per pervenire a tale conoscenza, essa deve confrontarsi con il mondo. Da confronto del concetto della ragione e del concetto del mondo nell’essere umano, ossia nella stessa ragione, nasce una nuova domanda, che è un approfondimento della domanda precedente sull’identità dell’essere umano e costituisce la vera e propria domanda religioso-metafisica: qual è l’essenza, il principio primo del mondo?  Tale domanda è la stessa domanda di prima (che cosa sono io?), ma non più riferita soltanto alla ragione, bensì riferita al mondo: in effetti è il mondo che si chiede nell’essere umano: che cosa sono io? L’apparenza è che l’essere umano, singola parte della totalità di ciò che esiste, chieda a se stesso quale sia la propria essenza naturale, ossia cosa sia la propria ragione; la verità, nascosta in tale apparenza, è che l’essere umano è il tramite attraverso il quale la totalità di ciò che esiste - il mondo, l’universo - s’interroga su di sé, sulla propria essenza, sul proprio essere.

Il concetto contenuto nella domanda relativa al principio primo del mondo è il concetto in generale della religione o, il che è lo stesso, il concetto della metafisica (il concetto della religione, ossia la religione meno ciò che in essa vi è di rappresentativo e mitologico, è la metafisica) (235). Tale concetto contiene come suoi momenti unilaterali sia la determinazione dell’essenza dell’essere umano, quindi l’autocomprensione della ragione come parte del mondo, sia la determi­nazione dell’essenza del mondo, dunque dell’essere.

La determinazione di questi due concetti, il concetto della ragione ed il concetto del mondo, è dunque possibile soltanto all’interno della determinazione del principio primo del mondo, quale si presenta all’essere umano nella do­manda sulla propria identità, quando questa non sia formulata come semplice domanda relativa all’identità del proprio essere individuale specifico, avente un certo carattere, una certa storia individuale e così via, bensì relativa alla propria essenza universale, comune anche agli altri esseri umani, dunque alla ragione.

Tale determinazione dell’essenza dell’essere umano ed allo stesso tempo dell’essenza o principio primo del mondo costituisce il compito o concetto della religione come agiva implicitamente nel pensiero del giovane Hegel.

In conclusione, Hegel comprende che, se vuole conoscere l’essenza natu­rale dell’essere umano, deve anzitutto comprendere l’essenza o principio primo del mondo; soltanto una volta trovata la risposta alla domanda sull’archè del mondo, egli potrà essere in fase di rispondere alla domanda sull’essenza natu­rale dell’essere umano e quindi di concepire anche la nuova dottrina morale na­turale.

Il pensiero di Hegel ha raggiunto in tal modo una nuova fase del proprio sviluppo: dalla problematica morale, risolta con l’elaborazione dell’ideale della fondazione di una nuova dottrina morale, è passato alla problematica religiosa.

 

2. Hegel si confronta con le principali dottrine religiose dell’epoca

Una volta concepita la necessità di comprendere il rapporto ragione-mondo tra­mite una concezione del principio primo del mondo, quindi tramite una religione, Hegel confronta il proprio concetto della religione con le dottrine religiose e metafisiche dell’epoca (236).

Anche nel caso della dottrina religiosa i due sistemi di riferimento fonda­mentali erano allora la teologia protestante del cristianesimo istituzionale e la concezione filosofico-religiosa kantiana.

Il compito che la religione deve assolvere secondo il giovane Hegel è, come si è visto, comprendere il rapporto tra la ragione ed il mondo tramite la comprensione del principio primo del mondo, per dedurre poi da questa cono­scenza il concetto della natura umana. Il concetto del principio primo o essenza del mondo rappresenta infatti l’unione di essere umano e natura a livello reli­gioso di ragione e mondo. Solo sulla base di questa conoscenza l’essere umano può conseguire il proprio reinserimento nella natura, in quanto può conoscere la propria destinazione naturale, il senso della propria esistenza in questo mondo.

In base a questo ragionamento, a questo punto dello sviluppo del proprio pensiero Hegel valuta il valore delle due teorie religiose principali dell’epoca. Il metro del suo giudizio è il seguente: la teoria religiosa adatta a fondare la nuova morale naturale deve contenere una concezione del mondo che reinserisca la ragione nel mondo; essa deve cioè comprendere il principio primo del mondo. Il concetto del principio primo del mondo poi, reinserendo la ragione nel mondo, condurrà alla conoscenza dell’essenza naturale dell’essere umano e quindi consentirà, sul piano della morale, il reinserimento dello spirito nella materia.

La teoria religiosa della teologia cristiana protestante dell’epoca concepisce a giudizio di Hegel un principio del mondo - Dio - e quindi reinserisce da questo punto di vista la ragione nel mondo. Infatti il principio primo della religione cristiana, Dio, è l’attività razionale creatrice del mondo e la ragione umana ne è l’immagine terrena. Ragione e mondo quindi nella teologia cristiana non sono due entità separate, bensì due diversi aspetti dell’unica realtà, unificati dal fatto di avere un’unica causa comune: Dio.

Dunque la religione cristiana reinserisce la ragione nel mondo in quanto concepisce il principio primo del mondo. Questo reinserimento della ragione nel mondo avviene però nel cristianesimo in modo non del tutto razionale, in quanto il principio primo è immaginato con altre determinazioni, le quali non sono pu­ramente razionali, ma in parte anche sensibili, quindi soggettive. Pertanto il rein­serimento cristiano della ragione nel mondo non è completo, in quanto quelle ulteriori determinazioni del principio primo ne fanno un’entità difficilmente ac­cettabile dalla ragione umana illuminata.

La concezione religiosa kantiana (237) nel giudizio del giovane Hegel supera il limite della religione cristiana istituzionale, in quanto concepisce il principio primo del mondo in termini puramente razionali. D’altra parte essa perde del con­cetto del principio primo del mondo proprio la caratteristica fondamentale, ossia d’essere il principio comune del mondo e della ragione e quindi la loro unifica­zione. Il principio primo del mondo della metafisica critica di Kant, ossia la ra­gion pura, è infatti fondamento del mondo fenomenico, non di quello oggettivo. Essa è infatti il principio primo del mondo nel senso che consente, tramite le categorie, la conoscenza del mondo da parte del soggetto umano. Tale cono­scenza non si riferisce però al mondo nel suo essere in sé e per sé, bensì nel suo apparire alla ragione umana.

Di conseguenza, anche la metafisica critica kantiana non reinserisce del tutto la ragione nel mondo, ma lascia tra questi due aspetti una separazione, una frattura. Il soggetto umano, secondo questa dottrina, non ha infatti alcuna possi­bilità di pervenire ad una conoscenza oggettiva e sicura del principio primo del mondo e quindi di reinserirsi in tal modo del tutto in esso.


3. La nascita dell’ideale della fondazione

di una nuova dottrina religiosa popolare e razionale

Dal confronto del proprio concetto della religione con le due dottrine religiose fondamentali dell’epoca Hegel ne esce arricchito dell’ideale di una nuova dot­trina del rapporto ragione-mondo. Egli infatti unifica queste due concezioni, conciliando ciò che in esse v’è di conforme al proprio concetto della religione ed eliminando ciò che invece ne è difforme.

Sulla base delle considerazioni precedentemente fatte si può ricostruire il ragionamento di Hegel in questo modo: la dottrina religiosa del cristianesimo concepisce a dire il vero il principio primo del mondo e quindi conduce ad unità la ragione ed il suo opposto, il mondo; essa trasfigura però tale unità tramite una molteplicità di rappresentazioni soggettive e non la può pertanto dimostrare razionalmente. La metafisica critica kantiana, dal canto suo, affronta razionalmente la questione religiosa del principio primo del mondo, ma conduce ad un risultato il quale resta confinato all’interno dei limiti della soggettività umana.

La religione cristiana, in quanto concepisce un’unità oggettiva di ragione e mondo, seppur nei limiti indicati, è una (‘Volksreligion’) (238). Essa dà infatti alla problematica del principio primo del mondo una risposta tale da poter essere adottata dall’uomo comune e quindi da poter diventare la reli­gione di un popolo. Questa religione non è però ‘razionale’, dunque non è una ‘Vernunftreligion’, poiché esprime il concetto del principio primo del mondo nella forma rappresentativa e soggettiva della fede e non in quella concettuale ed oggettiva della ragione (239).

La filosofia religiosa kantiana, ossia la soluzione fornita da Kant alla que­stione del rapporto ragione-mondo, in particolare secondo le riflessioni del pen­satore di Königsberg esposte nella Religionsschrift (240), fornisce una risposta a questa problematica in termini puramente concettuali ed è quindi una religione razionale (241), una ‘Vernunftreligion’. Poiché essa però riduce il principio primo del mondo in ultima analisi a qualcosa di soggettivo e fenomenico, non è popolare, non può diventare ‘Volksreligion’, in quanto non può soddisfare l’esigenza comune ad ogni essere umano di farsi un’idea del principio primo del mondo e di reinserire così la propria ragione soggettiva nel mondo oggettivo.

Da questa analisi delle caratteristiche positive e negative delle due princi­pali soluzioni della problematica religiosa nella società del tempo nasce l’ideale religioso-metafisico hegeliano: il giovane studente di Tubinga concepisce infatti esplicitamente ed inequivocabilmente (242) l’ideale della fondazione in prima persona di una nuova religione, la quale sia popolare, come la religione cristiana, e razionale, come la concezione religiosa kantiana.

In quanto ‘popolare’, la nuova religione secondo le intenzioni di Hegel deve concepire un principio primo del mondo che sia oggettivo ed in tal modo soddisfi l’esigenza dell’uomo comune di dare una risposta alla domanda della ragione relativa all’essenza prima del mondo; in quanto ‘razionale’, la nuova re­ligione deve concepire tale principio primo del mondo in termini puramente concettuali, essa deve essere dunque un sapere e non una fede.

 

*

1.2.0

 

 

 

 

 

 

SECONDO PERIODO

(negazione prima)

 

Il processo di realizzazione
dell’ideale etico-religioso naturale,
popolare e razionale

 

Arco temporale: 1795 - 1802
Fonti principali: Vita di Gesù, testi di Francoforte,
Saggi critici e testi del primo periodo jenese

 

 

Considerazioni introduttive: Lineamenti dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel dal 1794 al 1802

 

Il primo periodo dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel si chiude tra la fine del 1793 e la prima metà del 1794, momento di stesura degli ultimi testi pervenutici, contenenti le riflessioni del giovane ‘Stiftler’ sulla problematica etico-religiosa a lui cara. Risultato di queste riflessioni è la formulazione dell’ideale della fondazione di una nuova dottrina etico-religiosa naturale, po­polare e razionale, la quale possa reinserire l’essere umano nella natura, in primo luogo a livello religioso di ragione e mondo, concependo razionalmente il prin­cipio primo del mondo, ed in secondo luogo a livello etico di spirito e materia, concependo in base al concetto della natura umana il senso naturale della vita dell’essere umano nel mondo.

Si è già visto che entrambe le soluzioni tradizionali di questa problematica, la religione cristiana istituzionale e la filosofia illuministico-kantiana, non ri­spettano a giudizio del giovane tutte le condizioni per un completo reinserimento dell’essere umano nella natura; proprio dalla critica dei lati nega­tivi di tali dottrine e dalla fusione dei loro aspetti positivi Hegel riesce però a comprendere le condizioni che devono essere rispettate dal nuovo principio reli­gioso (popolarità e razionalità) e dal nuovo ideale etico (naturalità).

Al termine di questo primo periodo dello sviluppo del proprio pensiero He­gel aveva appena ventiquattro anni, evidentemente un po’ pochi per fondare se­riamente una nuova dottrina etico-religiosa. Egli infatti nel secondo periodo compì un’operazione che dimostra la serietà e la profondità del suo carattere e che ebbe poi un’importanza decisiva per la sua successiva maturazione come filosofo. Tale operazione gli fornì infatti una base concettuale di pensiero speculativo, la quale a sua volta gli permise poi qualche anno dopo di fondare una nuova dottrina etico-religiosa realmente collegata alla storia dell’essere umano e quindi effettivamente adatta a diventare la terza forma di religiosità dell’umanità, dopo la religiosità politeista e quella monoteista.(243)

Fino all’età di 33 anni, nel silenzio della sua stanzetta, Hegel chiese consi­glio alla storia dell’umanità su come fondare la nuova religione, quali concetti usare come fondamento e così via. E la risposta non tardò a venire: la storia è in­fatti per l’essere umano quel che la terra è per l’albero. Come l’albero affonda le proprie radici in profondità nella terra ed attraverso di esse assimila il nutrimento per poter crescere e fortificarsi, così l’essere umano per fortificare il proprio spirito e crescere intellettualmente e moralmente deve ripercorrere le proprie radici nella storia, alla quale egli è fin dalla nascita saldamente legato, alla ricerca del nutrimento necessario alla propria crescita spirituale.

Questa operazione di scavo nella storia non solo etico-religiosa, ma anche filosofica dell’umanità alla ricerca dei fondamenti della nuova forma di religio­sità fu compiuta da Hegel negli anni 1794-1806. Ciò è documentato per gli anni dal 1794 al 1800 - dedicati principalmente all’approfondimento della storia reli­giosa - dai numerosi testi e frammenti pervenutici, riguardanti temi (244) quali La vita di Gesù (1794-95), La positività della religione cristiana (1795-96), Lo spi­rito del cristianesimo ed il suo destino (1797-99) nonché l’interessantissimo Frammento di sistema del 1800, un testo contenente riflessioni ad un tempo reli-giose e filosofiche. Per gli anni seguenti (1801-1806) - nei quali Hegel si con­frontò soprattutto con la storia filosofica dell’umanità -, questo processo è docu-mentato dai diversi scritti e manoscritti del periodo jenese, in particolare dalla Differenzschrift (1801), dal saggio Sulle diverse maniere di trattazione scienti­fica del diritto naturale (1802-03), dal Sistema dell’eticità (1802-03) nonché dai manoscritti sistematici delle diverse lezioni universitarie, in particolare quelle te-nute dal 1803 al 1806, ed infine da alcuni lavori preparatori alla Fenomenologia dello spirito (apparsa nel 1807).

Per quanto concerne il contenuto di pensiero, in questo secondo periodo del proprio sviluppo spirituale Hegel compì tre operazioni principali.

Anzitutto,  approfondendo la figura storica di Gesù, individua il messaggio fondamentale della sua dottrina di reinserimento dell’uomo nella natura. Egli estrae dalla massa enorme di concetti, fatti, verità, visioni etc., costituenti la struttura teorica e storica del cristianesimo, l’essenza di questa re­ligione, quindi il nucleo originario fondamentale del messaggio di Gesù (1794-95).

In secondo luogo, separa tale nucleo originario dalla condizioni storiche, ossia da ciò che vi fu aggiunto nel corso dello sviluppo storico succes­sivo (tale processo si svolse dal 1795 al 1797 circa).

In terzo luogo, il giovane pensatore trasforma, infine, in concetti filosofici delle verità fondamentali costituenti tale nucleo ed espresse da Gesù in forma rappresentativa, creando così grazie a quest’operazione i concetti fondamentali del proprio si­stema filosofico, ossia l’assoluto e l’eticità assoluta (dal 1797 al 1802/03).

Anche in questo secondo periodo lo sviluppo immanente del pensiero di Hegel mostra un chiaro andamento dialettico, articolantesi in tre fasi principali. L’individuazione del messaggio originario cristiano dell’amore è l’affermazione; la contrapposizione degli aspetti storici inautentici è la negazione prima; infine, la trasformazione delle rappresentazioni religiose nei rispetti concetti filosofici è la negazione della negazione. 

 

*

1.2.1

 

PRIMA FASE

(affermazione)
 

La comprensione del senso autentico della ‘divinità’

della persona storica di Gesù

 

Arco tenporale: 1795

Fonte principale: "La vita di Gesù"

 

Nella dottrina etico-religiosa che circa milleottocento anni prima nelle lontane terre della Palestina un essere umano, chiamato Gesù, aveva professato tanto co­raggiosamente da pagare con la morte il proprio amore per la verità, forse non immaginando neppure il destino universale che avrebbe avuto questo sacrificio, il giovane Hegel trova il proprio nutrimento spirituale. In essa egli rinviene ma­gistralmente unificate, seppur non ancora espresse in forma concettuale e filoso­fica, le tre condizioni necessarie fondamentali della nuova teoria etico-religiosa: la naturalità etica, la popolarità e la razionalità religiose.

Sin dagli scritti del 1794 il giovane Hegel distingue infatti la persona sto­rica di Gesù da quella di altri maestri (per es. Socrate).(245) In Gesù Hegel individua qualcosa che trasforma il significato della sua personalità. Gesù non è per lui un maestro tra altri maestri, ma ‘il maestro’ dell’umanità. In Gesù v’è, secondo il giovane filosofo di Stoccarda, qualcosa di divino, di irriducibile alla semplice elevatezza d’animo e purezza di sentimenti, proprie di ogni maestro.

Tale divinità della persona storica di Gesù non è però connessa ad un ipo­tetico legame di filiazione naturale da un altrettanto ipotetico Dio. Hegel era sin da questi primi anni del proprio sviluppo filosofico ben lontano da tali forme di fervida, ma poco filosofica, immaginazione religiosa. Questa è una considera­zione da tener sempre presente a proposito delle riflessioni filosofico-religiose dello Hegel sia giovane che maturo. La divinità di Gesù consiste a suo parere nell’aver intuito l’essenza dello spirito dell’essere umano e di conseguenza l’esatto rapporto esistente tra l’essere umano e la natura. Gesù cioè, secondo il giovane filosofo svevo, è stato il protagonista della rivelazione all’essere umano del significato autentico della sua esistenza, al di là del semplice appagamento degli istinti naturali; ed al di là di tale appagamento o godimento sensibile v’è appunto lo spirito ed una vita condotta in modo spirituale.

Ecco perché gli altri maestri dell’umanità a giudizio del giovane Hegel pos­sono insegnare diverse cose ed anche molto interessanti, ma non ‘quella’ cosa che all’essere umano principalmente interessa sapere: ha la sua vita un valore, un significato? Oppure essa è soltanto un gioco alterno di piacere e di dolore, di appagamento e di insoddisfazione, di noia e di divertimento?

Secondo il giovane pensatore dunque la persona storica di Gesù ha un si­gnificato divino in quanto il fondatore del cristianesimo ha compreso l’essenza dello spirito e di conseguenza il senso, il significato spirituale dell’esistenza umana nel mondo e contemporaneamente, come vedremo nell’ultimo capitolo di questo lavoro, anche il senso del mondo.

Tale risultato Gesù l’ha ottenuto tramite il concepimento dell’ideale etico dell’avvento del regno di Dio sulla terra e del principio religioso-metafisico dell’amore universale; questi due concetti insieme costituiscono la struttura fonda­mentale della dottrina etico-religiosa con la quale Gesù, a giudizio del giovane Hegel, è riuscito a reinserire almeno in parte l’essere umano nella natura.

Analizziamo ora nei particolari il significato di tale dottrina.

 

 

PRIMO MOMENTO

 

La dottrina morale di reinserimento dello spirito nella materia:

l’ideale etico dell’avvento del regno di Dio


Il concetto o, meglio, la rappresentazione dell’avvento del regno di Dio sulla terra è l’ideale etico col quale Gesù ha reinserito l’essere umano nella natura a livello di spirito e materia. L’avvento del regno di Dio è infatti il senso che l’umanità deve dare alla propria esistenza; tale senso conferisce allo spirito una determinazione, dunque un contenuto alla vita dell’essere umano, reinserendolo così nella vita della natura, in cui ogni ente ha la propria sfera di attività e quindi di azione. Facendo proprio l’ideale dell’avvento del regno di Dio lo spirito dell’essere umano cessa di essere una vuota possibilità e diventa un’effettiva re­altà.

L’avvento del regno di Dio non dev’essere interpretato come una situa­zione futura della società umana, provocata da un’entità esterna ad essa, bensì come una situazione presente e futura terrena, esclusivamente frutto dell’azione umana. Ciò significa che è la stessa umanità a poter e dover creare sulla terra il regno di Dio, inteso come la situazione di vita in cui non governa più la cieca necessità meccanica della materia e tra gli esseri umani l’odio e la guerra, ma nella quale al contrario le redini del movimento della vita, il divenire, vengono prese dallo spirito, il quale crea un ordine sociale fondato sull’amore e la pace.

Tale ideale etico cristiano originario dell’avvento del regno di Dio senz’altro non è ‘soprannaturale’, in quanto il regno di Dio deve aver luogo nella vita terrena degli uomini. Occorre ora riflettere sull’importante questione, se, a parere di Hegel, si tratti di un ideale etico ‘naturale’, ossia se si fondi o meno sul concetto della natura umana.
 

 

SECONDO MOMENTO

 

Il concetto della natura umana

implicito nel messaggio originario di Gesù

 

La caratteristica dello spirito consiste nel dare un senso alla vuota possibilità del tempo, ossia alla meccanicità automatica della materia, e così, attraverso la pro­pria capacità progettuale, nel superare il dominio che la cieca necessità della materia esercita sull’essere umano. Tal è per es. il significato dei miracoli. Essi offrono un’immagine di quel che l’essere umano vorrebbe fare di se stesso, sfruttando al massimo la propria spiritualità: curare malattie mortali, moltiplicare i beni necessari alla vita e così via. Queste sono tutte manifestazioni di superamento da parte dell’essere umano dei limiti materiali della propria esistenza.

Quel che nel cristianesimo originario è stato tramandato in forma immagi­nativa come ‘miracolo’ non è allora altro che l’espressione del desiderio naturale dello spirito di sconfiggere la necessità della materia, causa d’infelicità. Lo svi­luppo della medicina e della produzione agricola intensiva nonché dell’industria alimentare, tanto per fare alcuni esempi, non sono altro che le forme moderne, non immaginative ma concrete e reali, dei corrispondenti miracoli di Gesù. Que­sti miracoli, ovviamente non avvenuti, hanno comunque rappresentato un grande ideale spirituale, che ha dato e sta dando ancora ad una parte non piccola del-l’umanità uno scopo, una meta da realizzare. Non è quindi un caso che la rivolu­zione industriale sia avvenuta proprio in paesi a tradizione cristiana, e ciò non solo per i motivi addotti da Max Weber nel suo celebre e validissimo studio su L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, ma anche per i motivi qui ad­dotti, ossia per l’enorme spinta, presente nel messaggio cristiano, al supera­mento dei limiti della natura tramite lo sfruttamento delle potenzialità presenti nello spirito umano.

La realizzazione dell’ideale dell’avvento del regno di Dio ha quindi il suo artefice nello spirito dell’essere umano, nella sua capacità di dare un senso alle cose ed al tempo e di superare in tal modo i limiti della materia. Da questo punto di vista lo spirito partecipa della stessa natura di Dio: esso crea, nel senso di una seconda creazione. Dio crea infatti la materia e poi lo spirito a propria imma­gine; lo spirito poi ricrea e modifica la materia, conferendole un senso conforme ai propri bisogni e desideri.

La dottrina etica originaria di Gesù si fonda dunque su di un concetto della natura umana come spirito creatore, copia perfetta, quantunque in forma finita e mortale, della creatività divina. Si tratta del concetto della ragione intesa come ‘scintilla divina’, come si esprime Hegel introducendo il proprio studio La vita di Gesù:

 

“La ragione pura incapace di ogni limite è la divinità stessa. [...] Tra gli ebrei fu Giovanni che rese di nuovo attenti gli uomini a questa loro dignità, che [...] essi dovevano cercare in se stessi, [...], nello sviluppo della scintilla che era stata loro partecipata e che dava loro te­stimonianza di esser discesi in un senso più elevato dalla divinità stessa” (SG 1, p. 331).

“Die reine aller Schranken unfähige Vernunft ist die Gottheit selbst.[...] Unter den Juden war es Johannes, der die Menschen wieder auf diese ihre Würde aufmerksam machte – die ihnen nichts fremdes sein sollte, sondern  die [sie] in sich selbst, ihrem wahren Selbst, nicht in der Abstammung, nicht in dem Triebe nach Glükseeligkeit, nicht darin suchen sollten, Diener eines großgeachteten Mannes zu seyn, sondern in der Ausbildung des göttlichen Funkens der ihnen zu theil geworden ist, der ihnen, das Zeugnis gibt, daß sie in einem erhabnern Sinne von der Gottheit selbst abstammen.”

(GW 1, 207, 1-11)

 

Sulla base di questa concezione della natura umana si può allora concludere che, secondo il giovane filosofo, la dottrina etica originaria di Gesù è naturale, in quanto l’ideale di vita, ch’essa indica all’essere umano, è espressione e realizza­zione della sua essenza naturale.
 

 

TERZO MOMENTO

La dottrina religiosa di reinserimento della ragione nel mondo:

il principio religioso dell’amore universale

 

La concezione della ragione come ‘scintilla divina’, fondamento della dottrina etica di Gesù, è il risultato della sua dottrina religiosa. Gesù infatti poté reinse­rire l’essere umano nella natura a livello etico di spirito e materia in quanto lo aveva già reinserito in essa a livello religioso di ragione e mondo grazie al con­cepimento del principio dell’amore universale.

L’amore è il rapporto che lega Dio, il creatore, al mondo, il creato. Dio ha creato il mondo con amore nel senso che ha fornito i vari organismi del mondo, le creature, dei requisiti necessari per adempiere alle proprie funzioni vitali. In particolare, per quanto riguarda l’essere umano, Dio lo ha creato a propria im­magine e somiglianza, nel senso che lo ha creato per la più alta funzione dell’universo, la funzione creatrice ed etica: a questo scopo lo ha fornito dello spirito, che è strutturalmente identico alla stessa essenza spirituale creatrice di­vina.

Tramite questa concezione Gesù, secondo il giovane Hegel, ha reinserito l’essere umano nella natura a livello religioso di ragione e mondo, ponendo così i fondamenti religioso-metafisici per il reinserimento anche a livello etico. L’essere umano infatti non pone a se stesso arbitrariamente lo scopo della pro­pria esistenza, ma è la stessa costituzione umana ad essere portatrice di questo compito,(246) ossia della costruzione, grazie allo spirito, inteso come facoltà teoretica e soprattutto pratica creatrice di significati, del regno di Dio sulla terra.

La dottrina etica originaria di Gesù è, come s’è appena visto, ‘naturale’; c’è ora da chiedersi se la sua dottrina religiosa rispetti le condizioni dell’ideale reli­gioso del giovane Hegel, dunque se essa sia popolare e razionale.

Essa è senz’altro ‘popolare’, in quanto concepisce una causa o principio primo del mondo (Dio) e quindi soddisfa l’esigenza naturale dell’essere umano di reinserirsi come ragione in esso, tramite appunto il concepimento del princi­pio primo del mondo; ma tale dottrina è anche razionale? La risposta a questo interrogativo condusse Hegel ad ulteriori, interessantissime riflessioni, che sarà molto utile approfondire.

 

*

1.2.2

 

SECONDA FASE

(negazione prima)

 

La comprensione della ‘storicità’ di Gesù

e del destino ‘positivo’ del suo messaggio

 

Arco temporale: 1795-1797

Fonti principali: Testi sul concetto di ’positività’ del cristianesimo

 

Per comprendere se l’ideale etico di Gesù sia o non naturale, Hegel lo pose a confronto con il proprio ideale di una moralità naturale; per quanto riguarda la popolarità del principio religioso del messaggio originario di Gesù, sembra che il giovane Hegel non abbia mai avuto dubbi sul fatto che questa dottrina sia po­polare, in quanto capace di diventare una teoria religiosa dell’essere umano co­mune; a proposito della razionalità della dottrina religiosa di Gesù, Hegel con­frontò infine il principio religioso di questa dottrina con il corrispondente prin­cipio filosofico-religioso illuministico-kantiano. Questo confronto avvenne a partire all’incirca dalla seconda metà dell’anno 1795 ed ebbe come risultato immediato i frammenti relativi al tema La positività della religione cristiana, scritti tra la metà del 1795 e la fine del 1796.(247) La questione della razionalità del messaggio originario di Gesù si pose esplicitamente a Hegel come il problema dell’origine della ‘positività’ di que­sta religione. Con il termine ‘positività’ di una dottrina il filosofo di Stoccarda si riferisce al fatto che l’autorità di questa non si fonda su argomentazioni di tipo ideale e razionale, bensì di tipo materiale e fattuale.

L’esistenza per es. della chiesa cristiana con la sua struttura ben definita, i vari principi già inseriti in un sistema di spiegazione di tutti gli avvenimenti, an­che di quelli che, in condizioni di libero esercizio della ragione, non si preste­rebbero ad una spiegazione logica - come per es. i miracoli -, non rappresenta in sé una verità da sottoporre a libera discussione e che si possa eventualmente ‘negare’, bensì un insieme di fatti materiali, quali per es. il rapporto di filiazione di Gesù con Dio, la resurrezione di Gesù e così via, di principi morali rigidi e relativi comportamenti prescritti e regolamentati, che possono venir soltanto re­cepiti, accettati ed eseguiti (o ovviamente respinti), ma non apertamente di­scussi secondo il libero procedimento del pensiero.

Un tale tipo di autorità, fondantesi in ultima analisi soltanto sul potere della tradizione e dell’istituzione, è in sintesi ciò che il giovane filosofo svevo indica con il termine ‘positività’.(248)

Se il contenuto naturale e popolare della predicazione originaria di Gesù non è tale da giustificare la forma positiva, dunque autoritaria, da cui questa religione è stata via via viziata nel corso dei secoli, qual è stato allora l’elemento che ha condotto a tale positività? Si tratta insomma della questione se la reli­gione cristiana sia stata viziata fin dal suo sorgere da una possibile caduta nella positività oppure se questo aspetto le si sia accidentalmente aggiunto nel corso della sua storia.

Il concetto fondamentale, che Hegel cerca di dimostrare nei frammenti co­stituenti lo studio citato, è che la positività del cristianesimo sia legata alla stessa nascita di questa religione ed in particolare ad alcune circostanze storiche, le quali però non costituiscono i tratti essenziali, bensì soltanto quelli accidentali di essa. Tali circostanze, soprattutto dovute alle origini ebraiche della religione cri­stiana, a giudizio di Hegel hanno provocato nel corso della storia la sovrapposi­zione dell’aspetto rappresentativo del messaggio originario di Gesù sull’aspetto concettuale.(249)

Gesù ha espresso infatti, a giudizio del giovane pensatore, il contenuto della propria intuizione etico-religiosa, eternamente vero in quanto naturale, nella forma propria dello spirito del suo popolo e del suo tempo: la forma dell’immaginazione o rappresentazione. Egli ha costruito paragoni, usato simboli, creato parabole e così via. Alla sua morte i suoi discepoli, di origine ebraica, posero a fondamento delle proprie interpretazioni del messaggio di Gesù più la forma di espressione che non il contenuto di esso. Così nacque e poi via via si diffuse la forma rappresentativa, istituzionale e dunque positiva, in cui il messaggio di Gesù, originariamente naturale, è stato tramandato nel corso dei secoli ed ancora era tramandato all’epoca di Hegel (e in questa forma, fatti i dovuti ‘distinguo’, esso è tutto sommato tramandato ancora oggi!).

Possiamo allora finalmente comprendere ora quale sia la risposta che Hegel diede alla questione della razionalità della dottrina religiosa di Gesù già in questi primi anni delle proprie meditazioni filosofico-religiose. La risposta a tale que­stione lo condusse a concepire per la prima volta quella importantissima distinzione tra la forma rappresentativa e quella concettuale della conoscenza, che poi resterà alla base di tutta la sua filosofia, soprattutto dal punto di vista della teoria della conoscenza.(250) Il concetto fondamentale di tale distinzione è il seguente: sia la rappresentazione sia il concetto sono due forme di conoscenza, quindi di rapporto gnoseologico tra soggetto ed oggetto. La rappresentazione comprende l’oggetto mescolando determinazioni, che non ne costituiscono l’essenza ma soltanto tratti accidentali o sono addirittura fantasie soggettive ed arbitrarie del soggetto, ad altre determinazioni, le quali ne esprimono l’essenza. Il concetto riesce al contrario a far emergere l’essenza pura dell’oggetto com’esso è in sé e per sé e ad unificare quindi completamente l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della conoscenza. Nella rappresentazione, invece, soggetto ed oggetto non riescono mai a fondersi in uno e questo è appunto il ‘destino’ in generale di ogni forma di conoscenza religiosa.(251)

In conclusione allora la dottrina etico-religiosa di Gesù è razionale soltanto nel senso della razionalità propria della rappresentazione, ossia, come Hegel si esprimerà più tardi, nel senso del secondo fase della conoscenza.(252)

Da questa insufficienza dell’aspetto razionale della dottrina religiosa origi­naria di Gesù, insufficienza che riguarda la forma d’espressione e non il conte­nuto essenziale della medesima, nasce pertanto nello spirito del giovane filosofo l’esigenza di comprendere e di esprimere tale contenuto essenzialmente vero nella forma propria del concetto.

 

*

 

1.2.3.0

 

 

TERZA FASE

(negazione seconda)

 

Traduzione delle rappresentazioni religiose fondamentali

del messaggio originario di Gesù nei rispettivi concetti filosofici

 

Arco temporale: 1797/98-1802/03

Fonti pricipali: Frammenti sull’amore; 

Sulla differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling;
Sulle maniere di trattazione scientifica del diritto naturale

 

Nel 1797 Hegel è quindi giunto a questo primo risultato circa la questione della razionalità della dottrina etico-religiosa originaria di Gesù: la forma rappresen­tativa, positiva ed ‘irrazionale’, in quanto superstiziosa, di questa dottrina non ne costituisce l’essenza ma ne è un aspetto accidentale dovuto alla sua forma espo­sitiva, a sua volta legata alle origini ebraiche di tale religione.

Nei due anni seguenti Hegel continua in queste sue riflessioni sulla razio­nalità della dottrina etico-religiosa di Gesù e redige alcuni frammenti tramanda­tici dal Nohl con il titolo unitario Lo spirito del Cristianesimo ed il suo destino (1797-99), che però, pur individuando il contenuto fondamentale di tali testi, non può essere in alcun caso attribuito a Hegel.

Questi frammenti, così come il corso del pensiero di Hegel in questi due anni, rivelano un duplice aspetto, storiografico e filosofico:

 

  • da una parte essi costituiscono infatti una sintesi storica delle riflessioni e delle conclusioni del giovane filosofo sulle origini della religione cristiana;

  • dall’altra parte tali frammenti segnano contemporaneamente l’inizio della co­struzione filosofica della nuova teoria etico-religiosa hegeliana, la quale avrà poi una prima realizzazione nel primo sistema filosofico completo, anche se non ancora definitivo, del 1805/06.

Il livello storiografico, che dà il tono generale ai frammenti e costituisce il li­vello più emergente nello sviluppo del pensiero di Hegel in questi due anni, è costituito dalla sintesi cui Hegel pervenne sulle origini della religione cristiana. Tale sintesi è anche il giudizio finale che il giovane pensatore espresse su questa dottrina dopo almeno quattro anni di profonda riflessione, gli ultimi due dei quali dedicati unicamente al confronto tra il cristianesimo originario e quello de­rivato. Tale giudizio costituisce dunque la risposta definitiva e completa che egli diede alla domanda sulla razionalità del messaggio originario di Gesù, la quale gli si era posta dopo la stesura della Vita di Gesù.

Hegel individua due componenti compresenti nella predicazione originaria di Gesù: la prima è costituita dal contenuto eternamente vero del suo messaggio ed è ciò che egli definisce lo ‘spirito’ del cristianesimo (si tratta del contenuto di questa dottrina, già compreso con le riflessioni del 1794-1795); la seconda com­ponente è invece costituita dalla forma con cui Gesù aveva concepito ed espresso il messaggio eternamente vero della propria dottrina. Questa forma non è eternamente vera, bensì relativa al periodo storico della sua apparizione. Si tratta della forma rappresentativa o mitologico-simbolica, da Hegel già indivi­duata tramite le riflessioni condotte nei frammenti dedicati alla Positività della religione cristiana. Tale forma si è sostituita nel corso dei secoli come valore di verità al contenuto, da essa espresso, trasformando il messaggio originario di Gesù da ‘naturale’ in ‘positivo’. Come il contenuto del messaggio di Gesù co­stituisce lo ‘spirito’ del cristianesimo, così la forma rappresentativa e positiva ne costituisce il ‘destino’, legato, come si è visto, non al contenuto della dottrina etico-religiosa di Gesù, ma alle condizioni storiche della sua nascita.

Queste riflessioni segnano dunque la conclusione del processo di approfon­dita analisi del cristianesimo, che il giovane, ma già estremamente profondo fi­losofo condusse al fine di pervenire ad un giudizio storicamente e scientifica­mente fondato e quindi definitivo su tale religione. Ormai non gli restava dun­que che abbandonare il sentiero della storia e seguire quella della riflessione teo­retica, ossia passare alla costruzione di una nuova teoria etico-religiosa, la quale fosse scevra di quei ‘difetti’ propri della dottrina cristiana che l’hanno ‘desti­nata’ ad un’inevitabile positività. Questo sarà il senso dello sviluppo successivo del pensiero di Hegel.

Infatti, parallelamente all’elaborazione del giudizio sintetico sul rapporto tra ‘spirito’ naturale e ‘destino’ positivo del cristianesimo Hegel comincia negli stessi anni, ossia intorno al 1797-98, ad elaborare i concetti fondamentali della propria dot­trina etico-religiosa. Quest’operazione costituisce il secondo livello dei fram­menti del periodo in questione, il livello filosofico. Esso consiste nell’enuclea-zione dei concetti filosofici relativi dalle rappresentazioni religiose fondamentali del cristianesimo originario. Hegel infatti elabora tali concetti a partire dalle rappresentazioni dell’amore universale e dell’avvento del regno di Dio, la cui forma d’espressione egli traduce da rappresentativa in concettuale.

Il contenuto logico dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel in que­sta lunga seconda fase del secondo periodo (1798 - 1803) è dunque formato dai differenti stadi attraverso i quali il pensatore svevo tradusse le rappresentazioni base della dottrina etico-religiosa di Gesù nei rispettivi concetti. Si tratta di tre stadi, il primo dal 1797-98 al 1799, il secondo nel 1800 ed il terzo infine dal 1801 al 1803.

Alla fine di questo processo Hegel pervenne al concepimento sia del prin­cipio religioso popolare e razionale che dell’ideale etico naturale della nuova te­oria etico-religiosa, la cui fondazione egli si era proposto sin dal periodo di Tu­binga. Questo è infatti il momento in cui Hegel poté riemergere dalla sua ‘im­mersione’ nella storia e cominciare così a realizzare il proprio ideale giovanile. La storia ha fornito il nutrimento all’essere-umano che umilmente le ha chiesto consiglio.

Prima di ripercorrere le radici cristiane del proprio pensiero, Hegel aveva il problema di concepire un principio religioso-metafisico di reinserimento della ragione nel mondo che fosse popolare e razionale; a sua volta tale principio gli serviva per conoscere l’essenza dello spirito e quindi per formulare la nuova mo­rale naturale, suo ideale fondamentale ed originario. Tra il principio religioso-metafisico e l’ideale etico, come abbiamo visto a proposito del primo periodo dello sviluppo del pensiero hegeliano, esiste un preciso rapporto logico: la for­mulazione dell’ideale etico dipende infatti dalla comprensione del principio reli­gioso. Così anche in quest’operazione di traduzione delle rappresentazioni cri­stiane nei rispettivi concetti filosofici ogni fase della trasformazione della rap­presentazione dell’ideale etico dipende dalla corrispondente trasformazione della rappresentazione del principio religioso-metafisico.

 

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1.2.3.1

 

PRIMO STADIO

(affermazione)

 

La nascita dell’ontologia dialettica

 

Arco temporale: 1797/98-1799

Fonti pricipali: Testi sullo Spirito del Cristianesimo,
in particolare frammenti sull’amore

 

Vediamo ora il contenuto del primo stadio di quest’operazione di traduzione compiuta da Hegel della rappresentazione religioso-metafisica dell’amore uni­versale e di quella etica dell’avvento del regno di Dio, che insieme costituiscono, a giudizio del filosofo di Stoccarda, lo ‘spirito’ del messaggio di Gesù.

 

 

PRIMO MOMENTO

Traduzione del principio religioso:

dalla rappresentazione dell’amore universale

al concetto dell’unità degli opposti

 

In base alla dipendenza dell’ideale etico dal principio religioso-metafisico, il primo passo in questo processo di traduzione delle rappresentazioni cristiane nei rispettivi concetti filosofici Hegel lo compie relativamente alla comprensione del concetto operante nella rappresentazione dell’amore universale.

Il concetto fondamentale che domina questo fase è il seguente: l’amore, qualsiasi forma d’amore, ha la capacità di unificare due opposti.

Così egli si esprime a riguardo:

 

“[...] L’amore è la viva relazione delle essenze stesse. [...]. L’amore stesso non esprime alcun dovere, non è un universale contrapposto ad un particolare, non è unità del concetto, ma unicità dello spirito, divinità. Amare Dio è sentirsi nel tutto della vita, sentirsi senza limiti nell’infinito; e in questo sentimento del-l’armonia non vi è mai universalità, poiché nell’armonia il particolare non è in contrasto, ma concorde, altrimenti non sarebbe armonia. [...] Solo l’amore non ha limiti. Ciò che esso non ha unito, non è per lui oggettivo; l’ha tra­scurato o non l’ha ancora sviluppato, ma non gli è opposto”.(253) 

(STG, 408-409)

“[…] denn sie ist die lebendige Beziehung der Wesen selbst; […] die Liebe selbst spricht kein Sollen aus; sie ist kein einer Besonderheit entgegengesetztes Allgemeines; nicht eine Einheit des Begriffs, sondern Einigkeit des Geistes, Göttlichkeit; Gott lieben ist sich im All des Lebens schrankenlos im Unendlichen fühlen; in diesem Gefühl der Harmonie ist freilich keine Allgemeinheit; denn in der Harmonie ist das Besondere nicht widerstreitend, sondern einklingend, sonst wäre keine Harmonie;[…] nur die Liebe hat keine Grenze; was sie nicht vereinigt hat, ist ihr nicht objektiv, sie hat es übersehen oder noch nicht entwickelt, es steht ihr nicht gegenüber.“ (W 1, 362-363)

 

Il filosofo svevo è ancora più esplicito nel frammento...welchem Zwecke denn alles Übrige dient...,(254) giustamente tramandato dal Nohl con il titolo Die Liebe in quanto dedicato espressamente a questo tema:

 

“Unificazione vera, amore vero e proprio, ha luogo solo fra viventi che sono uguali in po­tenza, e che quindi sono viventi l’uno per l’altro nel modo più completo, e per nessun lato l’uno è morto rispetto all’altro. L’amore esclude ogni opposizione; esso non è intelletto le cui relazioni lasciano sempre il molteplice come molteplice e la cui stessa unità sono delle opposizioni; esso non è ragione, che op­pone assolutamente al determinato il suo de­terminare; non è nulla di limitante, nulla di limitato, nulla di finito. L’amore è un senti­mento, ma non un sentimento singolo: dal sentimento singolo, poiché è solo vita parziale e non vita intera, la vita si spinge fino a scio­gliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità. Nell’amore questo tutto non è contenuto come somma di parti parti­colari, di molti separati; nell’amore si trova la vita stessa come duplicazione di se stessa e come sua unità; partendo dall’unità non sviluppata, la vita ha percorso nella sua formazione il ciclo che conduce ad un’unità completa. Di contro all’unità non sviluppata stavano la possibilità della separazione e il mondo; durante lo sviluppo la riflessione produceva sempre più opposizioni che venivano unificate nell’impulso soddisfatto, finché la riflessione oppone all’essere-umano il suo stesso tutto, l’amore infine, distruggendo completamente l’oggettività, toglie la riflessione, sottrae all’opposto ogni carattere di estraneità e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nell’amore rimane ancora il separato, ma non più come separato bensì come unito; ed il vivente sente il vivente”

(STG, 529-530).

„Wahre Vereinigung, eingentliche Liebe findet nur unter Lebendigen statt, die an Macht sich gleich und also durchaus füreinander Lebendige, von keiner Seite gegeneinander Tote sind; sie schließ alle Entgegensetzungen aus, sie ist nicht Verstand, dessen Beziehungen das Mannigfaltige immer als Mannigfaltiges lassen und dessen Einheit selbst Entgegensetzungen sind; sie ist nicht Vernunft, die ihr Bestimmen dem Bestimmten schlechthin entgegensetzt; sie ist nichts Begrenzendes, nichts Begrenztes, nichts Endliches, sie ist ein Gefühl, aber nicht ein einzelnes Gefühl; aus dem einzelnen Gefühl, weil es nur ein Teilleben, nicht das ganze Leben ist, drängt sich das Leben durch Auflösung zur Zerstreuung in der Mannigfaltigkeit der Gefühle und um sich in diesem Ganzen der Mannigfaltigkeit zu finden; in der Liebe ist dies Ganze nicht als in der Summe vieler Besonderer, Getrennter enthalten; in ihr findet sich das Leben selbst, als eine Verdoppelung seiner selbst, und Einigkeit desselben; das Leben hat, von der unentwickelten Einigkeit aus, durch die Bildung den Kreis zu einer vollendeten Einigkeit durchlaufen; der unentwickelten Einigkeit stand die Möglichkeit der Trennung und die Welt gegenüber; in der Entwicklung produzierte die Reflexion immer mehr Entgegengesetztes, da sim befriedigten Triebe vereinigt wurde, bis sie das Ganze des Menschen selbst ihm entgegensetzte, bis die Liebe die Reflexion in völliger  Objektolosigkeit aufhebt, dem Entgegengesetzten allen Charakter eines Fremden raubt und das Leben sich selbst ohne weiteren Mangel findet. In der Liebe ist das Getrennte noch, aber nicht mehr als Getrenntes, [sondern] als Einiges, und das Lebendige fühlt das Lebendige.”  (W 1, 245-246)

 

Era necessario citare in modo completo questi passi poiché in essi si trova in modo chiaro ed inequivocabile la formulazione originaria della dialettica. Con­cetti come ‘eliminazione dei limiti’, ‘superamento del finito’, ‘toglimento della riflessione’ etc. sono familiari al conoscitore del pensiero hegeliano ma­turo ed in particolare della Scienza della logica, in quanto essi si ritrovano non solo con lo stesso significato, ma persino nella stessa formulazione linguistica un po’ dappertutto in tale parte del sistema filosofico hegeliano.

L’unica differenza tra la concezione della dialettica presente in questi frammenti giovanili e quella del sistema filosofico della maturità riguarda il concetto di ‘ragione’, che Hegel in questo fase dello sviluppo del proprio pensiero non ha ancora separato dal concetto di ‘intelletto’, come risulta dalla prima parte del secondo passo citato; nella Scienza della Logica invece, quando egli avrà ormai lasciato alle spalle l’operazione di traduzione delle rappresenta­zioni del cristianesimo nei rispettivi concetti, sarà il concetto di ‘ragione’, ov­viamente secondo un significato del tutto nuovo ed originale nella storia della filosofia, ad assumere la funzione unificatrice, attribuita nei frammenti franco­fortesi all’amore.

In questo fase Hegel esprime dunque nel concetto di ‘amore’ ogni pos­sibile forma di superamento delle opposizioni e quindi di unificazione. Il tipo  d’amore, che qui occorre sottolineare, è in particolare il rapporto che lega, nella dottrina religiosa di Gesù, Dio alle creature. L’amore è il principio secondo il quale Dio ha creato il mondo. Secondo tale principio i singoli organismi sono stati creati l’uno per l’altro e v’è quindi un rapporto di stretta interdipendenza reciproca. Questo rapporto costituisce la razionalità che è alla base della natura. Essa è il risultato dell’agire di Dio secondo il principio dell’amore e dunque l’unità che è al fondo dei rapporti tra i molteplici e diversi organismi del mondo. Questi organismi sembrano opposti, ma in realtà sono uniti, unificati.

Tal è il concetto fondamentale di questo primo fase dell’operazione d’enucleazione del concetto filosofico insito nella rappresentazione cristiana dell’amore. L’amore di Dio verso le creature, principio religioso-metafisico della dottrina di Gesù, diventa quindi il concetto della razionalità unificatrice in­sita al processo di costruzione della natura. Questa razionalità si manifesta come unità degli opposti e come loro dipendenza reciproca, fondamento della loro ap­parente opposizione.

Come già detto, si tratta dell’origine del concetto della dialettica ed in par­ticolare della formulazione originaria del valore ‘ontologico’ che poi avrà nella filosofia matura di Hegel ed in particolare nella sua logica il concetto dell’’idea’.

In questo primo fase dell’operazione di traduzione concettuale condotta sulla rappresentazione religioso-metafisica della dottrina di Gesù, Hegel ha po­sto infatti le basi per la formulazione del concetto dell’idea logica (o assoluto). Egli ha cominciato cioè ad enucleare dalla rappresentazione cristiana dell’amore universale il concetto filosofico in essa contenuto; questo concetto sarà poi, al termine di questo processo di enucleazione, l’assoluto o idea logica.

Il concetto implicito nella rappresentazione dell’amore universale è dunque l’unità degli opposti, la razionalità unificatrice giacente al fondo del processo di costruzione del mondo. È la dialettica universale, il principio di costruzione non soltanto interno all’universo temporalmente e spazialmente limitato che nella se­rie evolutiva ha come figura provvisoriamente ultima l’essere umano, ma dell’essere in quanto essere, indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui questa costruzione avvenga. Ulteriori chiarimenti su questo valore ontologico dell’idea saranno forniti a proposito del primo momento del terzo periodo, in cui verrà di­scusso appunto tale concetto. Ciò che occorreva sottolineare già in questo fase era come questo concetto della dialettica o razionalità universale fosse sorto dalla comprensione ed espressione concettuale da parte di Hegel del principio religioso-metafisico dell’amore universale, tramite il quale Gesù aveva reinse­rito l’essere-umano nella natura a livello di ragione e mondo.

Vediamo ora il corrispondente passo compiuto da Hegel nella trasforma­zione della rappresentazione etica dell’avvento del regno di Dio nel relativo concetto.

 

SECONDO MOMENTO

 

Traduzione dell’ideale etico:

dalla rappresentazione dell’avvento del regno di Dio

al concetto della comunità

 

In corrispondenza con la formulazione del principio religioso dell’amore univer­sale come unità degli opposti in senso ontologico, Hegel compie una serie di ra­gionamenti dialettici sulla rappresentazione cristiano-originaria dell’avvento del regno di Dio. Nasce in questi anni il primo nucleo della futura Filosofia dello spirito oggettivo, la quale, come si vedrà in seguito, costituisce il nucleo origina­rio e non a caso anche più significativo della Filosofia dello spirito. Si tratta di applicazioni isolate del principio ontologico dell’unità degli opposti a contenuti relativi al concetto della comunità umana, quindi all’universo etico da Gesù de­finito, nel suo aspetto ideale, ‘regno di Dio’. Per dare una prima idea del conte­nuto concettuale di questo fase sarà senz’altro utile indicare subito i primi con­cetti ai quali Hegel applicò il principio ontologico dell’unità degli opposti.

In primo luogo egli applicò tale principio al concetto del rapporto genitori-figlio, la cui trattazione compare per la prima volta nel già citato frammento sull’amore (...welchem Zwecke denn alles Übrige dient...) e poi ritornerà in modo più o meno approfondito nelle varie stesure successive della Filosofia dello spi­rito oggettivo.(255)

 

“Poiché l’amore è un sentimento del vivente, gli amanti possono distinguersi solo in quanto sono mortali, solo in quanto pensano questa possibilità di separazione, non in quanto siano realmente qualcosa di separato, non in quanto il possibile congiunto con un essere sia qual­cosa di reale. Negli amanti non vi è materia, essi sono un tutto vivente. [...] Quel che c’è di più proprio si unifica nel contatto e nelle ca­rezze degli amanti, fino a perdere la co­scienza, fino al toglimento di ogni differenza: quel che è mortale ha deposto il carattere della separabilità, ed è spuntato un germe dell’immortalità, un germe di ciò che da sé eternamente si sviluppa e procrea, un vivente. L’unificato non si separa più, la divinità ha operato, ha creato. Ma questo unificato è solo un punto, un germe: gli amanti non gli pos­sono partecipare nulla, sì che si ritrovi in lui un molteplice [...]. Il germe si dà sempre più all’opposizione ed incomincia a svilupparsi; ogni fase del suo sviluppo è una separazione per riguadagnare l’intera ricchezza della vita. Così si danno ora: l’unico, i separati ed il riu­nificato. Gli unificati si separano di nuovo, ma nel figlio l’unificazione stessa è divenuta in­separata”

(STG 530-531;).

„Weil die Liebe ein Gefühl des Lebendigen ist, so können Liebende sich nur insofern unterscheiden, als sie sterblich sind, als sie diese Möglichkeit der Trennung denken, nicht insofern, als wirlich etwas getrennt ware, als das Mögliche mit einem Sein verbunden ein Wirkliches ware. An Liebenden ist Keine Materie, sie sind ein lebendiges Ganze […] Das Eigenste vereinigt sich in der Berührung, in der Befühlung bis zur Bewußtlosigkeit, der Aufhebung aller Unterscheidung; das Sterbliche hat den Charakter der Trennbarkeit abgelegt, und ein Keim der Unsterblichkeit, ein Keim des ewig sich aus sich Entwickelnden und Zeugenden, ein Lebendiges ist geworden. Das Vereinigte trennt sich nicht wieder; die Gottheit hat gewirkt, erschaffen. Dieses Vereinigte aber ist nu rein Punkt, der Keim, die Liebenden Können ihm nichts zuteilen, daß in ihm ein Mannigfaltiges sich befände; […] Der Keim wendet sich immer mehr zur Entgegensetzung los und beginnt, jede Stufe seiner Entwicklung ist eine Trennung, um wieder den ganzen Reichtum des Lebens selbst zu gewinnen. Uns so ist nun: das Einige, die Getrennten und das Wiedervereinigte. Die Vereinigten trennen sich wieder, aber im Kind ist die Vereinigung selbst ungetrennt worden.”

 (W 1, 246-249)

 

Nello stesso frammento, si trova al paragrafo successivo la trattazione dialettica dei concetti della proprietà e del diritto, del possesso e dell’uso comune; tali concetti saranno poi anch’essi parte integrante della Filosofia dello spirito og­gettivo.(256)

Nel frammento Progetto fondamentale per lo ‘Spirito del Cristianesimo’,(257) secondo la Schüler risalente all’autunno del 1798, si trova poi la trattazione dia­lettica dei concetti relativi al diritto penale, ossia i concetti di colpa, punizione e legge.(258) Anche questi concetti faranno poi parte della Filosofia dello spirito oggettivo definitiva.(259)

A questo proposito è da segnalare che il passaggio logico dalla trattazione dialettica del rapporto genitori-figlio a quella dei concetti relativi al diritto pe­nale è identico in questo frammento al passaggio che poi si avrà nella stesura de­finitiva della Filosofia dello spirito oggettivo dal concetto della famiglia a quello della società civile. Ciò costituisce un’ulteriore prova della continuità dello svi­luppo del pensiero di Hegel e si aggiunge alle altre numerose prove da me ad­dotte nelle mie due monografie hegeliane precedenti.

Infine vorrei segnalare ancora un fatto molto importante, che ci prepara al passaggio al secondo fase di questa fase: nel frammento appena citato Progetto fondamentale... Hegel concepisce dialetticamente il concetto stesso di ‘regno di Dio’, che viene da lui concepito come totalità racchiudente al proprio interno i concetti del rapporto genitori-figlio, del rapporto giuridico di proprietà ed uso, del rapporto penale di punizione, colpa e legge etc.

Hegel esprime in termini concettuali la rappresentazione del ‘regno di Dio’ come

 

“lo stato in cui la divinità signoreggia e tutte le determinazioni ed i diritti sono tolti”

(STG 549).

“Das Reich Gottes ist der Zustand, wenn die Gottheit herrscht, also alle Bestimmungen und alle Rechte aufgehoben sind.”

(W 1, 311)

 

Nel paragrafo seguente egli è ancora più esplicito nel determinare il rapporto dialettico tra Dio e la comunità:

 

“[...] Dio non è presente nell’isolamento, ma in una vivente comunità che, considerata nell’individuo, è fede nell’umanità, fede nel regno di Dio. Credere è il porsi dell’indivi-dualità di fronte al vivente: a dominare non sono le leggi di Dio, poiché Dio e le sue leggi non sono cose diverse”

(STG 550-551).

„Gott ist in nichts Isoliertem, sondern in lebendiger Gemeinschaft, die im Individuum betrachtet Glaube an die Menscheit ist, Glaube ans Reich Gottes- Glaube ist das Individuelle gegen das Lebendige- nicht die Gesetze Gottes herrschen, den Gott und seine Gesetze sind nicht zweierlei.”(W 1, 312)

 

Questo concetto dell’identità tra Dio e le sue leggi è molto importante in quanto costituisce la struttura di base del concetto dello spirito assoluto, fondantesi sull’identità tra spirito individuale (le leggi) ed assoluto (Dio), che, com’è noto - ma non per questo conosciuto ! -,(260) chiude il sistema filosofico hegeliano.

Quel che pian piano sta emergendo è insomma il tema del rapporto tra l’individuo e l’universale nella sfera etica. Tale rapporto, considerato dal punto di vista del soggetto umano, sarà nel 1800 il concetto della ‘vita religiosa’; con­siderato dal punto di vista oggettivo della divinità o dell’universale, sarà nel 1802 il concetto della ‘eticità assoluta’, che tanta parte avrà poi nel sistema he­geliano maturo.

Per ora, comunque, rispettiamo l’itinerario logico e cronologico, il quale ci prescrive di analizzare il secondo fase dell’operazione hegeliana di traduzione delle rappresentazioni cristiano-originarie nei rispettivi concetti filosofici.

 

*

1.2.3.2

 

SECONDO STADIO

(negazione prima)

 

La nascita della teologia dialettica

 

Arco temporale: 1800

Fonte pricipale: Frammento di sistema

 

Questo nuovo stadio dello sviluppo del pensiero di Hegel segna il momento del pas­saggio, nel senso di una saldatura e non di una frattura, tra le riflessioni di ca­rattere prevalentemente religioso e quelle di carattere principalmente metafisico e filosofico.(261) In effetti quel che cambia non è né la problematica né il significato delle riflessioni hegeliane, ma la forma in cui queste trovano espressione. Non prevale più la forma rappresentativa della conoscenza religiosa, ma quella con­cettuale della filosofia.

Esso costituisce il cuore ed il centro dello sviluppo del pensiero di Hegel anche perché compare per la prima volta quella che poi sarà la caratteristica fon­damentale di tutto lo sviluppo successivo del suo pensiero: la sistematicità. In­fatti lo scritto che costituisce la fonte principale di questo fase è il cosiddetto Systemfragment (Frammento di sistema). Il titolo rende bene la caratteristica che distingue questo testo dagli altri scritti giovanili tramandatici.

Lo stesso Hegel del resto nella ormai famosa lettera a Schelling del 2 no­vembre 1800 si mostrava ben cosciente del fatto che in questo periodo del pro­prio sviluppo spirituale si stesse verificando una trasformazione sostanziale nel modo di costruire la propria concezione del mondo, quando così interpretava il proprio recente sviluppo spirituale:

 

“Nella mia formazione scientifica, che è par­tita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere sospinto verso la scienza e nello stesso tempo l’ideale degli anni giova­nili doveva mutarsi, in forma riflessiva, in un sistema; mi chiedo ora, mentre sono ancora occupato con questo sistema, quale punto di riferimento è da trovare per incidere sulla vita degli uomini”

(Ep. 1, 156).(262)

„In meiner wissenschaftlichen Bildung, die von untergeordnetern Bedürfnissen der Menschen anfing, mußte ich zur Wissenschaft vorgetrieben werden, und das Ideal des Jünglingsalters mußte sich zur Reflexionsform, in ein System zugleich verwandeln; ich frage mich jetzt, während ich noch damit beschäftigt bin, welche Rückkehr zum Eingreifen in das Leben der Menschen zu finden ist.”(Br. P. 27)

 

Il Frammento di sistema era stato ultimato il 14 settembre dello stesso anno, dunque appena quaranta giorni prima della stesura di questa lettera. Le conside­razioni autobiografiche di Hegel, espresse all’amico e futuro collega, si fondano evidentemente sui progressi intellettuali compiuti nell’ultimo periodo e conte­nuti nello scritto sistematico, di cui c’è purtroppo pervenuta soltanto la parte fi­nale.

La caratteristica fondamentale di questo fase è quindi, almeno da un punto di vista formale, sicuramente la sistematicità. Vediamo ora quale sia il contenuto di pensiero di questa sistematicità, ossia in cosa consista il passaggio logico che distingue questo fase dal precedente.

Nei testi appartenenti allo fase precedente Hegel mostra d’aver compreso che nella forma rappresentativa, con la quale Gesù ha concepito ed espresso il principio religioso-metafisico dell’amore universale, si cela il concetto dell’unità degli opposti come principio ontologico universale. Ora egli compie un ulteriore passo in avanti, in quanto determina con maggiore precisione il concetto conte­nuto nella rappresentazione dell’amore universale: si tratta del concetto dell’uni-ficazione di essere-umano (come ragione) e dio (come mondo). Hegel infatti, nelle riflessioni condotte intorno al 1800(263) e culminate poi il 14 settembre dello stesso anno con la chiusura del Frammento di sistema, comprende che il princi­pio religioso della dottrina di Gesù è l’identità tra la ragione dell’essere-umano - non certo intesa come intelletto delle forme finite della filosofia della riflessione, ma come ragione speculativa propria del conoscere religioso - e lo spirito infi­nito che si sviluppa e diffonde nella natura attraverso i suoi vari organismi. Que­sto spirito infinito è ‘dio’, però nel senso panteistico e non fideistico di questo concetto.(264)

Tal è il contenuto fondamentale di questo secondo fase della trasforma­zione della rappresentazione del principio religioso-metafisico dell’amore uni­versale nel concetto corrispondente. Ovviamente è necessario determinare que­sto concetto con ulteriore precisione, nondimeno ciò è anche molto difficile. Anzitutto in quanto il Frammento di sistema, come già accennato, è giunto a noi ferocemente mutilato: dei 47 fogli manoscritti dell’originale ne possediamo in­fatti attualmente appena due e precisamente il 32 ed il 47. In secondo luogo v’è un altro motivo, di natura logica e non meramente filologica, che rende la lettura e l’interpretazione di tale testo oltremodo difficile: si tratta del fatto che questo scritto è il primo tentativo di Hegel di elevarsi dalla forma asistematica degli scritti precedenti alla forma sistematica che poi governerà tutto lo svolgimento successivo del suo pensiero.

Di conseguenza questo scritto non ha né la semplicità discorsiva degli scritti presistematici, redatti prima del 1800, né la rigorosità logica degli scritti sistematici successivi. In esso abbiamo invece a che fare con i concetti empirici propri della forma di pensiero precedente, i quali tendono ad acquistare pian piano la chiarezza univoca propria del pensiero sistematico. Tale chiarezza è però raggiunta da Hegel solo parzialmente nel Systemfragment, poiché il lin­guaggio in buona parte ancora religioso, che egli qui adotta, non è ovviamente adatto ad esprimere il contenuto ormai già decisamente filosofico e sistematico del suo pensiero.

Da questo contrasto tra contenuto filosofico del pensiero e forma religiosa dell’espressione linguistica deriva dunque l’accennata difficoltà d’inter-pretazione di questo testo hegeliano. Vediamo comunque di determinare quanto più possibile precisamente, sulla base del materiale a disposizione, il progresso compiuto da Hegel in questo fase.

 

 

PRIMO MOMENTO

 

Traduzione del principio religioso:

dal concetto ontologico dell’unità degli opposti in generale

al concetto teologico dell’unità degli opposti essere umano-dio

 

Per quanto riguarda la traduzione della rappresentazione religioso-metafisica, il concetto fondamentale del primo fase è l’unità degli opposti in generale, men­tre di questo secondo fase diventa l’unità degli opposti essere-umano-dio.

Nel Frammento di sistema Hegel definisce infatti tutto ciò che esiste come ‘vita’. Distingue poi due livelli d’appartenenza alla vita: il livello dell’indivi-ualità, da lui definito ‘vita finita’, ed il livello dell’universalità, definito ‘vita infinita’:

 

“Presupposta, fissata la vita indivisa, possiamo considerare i viventi come estrin-secazioni e presentazioni della vita, di cui viene posta al contempo la molteplicità proprio perché si tratta di estrinsecazioni, ed è anzi posta come molteplicità infinita che la riflessione poi fissa come punti stabili, sussistenti, saldi, insomma come individui. Oppure, presupposto un vivente (noi stessi che consideriamo), la vita posta oltre la nostra vita limitata è vita infinita, infinitamente molteplice, infinitamente opposta, con infinite relazioni; come pluralità un’infinità di organismi, di individui; come unità è un unico tutto organizzato, separato ed unificato, la natura” (STG, 474).

„Das ungeteilte Leben voraugesetzt, fixiert, so können wir die Lebendigen als Äußerung des Lebens, als Darstellungen desselben betrachten, deren Mannigfaltigkeit, die eben, weil Äußerung gesetz werden, zugleich gesetzt, und zwar als unendlich gesetzt wird, die Reflexion dann als ruhende, bestehende, als feste Punkte, als Individuen fixiert;-ider ein Lebendiges voraugesetzt, und zwar uns die Betrachtenden, so ist das außer unserem beschränkten Leben gesetzte Leben ein un-endliches Leben von unendlicher Mannig-faltigkeit, unendlicher Entgegensetzung, un-endlicher Beziehung; als Vielheit eine un-endliche Vielheit von Organisationem, Indi-viduen, als Einheit ein einziges organisiertes getrenntes und vereinigtes Ganzes - die Natur.” (W 1, 420)

 

La vita contiene in sé sia l’unità dei singoli esseri particolari che la loro opposi­zione:

 

“(...) la vita non può essere considerata solo come unificazione, relazione, anzi deve esser considerata anche come opposizione”

(STG, 475).

„[…] das Leben kann eben nicht als Vereinigung, Beziehung allein, sondern muß zugleich als Entgegensetzung betrachtet [werden]“ (W 1, 422)

 

Da questo punto di vista allora Hegel conclude che

 

“Dovrei invece dire che la vita è unione di unione e di non-unione;[...]” (STG, 475)

 „[…] ich müßte mich so ausdrücken, das Leben sei die Verbindung der Verbindung und der Nichtverbindung […].“ (W 1, 422)

 

coniando un’espressione che annuncia in modo inequivocabile la nascente dia­lettica e rinvia in modo immediato alla matura Scienza della logica.(265)

L’essere umano appartiene alla vita finita, ma, proprio in quanto è esso stesso vita, ha la facoltà di elevarsi dalla vita finita alla vita infinita, ossia a dio:

 

“[...] poiché la natura non è essa stessa vita, ma vita trattata e fissata dalla riflessione, (...) allora la vita pensante e considerante la natura sente (..) questa contraddizione, quest’unica opposizione che ancora sussiste fra sé e la vita infinita (...); la vita pensante allora trae fuori dalle forme mortali e transeunti, da ciò che in­finitamente è opposto a sé e lotta contro di sé, il vivente libero da ciò che è transeunte; dalla molteplicità trae fuori la relazione, (...) una vita tutto-vivente, onnipotente, infinita, che chiama Dio” (STG, 474).

„die Natur nicht selbst Leben, sondern ein von der Reflexion obzwar aufs würdigste behandeltes fixiertes Leben ist, […] das Natur betrachtende, denkende Leben noch diesen Widerspruch, diese einzige noch bestehende Entgegensetzung seiner selbst gegen das unendliche Leben […] dies denkende Leben hebt aus der Gestalt, aus dem Sterblichen, Vergänglichen, unendlich sich Entgegengesetzten, sich Bekämpfenden heraus das Lebendige, frei vom Vergehenden, die Beziehung der Mannigfaltigkeit […] allebendiges, allkräftiges, unendliches Leben, und nennt es Gott […]. „(W 1, 420-421)

 

Tale operazione di estrazione della vita infinita dalla vita finita ad opera di un essere appartenente alla stessa vita finita - l’essere-umano - costituisce a giudi­zio di Hegel l’essenza della religione:

 

“Questa elevazione dell’essere-umano (...) da vita finita alla vita infinita è la religione”

(STG, 474).

„Diese Erhebung des Menschen[…] vom endlichen Leben zum unendlichen Leben ist Religion.“ (W 1, 421)

 

L’essere umano è dunque caratterizzato dall’esser ‘ragione’ o ‘religione’ (contrapposte all’intelletto ed alla filosofia) ed è una delle espressioni della vita finita; dio invece è vita infinita, ossia l’organismo composto di vari individui e generalmente chiamato ‘natura’ o ‘mondo’.

Non deve meravigliare allora che Hegel in questo testo e contesto scriva che

 

“La filosofia deve quindi terminare con la re­ligione (...)”

(STG, 476).

„Die Philosophie muß eben darum mit der Religion aufhören[…].“

(W 1, 422-423)

 

Non avendo infatti ancora elaborato una filosofia speculativa, il filosofo di Stoc­carda in questo fase dello sviluppo del proprio pensiero critica la filosofia come forma di conoscenza propria dell’intelletto, che tiene gli opposti separati, opponendole la religione, la quale invece, a suo giudizio, unifica gli opposti.

Questa concezione si trasformerà quando egli durante il soggiorno jenese elaborerà la propria filosofia, la quale, grazie alla formulazione della logica dia­lettica, assumerà il carattere speculativo proprio della religione, ossia la sua ca­pacità di unificare gli opposti essere-umano-dio.

Benché apparentemente essere umano e dio sembrino essere in un rapporto d’irriducibile opposizione in quanto vita finita l’uno, infinita l’altro, essi sono in realtà un’unica cosa. Esiste tra di essi infatti un’identità, base e verità della loro apparente opposizione, costituita dall’essere entrambi ‘vita’.

La finitezza dell’essere umano e l’infinità di dio sono dunque soltanto i due differenti livelli della loro diversa appartenenza alla vita. La vita finita è la parte, la vita infinita è il tutto.

Proprio questa identità, che è al fondo dell’opposizione tra essere umano e dio, rende possibile l’elevazione religiosa dalla vita finita a quella infinita:

 

“Questo esser-parte del vivente si toglie nella religione; la vita limitata si eleva alla vita in­finita; e solo per il fatto che il finito è esso stesso vita, esso porta in sé la possibilità di elevarsi alla vita infinita” (STG, 476).

„Diese Teilsein des Lebendigen hebt sich in der Religion auf, das beschränkte Leben erhebt sich zum Unendlichen, und nur dadurch, daß das Endliche selbst Leben ist, trägt es die Möglichkeit in sich, zum unendlichen Leben sich zu erheben.“ (W 1, 422)

 

Grazie alla religione l’essere umano può dunque elevarsi a dio, ossia alla vita in­finita. Nell’atto di questa unificazione i due opposti non sono più due, ma uno, non sono più separati, ma uniti. Tale elevazione, come Hegel ben chiarisce, non è qualcosa di accidentale, ma di necessario. Soltanto il fase, cui un determinato essere umano o un determinato popolo si fermano nell’elevarsi all’infinito, è qualcosa di accidentale. Che l’elevazione avvenga, ciò è però necessario.

Così si esprime il giovane pensatore a tal proposito:

 

“Religione è una qualsiasi elevazione del fi­nito all’infinito inteso come vita posta; e tale elevazione è necessaria, perché il primo è condizionato dal secondo; ma a quale fase di opposizione e di unificazione si arresti la na­tura determinata di una stirpe umana, è cosa accidentale e riguardante la natura indetermi­nata”  (STG, 478).

„Religion ist irgendeine Erhebung des Endlichen zum Unendlichen als einem gesetzten Leben; und eine solche ist notwendig, denn jenes ist bedingt durch dieses; aber auf welcher Stufe der Entgegensetzung und Vereinugung die bestimmte Natur eines Geschlechts von Menschen stehenbleibe, ist zufällig in Rücksicht auf die unbestimmte Natur.“(W 1, 426)

 

Il passaggio logico di questo fase è allora che il concetto generale ed astratto dello fase precedente - l’unità degli opposti - è diventato ora il concetto speci­fico dell’unità tra l’essere umano e dio, nel senso appena spiegato. L’essere umano e dio, la vita finita e la vita infinita, la ragione ed il mondo diventano nella religione una cosa sola: essi infatti, benché apparentemente opposti, sono in verità costituiti dalla stessa sostanza di fondo, la quale, nel suo aspetto di to­talità, è dio o vita infinita (tutto-vivente) e nel suo aspetto di parte è, tra altro, l’essere umano o vita finita.

Come il concetto dell’unità degli opposti, formulato nello fase prece­dente, corrisponde al valore ontologico dell’idea assoluta, così questo concetto dell’unità specifica dei due opposti essere umano-dio corrisponde al valore teo­logico che nella filosofia matura di Hegel, in particolare nella Scienza della lo­gica, avrà il principio logico-metafisico dell’idea. Il significato di questo valore teologico è che dio, ossia la causa logica del mondo, non è né esclusivamente un concetto della ragione (valore logico-formale dell’idea di dio propria della filo­sofia di Kant), né un ente fuori del mondo e fuori del dominio della ragione (valore metafisico-acritico dell’idea di dio propria della religione cristiana istitu­zionale). Dio è piuttosto l’unità inscindibile di ragione e mondo, pensiero ed es­sere, entrambi aspetti di un’unica e medesima sostanza, che Hegel definisce nel frammento sistematico del 1800 ‘vita’ e nel sistema filosofico maturo ‘idea’.

Ulteriori precisazioni sul valore teologico del concetto dell’idea assoluta saranno fornite nel corrispondente capitolo relativo al terzo periodo, dedicato in modo specifico alla discussione di questo concetto. In questo luogo era oppor­tuno soltanto segnalare che il valore teologico dell’idea assoluta, il quale riceve la piena esplicitazione da parte di Hegel a partire dalla stesura della lo­gica/metafisica del l804/05, trova la sua prima formulazione esplicita nel Systemfragment del 1800.

Il concetto dell’unità degli opposti essere umano-dio costituisce dunque il contenuto fondamentale del secondo fase della traduzione della rappresenta­zione cristiano-originaria dell’amore universale nel corrispondente concetto filo­sofico; vediamo ora il concetto corrispondente nella traduzione della rappresen­tazione dell’ideale etico dell’avvento del regno di dio.

 

 

SECONDO MOMENTO

 

Traduzione dell’ideale etico:

dal concetto della comunità a quello della vita religiosa

 

Siamo sempre nell’anno 1800 e la fonte principale è anche in questo caso il Frammento di sistema. Il concetto fondamentale di questo fase è, per quanto riguarda la traduzione dell’ideale etico, la ‘vita religiosa’. Hegel unifica i vari tentativi finora fatti d’applicazione del principio dell’unità degli opposti, dunque la nascente dialettica, alla comunità umana. Egli però li unifica da un punto di vista ancora soggettivo, ossia dal punto di vista dell’essere umano e del suo rap­porto con la divinità: è il punto di vista della filosofia della religione, cioè della considerazione pensante del fenomeno religioso.

Adottando una delle felici espressioni dello stesso Hegel, la vita religiosa può esser definita come

 

“un conservare vivi o [...] vivificare gli oggetti” (STG, 477).

“[…] ein Lebendigerhalten oder als ein Beleben derselben […].“

(W 1, 424)

 

Essa consiste nel conferimento d’un senso all’esistere, è la manifestazione su­prema dello spirito umano che organizza e progetta le proprie possibilità di vita, la propria costituzione materiale.

A sottolineare l’interdipendenza tra principio religioso ed ideale etico ed in modo particolare la dipendenza del secondo dal primo, Hegel chiarisce che il fase di felicità, ossia di unione dell’essere umano con se stesso e con il mondo circostante e quindi anche di consapevolezza del senso della propria vita all’interno dell’universo naturale e sociale, che un popolo raggiunge, dipende proprio dal tipo di relazione ch’esso instaura con la divinità, vale a dire dal fase del-l’unificazione di ragione e mondo raggiunto tramite la comprensione di dio, della causa logica del mondo. A sua volta, già secondo un tipico circolo dialettico, tale rapporto tra l’essere umano e la divinità, ossia tra vita finita e vita infinita, dipende dalla condizione morale del popolo, dal fase di felicità.

Si tratta evidentemente di due diversi tipi di dipendenza. La prima dipen­denza, quella dell’ideale etico dal principio religioso, è una dipendenza ‘logica’; la seconda dipendenza, quella del principio religioso dalle condizioni etiche di vita, è invece una dipendenza ‘storica’. S’incomincia così a costituire quella straordinaria capacità di Hegel di comprendere la dialettica interna al mondo storico, che poi darà i suoi maggiori frutti a partire dal 1807 dapprima con la Fenomenologia dello spirito e poi con le grandi ricostruzioni storiche delle le­zioni universitarie di Filosofia della storia ed in generale relative ai vari ambiti dell’esperienza storica dell’umanità.

Il concetto fondamentale di questo secondo fase dell’operazione di tradu­zione da parte di Hegel della rappresentazione etica del cristianesimo originario nel corrispondente concetto filosofico è quindi costituito dall’ideale della vita religiosa. Questo ideale reinserisce lo spirito nella materia, però presenta ancora un limite: il punto di vista soggettivo. L’essere umano che vive in modo reli­gioso è ancora appunto un essere umano, dunque un soggetto empirico finito, limitato. L’unificazione con Dio, con la vita infinita non è quindi ancora completa.

Questo limite della vita religiosa non è d’altra parte qualcosa di acciden­tale, bensì è inevitabile. Come Hegel si esprime, applicando uno dei concetti più significativi elaborati nel periodo tra il 1795 ed il 1800, esso è il ‘destino’ della vita religiosa:

 

“Trattando della vita religiosa [...] fu pure ri­cordato il suo destino, in forza del quale essa deve lasciar sussistere l’oggettivo come og­gettivo, o addirittura fare di ciò che è vivo de­gli oggetti” (STG, 477).

„Im religiösen Leben […], aber an sein Schicksal erinnert, vermöge dessen es auch Objectives als Objektives müsse bestehen lassen oder gar selbst Lebendiges zu Objekten machen.“ (W 1, 424)

 

Nella vita religiosa insomma l’unificazione tra vita finita e vita infinita non si può pienamente realizzare, giacché l’essere umano individuale non perviene an­cora in essa a riconoscere la vita infinita in sé e quindi ad eliminare qualsiasi barriera ancora esistente tra finito ed infinito, soggettività ed oggettività etc. Nella vita religiosa non può aver luogo quell’unificazione di soggettività ed og­gettività che Hegel nel Frammento di sistema definisce nel modo seguente:

 

“Quest’unificazione più completa nella reli­gione, quest’elevazione dalla vita finita alla vita infinita, cosicché del finito, del limitato, cioè del puramente oggettivo e del puramente soggettivo rimanga il meno possibile (...)” (STG, 478).

„Diese vollständigere Vereinigung in der Religion, eine solche Erhebung des endlichen Lebens zum unendlichen Leben, so daß sowenig Endliches, Beschränktes, d.h. rein Objectives oder rein Subjektives übrigbleibe als möglich[…].“ (W 1, 425-426)

 

Adottando il linguaggio posteriore di Hegel, potremmo dire che la struttura lo­gica di fondo della vita religiosa è ‘riflessione’ e non completa ‘speculazione’; essa si sviluppa a livello dell’in sé e per noi, non dell’in sé e per sé.

Questo livello ‘assoluto’ (identità cioè di aspetto soggettivo ed oggettivo nella proposizione logica) è raggiungibile soltanto riuscendo a mettere del tutto da parte gli elementi propri dell’esperienza religiosa, quindi dell’empiria - seb­bene di un’empiria già rivolta verso l’infinito e quindi verso il proprio autosupe­ramento - ed elevandosi al livello dei concetti puri, al ‘regno delle ombre’, come Hegel si esprime a tal proposito in una definizione della logica non solo chiara, come del resto è sempre Hegel per chi lo voglia veramente comprendere, ma anche estremamente suggestiva:

 

“Il sistema della logica è il regno delle ombre, il mondo delle semplici essenzialità”

(SL 1, 53).

„Das System der Logik ist das Reich der Schatten, die Welt der einfachen Wesenheiten[...].“ (GW 21, 42, 30-31)

 

Questo ulteriore passo in avanti costituisce il contenuto fondamentale dello sta­dio successivo dello sviluppo immanente del pensiero hegeliano. In esso il gio­vane filosofo svevo passa dalla conoscenza riflessiva a quella speculativa: allora il suo linguaggio diventa quello della filosofia idealistica e la sua stessa vita pro­fessionale cambia aspetto: passaggio all’università di Jena, inizio dell’attività accademica, uscita dall’isolamento formativo, ingresso nella polemica filosofica.

Tutto ciò fu possibile soltanto grazie al già avvenuto concepimento della struttura fondamentale del sistema filosofico, cui Hegel era pervenuto tramite gli studi di carattere storico-religioso.

Egli dispose infatti a partire all’incirca dal 1801 almeno in nuce di un prin­cipio metafisico, col quale infondere nuovo spirito nella morta materia del cono­scere logico-metafisico dell’epoca, e di un ideale etico, con cui vivificare le fredde membra dell’etica kantiana e fichtiana. Prima di passare al terzo ed ul­timo fase è bene però prima pronunciarsi sull’importante questione, se il Frammento di sistema costituisca o non il primo sistema di Hegel.

Dai risultati finora conseguiti mi sembra sia da dedurre che effettivamente in tale frammento si abbia il primo sistema di Hegel, benché certamente non an­cora sviluppato.(266) In esso si ha infatti la trattazione sia del mondo umano (ide­ale etico della vita religiosa) che del mondo naturale (principio della vita infinita e della natura come organismo); soprattutto poi si ha anche il concepimento del rapporto tra essere umano e natura tramite la concezione dell’unità degli opposti ragione e mondo in Dio inteso come vita infinita o tutto-vivente. In questa con­cezione Hegel unifica, seppur nei limiti soggettivi e riflessivi cui si è accennato, i tre concetti propri della metafisica e della teologia: il concetto dell’anima, del mondo e di Dio. In effetti si ha un sistema filosofico proprio quando si riesce ad unificare in un’unica visione d’insieme questi tre aspetti fondamentali del-l’essere.

Credo che si possa quindi senz’altro affermare che il Frammento di sistema è il primo sistema di Hegel, nel senso che in esso è presente, per la prima volta nel corpus degli scritti hegeliani pervenutici, la fondamentale struttura concet­tuale unitaria propria di ogni sistema filosofico e quindi anche di quello maturo hegeliano. Finché non saranno reperiti i numerosi fogli mancanti, è destinata poi a restare senza risposta l’ulteriore domanda, ossia se si tratti anche di un sistema filosofico completo, nel quale cioè tutte le singole parti siano anche effettiva­mente sviluppate.

 

*

1.2.3.3

 

TERZO STADIO

(negazione seconda)

 

La nascita della logica-metafisica e dell’etica dialettiche

 

Arco temporale: 1801-1802/03
 

Fonti pricipali: Sulla differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling,
Sulle maniere di trattazione scientifica del diritto naturale

 

Il passaggio logico successivo nel pensiero di Hegel è dare un nome specifico all’identità di essere umano e dio, risultato del necessario processo di elevazione dalla vita finita alla vita infinita, ed in modo particolare determinare poi il rap­porto oggettivo esistente tra dio come totalità e l’essere umano come parte. L’unità degli opposti essere umano-dio diventa allora il concetto dell’assoluto, che Hegel recepisce soprattutto tramite la lettura degli scritti del suo ex-compa­gno di studi universitari Schelling.

Nel gennaio 1801 Hegel giunge a Jena. Il 14 settembre dell’anno prece­dente ha concluso il Frammento di sistema e nel semestre invernale 1801/02 tiene il primo corso di logica e metafisica presso l’università jenese. Nell’anno trascorso tra l’inverno 1800/01 e l’inverno 1801/02 è quindi da collocare il con­cepimento del concetto formante il terzo fase del processo di traduzione della rappresentazione religiosa dell’amore universale nel concetto logico-metafisico dell’assoluto. Questo concetto, anche se non ancora nella formulazione defini­tiva, dev’essere stato infatti alla base del suddetto corso (cfr. Düsing 1988).

Hegel poté elaborare questo concetto grazie allo studio approfondito della filosofia idealistica del tempo. Tale studio diede vita allo scritto sulla Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, pubblicato alla fine del luglio 1801 e concepito nella prima metà dello stesso anno. Questo lavoro testi­monia un’approfondita conoscenza da parte di Hegel degli scritti, soprattutto di metafisica, fino ad allora pubblicati da Kant, Fichte, Schelling e Reinhold, più alcuni altri scritti di autori minori, e rappresenta la fonte principale per rico­struire i progressi intellettuali da lui compiuti in questo fase).(267)

Inoltre Hegel collaborò con Schelling alla pubblicazione del Giornale cri­tico della filosofia ed i due giovani docenti furono stretti colleghi all’università di Jena. Hegel ebbe così la possibilità di venire a contatto attraverso le discus­sioni col suo antico compagno d’università con la problematica filosofica del tempo nonché con la soluzione più all’avanguardia di tale problematica, ossia con la filosofia dello stesso Schelling. Hegel infatti, anche quando a partire dal 1803 gli sviluppi del proprio pensiero lo portarono ad allontanarsi filosofica­mente dall’amico, non cambiò mai la propria opinione originaria, espressa nel saggio del 1801, ossia che Schelling si fosse avvicinato più di Fichte, Reinhold, Jacobi etc. all’esatta soluzione del problema, lasciato aperto dalla filosofia kan­tiana, del rapporto tra la ragione ed il mondo, dunque della cosiddetta ‘cosa in sé’. Egli però ben presto s’accorse del limite che ancora viziava il sistema filo­sofico di Schelling e lo eliminò tramite il proprio sistema filosofico).(268)

Il fatto più importante da mettere in rilievo a proposito del trasferimento di Hegel da Francoforte a Jena, ossia del passaggio dal periodo degli studi domi­nati ancora da temi e strumenti categoriali derivanti dal campo della religione, al periodo dominato da temi e strumento categoriali prettamente filosofici, è il se­guente: Hegel non avrebbe mai potuto rielaborare in maniera del tutto personale ed originale il materiale filosofico dell’epoca, se non fosse arrivato a Jena già fornito di una propria originale concezione del mondo e dell’essere umano, da esprimere in concetti filosofici. Egli sarebbe tutt’al più diventato il difensore di Schelling nelle accese polemiche accademiche che erano allora il mezzo più fre­quente di comunicazione intellettuale. Il filosofo di Stoccarda invece, forte della propria ‘Weltanschauung’, ricavata dall’approfondimento critico del cristiane­simo delle origini, poté proprio negli anni jenesi interpretare in maniera origi­nale la problematica del rapporto tra l’essere umano e la natura, sia a livello re­ligioso-metafisico che a livello morale-etico, e risolverla poi col proprio sistema filosofico.

Analizziamo ora anzitutto il progresso logico compiuto da Hegel a livello religioso-metafisico, poi approfondiremo quello compiuto a livello etico-morale, che dal primo dipende.

 

*

1.2.3.3.1

 

PRIMO GRADO

(affermazione)

 

Traduzione del principio religioso:

dal concetto teologico dell’unità degli opposti essere-umano-dio

al concetto logico-metafisico dell’assoluto
(nascita della logica-metafisica dialettica)

 

Arco temporale: 1801

Fonte principale: Sulla differenza tra
i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling

 

Nel 1797-1799 Hegel ha trasformato la rappresentazione cristiana dell’amore universale nel concetto dell’unità degli opposti; nel 1800 l’unità degli opposti diventa unità di essere umano e dio rispettivamente come vita finita e vita infi­nita; nel 1801 infine, grazie allo studio della filosofia contemporanea ed in parti­colare di quella di Schelling, l’unità di essere umano e dio, vita finita e vita infi­nita, diventa l’unità o identità logico-metafisica di soggetto ed oggetto: l’asso­luto).(269)

L’assoluto è identità di soggetto ed oggetto, di pensiero ed essere, nel senso che è il nome attribuito da Hegel al concetto dell’unità di vita finita e vita infi­nita, ragione e dio, concepita nel 1800. Già nel Frammento di sistema si trova infatti oltre alla coppia categoriale finito-infinito, quella soggetto-oggetto.(270)

Ciò che era ancora espresso nella forma equivoca ed impura della religione, viene ora espresso nella forma univoca e pura del concetto filosofico. Tale forma espressiva rappresenta però nient’altro che una traduzione in termini filo­sofici del precedente linguaggio di stampo religioso e non certo un pensiero del tutto nuovo nell’ambito dello sviluppo del pensiero di Hegel, come risulta per es. dalla seguente definizione dell’assoluto:

 

“Ma l’Assoluto stesso è con ciò l’identità dell’identità e della non-identità.”

(Differenza, 79).

„Das Absolute selbst aber ist darum die Identität der Identität und der Nichtidentität.“

(GW 4, 64, 13-14)

 

Tale definizione da una parte riporta immediatamente alla memoria quella della vita come unione di unione e non-unione nel Frammento di sistema, dall’altra preannuncia inequivocabilmente la concezione dialettica della Scienza della lo­gica.

Questo cambiamento di linguaggio, pur non includendo un sostanziale cambiamento del contenuto fondamentale del pensiero di Hegel, cela comunque anche un cambiamento di significato logico: l’atteggiamento o punto di vista soggettivo e riflessivo - quindi religioso - viene abbandonato a favore del punto di vista oggettivo e speculativo - dunque logico-metafisico; così l’oggetto viene conosciuto non più nel suo essere in sé o per noi, ma nel suo essere in sé e per sé:
 

“Nell’assoluta identità, soggetto e oggetto sono riferiti l’uno all’altro e con ciò annien­tati; per questo non c’è niente per la rifles­sione ed il sapere.”

(Differenza, 79).

“In der absoluten Identität ist Subjekt und Objekt auf einander bezogen, und damit vernichtet; insofern ist für die Reflexion und das Wissen nichts vorhanden.“ 

(GW 4, 63, 23-25)

 

Dio o mondo è la totalità degli individui naturali, sue parti; è lo spirito che si sviluppa attraverso di tali parti, la loro unità invisibile, eppure presente. La ra­gione umana è, tra queste parti, quella che ha la capacità di elevarsi a tale spirito e comprenderlo, grazie al fatto che essa è costituita dalla medesima sostanza di­vina. Tale sostanza è allora l’unità o identità in cui sono tanto il dio-natura (mondo) quanto l’essere umano (ragione). È la schellinghiana ‘identità assoluta’.

Nel Frammento di sistema, nonostante si possa asserire che già sia presente in esso, sebbene in modo soltanto implicito, un concetto sovraordinato ai con­cetti di vita finita e vita infinita, ossia lo stesso concetto di vita, nondimeno, al­meno nelle parti pervenuteci, Hegel non tratta tale concetto a parte e non sembra perciò separarlo dalle sue due manifestazioni. Egli sembra cioè più concentrarsi sui due opposti e sul procedimento della loro riunificazione tramite l’elevazione del finito all’infinito, che non sulla loro unificazione originaria, precedente la scissione, ossia sul fatto che entrambi sono vita. Probabilmente egli è pervenuto a quest’identità originaria di finito ed infinito soltanto a partire dal periodo je­nese, dunque dallo studio intensivo della filosofia schellinghiana, e non prima, anche se deve necessariamente sussistere un minimo di dubbio su questa conclu­sione, dovuto al carattere incompleto del manoscritto del 1800.

Tramite la concezione dell’identità assoluta Hegel invece può eliminare de­finitivamente la separazione, ancora presente nel Frammento di sistema, tra ra­gione e mondo, vita finita e vita infinita, i quali ora non sono più due enti di­stinti, ma solo due aspetti diversi dell’unica sostanza, la quale si svolge attra­verso di essi e li fa esistere. Tale sostanza è l’assoluto, dunque la ragione non nel senso soggettivo di ragione umana, bensì in quello oggettivo di ‘dio’ nel senso spinoziano di ‘causa sui’.

Questo terzo fase dell’operazione di enucleazione del concetto implicito nella rappresentazione di Gesù dell’amore universale corrisponde al valore lo­gico dell’idea assoluta. Il valore ontologico e quello teologico, determinati negli stadi precedenti, sono inclusi nel valore logico, il quale in tal modo non è mera­mente logico-formale, ma diventa logico-sostanziale quindi logico-metafisico, nel senso esplicitamente chiarito da Hegel nell’introduzione alla Scienza della Logica.

Tale concetto dell’assoluto sarà in seguito determinato da Hegel come idea assoluta e diventerà il principio religioso popolare e razionale della sua nuova teoria etico-religiosa. In quanto esso sarà espresso in termini completamente metafisici e logici, la nuova teoria religiosa sarà la Scienza della logica. La for­mulazione originaria del concetto dell’idea assoluta si ha però già nel 1801 come espressione in forma logica del contenuto concettuale del principio teologico fondante la ‘Weltanschauung’ del Frammento di sistema del 1800.

 

*

1.2.3.3.2

 

SECONDO GRADO

(negazione prima)

 

Traduzione dell’ideale etico:

dall’ideale della vita religiosa a quello dell’eticità assoluta
(nascita dell’etica dialettica)

 

Arco temporale: 1802/03

Fonte principale: Sulle differenti maniere
di trattazione del diritto naturale

 

Passiamo ora alla traduzione da parte di Hegel della rappresentazione etica dell’avvento del regno di Dio nel concetto corrispondente. Essa corrisponde ov­viamente al terzo fase della traduzione del principio religioso-metafisico, quindi al concetto dell’assoluto, in quanto è da questo concetto fondata e dunque resa possibile.

Il principio religioso-metafisico di questo fase è il concetto dell’assoluto, ossia dell’identità di ragione (o soggetto) e mondo (o oggetto); l’ideale etico corrispondente è il concetto dell’eticità assoluta come unità nell’agire pratico di spirito individuale e spirito universale. Vediamo ora in modo articolato cosa ciò significhi e che rapporto logico esista tra questi due concetti.

Già nel 1800, nel suo primo sistema concepito ancora in una forma mista di religione e di filosofia, Hegel ha determinato il rapporto esistente tra il principio religioso di reinserimento della ragione nel mondo e l’ideale etico di reinseri­mento dello spirito nella materia. La vita religiosa, ideale etico, dipende dal fase di elevazione dell’essere umano a Dio, ossia in effetti dal principio reli­gioso in cui tale elevazione si esprime. Questa elevazione ha infatti diversi gradi; essa deve per forza avvenire perché l’essere umano, in quanto vita finita, è condizionato da Dio, che è vita infinita; quale sia il fase in cui essa avviene è però accidentale. Il fase di elevazione del finito all’infinito cui è pervenuta l’umanità tramite il concetto schellinghiano-hegeliano dell’identità assoluta è il fase sommo del concetto puro. A questo livello infatti non resta più niente né del soggetto ‘essere umano - vita finita’ né dell’oggetto ‘dio - vita infinita’, in quanto essi sono un’unità perfetta: la ragione assoluta che conosce se stessa e, conoscendo se stessa, conosce anche l’assoluto, dunque Dio. Hegel già nel 1802, nello scritto Fede e sapere, si dimostra pienamente consapevole di ciò:

 

“[...] e così a ciò che era ancora, all’incirca, o precetto morale di un sacrificio dell’essere em-pirico o il concetto dell’astrazione formale, il concetto puro deve dare un’esistenza filoso­fi-ca, deve dare dunque alla filosofia l’idea della libertà assoluta, e con ciò la Passione as­soluta o il Venerdì Santo speculativo, che fu già storico, e deve ristabilire quest’ultimo in tutta la verità e la durezza della sua assenza di Dio” (Fede e sapere, 253).

„ […] und so dem, was etwa auch entweder moralische Vorschrift einer Aufopferung des empirischen Wesens oder der Begriff formeller Abstraction war, eine philosophische Existenz geben, un also der Philosophie die Idee der absoluten Freyheit, und damit das absolute Leiden oder den speculativen Charfreytag, der sonst historisch war, und ihn selbst, in der ganzen Wahreit und Härte seiner Gottlosigkeit wiederherstellen […].“

(GW 4, 414, 5-9 )

 

In corrispondenza della consapevolezza di aver concepito il concetto dell’unità assoluta tra essere umano e Dio nel concetto dell’identità assoluta, si sviluppa in Hegel la consapevolezza che l’agire umano, ossia il senso che l’essere umano dà alla propria esistenza e, a livello sociale, la forma di vita intersoggettiva che un popolo si dà, non siano un fatto puramente casuale ed arbitrario, bensì manife­stazioni dell’assoluto.

Il principio religioso-metafisico dell’assoluto conduce dunque a questo ri­sultato: l’essere umano, in quanto ragione pura, è l’identità assoluta di soggetto ed oggetto, essere-umano e Dio; l’ideale morale che ne deriva è allora questo: l’agire dell’essere umano dipende dal fase di elevazione dell’essere umano a Dio ed essendo tale fase secondo la prospettiva della filosofia schellinghiano-hegeliana quello della totale identità dei due, l’agire umano è di conseguenza lo stesso agire di Dio.

Agire umano ed agire divino coincidono dunque nel momento in cui l’essere umano empirico riesce ad elevarsi, tramite la vera conoscenza filosofica, a Dio, all’essere assoluto.

Tal è il significato fondamentale dell’ideale etico dell’eticità assoluta, esposto da Hegel in forma verbale per la prima volta nelle lezioni sul diritto na­turale, tenute, con alcune interruzioni, dal semestre invernale dell’anno 1802 in poi, ed in forma scritta nel saggio Sulle maniere di trattazione scientifica del di­ritto naturale del 1802/03.

L’ideale dell’eticità assoluta è in conclusione l’espressione definitiva in termini concettuali della rappresentazione dell’avvento del regno di Dio, con la quale Gesù aveva reinserito l’essere umano nella natura a livello etico di spirito e materia. Tramite questo ideale Hegel intende esprimere infatti la convinzione che il mondo oggettivo, costruito dall’essere umano sulla terra, dunque il mondo dello spirito, non sia frutto casuale dell’operare arbitrario di individui acciden­tali, bensì la manifestazione della divinità stessa, dell’assoluto. Il popolo, che per Hegel già da questi anni non è la semplice somma matematica dei singoli in­dividui, ma la loro unità organica, avente nel concetto di eticità (ted. Sittlichkeit) la propria determinazione concettuale fondamentale),(271) è la suprema espressione di tale assoluto.

Questo è il concetto fondamentale di tutto ciò che è stato detto finora ed il risultato fondamentale dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel fino al 1802/03: l’ideale etico, che l’essere umano deve porsi, dunque il senso che l’essere umano deve conferire alla propria esistenza, non dev’essere arbitrario e privo di fondamento, ossia fondato sulla mera soggettività empirica, ma dev’essere radicato nell’eticità del popolo, che come tale rappresenta la manife­stazione dell’assoluto e quindi deve essere l’eticità stessa dell’assoluto, l’eticità assoluta.

Ma, siccome l’eticità assoluta rappresenta il senso del mondo, ossia la dire­zione del suo sviluppo, ed il popolo costituisce la forma più elevata di vita e dunque di autopresentazione dell’assoluto, il senso dell’esistenza umana nel mondo, nel momento in cui l’individuo tramite la religione o la filosofia si eleva dalla propria soggettività empirica a quella assoluta, viene a coincidere con lo stesso senso del mondo.

Del significato filosofico profondo dell’unificazione compiuta da Hegel, ma già presente nel messaggio originario di Gesù, tra religione e morale, Dio ed essere umano, assoluto ed eticità, senso del mondo e senso dell’esistenza umana nel mondo, se ne parlerà a proposito della  ricapitolazione del significato del si­stema filosofico di Hegel alla luce della sua genesi. Per ora basti aver illustrato la nascita dei due concetti base del sistema filosofico hegeliano: il concetto lo­gico-metafisico dell’assoluto e quello morale-etico dell’eticità assoluta, entrambi ricavati dalla traduzione delle corrispondenti rappresentazioni fondamentali del cristianesimo originario nei rispettivi concetti filosofici.

Con la formulazione nel 1802/03 dell’ideale dell’eticità assoluta si chiude il terzo ed ultimo fase della seconda fase dello sviluppo immanente del pensiero di Hegel.

 

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1.2.3.3.3

 

TERZO GRADO

(negazione seconda)

 

La costruzione del sistema come realizzazione dell’ideale etico-religioso
a partire dai concetti di Logos ed Ethos

 

A.  Svolgimento del contenuto concettuale
implicito nell’ideale morale-etico dell’eticità assoluta:
la nascita della filosofia dell’eticità
come nuova dottrina morale naturale 


 

Arco temporale: 1802/03

Fonte principale: Sistema dell’eticità

 

Il saggio Sulle maniere di trattazione scientifica del diritto naturale, che con­tiene la formulazione originaria del concetto dell’eticità assoluta, è l’ultimo dei cosiddetti ‘scritti critici’ di Hegel, ossia dei lavori jenesi attraverso i quali il fi­losofo di Stoccarda, polemizzando soprattutto con la filosofia di stampo kan­tiano e fichtiano nonché con gli altri indirizzi filosofici dell’epoca, come per es. lo scetticismo di Schulze, formò, irrobustì e consolidò i due concetti base della propria filosofia: il principio religioso-metafisico dell’assoluto e l’ideale morale-etico dell’eticità assoluta.

 

Siamo verso la fine del 1802. Da poco Hegel ha concepito l’ideale morale-etico dell’eticità assoluta. Esso forma insieme al principio religioso-metafisico dell’assoluto la base del suo pensiero: da una parte l’etica, reinserimento dell’essere umano nella natura a livello di spirito e materia, dall’altra la metafisica, reinse­rimento dell’essere umano nella natura a livello di ragione e mondo. Ma il risultato di queste due operazioni parziali dev’essere il reinserimento totale dell’essere umano nella natura. Nella direzione della ricerca della comprensione delle modalità di questo reinserimento totale si sviluppa il pensiero del nostro filosofo da questo momento fino al 1806, anno in cui tale scopo sarà raggiunto tramite la prima formulazione del sistema completo, anche se non ancora definitivo.

Il concetto dell’eticità assoluta significa che l’agire pratico del singolo in­dividuo non è qualcosa di meramente individuale, in quanto è l’agire dell’assoluto che si manifesta attraverso di esso. Seguendo questa concezione fondamentale, Hegel costruisce la struttura concettuale del mondo umano come realizzazione del divino, ossia dell’assoluto. Nasce così col cosiddetto Sistema dell’eticità (1802/03) la prima formulazione sistematica della futura Filosofia dello spirito.

In questo manoscritto Hegel dunque espone la parte della propria filosofia che, come sappiamo dalIl primo periodo dello sviluppo del suo pensiero, più gli stava a cuore, ossia la parte etica. È impossibile fornire in questa sede una sintesi completa del testo, poiché si tratta di un lavoro già molto complesso, la cui esposizione ed il cui approfondimento critico richiedono uno studio specifico. È però opportuno indicarne di seguito almeno alcuni punti fondamentali.

Anzitutto, per quanto riguarda il metodo applicato, Hegel si muove ancora all’interno dell’apparato categoriale della filosofia schellinghiana dell’identità. Egli descrive la vera conoscenza come unità di intuizione e concetto, la prima come forma di conoscenza dell’universale ed il secondo dell’individuale. Egli adopera inoltre espressioni linguistiche e relativi concetti prettamente schellin­ghiani (sussunzione, potenza etc.).

L’identità di intuizione e concetto è l’idea ed in particolare, per quanto ri­guarda la filosofia etica, l’idea dell’eticità assoluta. Tale idea

 

“(...) è il ritornare della realtà assoluta in sé, come in un’unità, di modo che questo ritor­nare e quest’unità costituisca un’assoluta to­talità; la sua intuizione è un popolo assoluto, il suo concetto è l’assoluto essere uno delle in­dividualità” (SE, 130).

„[…] das Zurüknehmen der absoluten Realität in sich, als in eine Einheit; so daß dieses Zurüknehmen und diese Einheit absolute Totalität ist; ihre Anschauung ist ein absolutes Volk; ihr Begriff ist das absolute Einsseyn der Individualitäten.“ (GW 5, 279, 20-23)

 

Questa determinazione dell’idea dell’eticità assoluta è importante per tre motivi:

- anzitutto, rivela che Hegel già costruisce il sapere in modo dialettico, dunque secondo il movimento triadico della posizione iniziale, della negazione ed infine del ritorno in sé; (272)

- in secondo luogo, risulta da essa evidente che Hegel già dispone d’un concetto della realtà assoluta, ossia del primo che si sviluppa e ritorna in sé, ma non sembra che egli ne abbia già un’idea ben definita come invece sarà nel manoscritto Logica e Metafisica del 1804/05;

- infine, Hegel individua nel popolo assoluto il momento sintetico, dunque il ritorno in sé della realtà assoluta. Pertanto egli non è ancora pervenuto fino a tutto il 1803 al concetto dello spirito assoluto, che nei manoscritti di filosofia dello spirito del 1805/06 costituirà invece il momento del ritorno in sé della realtà assoluta.

Questi tre aspetti fondamentali del Sistema dell’eticità rivelano ch’esso occupa una posizione centrale nello sviluppo del pensiero di Hegel a cavallo tra gli studi che si possono definire a pieno titolo ‘giovanili’, in quanto non contengono an­cora la concezione definitiva del sistema, e gli studi maturi, nei quali invece tale concezione viene sviluppata in modo completo ed approfondito.

Questo manoscritto infatti nelle linee generali già presenta la concezione fondamentale hegeliana che l’assoluto esce da sé per ritornare in sé nel mondo etico, dunque nell’operare umano, ma ad essa mancano sia le premesse logico-metafisiche sia le conclusioni filosofiche. S’avverte insomma in esso la man­canza della formulazione della logica dialettica e della concezione dello spirito assoluto, ossia della filosofia come autoconoscenza dell’assoluto.

Si può dunque concludere che il Sistema dell’eticità contiene il nocciolo del sistema filosofico hegeliano, ma privo della scorza come involucro esteriore. Nondimeno proprio l’estrema concentrazione di Hegel sui temi fondamentali del proprio pensiero, quelli che gli stavano più a cuore, rende il manoscritto in que­stione particolarmente interessante ed istruttivo anche ai fini di una corretta in­terpretazione del sistema filosofico definitivo.

In effetti, in esso sorprendiamo Hegel in una delle prime versioni sistemati­che, forse addirittura nella prima versione sistematica della propria teoria del-l’eticità assoluta, la quale costituirà poi la parte centrale del sistema filosofico maturo.

Tutti i temi che Hegel tratterà più tardi nel capitolo dedicato alla ‘Sittli­chkeit’ ed approfondirà nei Lineamenti di filosofia del diritto (riconoscimento, amore, famiglia, lavoro, società civile, Stato, costituzione etc.) sono formulati qui per la prima volta nell’ambito della concezione sistematica del ‘ritorno in sé della realtà assoluta’.

Ci si trova dunque col Sistema dell’eticità davanti ad una versione, per così dire, ‘fresca’ della così importante teoria hegeliana dell’eticità assoluta, ossia ancora non viziata né dall’applicazione talvolta rigida dei principi della dialet­tica né da quei tentennamenti e da quelle paure, messi in risalto dagli studi di Il­ting, che finirono poi con l’adombrare il significato rivoluzionario e liberatorio della filosofia etico-politica dell’ex-Stiftler.(273)

Al fine di mettere in luce proprio tale significato, desidero sottoporre qui all’attenzione del lettore il fatto che Hegel nella frase sopra citata parli di ‘po­polo assoluto’. Questo concetto è molto importante in quanto conduce il cono­scitore del pensiero hegeliano, il quale ne voglia anche essere un interprete spre­giudicato ed al contempo fedele allo spirito autentico del suo messaggio filoso­fico, alla conclusione che Hegel, quando ha scritto del popolo come dell’incarnazione dell’assoluto, non ha mai pensato ad un particolare popolo sto­rico né tanto meno a quello prussiano in particolare.

L’attributo ‘assoluto’ apposto in quel passo al sostantivo ‘popolo’ offre un’idea chiara ed inequivocabile del significato originario e fondamentale del concetto hegeliano di ‘popolo’: il popolo è per il filosofo svevo una comunità riconoscentesi tramite una medesima concezione dell’assoluto, la quale acquista un aspetto esteriore e concreto nel ‘dio del popolo’, come egli scrive all’inizio dell’ultima sezione del manoscritto:

 

“[...] l’individuo è, in quanto coscienza parti­colare, senz’altro uguale all’universale; e que­sta universalità, che ha assolutamente riunifi­cato a sé la particolarità, è la divinità del po­polo, e questo universale contemplato nella forma ideale della particolarità è il dio del po­polo; [il concetto della divinità] rappresenta una maniera ideale di intuire [il popolo]”

(SE, 203).

“[…] das Individuum, ist als besonderes Bewußtseyn schlechthin dem Allgemeinen gleich; und diese Allgemeinheit, welche die Besonderheit schlechthin mit sich vereingt hat, ist die Göttlichkeit des Volkes, und dieses Allgemeine in der | ideellen Form der Besonderheit angeschaut, ist der Gott des Volks; er ist eine ideelle Weise es anzuschauen.“

(GW 5, 326, 9-13)

 

Risulta quindi chiaro che per Hegel l’appartenere ad un popolo non si fonda su di un legame di sangue o comunque di tipo naturale, bensì su di un legame reli­gioso, dunque spirituale. L’avere una religione, quindi una mentalità comune, ciò caratterizza un popolo.

Dunque, il popolo che riesce a pervenire alla religione vera, alla religione assoluta, è il popolo assoluto. Questo è il senso dell’espressione hegeliana ‘popolo assoluto’. Il popolo assoluto realizza in modo perfetto il ritorno della realtà assoluta in sé.(274) L’assolutezza non è insomma un diritto acquisito in base ad un qualche fattore genetico, ma ad un preciso fattore spirituale storico, ossia l’esser riusciti a pervenire, da parte dei membri di una comunità, alla religione assoluta.(275)

Il filosofo di Stoccarda comprende infatti perfettamente che la fondazione dell’etica è da ricercare nella religione (ovviamente nel senso largo del termine) e non a caso già nell’aggiunta finale al manoscritto traccia uno schizzo del rap­porto tra le varie forme di governo e la religione. Si tratta soltanto di pochi cenni, i quali però sono molto importanti, poiché ci mostrano su quale via egli si fosse incamminato nel periodo jenese prima di cambiar rotta poi in seguito agli avvenimenti storici messi in risalto da Ilting.

A tal proposito occorre precisare che bisogna parlare di ‘aggiunta’ in quanto dal manoscritto originale, conservato presso la Staatsbibliothek di Ber­lino, risulta chiaramente che, a partire dalla parola ‘Kolonisation’ fino alla fine, il testo è aggiunto, essendo separato dal resto del manoscritto tramite una linea. Lo sviluppo del concetto dell’eticità assoluta nel manoscritto in questione arri­vava dunque fino al concetto della riproduzione del popolo tramite la genera­zione dei figli (Kindererzeugung) e non sviluppava la tematica del rapporto po­polo - religione. Tale problematica si dev’essere presentata a Hegel in un se­condo momento, in corrispondenza alla questione della fondazione dell’eticità e quindi allo sviluppo del contenuto di pensiero implicito nel concetto dell’assoluto (v. lo fase seguente).

La parte conclusiva aggiunta è dunque da mettere in relazione più alle pa­gine tramandate come Continuazione del sistema dell’eticità, non necessaria­mente risalenti al 1803, le quali riguardano proprio il tema del rapporto popolo-religione, che non al manoscritto del Sistema dell’eticità, il quale, proprio in quanto riguardante soltanto l’eticità, ossia lo spirito oggettivo e non quello as­soluto, giustamente s’arresta al concetto del popolo. Soltanto la pubblicazione del manoscritto nel quinto volume dei GW ha finalmente presentato una pubbli­cazione del testo fedele al manoscritto originale. Le precedenti pubblicazioni dell’aggiunta come parte integrante del testo senza alcuna indicazione (eccezion fatta per il Mollat, il quale la presenta in forma di nota) sono pertanto da consi­derarsi fuorvianti sia negli originali tedeschi sia nella traduzione italiana.

In questa aggiunta conclusiva al manoscritto Hegel passa in rassegna varie forme di governo, in particolare monarchia, aristocrazia e democrazia, giungendo alla conclusione che

 

“[...] nella democrazia vi è invero l’assoluta religione, non stabile però, ovvero anzi reli­gione naturale”

(SE, 255-256).

“[…] In der Demokratie zwar absolute Religion, aber unbefestigte, oder vielmehr Naturreligion [...]“

(GW 5, 361, 17-18)

e continuando poi egli chiarisce che

“(...) la religione dev’essere meramente etica (...)” (SE, 255-256).

„[…] die Religion muß rein sittlich seyn;“

(GW 5, 361, 20-21)

 

Si tratta di frasi e pensieri incompleti, di difficile interpretazione, in quanto il manoscritto a questo punto e non a caso s’interrompe. A Hegel non dev’essere infatti riuscito, in questo fase di sviluppo del proprio pensiero, di dare una ri­sposta alla domanda relativa alla forma assoluta di religione capace di sostenere e fondare il governo assoluto di un popolo assoluto.

Il Sistema dell’eticità resta dunque privo di un’autentica conclusione, in quanto Hegel in questo fase dello sviluppo del proprio pensiero non riesce a fornire una risposta alla questione che gli si pone e che egli formula al termine del manoscritto, ossia come si possa fondare l’eticità assoluta, la democrazia, com’egli la definisce. Il manoscritto s’arresta in effetti nel momento in cui si tratta di trovare la forma di religione adatta a fondare l’eticità assoluta. Essa do­vrà essere ovviamente la religione assoluta, secondo lo schema seguente:
 

  • Le religioni relative fondano le eticità relative (aventi solo un valore storico);

  • la religione assoluta fonda l’eticità assoluta (avente un valore eterno).

Si tratta allora per Hegel intorno al 1803 di riflettere sul concetto di religione as­soluta e di elaborare una tale religione, così da fornire una risposta al quesito concludente la costruzione sistematica dell’eticità assoluta nel Sistema dell’eticità. Tale ricerca costituisce infatti l’asse principale dello sviluppo del pensiero del filosofo nei 2-3 anni a venire, fin quando all’incirca intorno al 1805 il nostro perverrà alla conclusione che solo la filosofia, in particolare la filosofia come scienza ch’egli sta pian piano elaborando, possa essere la religione assoluta.

Vediamo ora il cammino che condusse il pensatore svevo a questa interes­santissima conclusione.
 

*

1.3.0

 

TERZO PERIODO

(negazione seconda)

 

La costruzione della parte etica del sistema filosofico 
come realizzazione dell’ideale della morale naturale

 

Arco temporale: 1803 - 1806
Fonti principali: Continuazione del Sistema dell’Eticità; Del triangolo divino;
C. La Scienza; manoscritti sistematici del secondo periodo jenese

 

Verso la fine del 1802 e l’inizio del 1803 s’inaugura, quindi, una nuova fase nello sviluppo del pensiero del giovane filosofo. Terminano le pubblicazioni critiche e polemiche, non solo perché Schelling, con il quale Hegel pubblicava il Giornale Critico di Filosofia, abbandona Jena, ma soprattutto per un motivo più profondo ed immanente allo svolgimento del pensiero hegeliano. Hegel infatti, impadro­nitosi nei primi tre anni del soggiorno jenese, tramite l’approfondimento del pensiero della filosofia idealistica del tempo, dei principali strumenti categoriali della medesima, comincia ora ad elaborare il proprio pensiero in forma comple­tamente sistematica ed autonoma, ossia a costruire pian piano il proprio sistema filosofico definitivo.

Questo processo si articola secondo un piano ben preciso: Hegel svolge il contenuto di pensiero implicito nei due principi fondamentali della propria filo­sofia, l’assoluto e l’eticità assoluta, ricavati tramite l’operazione di trasformazione eseguita negli anni 1797-1803.

Lo svolgimento del contenuto di pensiero implicito in questi concetti è in­fatti la caratteristica fondamentale dello sviluppo del pensiero di Hegel dal 1803 fino al 1805/06, data alla quale risale l’elaborazione del suo primo sistema com­pleto,(276) anche se non ancora definitivo. A tal proposito è infatti da chiarire quanto segue: il Systemfragment del 1800 è il ‘primo’ sistema di Hegel, nel senso sopra chiarito, ma esso non è né completo né ovviamente definitivo; il sistema costi­tuito dai manoscritti del 1805/06 è invece il primo sistema ‘completo’, in quanto contiene tutti i capitoli fondamentali del sistema filosofico hegeliano, ma non è ancora definitivo, poiché non ne rappresenta l’ultima versione curata Hegel stesso; l’Enciclopedia del 1830 è infine da considerare come il sistema filoso­fico completo e definitivo.

Tale svolgimento condusse il filosofo di Stoccarda alla costruzione del proprio sistema filosofico. In particolare, lo svolgimento del contenuto concet­tuale implicito nel concetto dell’eticità assoluta (che Hegel, come vedremo, svolse per primo) condusse alla formulazione della sua prima filosofia completa dello spirito oggettivo nel Sistema dell’eticità (1802/03). Lo svolgimento del contenuto concettuale implicito nel concetto dell’assoluto sfociò invece nella formulazione della prima “filosofia reale” (filosofia della natura + filosofia dello spirito), costituita dai relativi frammenti sistematici del 1803/04 e 1805/06 non­ché dalla versione originaria della futura Scienza della logica contenuta nel ma­noscritto di Logica/Metafisica del 1804/05.

A Hegel però non bastò lo svolgimento del contenuto concettuale implicito nel principio logico-metafisico e nell’ideale etico per costruire il proprio sistema filosofico. Egli dovette concepire un terzo concetto, che fungesse da trait d’union tra il concetto dell’assoluto e quello dell’eticità assoluta: il concetto di ‘spirito assoluto’. Tale concetto divenne il principio fondamentale di tutta la sua filosofia, differenziandola nettamente non solo dal pensiero di Kant e di Fi­chte, dal quale Hegel almeno sin dal periodo di Jena aveva preso decisamente le distanze, ma anche dall’idealismo di Schelling, che pure fino al 1802/03 era stato un suo punto fisso di riferimento.

Vediamo ora come Hegel sviluppò il contenuto di pensiero implicito nel concetto dell’assoluto ed in quello dell’eticità assoluta nonché come egli si trovò nella necessità teoretica di unificare questi due concetti, risolvendola brillantemente tramite la formulazione del concetto dello spirito assoluto.

 

 

*

1.3.1

 

PRIMA FASE

(Affermazione)

 

Contraddizione tra il principio metafisico dell’Assoluto
e l’ideale etico dell’eticità assoluta 
ed elaborazione
del concetto della filosofia come ‘religione assoluta’ 

 

Arco temporale: 1803

Fonte principale: Sistema dell’eticità, parte conclusiva


*

A partire dal momento della conclusione del Sistema dell’eticità, all’incirca verso la prima metà del 1803, Hegel s’immette sul cammino verso la ricerca della religione assoluta. Ovviamente non si tratta di un compito facile, d’altra parte egli già negli anni precedenti aveva condotto diverse riflessioni, per esem­pio alla fine del periodo francofortese in riferimento al rapporto tra vita finita e vita infinita ed all’elevazione dalla prima alla seconda, che gli saranno ora di grande aiuto.

La problematica fondamentale della ricerca di una religione assoluta gli si pone come la questione, ancor più generale, della conoscibilità dell’assoluto. Se infatti l’assoluto non è conoscibile, allora non vi sarà neanche una religione as­soluta, ma saranno possibili soltanto religioni relative.

Hegel si occupa di tale problematica in un periodo compreso all’incirca tra la seconda metà del 1803 e la seconda metà del 1805. La risposta, per così dire, ‘ufficiale’ ad essa si trova nella famosa Fenomenologia dello spirito, pubblicata nel 1807, ma elaborata, sebbene in modo frammentario, già negli anni prece­denti. Molto più interessanti sono però per noi proprio le risposte ‘non ufficiali’, in quanto frammentarie o non pubblicate, contenute nei vari lavori di più o meno diretta preparazione alla Fenomenologia, dunque nella cosiddetta ‘officina’ di Hegel, ossia in quell’insieme di manoscritti, frammenti, abbozzi etc. che il filo­sofo per varie ragioni non rese pubblici, ma che comunque contengono, sicura­mente in forma più ‘originale’ e ‘fresca’ rispetto alle opere pubblicate, i progressi dello sviluppo lento, ma costante del suo pensiero.

V’è un frammento in particolare che è a questo riguardo d’importanza cen­trale, in quanto contiene uno schizzo della storia religiosa dell’umanità. In esso Hegel ricostruisce tale storia individuandovi un progresso da forme relative e storiche della religione fino alla sua forma assoluta ed universale. Tale forma, con la quale secondo il pensatore svevo si conclude lo sviluppo religioso dell’umanità, è rappresentata dalla filosofia, la quale coincide dunque con la re­ligione assoluta.(277) Questo frammento è stato giustamente tramandato con il titolo Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’, in quanto si ricollega perfettamente all’altro manoscritto, in particolare alla sua aggiunta conclusiva, chiudendolo. Per quanto riguarda la sua datazione, poiché il manoscritto relativo risulta al momento perduto, non è possibile individuare tramite uno studio grafologico il momento cronologico preciso della stesura. Sulla base del contenuto essa è co­munque da collocare nel periodo che va dal 1802 al 1805.(278) È infatti proprio in questo arco di tempo - a dir la verità però posticipando di un anno, dunque dal 1803 al 1806 -, che è avvenuta l’elaborazione completa della filosofia hegeliana nella forma concettuale, se non linguistica, pressoché definitiva, tramite la ste­sura del manoscritto di Logica/Metafisica, della Fenomenologia dello spirito, quale sua propedeutica, e dei manoscritti di Filosofia della natura e dello spi­rito, quali parti ‘reali’ del Sistema della Scienza.

Il frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’ offre una risposta ben precisa alla problematica contenuta nella ricerca della religione assoluta, la quale era rimasta irrisolta a conclusione del manoscritto sulla filosofia dell’eticità del 1802/03, anticipando o presupponendo i risultati della costruzione del si­stema, in particolare il concetto della filosofia come scienza, caratteristico sia della Logica/Metafisica sia della Fenomenologia.

La sua stesura, a seconda ch’esso venga interpretato dal punto di vista dell’anticipo o della presupposizione di tali risultati, può essere avvenuta dunque immediatamente prima della stesura dei suddetti manoscritti (ossia tra la conclu­sione del Sistema dell’eticità e tale stesura) oppure dopo la medesima. Nel primo caso essa andrebbe allora collocata nella seconda metà del 1803, nel se­condo caso verso il 1805/06. Ovviamente è anche possibile una terza soluzione, ossia che tale frammento sia stato redatto da Hegel durante il periodo della ste­sura dei vari manoscritti sistematici jenesi, dunque tra il 1803 ed il 1806, anche se questa ipotesi è dal punto di vista logico ed immanente poco rilevante, in quanto comunque resterebbe aperta e da definire la problematica relativa all’anticipo od alla presupposizione dei risultati del sistema.

Una cosa è comunque certa: il frammento Continuazione del ‘Sistema del-l’eticità’ appartiene a quel gruppo di brevi testi e frammenti che si riferiscono tutti più o meno direttamente alla futura tematica dello spirito assoluto, ossia delle forme (arte, religione, filosofia) e dei gradi (politeismo, monoteismo, idea­lismo) di presentazione dell’assoluto alla coscienza umana.(279) Questa problema­tica risulta chiaramente essere la problematica fondamentale con cui si è con­frontato Hegel nel periodo che va dal 1803 al 1806 ed i cui risultati prati­camente definitivi sono contenuti nel capitolo conclusivo della Filosofia dello spirito del 1806, dedicato appunto allo spirito assoluto.

Nel presente lavoro si avanza l’ipotesi che la stesura del frammento Conti­nuazione del ‘Sistema dell’eticità’ sia avvenuta dopo la stesura da parte di He­gel dei manoscritti del 1803-05, ossia ci si pone dal punto di vista secondo il quale tale frammento presuppone i risultati conseguiti dal filosofo di Stoccarda nel periodo in questione. Il motivo di ciò è che diversi concetti contenuti nel frammento, in primo luogo il suo concetto fondamentale della filosofia come re­ligione assoluta, ma anche per esempio la struttura già chiaramente dialettica se­condo la quale viene presentato lo sviluppo storico della religione dalla forma dell’identità originaria a quella della conciliazione finale tramite il momento centrale dell’opposizione e della scissione, non sono presenti nel Sistema dell’eticità e sembrano chiaramente presupporre alcuni risultati conseguiti da Hegel nel periodo 1803-05 (per es. i momenti fondamentali dello sviluppo logico dia­lettico, la chiara e da Hegel non più discussa superiorità della filosofia rispetto alla religione etc.).

Se si confronta questo frammento con gli altri appartenenti al suddetto gruppo, per es. con il frammento... è solo la forma (1803/04) oppure Del trian­golo divino (1804) si può notare chiaramente che Hegel in essi è molto più pro­blematico, ossia dimostra d’essere ancora alla ricerca di una risposta alla que­stione della religione assoluta. Nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’, come del resto anche nell’altro C. La scienza del 1805, egli è al con­trario decisamente categorico e sicuro che la religione assoluta sia la filosofia, ossia la ‘scienza’ nel senso speculativo della filosofia dialettica, non la reli­gione come tale né tanto meno l’arte.

Nel 1804 Hegel sembra dunque non essere ancora pervenuto almeno in modo chiaro ed esplicito alla conclusione che la filosofia, la propria filosofia, sia la conoscenza dell’assoluto, in quanto la Filosofia dello spirito del 1803/04 non contiene ancora il capitolo conclusivo sullo spirito assoluto, nel quale appunto sarà esposta e contenuta tale concezione. Essa ne contiene, a dire il vero, un ac­cenno nel frammento...è solo la forma il quale mostra chiaramente come Hegel si stesse incamminando verso la conclusione definitiva della filosofia come co­noscenza adeguata dell’assoluto, ma non vi fosse però ancora giunto del tutto ed in modo esplicito.

 Soltanto nella versione del 1805/06 la Filosofia dello spirito contiene in­fatti il capitolo sullo spirito assoluto nella forma praticamente definitiva, rive­lando così che Hegel nel frattempo era pervenuto a tale conclusione, ossia alla comprensione che la vera e definitiva conoscenza dell’assoluto può esser acqui­sita soltanto tramite il pensiero filosofico speculativo, inserendo tale concezione al proprio posto definitivo all’interno del sistema, cioè nel terzo paragrafo, dedi­cato alla filosofia, del capitolo sullo spirito assoluto. Hegel dev’essere giunto dunque intorno al 1805/06 alla conclusione definitiva secondo la quale è la filo­sofia speculativa a condurre alla conoscenza dell’assoluto, pertanto la datazione 1805 per il frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’ sembra essere la più probabile, in quanto anche la più logica.

Alla luce di questa interpretazione, la stesura del frammento in questione e quindi la definitiva risposta di Hegel alla questione della ricerca della religione assoluta dovrebbe essere allora più da collocare nel periodo della stesura del frammento C. La scienza (1805) e del capitolo sullo spirito assoluto della Filo­sofia dello spirito del 1805/06 che non nel periodo della stesura degli altri due frammenti.

Si può concludere allora affermando che i vari testi redatti da Hegel nella seconda metà del suo soggiorno jenese segnano il cammino sulla via dell’elabo-razione della concezione della filosofia come dell’unica forma possibile di cono­scenza autentica e dunque scientifica dell’assoluto. Tale concezione ha la sua espressione più esplicita nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’, secondo una prospettiva storica, e nel capitolo sullo spirito assoluto della Filosofia dello spirito del 1805/06, secondo una prospettiva sistematica. La Fe­nomenologia dello spirito (1807) cercherà poi di unificare queste due prospet­tive, che però nel sistema filosofico maturo e definitivo di Hegel resteranno di­stinte: la prospettiva sistematica troverà infatti la propria adeguata formulazione nel capitolo sullo spirito assoluto dell’Enciclopedia, mentre la prospettiva sto­rica la troverà nelle lezioni relative alla storia filosofica delle varie forme dello spirito assoluto, ossia dell’arte, della religione e della filosofia.

Di seguito verrà indagato l’apporto dei più importanti di questi testi al pro­gresso dello sviluppo del pensiero di Hegel; per ora basti anticipare ch’essi se­gnano varie tappe nel cammino di Hegel dalla propria concezione ancora di Francoforte, formulata in modo esplicito nel Frammento di sistema del 1800, ossia che la filosofia deve terminare con la religione, alla concezione definitiva, formulata in una forma destinata ad uso privato nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’ (1805) ed in una forma destinata ad uso pubblico nella Fenomenologia dello spirito (1807), che la religione deve terminare con il sapere assoluto, dunque con la filosofia.

 

*

1.3.2

 

SECONDA FASE
(Negazione prima)

 

B. Lo svolgimento del contenuto concettuale

implicito nel principio religioso-metafisico dell’assoluto:
Costruzione della parte teoretica del sistema filosofico
(filosofia della natura, dello spirito soggettivo, logica-metafisica)

 

Arco temporale: 1803-05

Fonti principali: Sistema di filosofia speculativa(I) (1803-04);
Logica-Metafisica (1804-05)

 

 

*

1.3.2.1

 

PRIMO GRADO

(affermazione)

L’assoluto non è sostanza ma soggetto:

la nascita del sistema filosofico hegeliano come

‘sistema della filosofia speculativa’

 

Arco temporale: 1803-04
Fonti principali: Sistema di filosofia speculativa (I); 
Del triangolo divino

 

Nello sviluppo immanente del proprio pensiero Hegel è dunque pervenuto verso la metà del 1803 alla necessità di comprendere l’assoluto per fondare poi una religione assoluta, la quale sia a sua volta fondamento dell’eticità assoluta. Egli può realizzare ora un tale programma grazie alla nuova struttura del proprio pen­siero, che non è più quella tutto sommato ancora religiosa e rappresentativa del Frammento di sistema, ma quella decisamente filosofica e concettuale propria della filosofia idealistica tedesca dell’epoca ed in particolare del suo collega d’università Schelling.

Il primo passo compiuto da Hegel verso l’elaborazione della filosofia come religione assoluta è costituito infatti dal superamento della posizione ancora schellinghiana della filosofia dell’identità, nell’ottica della quale egli aveva con­siderato il problema della conoscenza dell’assoluto dal 1801 fino a questo mo­mento. In effetti gli scritti jenesi di Hegel fino all’incirca al 1803 rivelano la struttura logica di base propria della filosofia schellinghiana.

Secondo questa filosofia l’assoluto è identità di soggetto e oggetto, la quale si scinde in soggetto-oggetto soggettivo, dando vita alla filosofia dell’intelli­genza, e soggetto-oggetto oggettivo, dando vita alla filosofia della natura. Del-l’assoluto in sé, dunque non nelle sue manifestazioni particolari, si ha secondo Schelling intuizione e non sapere. Tale intuizione si ha in particolare nell’arte, fenomeno in cui l’essere umano coglie l’unità tra soggettività ed oggettività, tra conscio ed inconscio, ossia raggiunge quel punto d’indifferenza che segna il per­fetto equilibrio tra aspetto soggettivo ed oggettivo della realtà, in cui consiste appunto l’assoluto.

Questa concezione schellinghiana non può più essere accettata da Hegel verso la seconda metà del 1803, in quanto le conclusioni, cui egli è pervenuto negli anni 1802/03 tramite la teoria dell’eticità assoluta, sono in contraddizione con essa. L’eticità assoluta presuppone infatti la congruenza tra agire individuale ed agire universale e ciò significa che l’assoluto deve manifestarsi nella vita umana non come fatto intuitivo estetico, nell’estasi della creazione o fruizione artistica, bensì come fatto concettuale nel sapere, ossia nell’attività cui può ac­cedere in linea di principio ogni essere umano, a patto ch’egli sia disposto a prendere su di sé la “fatica del concetto” (ted.: “Anstrengung des Begriffs”), come Hegel si esprime nella Fenomenologia dello spirito (FS, 121).

Se così infatti non fosse, ossia se la presentazione dell’assoluto avvenisse soltanto nell’esperienza artistica, essa resterebbe un privilegio di pochi eletti e sarebbe preclusa alla stragrande maggioranza dell’umanità. Il momento estetico della creazione e della fruizione artistica è infatti al di fuori della logica, al di fuori della coscienza individuale, non dipende da un atto di volontà e dunque di libertà, cui può accedere qualsiasi essere umano, indipendentemente da razza, nazionalità, stato sociale etc. Se effettivamente la presentazione dell’assoluto, ossia dell’universale, nell’essere umano, quindi nell’individuo, avvenisse nel punto d’indifferenza tra inconscio e conscio, natura e spirito, dunque nella notte in cui “tutte le vacche sono nere”, per usare un’altra famosa espressione hege­liana a tal riguardo (FS, 68), la congruenza tra agire individuale ed agire univer­sale, necessaria in quanto presupposto dell’etica assoluta, resterebbe nelle mani del caso, dell’ispirazione artistica del momento, e non sarebbe dunque un atto di libertà dipendente unicamente dall’essere umano. L’etica però presuppone la li­bertà, l’indipendenza ed autonomia dell’essere umano, la sua responsabilità, non può quindi in alcun caso essere fondata su di un atto più o meno soggetto al caso, soprattutto poi se si tratta di un’etica assoluta, ossia di un’etica valida in li­nea di principio per tutti gli uomini.

In un’etica assoluta, che sia veramente tale, l’assoluto deve potersi presentare in linea di principio a qualsiasi essere umano e dev’essere soltanto la  volontà individuale a poter decidere di lasciarlo presentare, di accoglierlo in sé, tramite la “Anstrengung des Begriffs”, dunque di essere disposta a conoscerlo, a saperlo.

A partire dal 1803 Hegel si trova pertanto a dover affrontare la contraddi­zione tra la propria filosofia etica, fondantesi sul concetto dell’eticità assoluta, e la filosofia teoretica schellinghiana, che fino a questo momento era stata a fon­damento del proprio filosofare. Egli trova la soluzione a questa contraddizione, individuando il punto debole della concezione filosofica dell’ex compagno di studi universitari e superandolo in una nuova concezione dell’idealismo. La critica di Hegel si fonda sulla considerazione che la filosofia di Schelling resta ferma ad un punto di vista ‘esteriore’ rispetto all’assoluto, ossia essa espone l’assoluto nelle sue manifestazioni soggettiva ed oggettiva, ma non riesce a cogliere l’assoluto com’esso è in se stesso. Si tratta a tal proposito di una prospettiva ‘riflettente’ rispetto all’assoluto, e non speculativa, esterna e non interna, trascendente e non immanente ad esso.

È tale intuizione di fondo che Hegel sviluppa in questi anni creando pian piano il proprio sistema filosofico come ‘autoesposizione dell’assoluto’ e non come esposizione del medesimo da parte del soggetto riflettente e filosofante. Si tratta insomma della comprensione da parte del giovane docente che, se si vuole pervenire ad una piena conoscenza dimostrabile dell’assoluto, la quale sia vera scienza e possa quindi diventare in linea di principio patrimonio di tutti, occorre che non sia il soggetto filosofante ad esporre i vari concetti costituenti la strut­tura dell’assoluto, ma siano questi stessi ad autoesporsi, a svilupparsi l’uno dall’altro. Soltanto così il risultato, ossia la conoscenza dell’assoluto, sarà scienza oggettiva, apprendibile da qualsiasi essere umano, il quale sia ovvia­mente disposto a prendere su di sé la “Anstrengung des Begriffs”, condizione indispensabile della scienza.

La conoscibilità logica dell’assoluto è infatti il presupposto dell’assolutezza dell’eticità, quindi anche della sua raggiungibilità da parte di qualsiasi essere umano, quindi in ultima analisi della vera democrazia, come Hegel si esprime nell’aggiunta conclusiva al Sistema dell’eticità. Soltanto da un tale “punto di vi­sta superiore”, non soggettivo ma oggettivo, non riflettente ma speculativo, si può avere allora un sapere vero dell’assoluto, dunque si può pervenire alla com­prensione del fondamento dell’eticità assoluta, ossia della congruenza tra agire individuale ed agire universale.(280) L’essere umano infatti, il quale sia pervenuto a questa comprensione vera dell’assoluto, si sarà in tal modo elevato dal proprio essere finito al proprio essere infinito, dalla propria soggettiva empiricità alla propria assolutezza, in quanto sarà diventato ‘uno’ con l’assoluto, secondo la concezione già elaborata da Hegel al termine del periodo francofortese. ‘Sapere l’assoluto’, tramite la filosofia come scienza, significa infatti ‘essere l’assoluto’, in quanto l’assoluto, per sua definizione, non può essere un ente particolare, dev’essere qualcosa di ‘sciolto’, secondo l’etimologia del termine ‘assoluto’, di separato dagli enti particolari, ma nondimeno presente in essi. Nel momento in cui la ragione soggettiva comprende l’assoluto in modo scienti­fico, dunque seguendo una logica immanente autodimostrantesi, essa abbandona tutto ciò che è di empirico, soggettivo etc. e lascia presentare in sé quel qualcosa di sciolto, di separato che è presente in ogni ente. Così facendo essa non è più la ragione dell’essere umano individuale, ma è l’assoluto in sé, che è ora presente nello spirito soggettivo dell’individuo. In tal modo l’individuale ha accolto in sé l’universale, si è elevato all’universale. Anche il suo agire, come il suo sapere, non sarà dunque l’agire di un determinato individuo empirico, bensì l’agire dell’individuo assoluto, e tale agire sarà l’agire proprio di tutti gli individui perve­nuti a tale forma di elevazione. Così Hegel tramite la concezione della filosofia come scienza ha fondato l’eticità assoluta.

Per quanto riguarda la struttura fondamentale del sistema filosofico ideali­stico e quindi dell’essere, ch’essa intende rispecchiare, ciò significa:

  1. che l’assoluto non è un terzo rispetto alla natura ed allo spirito, ossia non è un ente tra altri enti;

  1. che esso si trova in modo più o meno cosciente e più o meno necessario o li­bero sia nell’una sia nell’altro;

  1. che esso è la sostanza che si sviluppa a partire da se stessa, dunque si autosvi­luppa, dandosi un’esistenza esteriore come natura e ritornando in sé come spirito. In quanto ‘assoluto’, esso deve infatti essere presupposto sia dalla natura che dallo spirito, in questo senso esso deve venire prima (in senso lo­gico e non cronologico) d’entrambi come Hegel afferma chiaramente nella logica, il cui contenuto è definito come

“[...] l’esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito”

(SL 1, 41).

„[...] die Darstellung Gottes ist, wir er in seinem ewigen Wesen vor der Erschaffung der Natur und eines endlichen Geistes ist.“

(GW 21, 34, 9-11)

 

In quanto l’assoluto si presenta all’essere umano nella filosofia scientifica, allora esso, dopo aver preso forma nella natura, ritorna alla sua forma originaria, la quale non può essere materiale, dunque soggetta allo spazio ed al tempo, in quanto in questo caso non sarebbe ‘sciolto’, sarebbe un ente, ma dev’essere la forma ideale del concetto, del pensiero. Soltanto se l’assoluto viene concepito in tal modo, esso non è un terzo ente rispetto alla natura ed allo spirito, bensì è la loro unità, quel che dà loro l’esistenza, conferendogli il carattere peculiare di es­sere esteriorizzazione (la natura) o interiorizzazione (lo spirito) di un’unica e medesima sostanza. Così concepito l’assoluto non è allora neanche più da consi­derare come ‘sostanza’, dunque come qualcosa di statico alla Spinoza, secondo la concezione della filosofia dell’identità, bensì come ‘soggetto’, espressione che nel linguaggio di Hegel significa qualcosa di dinamico, di autosviluppantesi.

Questa concezione di fondo è presupposta nella decisione hegeliana di an­nunciare per la prima volta nel semestre estivo del 1803 un corso sull’intera filo­sofia come Sistema della filosofia speculativa e non più, com’egli aveva fatto fi­no ad allora, soltanto sulle due parti corrispondenti rispettivamente alla Logica/Metafisica ed alla filosofia dell’eticità (si tratta in questo secondo caso delle lezioni sul diritto naturale).(281) I frammenti di Filosofia dello spirito del 1803/04, che formano la base per le lezioni annunciate da Hegel, sono infatti introdotti dal numero romano ‘III.’ e, come chiarisce Cantillo,

“ [...] questo, in corrispondenza con l’avviso per le lezioni dell’inverno 1803/04, significa che la filosofia dello spirito doveva costituire la terza parte del sistema.(282)

Dato che il frammento, cui Cantillo si riferisce, risale all’inverno 1803/04,(283) si deve concludere che Hegel al più tardi in questo periodo aveva già concepito l’esposizione del proprio sistema filosofico nella forma triadica poi anche defi­nitiva. Così si esprime a riguardo Kimmerle nel suo studio sulla cronologia degli scritti jenesi di Hegel:

“È inoltre essenziale che in questo frammento viene stesa una ‘filosofia dello spirito’, annun­ciata da Hegel per la prima volta per il semestre invernale 1803/04, così che qui abbiamo la nascita della ‘triade idea, natura, spirito’ nel sistema hegeliano della filosofia” (p. 158).

Queste conclusioni, cui ci guidano i due attenti studiosi dello Hegel jenese, con­sentono di pervenire ad un’ulteriore conclusione, ossia che Hegel in questo pe­riodo doveva aver già formulato almeno nelle linee generali la propria conce­zione dell’assoluto ed essersi quindi già distaccato definitivamente dalla conce­zione schellinghiana della filosofia dell’identità, altrimenti non avrebbe elabo­rato la propria concezione dello sviluppo dell’assoluto come soggetto attraverso la natura e lo spirito. Tale concezione è invece presupposta nei frammenti di fi­losofia della natura e dello spirito conservati, nonché nei vari annunci dei corsi di filosofia tenuti da Hegel all’università jenese in quegli anni.(284)

Sintetizzando: nell’autunno dell’anno 1803, in corrispondenza anche con l’annuncio di un corso su Philosophiae universae delineationem del semestre estivo e di un altro su Philosophiae speculativae Systema (complectens Logicam et Metaphysicam, philosophiam naturae et philosophiam mentis) del semestre invernale successivo, Hegel compie un’operazione concettuale molto impor­tante: egli comprende l’unità che esiste tra il mondo umano e quello naturale ed unifica i frammenti di Filosofia dello spirito (l’ex Sistema dell’eticità) e di Filo­sofia della natura in un unico Sistema di filosofia speculativa, il quale contiene la forma adeguata di esposizione e di conoscenza dell’assoluto.

A questo punto della costruzione del proprio sistema filosofico Hegel ha quindi concepito:

  1. la struttura concettuale del mondo naturale nei frammenti di Filosofia della natura del 1803, sviluppando l’originaria intuizione della natura come ‘orga­nismo’ attraversato e costituito da una vita infinita o tutto-vivente, contenuta nel Frammento di sistema del 1800;

  1. la struttura concettuale del mondo umano nei frammenti di Filosofia dello spirito del 1803/04, sviluppando l’originario concetto dell’eticità assoluta, formulato per la prima volta nel saggio Sulle diverse maniere di trattazione scientifica del diritto naturale del 1802 e nel Sistema dell’eticità del 1802/03.

Quel che ora gli resta da fare è elaborare la costruzione dell’assoluto in sé e quindi riaffrontare, sulla base dei nuovi risultati appena raggiunti, la problema­tica dell’elevazione dell’essere umano dalla coscienza finita (o relativa) alla co­scienza infinita (o assoluta), secondo la precisa definizione della questione della conoscibilità dell’assoluto, da lui intuita già nel Frammento di sistema del 1800.

 

*

1.3.2.2

 

SECONDO GRADO

(negazione prima)

 

La questione fenomenologica della forma adeguata

di presentazione dell’assoluto alla coscienza umana:
nascita della Logica-Metafisica

 

Arco temporale: 1804/05

Fonte principale: Manoscritto sulla Logica-Metafisica

 

 

Dopo aver svolto il contenuto concettuale implicito nell’ideale etico-morale dell’eticità assoluta ed aver quindi praticamente già costruito la parte reale del pro­prio sistema filosofico, si ripresenta a Hegel, all’incirca intorno al 1804/05, la questione, lasciata irrisolta nel 1803, della fondazione dell’assolutezza dell’eticità tramite la religione assoluta. L’elaborazione del primo tentativo di costruire il sistema della filosofia come autoesposizione dell’assoluto s’interrompe infatti di nuovo al punto conclusivo e precisamente alla formulazione del concetto della fondazione dell’eticità assoluta, dunque alla conclusione dei frammenti riguardanti quelli che saranno poi i temi della futura Filosofia dello spirito oggettivo.(285) Per fortuna è conservato un frammento, re­datto da Hegel nel semestre invernale 1803/04, secondo il Kimmerle verso la fine di esso e dunque verso l’inizio dell’anno 1804,(286) nel quale il filosofo af­fronta il tema del rapporto tra la coscienza singola e la coscienza assoluta, in particolare come possa la coscienza assoluta divenir presente alla coscienza singola. Si tratta del frammento...è solo la forma.(287)

Hegel pone a se stesso la domanda, quale debba essere la forma idonea ad assicurare la presenza dell’assoluto alla coscienza singola, elevandola  a coscienza assoluta. Egli prende in esame diverse possibilità, riferentesi sia alla religione sia all’arte.

Per quanto riguarda la religione,  il pensatore svevo perviene alla seguente conclusione:

 

“[...] ma le figure in cui questi singoli viventi si intuiscono come coscienza assoluta, i fon­datori di religioni, sono figure essenzialmente reali, esistenti nella storia, non figure assolu­tamente libere [...]”

(FSJ, 64).

„[…]die Gestalten aber, worin dise lebendigen Einzelnen sich als absolutes Bewußtseyn anschauen, die Stiffter der Religionen sind wesentlich wirkliche in der Geschichte existirende, nicht absolut freye Gestalten[…]“

(GW 6, 330, 10-13)

 

La religione dunque, per l’ineliminabile ancoramento alla vita storica effettiva, dunque per il fatto di essere un qualcosa di relativo alla storia e non d’assoluto, non può assicurare la presenza dell’assoluto come tale alla coscienza singola, elevandola quindi a coscienza assoluta.

Anche per quanto riguarda l’arte, Hegel si esprime in modo negativo:

 

“L’arte, che dona una presenza a quell’amore, a quelle azioni romantiche, come pure a que­ste figure storiche e a questo annientamento della coscienza, non può, mediante la forma, togliere a tale contenuto il suo elemento es­senziale per cui esso non ha una presenza, bensì solo un’assoluta aspirazione e nostalgia” (FSJ, 65).

„Die Kunst, welche jener Liebe, jener romantischen Thaten, und diesen geschichtlichen Gestalten und diesem Vernichten des Bewußtseyns Gegenwart gibt, kann solchem Innhalt sein wesentliches, daß er keine Gegenwart hat, sondern nur absolute Sehnsucht nicht durch die Form benehmen.“

(GW 6, 331, 13-16)

 

Occorre dunque trovare un altro modo che consenta all’assoluto di presen­tarsi alla coscienza singola in modo puro, dunque senza quegli elementi empirici propri dell’arte e della religione. Insomma Hegel comprende che bisogna riuscire ad adeguare la ‘forma di presentazione’ dell’assoluto alla sua ‘forma di ricezione’ da parte della coscienza singola.

La forma di presentazione dell’assoluto alla coscienza singola dev’essere la forma dell’universalità, ossia della purezza e dell’assolutezza, poiché l’assoluto è la ragione soggettiva ed oggettiva; “sciolta” da qualunque contenuto. Pertanto, anche la sua forma di ricezione dev’essere quella pura dell’universalità e dell’assolutezza.

Così si esprime Hegel a riguardo nelle ultime frasi conservate, poiché pur­troppo il frammento è stato tramandato in forma incompleta (senza inizio e senza fine):

 

“Il contenuto in cui appare la coscienza asso­luta deve liberarsi dalla sua aspirazione e no­stalgia, dalla sua singolarità che ha un al di là del passato e del futuro, e lo spirito del mondo [deve] lottare per la forma dell’universalità; il mero concetto dell’assoluto godimento-di-sé deve essere sollevato dalla realtà in cui si è sprofondato come concetto, e in quanto [è] per se stesso la forma del concetto, esso rico­struisce la realtà della sua esistenza e diviene assoluta universalità”

(FSJ, 65).

„der Innhalt in dem das absolute Bewußtseyn erscheint, muß sich von seiner Sehnsucht, von seiner Einzelnheit die ein Jenseits der Vergangenheit und der Zukunft hat befreyen, und der Weltgeist nach der Form der Allgemeinheit ringen; der blosse Begriff des absoluten Selbst-genusses muß aus der Realität in die er sich als Begriff versenkt hat, erhoben [werden], und indem er sich selbst die Form des Begriffes, reconstruirt er die Realität seiner Existenz und wird absolute Allgemeinheit.“

(GW 6, 331, 16-22)

 

Queste sono le ultime parole del frammento. È evidente quale sia la conclusione, almeno provvisoria, cui Hegel perviene, ossia che se la forma di presentazione è l’universalità, in quanto questa è la forma dello “spirito del mondo”, tale deve essere anche la sua forma di ricezione da parte della coscienza singola.

In conclusione, la coscienza singola deve recepire l’assoluto nella forma dell’universalità. Soltanto in tal modo è possibile che l’assoluto si presenti alla coscienza singola e quindi questa si elevi a coscienza assoluta.

È chiaro dunque che Hegel con queste riflessioni è arrivato vicinissimo alla soluzione del problema fondamentale che gli aveva impedito di chiudere il Si­stema dell’eticità, ossia il problema della fondazione dell’eticità assoluta, in modo particolare di come riuscire a condurre l’essere umano empirico ad ele­varsi all’assoluto, così che il suo agire divenga l’agire dell’assoluto stesso e finisca di essere l’agire dell’individuo empirico.

Per ottenere questo scopo occorre dunque unificare la forma del sapere dell’assoluto alla forma dell’essere dell’assoluto, che è quella dell’universalità, il concetto, come Hegel si esprime nel brano citato.

Purtroppo non possiamo sapere, e forse non lo sapremo mai, se Hegel nella continuazione del frammento, andata perduta, si sia spinto ancora più avanti con le proprie riflessioni, giungendo quindi all’ulteriore conclusione, che tale forma non può che essere quella della filosofia.  Se così fosse, allora avremmo già in questi frammenti del 1803/04 il primo sistema filosofico completo di Hegel. Infatti in essi vi sarebbe chiaramente contenuta, benché sicuramente non espressa ancora nella forma chiara e distinta del sistema maturo, la concezione della filosofia come unica forma di ricezione dell’assoluto,  idonea a realizzare l’elevazione della coscienza singola a coscienza assoluta; ciò tramite la comprensione concettuale della forma dell’assoluto, superiore sia all’arte che alla religione.

Tale supposizione è giustificata dal fatto che Hegel nell’ultima frase conservata del frammento si è espresso in questo senso, pur non usando  l’espressione ‘filosofia’ in riferimento alla forma adeguata di presentazione dell’assoluto alla coscienza singola.

 

*

1.3.2.3

 

TERZO GRADO

(negazione seconda)

 

La religione assoluta è la filosofia

 

Arco temporale: 1805

Fonte principale: Continuazione del Sistema dell’eticità;
 

I progressi compiuti negli anni 1803-05 consentono ora a Hegel di risolvere de­finitivamente la questione dell’elaborazione di una religione assoluta a fonda­mento dell’eticità assoluta. Tale soluzione è contenuta in modo esplicito nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’, il quale rappresenta la chiusura del Sistema dell’eticità, dunque la sua continuazione dopo l’interruzione causata dall’emergere della questione sopra esposta.

In questo frammento,(288) tramandato dal Rosenkranz,(289) il filosofo di Stoc­carda traccia il cammino percorso dall’umanità nell’elevarsi dal punto di vista dell’identità originaria, ma inconsapevole, dello spirito con se stesso, prima al punto di vista della scissione ed infine a quello della riconciliazione definitiva e consapevole. Tale cammino costituisce il senso fondamentale della storia religiosa dell’umanità, che Hegel suddivide nelle seguenti tre fasi: religione politeista naturale (prima fase, identità originaria), religione monoteista cristiana (seconda fase, scissione) e da ultimo filosofia, la sua filosofia, dunque l’idealismo (terza fase, riconciliazione).

Il contenuto spirituale della terza fase è costituito dallo fase finale rag­giunto dall’umanità nel processo religioso di elevazione dalla coscienza finita alla coscienza infinita, ossia nel passaggio dal punto di vista della coscienza em­pirica e soggettiva a quello della coscienza pura ed assoluta. Hegel definisce tale punto di vista con le seguenti parole:

 

“Dopo che il protestantesimo si sarà spogliato della consacrazione estranea, lo spirito potrà giungere a santificare se stesso nella propria forma ed oserà restaurare la conciliazione primitiva in una nuova religione, la quale prenderà in sé il dolore infinito e tutto il peso del suo opposto, ma risolvendolo con purezza e senz’alcuna confusione, quando ci sarà un popolo libero e la ragione avrà rigenerato la sua realtà come spirito etico, che avrà l’audacia di assumere la sua pura forma sul suo proprio terreno e con la sua propria mae­stà. Ogni singolo è un cieco membro nella catena della necessità assoluta con cui il mondo si sviluppa. Ogni singolo può raggiun­gere il dominio di una parte più lunga di que­sta catena solo nel caso in cui riconosca in quale direzione si muova la grande necessità e da questa conoscenza impari a pronunciare la parola magica che fa nascere la figura di essa. Questa conoscenza, di assorbire in sé l’intera energia del dolore e dell’opposizione, che per due millenni ha governato il mondo e tutti gli aspetti della sua formazione e di sollevarsi nello stesso tempo al di sopra di tale energia, può essere offerta solo dalla filosofia.”

(Ros., 158-159)

„Nach- | dem nun der Protentanismus die fremde Weihe ausgezogen, kann der Geist sich als Geist in eigener Gestalt zu heiligen und die ursprügliche Versöhnung mit sich in einer neuen Religion herzustellen wagen, in welche der unendliche Schmerz und die ganze Schwere seines Gegensatzes aufgenommen, aber ungertrübt und rein sich auflöst, wenn es nämlich ein freies Volk geben und die Vernunft ihre Realität als einen sittlichen Geist wiedergeboren haben wird, der die Kühnheit haben kann, auf eigenem Boden und aus eigener Majestät sich seine reine Gestalt zu nehmen.- Jeder Einzelne ist ein blindes Glied in der Kette der absoluten Nothwendigkeit, an der sich die Welt forbildet. Jeder Einzelne kann sich zur Herrschaft über eine größere Länge dieser Kette allein erheben, wenn er erkennt, wohin die große Nothwendigkeit will und aus dieser Erkenntniß die Zauberworte aussprechen lernt, die ihre Gestalt hervorrufen. Diese Erkenntniß, die ganze Energie des Leidens und des Gegensatzes, der ein paar tausend Jahre die Welt und alle Formen ihrer Ausbildung beherrscht hat, zugleich in sich zu schließen und sich über ihn zu erheben, diese  Erkenntniß vermag nur Philosophie zu geben.“

(Or. ted. 140-1411 ora anche in GW 5, 465,1-17)

 

Hegel chiarisce in questo passo, dunque, che la ‘terza forma di religione’ dell’umanità dev’essere la filosofia, in quanto questa è la forma propria della ra­gione, ossia fondata sul sapere ed è pertanto la forma religiosa assoluta (dunque terzo ed ultimo fase religioso dell’umanità dopo la religione naturale o politei­stica e quella soprannaturale o monoteistica).(290)

Così si esprime al riguardo Rosenkranz, commentando il testo ch’egli ancora possedeva:

 

“Per quanto Hegel (...) considerasse allora il protestantesimo una forma finita del cristiane-simo tale e quale il cattolicesimo, egli non passò tuttavia, come molti dei suoi contempo­ranei, al cattolicesimo stesso, in quanto rite­neva che dal cristianesimo, attraverso la me­diazione della filosofia, sarebbe nata una terza forma di religione.”

(Ros., 158)

„Obwohl nun Hegel damals den Protestantismus für eine eben so endliche Form des Christenthums hielt, als den Katholicismus, so ging er deswegen doch nicht, wie Viele seiner Zeitgenossen, zum Katholicismus über, sondern glaubte, daß aus dem Christenthum durch die Vermittelung der Philosophie eine dritte Form der Religion sich hervorbliden werde.“

(or. ted. 140 anche in GW 5, 464, 20-24)

 

L’avvento della filosofia alla guida religiosa dell’umanità segna dunque il rag­giungimento del sommo fase nell’elevazione dalla vita finita alla vita infinita, ossia il fase dell’identificazione della vita finita con la vita infinita, dell’essere umano con dio, dello spirito individuale, insito nell’essere umano, con lo spirito assoluto, presente nell’universo intero.

In tal modo Hegel risolve la problematica apertasi a conclusione del Si­stema dell’eticità e che gli aveva impedito di chiudere la prima versione della sua filosofia etica. Tale problematica consisteva infatti nella necessità di far coincidere nell’eticità assoluta l’agire individuale con quello universale, secondo quanto il filosofo aveva formulato per la prima volta nel saggio sulle Diverse maniere di trattazione scientifica del diritto naturale del 1802, come anche  di pervenire all’elaborazione di una religione assoluta a fondazione di tale eticità, secondo quanto elaborato per la prima volta nel 1803 nello scritto Sistema dell’eticità. In sintesi Hegel procede con le seguenti riflessioni:

  • se l’agire individuale deve essere contemporaneamente anche l’agire dell’assoluto, significa che l’assoluto deve manifestarsi nel mondo. Un assoluto che resti infatti separato dal mondo o che, pur essendo nel mondo, non si manife­sti pienamente nell’essere umano, dunque nell’agire individuale, non può soddisfare il principio dell’eticità assoluta, che è l’unica forma di eticità vera;

  • d’altra parte, la fondazione dell’eticità tramite la religione assoluta significa che all’essere umano riesca quella elevazione dalla vita finita alla vita infi­nita, che Hegel già nel Frammento di sistema del 1800 aveva indicato come qualcosa di necessario e come l’essenza della religione.

Nella conclusione contenuta nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’ tale problematica è risolta in quanto la filosofia come religione as­soluta da una parte è la forma di elevazione dell’essere umano finito alla vita in­finita, all’assoluto, tramite l’elevazione della coscienza da empirica a pura, dall’altra parte tale elevazione conduce l’essere umano empirico ad identificarsi con l’assoluto e quindi anche il suo agire non sarà più un agire meramente individuale, bensì un agire assoluto, un agire etico.

Il fatto che il frammento citato porti il titolo Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’ non è allora un caso, in quanto tale frammento effettivamente co­stituisce la ripresa e la conclusione da parte di Hegel della versione originaria della propria filosofia dello spirito oggettivo, ossia del Sistema dell’eticità.Tale frammento corrisponde allora, secondo una prospettiva storica, a ciò che nel sistema sarà la filosofia dello spirito assoluto, dunque la fondazione a livello sistematico dell’assolutezza dell’eticità.

Questo non è l’unico frammento che documenta l’ulteriore passo logico compiuto da Hegel, ma ve ne sono altri, come per es. tutti i frammenti, studi, le­zioni etc. che poi saranno utilizzati da Hegel per la stesura della Fenomenologia dello spirito e verranno in essa integrati. È infatti proprio il tema fenomenolo­gico, ossia la via percorsa dall’essere umano individuale (coscienza singola) e dall’umanità in generale (coscienza universale) dal sapere empirico al sapere as­soluto, che contiene la risposta hegeliana al quesito del 1803 sulla fondazione dell’eticità assoluta tramite una religione altrettanto assoluta.

 

*

1.3.3

 

 
TERZAFASE

(negazione seconda)

 

B. Svolgimento del contenuto concettuale

implicito nel principio religioso-metafisico dell’assoluto;
‘chiusura’ del sistema come fondazione del medesimo

tramite il concetto dello ‘spirito assoluto’;

la nascita del primo sistema filosofico completo,

anche se ancora definitivo, di Hegel

 

Arco temporale: 1805-06

Fonte principale: C. La Scienza; Sistema di filosofia speculativa (II)

 

A questo punto dello sviluppo immanente del proprio pensiero, siamo nel 1805/1806, Hegel chiude il nascente sistema filosofico tramite l’elaborazione in forma sistematica della concezione della filosofia come religione assoluta,  esposta nel frammento Continuazione del ‘Sistema dell’eticità’.  In esso è contenuta  infatti l’esposizione di questa concezione in forma storica, ossia se­condo lo sviluppo cronologico delle principali concezioni religiose.

Già all’inizio di tale frammento Hegel chiarisce però che non si tratta soltanto di uno sviluppo cronologico e storico, bensì anche di uno sviluppo sistematico e filosofico, nel senso che l’articolazione logico-dialettica del concetto di religione ne determina lo sviluppo storico, costituendo la forma della sua manifestazione nel tempo:

 

“La religione deve (...) presentarsi nella storia del mondo (...) secondo le tre universali di­mensioni della ragione (...) nelle tre seguenti forme: 1) nella forma dell’identità, nell’originaria conciliazione dello spirito e del suo essere reale nell’individualità; 2) nella forma in cui lo spirito prende le mosse dalla sua infinita differenza della sua identità, rico­struisce da essa una relativa identità e si con­cilia; 3) questa identità (...) porrà l’essere-uno della ragione nella forma dello spirito e in quella del suo essere reale (...)”

(Ros., 154).

„Die Religion muß […] nach den allgemeinen drei Dimensionen der Vernunft […] weltgeschichtlich in folgenden drei Formen auftreten: 1) in der Form der Identität, in ursprünglicher Versöhntheit des Geistes und seines Reellseins in der Individualität; 2) in der Form, daß der Geist von der unendlichen Differenz seiner Identität anfange und aus ihr eine relative Identität reconstruire und sich versöhne; 3) diese Identität […] wird das Einssein der Vernunft in Geistesgestalt und derselben in ihrem Reellsein [...].“

(or. ted.  anche in GW 5,)

 

È chiaro quindi che per Hegel già dal momento della stesura di questo fram­mento la successione storica delle tre forme principali di religione corrisponde alla struttura sistematica del concetto di ragione, secondo il seguente schema dialettico, ormai già nato, quantunque non ancora pervenuto alla maturazione completa: identità originaria (conciliazione), opposizione, identità riconquistata ad un livello più alto, includente l’opposto (riconciliazione).

Nel frammento citato Hegel sviluppa maggiormente il lato dello sviluppo storico, secondo il quale il primo momento corrisponde alla religione naturale (politeismo), il secondo alla religione cristiana (o monoteismo in generale) ed il terzo alla religione assoluta o filosofia (idealismo). Il lato sistematico della questione egli lo sviluppa invece nella Filosofia dello spirito del 1805/06.(291)

Tale parte del sistema filosofico hegeliano a Jena contiene rispetto alla ver­sione del 1803/04 diverse differenze, la più importante delle quali è senz’altro l’aggiunta del capitolo conclusivo sullo spirito assoluto, che ancora mancava, sebbene vi fosse accennato,(292) nella versione precedente del 1803/04. Ciò signi­fica dunque che Hegel negli anni 1804/05 ha elaborato definitivamente tale teo­ria e l’ha ora inserita nel proprio sistema, completandolo e chiudendolo.

Vediamo ora in che consiste l’importanza di questa aggiunta da parte di Hegel del capitolo sul concetto dello ‘spirito assoluto’ al proprio sistema filoso­fico.

Nel suddetto capitolo, intitolato C. Arte, religione e scienza, di cui il fram­mento già citato C. La scienza costituisce uno fase preliminare, Hegel espone le tre ‘forme’ di presentazione dello spirito a se stesso, dove ovviamente per spirito non è da intendere l’essere individuale, ma lo spirito universale, l’essenza assoluta che ritorna in sé dalla sua esteriorizzazione nella natura.

Così si esprime il pensatore svevo a tal riguardo:

 

“Lo spirito assolutamente libero, che ha ri­preso in sé le sue determinazioni, produce ora un altro mondo; un mondo che ha la forma [Gestalt] di se stesso; dove la sua opera è in sé compiuta ed esso perviene all’intuizione di sé in quanto sé” 

(FSJ, 164).

„Der absolut freye Geist, der seine Bestimmungen in sich zurükgenommen, bringt nun eine andre Welt hervor; eine Welt, welche die Gestalt seiner selbst hat; wo sein Werk vollendet in sich ist und er zur Anschauung  seiner gelangt.“

(GW 8, 277, 9-12)

 

Tale autoproduzione o autointuizione dello spirito avviene secondo tre diverse modalità, che sono da interpretare anche come gradi, secondo il già formato schema dialettico immediatezza-mediazione-ritorno mediato all’immediatezza.

La prima modalità è l’arte. Essa è lo spirito che intuisce se stesso in modo immediato, formale:

 

“L’arte è immediatamente la forma [die Form], cui è indifferente il contenuto, e che potrebbe calarsi in ogni contenuto [e] ogni cosa come un che di infinito può portare all’intuizione” (FSJ, 165).

„Sie ist unmittelbar die Form, der der Inhalt gleichgültig ist, und die sich in jedem herumwerfen könnte- jedes als Unendliches zur Anschauung bringen kann;“

(GW 8, 278, 12-14)

 

Questa peculiarità dell’arte la rende inadatta a cogliere l’essenza dello spirito, in quanto tale essenza non è qualcosa di formale, d’immediato, ma piuttosto un contenuto, frutto di una mediazione:

 

“Il suo elemento è l’intuizione - ma questa è l’immediatezza, che non è mediata: questo elemento è perciò inadeguato allo spirito. L’arte pertanto può dare alle sue forme [Ge­stalten] solo uno spirito limitato. La bellezza è forma [Form], è l’illusione dell’assoluta vita­lità, che si appaga di se stessa, e [crede che] è conchiusa e perfetta in sé. Questo medio della finitezza, l’intuizione, non può afferrare l’infinito; è una infinità soltanto creduta. (...) Non c’è in ciò la necessità, né la forma del pensiero. La bellezza è piuttosto il velo che copre la verità, che non la presentazione di questa. L’artista, pertanto, spesso pretende che per l’arte il rapporto sia solo rapporto alla forma [Form] e si debba astrarre dal conte­nuto. Ma gli uomini non si lasciano sottrarre questo contenuto.”

FSJ, 166-167).

„Sein Element ist die Anschauunng- aber sie ist die Unmittelbarkeit, welche nicht vermittelt ist- dem Geiste ist diß Element daher unangemessen. Die Kunst kann daher ihren Gestalten nur einen beschränkten Geist geben. Schönheit ist Form, | sie ist die Taüschung der absoluten Lebendigkeit, die sich selbst genügt, und in sich geschlossen und vollendet sey. Diß Medium der Endlichkeit; die Anschauung kann nicht das Unendliche fassen; es ist nur gemeynte Unendlichkeit.[...]Es ist nicht die Nothwendigkeit, - nicht die Gestalt des Denkens darin;- die Schönheit ist vielmehr der Schleyer, der die Wahreit bedekt, als die Darstellung derselben.[...] der Künstler fodert daher haüffig, daß das Verhältniß zur Kunst nur Verhältniß zur Form sey, und von dem Inhalt zu abstrahiren sey;- aber diesen Inhalt lassen sich die Menschen nicht nehmen- Sie verlangen Wesen- nicht blosse Form.“

(GW 8, 279, 15-27; 280, 1-3)

 

L’arte è dunque in sé contraddittoria, da una parte aspira a cogliere l’assoluto, che è spirito; dall’altra però pretende di coglierlo nella forma immediata dell’intuizione, la quale è del tutto inadeguata a lasciar ‘presentare’ la forma dello spirito, che è mediazione, pensiero, necessità.

Hegel riprende dunque nel 1805/06 sia la tematica sia che la terminologia ed anche le conclusioni proprie del frammento... è solo la forma del 1803/04, mostrando però di essere pervenuto ad una sistematizzazione molto più precisa. Ciò si rivela in modo chiaro nel fatto ch’egli più che fornire esempi individuali svolge un ragionamento di principio ad un alto livello di astrazione: non è questa o quella forma d’arte cui egli si riferisce, ma l’arte in sé, nel suo concetto. È il concetto stesso dell’arte infatti che porta in sé la necessità del suo trapasso a qualcosa di più elevato, alla religione.

Così si esprime Hegel nel suo caratteristico linguaggio lapidario, che anti­cipa ormai senza alcun’ombra di dubbio quello delle grandi opere sistematiche della maturità:

 

“L’arte nella sua verità è piuttosto religione” (FSJ, 167).

„Die Kunst ist in Wahrheit vielmehr Religion.“ (GW 8, 280, 7)

 

Infatti nella religione lo spirito non si presenta a se stesso in forma immediata, esteriore, bella, bensì già come contenuto:

 

“Nella religione invece lo spirito diviene a sé oggetto come assolutamente universale, ov­vero come essenza di tutta la natura, ‘dell’’essere e ‘dell’’agire, e nella forma [Gestalt] dell’immediato Sé - il Sé è sapere universale, e perciò ritorno in sé” (FSJ, 168).

„In der Religion aber wird der Geist sich Gegenstand, als absolut allgemeines, oder als Wesen aller Natur [,des] Seyns und Thuns, und in der Gestalt des unmittelbaren Selbsts- das Selbsts ist allgemeines Wissen, und die Rükkehr dadurch in sich.“ 

(GW 8, 280, 17-20)

 

Come per l’arte, così anche nel caso della religione Hegel si muove ad un ele­vato livello d’astrazione, senza alcun compromesso con la realtà empirica.(293)

Non è infatti questa o quella religione storica, cui egli si riferisce, ma la religione as­soluta, riprendendo così la tematica fondamentale apertasi dopo l’elaborazione del concetto dell’eticità assoluta.

Così infatti recita la continuazione del brano appena citato:

 

“La religione assoluta è questo sapere - che Dio è la profondità dello spirito certo di se stesso, perciò egli è il Sé di tutti.”

(FSJ, 168).

„Die absolute Religion ist diß Wissen- daß Gott die Tiefe des seiner selbst gewissen Geistes ist, - dadurch ist er das Selbst aller.“

(GW 8, 280, 20-22)

 

Ovviamente non si tratta qui per Hegel del Dio di una religione in particolare, ma del Dio della religione assoluta, o, il che è lo stesso, della religione nel suo concetto:

 

“Dio è l’essenza, il puro pensiero; ma alienato da questa astrazione, egli è il Sé reale; (...) - la natura divina non è un’altra natura da quella umana.”

(FSJ, 168)

„(Gott) Es ist das Wesen das reine Denken, - aber dieser Abstraction entaüssert, ist er wirkliches Selbst; […] die göttliche Natur ist nicht eine andre als die menschliche.“

(GW 8, 280, 22-26)

 

Continuando, il filosofo delinea ancora più chiaramente il concetto della religione assoluta:

 

“Tutte le altre religioni sono imperfette; (...). La religione assoluta, invece, è il profondo che è emerso alla luce. Questo profondo è l’io - è il concetto, l’assoluta pura potenza”

(FSJ, 168)

„alle andern Religionen sind unvollkommen;[...] Die absolute Religion aber ist das Tiefe, das zu Tage herausgetreten- diß Tiefe ist das Ich- es ist der Begriff, die absolute reine Macht.“

(GW 8, 280, 26-27; 281, 2-4)

 

Nelle considerazioni immediatamente successive (FSJ 168-169; GW 8, 280-282) Hegel ritorna su alcuni pensieri che chiaramente riprendono la problema­tica del rapporto tra religione assoluta e vera democrazia, o, più in generale, tra forme di religione e forme di governo, che gli si era già presentata al momento della stesura sia dell’aggiunta al Sistema dell’eticità sia del frammento Conti­nuazione del ‘Sistema dell’eticità’.

Hegel mostra anche in queste considerazioni di non avere alcun dubbio sul fatto che alla religione assoluta corrisponda la vera democrazia, il popolo assoluto nel senso di popolo libero:(294)

 

“Nella religione assoluta, dunque, lo spirito è riconciliato con il suo mondo. (...). Ognuno è uguale al principe - è il sapere di sé come dello spirito - ognuno vale Dio tanto quanto ogni altro.”

(FSJ, 168).

„In ihr ist also der Geist mit seiner Welt versöhnt.[...] Jeder sich zu dieser Anschauung seiner als eines allgemeinen Selbst[...] es ist das Wissen seiner als des Geistes- er gilt Gott soviel als jeder anderer.“

(GW 8, 281, 5, 15 e 18)

 

Anche la religione però non è la forma adatta a lasciar presentare lo spirito a se stesso. Essa non riesce ancora ad adeguare la forma di presentazione dello spirito a sé alla forma del suo essere:

 

“La religione però è lo spirito rappresentato, il Sé che non riunisce la sua coscienza pura e la sua coscienza reale, il Sé per il quale il conte­nuto della sua coscienza pura, nella sua co­scienza reale, sta di fronte come un che di al­tro.” (FSJ, 169)

„die Religion aber ist der vorgestellte Geist, das Selbst das sein reines Bewußtseyn und sein wirkliches nicht zusammen bringt, dem der Inhalt von jenem in diesem als ein anderes gegenübertritt.“

(GW 8, 282, 6-8)

 

Resta insomma nella religione un che di altro, un elemento estraneo alla forma pura dello spirito, ossia al pensiero. Tale elemento estraneo funge da ostacolo al ritorno in sé dello spirito assoluto, ossia all’adeguamento della forma di presen­tazione dello spirito assoluto nella coscienza reale alla forma propria dell’essere dell’assoluto. Nel linguaggio del Frammento del Sistema, ripreso poi nella Fe­nomenologia, l’elevazione del finito all’infinito, della coscienza empirica alla coscienza assoluta, non è completa nella religione. Il motivo di ciò è che alla re­ligione manca la forma dell’intellezione, i momenti dello spirito non vengono da lui

 

“concettualmente compresi [begriffen], pene­trati [eingesehen]” (FSJ, 173). 

„daß sie nicht begriffen nicht eingesehen sind.“ (GW 8, 286, 3)

 

Continuando, Hegel chiarisce questo concetto in modo ancor più chiaro ed esplicito:

 

“Il contenuto della religione è ben vero; ma questo esser-vero è un’assicurazione - senza intellezione [Einsicht]” (FSJ, 173).

„Der Inhalt der Religion ist wohl wahr; aber diß Wahrseyn ist eine Versicherung- ohne Einsicht.“ (GW 8, 286,4)

 

Ciò significa che nella religione assoluta lo spirito finito sa sì che esiste lo spi­rito assoluto e se lo rappresenta anche; sa quindi di più di quanto non sappia nell’arte, il cui culmine è costituito dall’intuizione di un universale quale matrice della bellezza della natura. Nondimeno neanche la religione conduce lo spirito finito a ‘conoscere’ lo spirito infinito ed assoluto, ossia a farlo proprio nell’unica forma in cui ciò è possibile, la forma del concetto. L’essenza dello spirito universale e l’essenza dello spirito individuale in sé coincidono, sono en­trambe ‘concetto’, ‘logicità’, è pertanto chiaro che la loro coincidenza anche reale, ossia nel processo di elevazione dello spirito individuale allo spirito uni­versale, debba avvenire nell’elemento logico, nel sapere. Ed infatti Hegel conti­nua il manoscritto esponendo in modo chiaro e semplice questo concetto, non lascia dunque alcun dubbio sul senso originario della sua concezione del rap­porto tra religione e filosofia:

 

“Questa intellezione è la filosofia, scienza as­soluta - lo stesso contenuto della religione – però [nella] forma del concetto”

(FSJ, 173).

„Diese Einsicht ist die Philosophie, absolute Wissenschafft- derselbe Inhalt als der der Religion- aber Form des Begriffs.“

(GW 8, 286, 6-7)

 

La filosofia, ovviamente già la propria filosofia speculativa, come Hegel chiari­sce nei passi seguenti sintetizzando lo svolgimento già dialettico del proprio si­stema attraverso la triade idea-natura-spirito, è ‘scienza assoluta’ in quanto unica forma adeguata di presentazione dello spirito universale, dell’assoluto, nello spirito individuale, ossia nell’essere umano.

L’assolutezza della filosofia come modalità di presentazione dell’assoluto alla coscienza umana rende ben chiaro anche quanto enunciato all’inizio del pre­sente capitolo, ossia che le diverse modalità di tale presentazione sono contem­poraneamente anche gradi di sviluppo temporale, per cui la forma più completa, la filosofia, costituisce anche un fase storicamente successivo rispetto alle altre due (arte e religione).

Così si chiarisce anche il rapporto che esiste tra la struttura storica della trattazione del rapporto tra arte, religione e filosofia nel frammento Continua­zione del ‘Sistema dell’eticità’ e la struttura sistematica della trattazione della medesima nel capitolo C. Arte, religione e scienza della Filosofia dello spirito del 1805/06.

Poiché la storia nella sua struttura non è altro che la presentazione dell’assoluto attraverso il succedersi delle comunità umane ed essendo la struttura del-l’assoluto in sé di natura dialettica, secondo lo schema immediatezza-media­zione-ritorno mediato all’immediatezza, anche il dispiegamento dell’assoluto nella storia non può che avvenire secondo tale schema. Pertanto nella storia si dovranno susseguire prima ‘civiltà artistiche’, basate su di un rapporto immediato con l’assoluto (l’assoluto è intuito nella natura); poi ‘civiltà religiose’, fondate su di un rapporto ‘mediato’ con l’assoluto (l’assoluto è rappresentato in un ente altro dall’uomo ma in stretto rapporto con lui); infine, ‘civiltà filosofiche’, incentrate su di un rapporto di ‘immediatezza mediata’ con l’assoluto (l’assoluto è concepito dallo spirito che si sa come assoluto).(295)

È dunque da concludere che la filosofia non solo da un punto di vista ideale rappresenta il culmine del processo d’elevazione dello spirito individuale allo spirito universale, dell’essere umano all’assoluto, ma anche da un punto di vista reale costituisce (e costituirà) il culmine della storia, il momento di massimo di­spiegamento dell’assoluto nella realtà della comunità umana.

Il fatto che la realizzazione della filosofia nel mondo sia un’utopia nel senso negativo del termine, ossia come qualcosa di non realizzabile, è stato da Hegel una volta per tutte smentito ed in modo chiaro ed esplicito a conclusione della sua Filosofia dello spirito jenese, quando egli, nel coraggio sostenuto dall’entusiasmo provocato in lui dalla fresca scoperta, la quale chiudeva un ventennale, paziente sviluppo intellettuale, scriveva che

 

“L’universo [è] sì immediatamente libero dallo spirito - ma deve ritornare in lui - o suo è il fare, questo movimento - lo spirito deve ripristinare per sé l’unità - altrettanto - nella forma dell’immediatezza; esso è la storia del mondo. In questa si toglie il fatto che soltanto in-sé la natura e lo spirito siano un’essenza - lo spirito diviene il sapere di essi stessi [der­selben, di sé e della natura].” (FSJ, 175)

„Das Universum, so unmittelbar frey vom Geiste – aber muß zu ihm zurükkehren – oder vielmehr sein ist das Thun, diese Bewegung -  er hat sich die Einheit herzustellen – ebenso in Form der Unmittelbarkeit, er ist die Weltgeschichte.

In ihr hebt sich diß auf, daß nur ansich die Natur und Geist ein Wesen ist – der Geist wird zum Wissen derselben.“

(GW 8, 287, 20-24)

 

Il ‘deve’ (ted.: muß) impiegato da Hegel non lascia alcun dubbio: la concilia­zione tra essere umano ed assoluto, in termini logici ‘l’immediatezza mediata’, non è soggetta al caso dell’arbitrio individuale, a scelte casuali di soggetti empi­rici altrettanto casuali, ma avviene in forza di un’energia interna all’assoluto stesso, la quale sa determinare tempo e luogo del suo apparire.

L’essere umano non è signore su quest’automovimento dell’assoluto, la cui attuazione non dipende da lui, ma dall’assoluto. Egli però, una volta accolto in sé umilmente, benché con la ‘fatica del concetto’, l’assoluto, pervenendo in tal modo al sapere assoluto, alla ‘scienza assoluta’, può diventare signore su se stesso. Soltanto dopo aver fatto ciò, l’essere umano può aspirare a diventare “padrone della natura”, come Hegel chiarisce nella considerazione aggiuntiva e conclusiva al manoscritto in questione:

 

“L’uomo non diventa padrone della natura finché non lo è diventato di se stesso. La na­tura è il divenire lo spirito in sé; perché questo in-sé ci sia, lo spirito deve comprendere se stesso.” (FSJ, 175)

Der Mensch wird nicht Meister über die Natur, bis er es über sich selbst geworden ist – sie ist Werden zum Geiste an sich; - daß diß Ansich daseye, muß der Geist siche selbst begreiffen.“ (GW 8, 287, 25-27)

 

L’umanità attuale pretende di diventare padrona della natura prima che lo spirito sia diventato padrone di sé, ossia prima ancora che la filosofia come scienza as­soluta si sia affermata nel mondo e diriga la vita della comunità umana sul pia­neta Terra. Probabilmente il giovane Hegel ha ancor oggi (o, forse, proprio oggi?) molto da insegnarci a tal proposito. Non è allora fuori luogo concludere questa parte relativa allo sviluppo giovanile di Hegel con queste parole e con il messaggio ben preciso ch’esse volutamente lanciano.

 

*

 

CONCLUSIONE

 

RIFLESSIONI SISTEMATICHE SUL SIGNIFICATO DELLA FILOSOFIA
DI HEGEL ALLA LUCE DEL SUO SVILUPPO DIALETTICO

 

La filosofia di Hegel come nuova dottrina etico-religiosa naturale,
popolare e razionale 
di reinserimento dell’essere umano nella natura

 

Dopo aver visto la nascita del sistema filosofico di Hegel, avvenuta negli anni 1803/06, vediamo ora il significato di tale sistema alla luce della sua genesi.

Lo studio del significato del sistema filosofico hegeliano getta un ponte tra l’evoluzione giovanile e la maturità del pensiero del filosofo svevo. Il significato del suo primo sistema filosofico completo, quello del 1805/06, è infatti identico al significato del suo ultimo sistema, l’Enciclopedia del 1830, nonché natural­mente dei sistemi intermedi (l’Enciclopedia del 1817 e del 1827). Hegel con le successive rielaborazioni sia del sistema nella sua totalità (l’Enciclopedia delle scienze filosofiche) sia delle singole parti di esso (Scienza della logica, Filosofia del diritto etc.) in effetti sviluppò singoli concetti, soprattutto ad esplicitazione dei principi fondamentali della propria filosofia, ma non modificò mai né il rap­porto esistente tra tali principi né il loro significato intrinseco, anzi li determinò con precisione e profondità sempre maggiori. Pertanto studiare il significato del primo sistema filosofico completo di Hegel, al quale siamo pervenuti ripercor­rendone la genesi, non è in sostanza qualcosa di diverso che studiare il signifi­cato del sistema filosofico maturo: finalmente, dopo essere scesi nelle profondità abissali dello sviluppo giovanile del pensiero di Hegel, possiamo ora ritornare alla superficie e rivedere la luce!

La prima versione del sistema filosofico di Hegel, redatta a Jena negli anni 1804-06, per quanto non ancora pubblicata né pienamente sviluppata, contiene tutte le parti principali del sistema filosofico. Essa può quindi essere considerata ad ogni diritto la versione 1.0 del sistema filosofico hegeliano. 
Negli anni seguenti il filosofo approfondì e pubblicò prima varie singole parti del sistema (la Fenomenologia dello Spirito nel 1807, poi la Scienza della Logica in tre volumi dal 1812 al 1816), per poi pubblicare per la prima volta nel 1817 l’intero sistema filosofico, ossia l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche. Essa contiene i principi primi di tutte le discipline filosofiche e corrisponde, in modo quantitativamente più approfondito, ma qualitativamente identico, al sistema filosofico del 1804-06. Questa versione può essere considerata pertanto come la 2.0.  
Nel 1827, dieci anni dopo ed in seguito alla pubblicazione singola di un’altra parte importante del sistema, i Lineamenti di Filosofia del Diritto (1821), Hegel pubblicò una nuova versione dell’Enciclopedia, che quindi possiamo considerare come la 3.0. Infine, nel 1830 pubblicò un’altra versione ancora, l’ultima, che quindi possiamo identificare come la 4.0. 
Anche nel periodo del suo insegnamento presso il Liceo di Norimberga il nostro elaborò, senza pubblicarle, varie versioni del sistema, le quali si collocano quindi tra la 1.0 e la 2.0 rispetto all’elenco fornito qui così a scopo illustrativo, e potrebbero quindi essere considerate anch’esse delle versioni intermedie.
È importante sottolineare il fatto che si tratta della stessa opera e dello stesso contenuto, i paragrafi vengono alcuni spostati, altri espunti, altri ancora aggiunti, insomma si hanno degli approfondimenti e dei miglioramenti, ma non tali da sconvolgere l’impianto dell’opera e farla diventare diversa sostanzialmente dalla prima versione, quella di Jena. Potremmo dire, quindi, che Hegel ha addirittura precorso anche gli sviluppi futuri dell’informatica e capito quanto sia importante dare delle versioni sempre più aggiornate e più complete delle proprie opere, soprattutto poi quando si tratti di un sistema filosofico. Un sistema, infatti, deve abbracciare fondamentalmente l’intero quadro del sapere umano, perché, come vedremo, questa è una delle caratteristiche peculiari della filosofia, e non si può pensare che nella prima versione il contenuto sia già tutto presente nei particolari. Esso sarà presente all’inizio nelle linee generali e poi dopo qualche tempo, grazie a nuove versioni dell’opera, potrà essere aggiornato, aumentato, approfondito ecc. Dopo tutto il filosofo è un uomo come gli altri, che ha bisogno di tempo per procedere nei propri studi, per pervenire a nuove conoscenze ed inserirle organicamente nel quadro sistematico che egli, sulla base dei principi primi assunti, è in grado di elaborare, fornendo così prima di tutto a se stesso, poi anche ai propri lettori una visione ordinata, sistematica e logica del sapere.

Il sistema filosofico di Hegel, com’è ampiamente risultato dalla ricostru­zione genetica condotta nelle pagine precedenti, ha dunque un significato etico-religioso. Esso è infatti costituito da due pilastri fondamentali: il concetto dell’assoluto e quello dell’eticità assoluta. Volendo usare delle espressioni sugge­stive e ancorate alle origini greche della filosofia, si può designare il primo concetto come ‘Logos’ e il secondo come ‘Ethos’.

Il Logos, da Hegel concepito per la prima volta nel 1801 (Differenzschrift), è il principio religioso-metafisico popolare e razionale della nuova teoria etico-religiosa; l’Ethos, concepito per la prima volta nel 1802/03 (Sulle maniere di...), è l’ideale etico-morale naturale di tale teoria.

Tra questi due concetti esiste un preciso rapporto logico: il Logos, principio religioso-metafisico, fonda l’Ethos, ideale etico. Il Logos è infatti la ragione intesa come assoluta, principio dell’essere ed essenza dell’essere umano; solo sulla base di tale conoscenza è possibile poi formulare un ideale morale  veramente naturale, ossia che si fondi sull’effettiva natura umana, e ciò avviene nel concetto dell’Ethos.

Dal momento che il Logos da un punto di vista logico precede e fonda l’Ethos, esso va studiato per primo; del resto, anche da un punto di vista cronologico, Hegel concepì prima il concetto dell’assoluto (1801) e poi quello dell’eticità assoluta (1802/03), né poteva essere altrimenti in base alla relazione di fondazione anzidetta.

Prima di cominciare con l’interpretazione del significato del sistema filoso­fico hegeliano, dunque con la parte sistematica del presente lavoro, è però op­portuno fare una precisazione: il compito principale delle riflessioni che se­guono è fondare l’interpretazione del pensiero maturo di Hegel sul significato dei principi fondamentali del suo sistema, emerso dall’indagine genetica precedentemente condotta.  Si tratta di un nuovo approccio ermeneutico al pen­siero di Hegel. Esso istituisce un rapporto tra il giovane Hegel e l’Hegel maturo, considerati fino ad oggi in modo isolato da gran parte della critica. Per tal  motivo anche in questa parte sistematica, come del resto nella parte genetica, il confronto esplicito con la critica è ridotto all’essenziale, poiché non è un punto di vista ‘esterno e trascendente’ che ispira la ricerca, quale appunto potrebbe essere un tale confronto con gli interpreti, ma un punto di vista ‘interno ed im­mamente’, ossia il confronto tra il giovane Hegel e quello maturo.

Si tratta dunque, per così dire, di porre Hegel a confronto con se stesso e ciò, sulla base delle considerazioni metodologiche fatte nell’introduzione, do­vrebbe rivelarsi ben più interessante e vivente che non uno sterile confronto con la critica.

 

 

PRIMO MOMENTO

 

Il significato religioso della Scienza della logica:

l’assoluto o ‘Logos’ come principio religioso popolare e razionale

di reinserimento dell’essere umano nella natura

a livello di ragione e mondo

 

Il Logos, in quanto principio religioso-metafisico, ha il compito di reinserire l’essere umano nella natura a livello di ragione e mondo. La formulazione origi­naria di questo concetto si trova nella Differenzschrift. Si tratta del concetto del-l’assoluto, che rappresenta l’ultimo fase della trasposizione della rappresenta­zione cristiano-originaria dell’amore universale nel concetto in essa contenuto (appunto l’assoluto).

Per quanto riguarda poi il primo sistema completo di Hegel, quello del 1805/06, il concetto del Logos trova il proprio posto in esso già come prima parte del sistema nel manoscritto di Logica e Metafisica del 1804/1805. Questo manoscritto presenta diverse differenze rispetto alla matura Scienza della logica, esse non riguardano però il significato generale del concetto del Logos, ma sol­tanto la sistemazione tecnica di alcuni capitoli, i quali troveranno ben presto il proprio posto definitivo all’interno del sistema. Già nella logica di Norimberga (1809/1810) Hegel dimostra infatti d’aver risolto l’organizzazione interna della logica nel senso della successiva e definitiva Scienza della logica, apparsa nel 1812-1816, ripubblicata poi all’interno dell’Enciclopedia nel 1817, 1827 e 1830 nonché infine ancora nella versione singola, ma soltanto per quanto riguarda il libro dell’essere, nel 1831.

Il Logos è il principio religioso popolare e razionale che reinserisce l’essere umano in quanto ragione nella natura intesa come mondo: approfondiamo ora il significato di questa affermazione.

 

Il Logos come principio religioso...

L’oggetto specifico che Hegel indica con l’espressione ‘assoluto’ o ‘idea lo­gica’ è costituito dall’insieme delle categorie o determinazioni del pensiero. Tali categorie sono connesse l’una all’altra dialetticamente, ossia tramite il tri­plice processo di affermazione-negazione-negazione della negazione.

Questa necessaria connessione delle categorie le rende singoli momenti di un unico concetto, il quale si svolge attraverso di esse, ne costituisce l’unità in­terna ed è infine il risultato del loro sviluppo. Tale concetto èl’idea logica o assoluto od ancora idea assoluta (dunque, nel linguaggio da noi scelto, il Logos).

Il Logos è allora il sistema delle categorie, la loro unità dialettica e con­temporaneamente l’ultima categoria, contenente in sé le altre categorie come ‘tolte’, ‘aufgehoben’ secondo la concezione hegeliana della ‘Aufhebung’.

Il concetto del Logos ha poi un triplice significato: esso costituisce il principio primo del pensiero umano, della natura e dell’essere in quanto essere.

Secondo il primo significato, il Logos ha un valore ‘logico’; in base al secondo significato esso assume un valore ‘teologico’; infine, dal punto di vista del terzo significato, esso ha un valore ‘ontologico’.

Questi tre significati o valori del concetto del Logos costituiscono la pecu­liarità e la novità della logica di Hegel rispetto alle logiche classiche, in parti-colare di Aristotele e di Kant.

La logica di Aristotele infatti studia il Logos soltanto nel suo primo signifi­cato, quello propriamente logico, mentre il secondo ed il terzo significato sono riservati alla metafisica o filosofia prima (scienza dell’essere in quanto essere). Ciò comporta una separazione tra il concetto del pensiero umano ed i concetti dell’essere e dell’assoluto, che invece, come vedremo in seguito, scompare del tutto nella logica di Hegel.

Nella logica trascendentale di Kant sono unificati il concetto del pensiero umano ed il concetto dell’essere - per quanto soltanto nel senso di essere feno­menico -, ma non ancora quello dell’assoluto. Tale logica ha invero un significato ontologico e metafisico, ma nel senso critico ed in ultima analisi soggettivistico di una metafisica delle ‘apparenze’ e non delle ‘essenze’, ossia delle cose ‘per noi’ e non delle cose ‘in sé’. Per Kant infatti l’essere in quanto essere corrisponde alle categorie trascendentali del pensiero, le quali però non hanno un valore oggettivo e sostanziale, ma soltanto soggettivo e formale.

A causa di questo limite anche la logica trascendentale kantiana, come del resto quella aristotelica, lascia dunque una separazione tra pensiero ed essere, ragione e mondo. Questa separazione viene al contrario eliminata dalla logica hegeliana, la quale abolisce il limite soggettivistico della filosofia trascendentale unificando così pensiero soggettivo, essere ed assoluto.

Per comprendere in modo preciso il significato di questa unificazione, rico­struiamo velocemente la genesi del concetto hegeliano del Logos, in modo da se­guire passo dopo passo il cammino dell’evoluzione del pensiero di Hegel in rife­rimento a questa problematica.

Come abbiamo visto a proposito del secondo periodo dello sviluppo del pensiero di Hegel, in particolare in riferimento agli anni dal 1797 al 1803, il concetto del Logos viene concepito dal filosofo di Stoccarda per la prima volta nell’anno 1801 come ‘assoluto’; tale concetto dell’assoluto a sua volta è l’espressione in termini logico-metafisici dell’unità tra ragione e dio, concepita già l’anno precedente (1800); quest’ultima è a sua volta l’espressione sistema­tica del principio ontologico dell’unità degli opposti, concepito dal filosofo negli anni 1797-1799.

Tale triplice fase di sviluppo della formulazione del concetto dell’assoluto o Logos ha il significato ulteriore di essere l’enucleazione del contenuto con­cettuale presente nella forma rappresentativa della dottrina religiosa originaria di Gesù. Vediamo ora come questa genesi del concetto del Logos possa aiutarci a comprendere il significato sistematico di tale concetto.

I tre significati sono quello logico, quello teologico e quello ontologico. Ognuno di questi tre significati costituisce un fase nel concepimento da parte di Hegel del contenuto razionale implicito nella rappresentazione religiosa di Gesù.

Il primo fase, quello del 1797-1799, rappresenta la formulazione del si­gnificato ontologico del Logos. L’unità degli opposti non è infatti relativa soltanto al mondo della natura od a quello dello spirito, ma è un principio universale che non conosce limiti di tempo o di spazio: dovunque v’è stato, v’è e vi sarà un ente, questo è stato, è e sarà il risultato di due opposti come loro unificazione. Il principio dell’unità degli opposti riguarda dunque l’essere in quanto essere e non un ente specifico. È stato già chiarito che si tratta della formulazione originaria della dialettica.

Il secondo fase, quello del 1800, rappresenta invece la formulazione ori­ginaria del significato teologico del Logos. In esso è determinata l’unità degli opposti non più in forma generale ed astratta, bensì in quella specifica e con­creta, costituita dall’opposizione fondamentale che include in sé tutte le altre, ossia l’opposizione tra essere umano, come ragione, e dio, come organismo del mondo (dunque dio nel senso panteistico del termine). Hegel pensa l’unità di questi due opposti, che sono il primo e l’ultimo anello della catena dello svi­luppo del mondo,(296) concependo la ragione umana come facoltà speculativa (reli­gione nel suo linguaggio dell’epoca) e non mero intelletto, e dio come spirito vivente ‘nella’ natura e nel tempo e non ‘fuori’ della natura e del tempo. Così concepiti, ragione e mondo non sono più separati, ma uniti dall’essere entrambi ‘vita’ e quindi possibilità di diventare ‘uno’ nella religione. In tal senso questo fase corrisponde al significato teologico del Logos (la vita infinita è l’assoluto, l’unità di ragione e mondo).

Infine abbiamo il terzo fase, nel 1801, con la formulazione del concetto dell’assoluto. Si tratta del significato ‘logico’ del concetto del Logos. Infatti He­gel trasforma l’identità ragione-mondo nell’identità logico-metafisica di soggetto ed oggetto, la quale nella filosofia idealistica (in particolare di Schelling), sulla quale egli fondava allora  il proprio pensiero, è concepita come identità nel pensiero, come identità logica. Questo significato logico del Logos, in quanto conserva in sé i significati precedenti, è senz’altro già logico-sostanziale e non logico-formale.

Il risultato di questo confronto tra la genesi del concetto hegeliano del Lo­gos e la sua formulazione sistematica consiste dunque nella comprensione del rapporto che lega i suoi tre significati. Infatti questi tre significati non sono privi di relazione reciproca, bensì collegati da un ampliamento di valore che viene conferito al Logos come pensiero umano, significato base.

Il valore ontologico del Logos infatti toglie la limitatezza in cui versa il valore logico, il quale è da considerare come il punto di vista aristotelico-kan­tiano della logica, secondo cui il pensiero ha un valore soltanto formale e sog­gettivo. Tolta tale limitatezza, il valore ontologico del Logos riconferisce al pen­siero umano la dignità ch’esso aveva nell’antica metafisica, consistente nella ri­conosciuta capacità di pensare e di cogliere il vero delle cose. È molto impor­tante però che tale valore ontologico il pensiero umano lo abbia ora non più im­mediatamente ed ingenuamente, ma come logica, ossia non come conoscenza di­retta dell’essere, ma come rivelazione dell’essere attraverso l’autoriflessione del pensiero su di sé (il sapere assoluto).

Questo valore ontologico del Logos congiunge quindi il principio kantiano, nonché in generale del filosofare moderno, della soggettività con il principio dell’oggettività proprio dell’antica metafisica, in particolare della metafisica ari­stotelica. Infine, proprio da questa unità ‘nel’ Logos di soggetto ed oggetto, di pensiero ed essere, sorge l’ulteriore significato del Logos, ossia il suo valore teologico. Secondo questo significato, il pensiero umano è il luogo della rivelazione della verità assoluta, cioè dell’essere, di ciò che è eterno, della perenne, universale e necessaria forma d’ogni ente empirico, in quanto è esso stesso nella propria struttura essenziale l’assoluto, il Logos appunto, e non un qualsiasi ente empirico. La ragione soggettiva e la ragione oggettiva allora coincidono, sono il Logos assoluto che diventa cosciente di sé nell’essere umano.

Il pensiero umano acquista così la doppia ulteriore determinazione di ‘essere’ e di ‘assoluto’. Esso infatti nella sua forma pura, costituita dalle categorie della logica, esprime l’essere ed in virtù di questa sua capacità è nella sua essenza pura l’assoluto.

In questo suo complesso, triplice significato il Logos è allora il principio religioso costituente la realizzazione dell’ideale giovanile hegeliano formulato negli anni 1793/94. In tali anni Hegel, come abbiamo visto a proposito del primo periodo dello sviluppo del suo pensiero, ha concepito il proprio ideale della fon­dazione di una nuova teoria etico-religiosa naturale, popolare e razionale di rein­serimento dell’essere umano nella natura. In particolare egli ha concepito prima l’ideale di una teoria morale naturale e poi, resosi conto dell’impossibilità di formulare tale teoria senza una preliminare conoscenza della natura dell’essere umano, ha concepito l’ideale di una nuova teoria religiosa popolare e razionale. Il compito di questa nuova teoria religiosa è infatti di reinserire l’essere umano nella natura a livello di ragione e mondo e quindi, sulla base di tale reinseri­mento, di comprendere l’effettiva natura dell’essere umano. Con la formu-lazione del principio del Logos Hegel ha dunque compreso la natura dell’essere umano, che è di essere, nella propria razionalità pura, l’assoluto.

 

...popolare e razionale...

Il Logos è il principio religioso della nuova teoria etico-religiosa hegeliana. Ve­diamo ora in che senso esso sia popolare e razionale.

In quanto principio religioso popolare esso dà una spiegazione del principio primo del mondo, da punto di vista logico, soddisfacendo così il bisogno naturale della ragione umana di farsi un’idea del fondamento dell’essere. In tal modo il Logos è in fase di unificare gli esseri umani in un popolo caratterizzato dall’avere una comune concezione del mondo. Ovviamente il popolo, risultato di tale unificazione religiosa, non dev’essere determinato e circoscritto da condizioni geografiche, razziali etc., ma è delimitato solo dalla condivisione di tale religione, dunque esso può essere in linea di principio anche l’umanità intera

In quanto principio religioso razionale poi il Logos può venir assolto dal tribunale della ragione, poiché si basa soltanto su concetti sostenibili con argomenti razionali e non su rappresentazioni soggettive.

È opportuno ora analizzare in modo più preciso questi motivi che fondano la popolarità e la razionalità del Logos.

La popolarità del Logos significa ch’esso, in quanto principio religioso-metafisico, è il principio primo del mondo e dà quindi una risposta al bisogno proprio del genere umano di farsi un concetto dell’assoluto come causa del mondo.

Vediamo ora però in che senso il concetto hegeliano del Logos dia una ri­sposta a tale quesito, eminentemente religioso e metafisico.

Nel sistema filosofico di Hegel, il Logos o idea logica è in primo luogo ciò che esteriorizzandosi dà vita alla natura e ritornando in sé si conosce come spi­rito. Con questo movimento logico Hegel può spiegare filosoficamente l’esi-stenza di una natura e di uno spirito finiti, ossia del mondo. Il cammino del Logos consiste pertanto nel suo progressivo liberarsi dalle varie forme della materia naturale e poi anche da quelle dello spirito soggettivo ed oggettivo, fino a diventare completamente libero, dunque rivelato ed esistente in tale rivelazione, nello spirito assoluto, ossia nell’autocoscienza filosofica pura. In questo fase del proprio sviluppo, dunque nel pensiero che pensa se stesso, il Logos esiste nel tempo, è finalmente apparso.

Il movimento della natura, l’evoluzione naturale, ed il movimento dello spirito, il divenire spirituale o fenomenologia dello spirito (la storia), sono infatti entrambi causati dall’enorme forza motrice del Logos, tendente a liberarsi dalle catene della materia e della soggettività empirica per venire all’esistenza nel sa­pere di sé, dunque nel sapere assoluto (o soggettività assoluta).

In questo senso si comprende allora perché il Logos sia l’assoluto anche nel più generale disegno del sistema filosofico hegeliano, dunque nell’Enciclopedia, oltre che nella logica. L’assoluto infatti è la causa del mondo, cioè della natura e dello spirito, ed il Logos è appunto ciò nel senso filosofico di ‘causa finale’ e non nel senso naturalistico di ‘causa efficiente’, caratteristico per esempio della religione cristiana tradizionale.

Pertanto all’interpretazione teologica della Scienza della logica cor­risponde un’interpretazione più ampiamente religiosa dell’Enciclopedia, ossia del sistema filosofico di Hegel nel suo complesso.

La religione infatti nel suo concetto non è altro che conoscenza della causa del mondo, ossia dell’assoluto, dunque sapere o spirito assoluto, come Hegel chiarisce in modo esplicito al § 554 dell’Enciclopedia del 1830, nel quale, rife­rendosi alla sezione dello spirito assoluto, così si esprime:

 

“La religione, come questa sfera altissima può essere in generale denominata...” (trad. dell’autore)

Die Religion, wie diese höchste Sphäre im Allgemeinen bezeichnet werden kann, (...)” (Enz. 1830, § 554, ora in GW 30, p. 542)

 

Occorre dunque distinguere tra religione ‘in senso largo’ ed ‘in senso stretto’. La prima riguarda la dimensione dello spirito assoluto in generale, dunque la presentazione dell’assoluto nell’essere umano tramite l’arte, la religione e la fi­losofia; la seconda si riferisce al fenomeno religioso come tale, dunque specifi­camente alla presentazione dell’assoluto in forma rappresentativa, ossia come ‘fede’.

Il sistema filosofico di Hegel è allora una ‘filosofia’, in quanto è concepito in termini esclusivamente razionali, ma ha un significato ‘religioso’, cioè di conoscenza della causa del mondo, in quanto il suo contenuto contiene una risposta a tale questione anche religiosa.

La filosofia di Hegel è dunque comprensione dell’assoluto come ‘causa fi­nale’ del mondo. Riflettiamo ora in modo più approfondito su questo concetto.

La causa finale del mondo è la ragione dell’esistenza degli organismi natu­rali e delle forme dello spirito. Il fine del mondo non dev’essere ovviamente in­teso come qualcosa di cosciente, di volontario in senso soggettivo. Esso è invece il senso del divenire naturale e storico, ossia è la direzione dell’evolversi dello sviluppo della materia e della spiritualità.

La materia ha un proprio divenire; che conduce secondo necessità logica alla formazione dello spirito attraverso il mondo inorganico e quello organico e vivente; lo spirito è quindi il senso del divenire della materia. A questo proposito sono molto interessanti ed indicative le parole di Hegel:

 

“Lo spirito ha per noi a suo presupposto la natura, della quale è la verità e con ciò  l’as-soluto primo.” (trad. dell’autore)

Der Geist hat für uns die Natur zu seiner Voraussetzung, deren Wahrheit, und damit deren absolut Erstes er ist.”

(Enz. 1830, § 381, ora in GW 30, p. 381)

 

Il conoscitore del linguaggio hegeliano comprende immediatamente il signifi­cato profondo di questo pensiero: l’essere la ‘verità’ di qualcosa, significa nel linguaggio dialettico, esserne il senso, ossia il risultato non causale, ma necessa­rio, ed a dire il vero non necessario in senso meccanicistico, bensì finalistico. È ciò che Hegel esprime poi nella seconda parte della frase citata, ossia nell’espressione ‘assoluto primo’: lo spirito è l’assoluto primo della natura, in quanto è già previsto nello sviluppo della natura che essa conduca alla forma­zione dello spirito.

Ciò ovviamente non significa che la materia sia animata e produca co­scientemente lo spirito, né significa ammettere qualcuno o qualcosa che abbia coscientemente creato la materia quale base per poi creare l’essere umano a pro­pria immagine. Questi sono soltanto pregiudizi della rappresentazione supersti­ziosa e popolare che ogni seria concezione filosofica ha sempre rifiutato e sem­pre rifiuterà.

Dire che lo spirito è il senso o fine o scopo del divenire della materia signi­fica che lo sviluppo ‘immanente’ alla materia, dunque lo sviluppo che la materia ha in se stessa, si evolve attraverso vari gradi, ognuno dei quali è condizione ne­cessaria dell’altro, fino a dar luogo ad un fase che non si può più definire mate­ria, ma è qualcosa di diverso: appunto lo spirito. In particolare lo spirito è l’opposto della materia, in quanto esso è libertà, mentre la materia è necessità.

Che l’evoluzione della materia conduca alla formazione dello spirito non è qualcosa di casuale, bensì di necessario, in quanto dovuto alla presenza, nella materia stessa, di una logicità inconsapevole e necessaria, tendente alla consapevolezza ed alla libertà, ossia al venire all’esistenza.

L’emersione dello spirito all’interno dell’evoluzione della natura è allora, il venire all’esistenza di tale logicità, il suo venire alla luce dopo il ‘tunnel’ della materia.

In questo senso dunque lo spirito è la causa finale della natura, in quanto l’evoluzione della materia è dovuta proprio alla forza motrice del Logos, che preme per venire all’esistenza tramite la costituzione di esseri spirituali coscienti e liberi. Senza questa forza interna tendente all’autoemersione non vi sarebbe alcun divenire della materia, dunque neanche una natura come tale.

Il Logos produce dunque sia la natura che lo spirito, dimostrando in tal modo di essere la causa finale del mondo oppure, il che è lo stesso, la causa di se stesso, la ‘causa sui’, riprendendo l’esplicitazione di tale concetto offerta una volta per tutte da Spinoza.

Non a caso leggiamo nelle Lezioni sulla storia della filosofia in riferimento a tale filosofo le seguenti parole:

 

“In generale è a tal proposito da osservare che il pensiero, lo spirito non poteva non porsi dal punto di vista dello spinozismo. Quest’idea spinoziana è da accettare come vera, come fondata. C’è una sostanza assoluta; ciò è il vero” (trad. dell’autore).

"Im allgemeinen ist darüber zu bemerken, daß das Denken, der Geist, sich auf den Stand-punkt des Spinozismus gestellt haben muß" (V 9, p. 104)

 

Tramite il concetto di ‘causa finale’ risulta dunque fondata la ‘popolarità’ del Logos come principio religioso. Vediamo ora la fondazione della sua razionalità.

La razionalità del Logos si fonda sul fatto ch’esso rappresenta la causa del mondo non nella forma soggettiva della rappresentazione religiosa, ma nella forma oggettiva della filosofia (in particolare della logica-metafisica).

Tale oggettività consiste nella deduzione e successione logica delle varie determinazioni del pensiero, prima di quelle pure della logica, poi di quelle natu­rali e spirituali delle corrispondenti parti del sistema filosofico. Nello sviluppo di questa successione logica non viene presupposta dogmaticamente  alcuna verità, ma ogni concetto viene dedotto dallo sviluppo precedente e forma a sua volta il presupposto per lo sviluppo seguente.

Questa ovviamente non è la sede adatta per affrontare la questione se Hegel sia o non sia riuscito a costruire un tale sistema fondato in modo ultimo.(297) Tale problematica richiede uno studio approfondito nell’ambito di una critica imma­nente del sistema. Indipendentemente dai risultati di tale critica, resta comunque un merito incontestabile del filosofo di Stoccarda l’aver indicato agli uomini la necessità di affrontare le questioni religiose con il metodo razionale della logica nonché l’aver fornito anche un modello nuovo di logica, idoneo a trattare tali questioni.

In conclusione la concezione religiosa di Hegel, che naturalmente in quanto ‘religione in senso largo’ della religione conserva solo il contenuto concettuale ma ne ha abbandonato la forma rappresentativa, può essere assolta dal kantiano tribunale della ragione.

 

...di reinserimento dell’essere umano come ragione nella natura come mondo

Siamo così giunti all’ultimo aspetto della spiegazione del titolo di questa sezione: il Logos è il principio religioso popolare e razionale di reinserimento della ragione nel mondo. Finora ne abbiamo spiegato la prima parte, ora è venuto il momento di spiegarne la seconda, ossia di comprendere in che senso il concetto hegeliano del Logos riesca a reinserire la ragione nel mondo.

È stato già notato che la caratteristica del Logos è la capacità di esprimere l’assoluto; grazie a questa capacità il Logos si rivela come la causa del mondo nel senso di causa finale, causa sui. Da questo valore teologico della concezione hegeliana del Logos deriva che tale concetto inserisce la ragione umana nel mondo. Il Logos è infatti la totalità sistematica delle categorie. Tale totalità non è soltanto la stoffa da cui è formato l’operare del pensiero umano, ma è anche la stoffa da cui è formato lo stesso divenire della natura, attraverso la generazione dei vari organismi. In particolare Hegel chiarisce che la ragione, prima di essere pensiero umano (ragione soggettiva, valore logico del Logos) è la struttura del mondo (ragione oggettiva, valore ontologico del Logos); il rapporto tra i due consiste nel fatto che nel divenire la ragione soggettiva umana si è costituita come la forma pura della natura, ossia come la sua stessa struttura ontologica, ma liberata da qualsiasi materialità (ragione assoluta, valore teologico del Logos).

Questa teleologia del divenire del mondo è l’emersione del Logos come causa finale, causa di sé del mondo. Hegel, con tale concetto del Logos, è riuscito a reinserire in modo razionale la ragione umana nel mondo, in quanto da questo punto di vista la ragione dell’essere umano non è più estranea al mondo, come lo è per es. dal punto di vista sia della filosofia empirista sia di quella trascendentale, ma è parte integrante di esso. In particolare essa costituisce la parte ultima, il risultato, non casuale, ma necessario, del divenire del mondo.

La ragione umana è dunque, secondo Hegel, strutturata secondo gli stessi principi logici del mondo e pertanto è possibile per qualsiasi essere umano cono­scere il mondo, ossia comprendere la struttura logica dello sviluppo spazio-tem­porale dell’essere. Per conseguire questo obiettivo e quindi reinserirsi nel mondo, dando una risposta razionalmente fondata a quelle domande esistenziali che hanno causato e sempre causano la momentanea separazione da esso, il cosiddetto momento della ‘scissione’, la ragione ha bisogno soltanto di un presupposto: non la rivelazione, non un dogma, di qualsiasi natura essi siano, ma la semplice disponibilità ‘ad assumere su di sé la fatica del concetto’, come Hegel ha sintetizzato in una delle sue espressioni più emblematiche, già più volte citata in questo lavoro.

Il Logos è quindi il principio religioso popolare e razionale della nuova teo­ria religiosa, con la quale Hegel ha reinserito l’essere umano nella natura a livello di ragione e mondo, superando la scissione ancora presente sia nella concezione del cristianesimo istituzionale (popolare ma non razionale) sia in quella kantiana (razionale ma non popolare).

All’interno del progetto generale hegeliano della fondazione di una nuova teoria etico-religiosa il principio religioso serviva a Hegel per concepire il con­cetto della natura umana e poter quindi formulare la nuova teoria morale natu­rale, costituente il suo ideale originario. Vediamo ora quindi come il filosofo svevo, una volta concepita la nuova teoria religiosa, possa da essa dedurre il concetto della natura umana e porre quindi il presupposto necessario per la formulazione della nuova teoria etica naturale.

 

 

SECONDO MOMENTO

Il concetto della natura umana

 

Dal punto di vista del Logos come fondamento ultimo della realtà diventa prota­gonista del divenire del mondo nonché della sua comprensione, dunque della filosofia, l’essere umano. Il Logos è infatti, in quanto ragione oggettiva, l’assoluto, dunque la causa del mondo nel senso di ‘causa sui’; ma esso è anche, in quanto ragione soggettiva, l’essenza dell’essere umano. Da ciò è da dedurre allora che la causa del mondo è l’essere umano nella propria essenza razionale.

La posizione dell’essere umano nella natura è dunque di essere il momento del divenire del mondo in cui l’attività razionale creatrice assoluta emerge dalla materia, in cui essa agisce in forma necessaria ed inconsapevole, e viene all’esistenza in forma libera e consapevole, ossia nella forma corrispondente al proprio concetto.

In quanto ‘emersione’ dell’assoluto in forma libera e consapevole, l’essere umano è dunque il senso dello sviluppo del mondo: questo senso consiste infatti proprio nella liberazione dell’assoluto dalle catene della necessità e dell’inconsapevolezza della materia, che ne limitano l’attività creatrice, e nella sua emersione da essa tramite la creazione dell’essere umano ed in particolare della sua essenza: la ragione. Nella forma della ragione l’assoluto esiste nella forma libera e consapevole corrispondente a se stesso: l’assoluto è infatti attività creatrice razionale e tal è anche l’essenza razionale dell’essere umano. Si tratta delle categorie, le quali sono attive nella ragione umana in forma pura, priva di determinazione, mentre in tutti gli altri organismi dell’essere esse sono attive in forma materiale e dunque già predeterminata.

L’essere umano si distingue dalle altre entità naturali proprio per tale pu­rezza delle forme della propria essenza razionale. Anche le altre entità naturali sono formate nella propria struttura da categorie, ma mai nella forma pura, bensì sempre in forma materiale (chimica, biologica etc.). Per questo motivo l’essere umano non è soltanto un ente tra gli altri, ma è quell’ente nel quale l’assoluto assume la forma logica a sé propria ed appare come tale nel mondo.

L’emergere dell’essere umano in seno al divenire della natura materiale se­gna pertanto contemporaneamente anche l’emergere dell’assoluto, il suo apparire nel tempo e nello spazio.

L’essere umano, nel momento in cui riconosce questo suo valore elevatissimo, raggiunge il fase più elevato di sviluppo della propria autocoscienza: il fase dello spirito (o sapere) assoluto.(298) Tale fase consiste nella forma di coscienza propria della filosofia speculativa,(299) secondo la quale l’assoluto non viene identificato in un essere esteriore naturale (politeismo) o soprannaturale (monoteismo), ma nel Logos ad un tempo oggettivo e soggettivo (idealismo).

Una formulazione chiara e univoca del sapere assoluto, ossia dell’idealismo, l’ha fornita, sebbene in una forma non ancora pienamente svi­luppata, Eraclito. La sua formulazione del ‘punto di vista superiore’ del Logos soggettivo ed oggettivo, proprio in quanto concepita alle origini del pensiero umano, rivela tramite poche, calzanti parole il fascino nonché la capacità di esprimersi chiaramente di ciò che è originario :

“Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno” (I Presocratici, fr. 50)

“Di questo logos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte...” (I Presocratici, fr. 1);

“Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza”

(I Presocratici, fr. 2).

Tornando a Hegel: l’essere umano, il quale consideri se stesso ed il mondo da questo ‘punto di vista superiore’, ossia riconosca come propria essenza l’assoluto, identificandosi con esso, diventa egli stesso da questo momento in poi, anche se naturalmente soltanto nella propria essenza razionale, l’assoluto.(300) Anche il suo agire pratico è pertanto da questo momento in poi l’agire dell’assoluto stesso, ovviamente sempre e soltanto s’egli agisce considerando se stesso, il mondo e gli altri esseri umani da questo ‘punto di vista superiore’. Non è più infatti l’essere umano empirico ‘x y’ che agisce, bensì l’assoluto stesso agisce attraverso l’essere umano empirico ‘x y’.

Sulla base di una così profonda conoscenza speculativa della natura umana, il sistema filosofico hegeliano dispone di un fondamento solido per l’ela-borazione della propria teoria etica naturale, costituente senza ombra di dubbio il suo ideale originario.

 

 

TERZO MOMENTO

Il significato etico della Filosofia dello spirito:

l’eticità assoluta o ‘Ethos’ come ideale morale naturale

di reinserimento dell’essere umano nella natura

a livello di spirito e materia

 

La comprensione della ragione assoluta come essenza naturale dell’essere umano consente a Hegel di elaborare finalmente la nuova teoria morale naturale, la cui formulazione si trova nei frammenti giovanili.

La naturalità di questa teoria deve consistere nell’indicazione all’essere umano di un senso della sua esistenza, che  non ne mortifichi la concreta costituzione naturale, ma al contrario ne consenta una completa realizzazione.

Da questo punto di vista allora il principio fondamentale dell’etica hege­liana è che il senso dell’esistenza dell’essere umano è di vivere secondo la propria naturale, ossia realizzando la ragione assoluta e creatrice. Tale principio fondamentale può esser definito in generale come l’Ethos hegeliano (o più in generale dell’idealismo assoluto). Vediamo ora con più precisione cosa ciò si­gnifichi.

 

L’Ethos come ideale etico...

Innanzitutto occorre riflettere sul concetto astratto dell’Ethos, ossia sul concetto dello spirito, che è il risultato finora raggiunto tramite l’analisi del significato della filosofia di Hegel alla luce della sua genesi. Il Logos infatti, in quanto es­senza razionale naturale dell’essere umano, costituisce la struttura fondamentale dello spirito. A tal proposito bisogna dunque confrontarsi con l’interpretazione della Filosofia dello spirito, la sezione del sistema filosofico hegeliano in cui viene appunto trattato tale concetto.

Se noi interpretiamo la filosofia dello spirito di Hegel come un divenire in linea retta, allora la forma finale di sviluppo dello spirito è la conoscenza di se stesso in forma pura, ossia il pensiero che pensa se stesso, lo spirito assoluto. La propria autocoscienza assoluta sarebbe allora, da questo punto di vista della li­nearità, il senso della vita dello spirito e costituirebbe il momento più alto della sua vita.

Tramite le riflessioni seguenti si vuol al contrario dimostrare che la Filoso­fia dello spirito, come del resto ogni altra sezione del sistema filosofico hege­liano, ed il concetto dello spirito, come ogni suo concetto, non sono da interpre­tare secondo una prospettiva lineare, bensì circolare; ed il circolo non conosce il significato né della parola ‘fine’ né della parola ‘inizio’.

Così Hegel a tal riguardo:

 

“Ciascuna delle parti della filosofia è un tutto filosofico, un circolo che si chiude in se stesso; ma l’idea filosofica vi è dentro in una particolare determinatezza o elemento. Il sin­golo circolo, poiché esso è in sé totalità, sfonda anche i limiti del proprio elemento e fonda una sfera ulteriore. Il tutto si presenta così come un circolo di circoli, del quale ciascuno è un momento necessario, di modo che il sistema dei loro peculiari elementi costituisce l’intera idea, la quale appare altresì in ciascuno di essi.” (trad. dell’autore).

Jedes der Theile der Philosophie ist ein philosophisches Ganzes, ein sich in sich selbst schließender Kreis, aber die philosophische Idee ist darin in einer besondern Bestimmtheit oder Elemente. Der einzelne Kreis durchbricht darum, weil er in sich Totalität ist, auch die Schranke seines Elements und begründet eine weitere Sphäre; das Ganze stellt sich daher als ein Kreis von Kreisen dar, deren jeder ein nothwendiges Moment ist, so daß das System ihrer eigenthümlichen Elemente die ganze Idee ausmacht, die ebenso in jedem Einzelnen erscheint.”

(Enz. 1830, § 15, ora in GW 30, p. 56)

 

Sulla base di questa rappresentazione geometrica vediamo ora quali conse­guenze siano da ricavare in rapporto all’interpretazione della Filosofia dello spi­rito di Hegel.

Il senso dello sviluppo del concetto di spirito è il pensiero che pensa se stesso, lo spirito assoluto. A sua volta però - e qui entra in gioco la circolarità - lo spirito assoluto ha un proprio senso, un proprio compito: esso deve rendere l’eticità consapevole di sé. D’altra parte anche l’eticità ha un proprio senso, un proprio compito, in quanto essa deve conferire un significato spirituale alla natu­ralità biologica e psicologica dello spirito, ossia dirigerne gli istinti materiali e consumativi verso mete spirituali e creative.

Vi è allora nella circolarità dello spirito un duplice movimento: la naturalità individuale ed egocentrica dell’essere umano (lo spirito soggettivo) ha il proprio senso, ossia il proprio compito, nella formazione delle istituzioni intersoggettive e comunitarie, dunque nell’eticità (lo spirito oggettivo); l’eticità da parte sua ha il proprio compito e scopo nella religione e nella filosofia, quindi nell’elevare lo spirito soggettivo dalla coscienza individuale a quella assoluta (lo spirito assoluto).

Questa linea di sviluppo conduce dallo spirito soggettivo allo spirito as­soluto e segna quindi l’andamento proprio dell’esposizione hegeliana. Allo spi­rito assoluto lo sviluppo però, in base al principio della circolarità, non s’arresta, ma continua: la religione e la filosofia, ossia le forme principali dello spirito assoluto, non sono fini a se stesse, ma hanno a loro volta anche uno scopo ed un compito, in quanto devono rendere l’eticità (spirito oggettivo) consapevole di sé; a sua volta l’eticità non conduce solo in una direzione verso lo spirito assoluto, ma ha anche un riferimento, per così dire, all’indietro o comunque nella direzione opposta, in quanto essa ha il compito di conferire un significato spirituale agli istinti materiali ed in generale alla costituzione individuale dell’essere umano (lo spirito soggettivo).

La visione dell’essere umano che deriva dalla Filosofia dello spirito, se­condo questa interpretazione circolare del sistema hegeliano(301) ben più complessa e articolata che non quella, dopo tutto semplicistica e superficiale, fondantesi soltanto sulla linearità, è allora la seguente: l’essere umano è, nella propria sog­gettività empirica, istintività materiale ed egocentrica (spirito soggettivo); nella propria soggettività assoluta è invece il lume della conoscenza e della rivela­zione della ragione assoluta come della propria essenza (spirito assoluto); tali due immense forze, la forza della natura negli istinti materiali, caratterizzati dalla necessità e dall’inconsapevolezza, e quella del Logos nell’autocoscienza assoluta dello spirito, caratterizzata da libertà e autoconsapevolezza, convergono nella costituzione del mondo dell’eticità, ossia nella conversione degli istinti materiali in ideali etici (spirito oggettivo). L’eticità si manifesta esteriormente nelle istituzioni intersoggettive che l’essere umano crea sulla terra; esse sono il ‘regno’ che l’essere umano costruisce per sé nella natura: famiglia, società ci­vile(302) e Stato.

Il senso ultimo della vita umana nel mondo, dal punto di vista del sistema filosofico hegeliano, è allora in senso lineare lo spirito assoluto, dunque l’autocoscienza assoluta. Considerando però tale sistema da un punto di vista circolare, l’unico in ultima analisi fedele alle precise indicazioni fornite dallo stesso Hegel, il senso ultimo del mondo è costituito dalla vita per le istituzioni intersoggettive, dunque per l’Ethos. Lo spirito assoluto, infatti, ha anch’esso un un proprio compito, consistente nella costituzione dello Stato nel senso più alto dell’espressione, ossia come regno etico che l’essere umano, in quanto  comunità o popolo, costruisce per la propria specie nella natura (lo Stato etico includente in sé le istituzioni familiari e sociali).

A proposito del concetto di ‘popolo’, v’è da dire che esso, da un punto di vista idealistico-assoluto, non è da riferirsi ad un popolo ben determinato, di­stinto dagli altri popoli, bensì all’umanità tutta, unificata dal fatto che tutti gli esseri umani sono nella propria essenza naturale spirito, Logos. In riferimento a questo concetto è pertanto necessaria una riforma o attualizzazione della versione dell’idealismo assoluto, offerta da Hegel.(303)

Il movimento circolare dell’assoluto, che Hegel grazie all’adozione del procedimento dialettico è riuscito a descrivere in modo estremamente chiaro e preciso (almeno per quanto concerne le linee generali), non si chiude mai, ma ha un fase del proprio sviluppo in cui le forze attive fondamentali (materia e Logos, istinti e ragione, necessità e libertà) si concentrano e convergono trasformando l’astratto in concreto, il possibile in effettivamente reale: ciò avviene nel fase dell’eticità. La causa finale del mondo, ossia l’esistenza libera e consapevole della ragione assoluta e creatrice, dunque del Logos, diventa reale nella vita etica creativa dell’essere umano, ossia nell’Ethos.

La filosofia di Hegel è allora una teoria religiosa che ha un significato etico. Tutta la sua impalcatura serve a comprendere il concetto dell’essere umano.(304) L’essere umano è il luogo di convergenza delle due forze fondamentali dell’essere, la materia (gli istinti) e lo spirito (il Logos). Queste due forze si ‘in­contrano-scontrano’ nella vita dell’essere umano, dando luogo alla sua esistenza esteriore ed oggettiva: l’eticità o Ethos. L’Ethos è il senso della vita dell’essere umano nel mondo e contemporaneamente, in quanto realizzazione della ragione assoluta creatrice agente nei vari soggetti umani individuali, è il senso dell’esistenza del mondo.

Tal è dunque la struttura del concetto astratto dell’Ethos. Esso è il concetto filosofico implicito nella rappresentazione cristiano-originaria dell’avvento del regno di dio. Grazie a questo concetto Hegel ha realizzato l’ideale morale costi­tuente il fondamento originario dello svolgimento del proprio pensiero. Si tratta però soltanto del concetto astratto dell’Ethos. Ciò che si è finora analizzato è in­fatti il concetto dello spirito in generale o nella sua astrattezza. Ma ciò che inte­ressava a Hegel era comprendere il senso della vita umana individuale, quindi il concetto di un essere umano determinato, di te, di me, di noi. Per giungere alla comprensione dell’essere umano nella sua individualità specifica occorre scen­dere ancora più in profondità nella filosofia pratica del grande filosofo svevo.

 

...naturale...

Come si è detto, il concetto fondamentale dello spirito è portare all’esistenza gli istinti naturali (le forze della natura) filtrati, per così dire, dall’autocoscienza universale (la forza della ragione assoluta o spirito assoluto) tramite la creazione delle istituzioni del mondo etico oggettivo dello spirito: la famiglia, la società civile e lo Stato.

Tali tre gruppi di istituzioni etiche fondamentali, nel loro aspetto sogget­tivo, sono i valori morali dell’essere umano e devono costituire il senso da dare alla propria vita, se si vuol realizzare la propria essenza creatrice: l’amore è il valore della famiglia, il lavoro della società civile, l’umanità tutta (e non soltanto la propria patria) è infine il valore implicito nell’istituzione dello Stato.

L’essere umano singolo, lo spirito individuale, realizza il proprio spirito, ossia la propria essenza naturale, nel momento in cui entra nel meccanismo at­tivo in queste tre istituzioni, che è poi il meccanismo della vita sociale: si tratta del movimento intersoggettivo del ‘riconoscimento’. Esso è la struttura che opera all’interno di quelle tre istituzioni e fa sì che il singolo individuo esca dalla propria ‘cattiva’ soggettività, ossia dalla propria istintività naturale e dalla limitatezza del proprio io empirico, ed entri nel movimento intersoggettivo delle autocoscienze, fondamento della costituzione del mondo oggettivo dello spirito, il mondo sociale e storico.

L’individuo in sostanza, per realizzare il proprio spirito e dare un senso alla propria esistenza, deve entrare nel meccanismo del riconoscimento delle autocoscienze, deve riconoscere e farsi riconoscere, e così può accedere a quello che Hegel chiama ‘il regno degli spiriti’, l’universo etico.

Questo ‘regno’ nel suo sviluppo temporale è la storia; in primo luogo la storia della propria famiglia, del proprio mestiere (della propria corporazione) e del proprio popolo; ma anche e soprattutto la storia dell’umanità tutta, la storia universale. Come tale essa è storia del mondo e manifestazione dello spirito, os­sia della ragione assoluta, nel mondo.

Nella vita di ogni essere umano, del più influente come del più semplice, si manifestano secondo una gradualità discendente: la ragione assoluta, lo spirito universale, lo spirito del popolo, lo spirito della corporazione, lo spirito fami­liare, fino a formare poi il contenuto spirituale della vita dello spirito indivi­duale, dunque il carattere.

Ogni essere umano ha in quanto spirito individuale la possibilità nonché l’interiore dovere etico di risalire in senso ascendente questa scala, diventando consapevole piano piano con lo spirito familiare, quello della propria corporazione, del proprio popolo, quello universale ed infine con la ragione assoluta (spirito asso­luto).

Questo processo è la vera e propria ‘fenomenologia dello spirito’, l’elevazione dello spirito dall’accidentale individualità empirica alla necessaria storicità dell’universalità sociale ed assoluta del proprio io. In siffatto processo consiste l’educazione dello spirito individuale e la sua elevazione a spirito assoluto.

Lo spirito individuale però ha anche il dovere interiore di ripercorrere que­sta scala in senso discendente, una volta pervenuto alla propria autocoscienza assoluta, e di vivere attivamente ed in modo creativo all’interno della propria famiglia, del proprio popolo, dell’umanità tutta, nonché infine del cosmo intero.

Ciò significa che l’essere umano, se vuole vivere filosoficamente, ossia se­condo verità, deve impostare le proprie azioni non secondo scopi meramente empirici, la cui sorgente sia dunque il proprio io individuale ed empirico, bensì secondo scopi assoluti, derivanti cioè dal contenuto spirituale ereditato dal pro­prio appartenere al mondo dell’eticità in un ben determinato momento storico del suo sviluppo ed in un ben determinato luogo della sua estensione sulla Terra (quindi una determinata famiglia, una certa corporazione, una limitata regione geografica, un particolare popolo etc.).

Vivere secondo scopi assoluti significa allora contribuire a creare il mondo dell’eticità, il ‘regno degli spiriti’, quindi:

  • creare una famiglia stabile e duratura invece che eseguire soltanto un sem­plice atto sessuale passeggero (realizzazione del valore etico dell’amore);

  • lavorare per offrire un proprio contributo concreto alla creazione della società umana nell’ambito particolare delle proprie capacità come anche del mestiere e della corporazione scelti (il soddisfacimento dei propri bisogni tramite il guadagno dev’essere dunque il risultato del proprio lavoro etico, ma non certo il fine ultimo del medesimo) (realizzazione del valore etico del lavoro);

  • contribuire attraverso la propria attività politica personale - almeno in forma di dialogo con i concittadini nonché di partecipazione attiva alla vita demo­cratica - alla creazione di uno Stato etico stabile, all’interno del quale sia pos­sibile la realizzazione degli altri due valori etici fondamentali, l’amore ed il lavoro (la vita per lo Stato etico si fonda sulla realizzazione del valore dell’umanità).

La realizzazione di questi tre valori etici(305) fondamentali consente all’essere umano la realizzazione della propria essenza naturale, in quanto questa consiste nella ragione creatrice, lo spirito, il cui contenuto è dato dall’appartenere dell’individuo a ben determinate sfere di riconoscimento intersoggettivo (una determinata famiglia, un determinato ambiente lavorativo, una determinata co­munità statale). Soltanto all’interno di queste sfere l’essere umano può realizzare la propria creatività, dunque la propria essenza naturale.

Il fondamento scientifico di questa affermazione, e della concezione ch’essa esprime, si trova ovviamente nella Scienza della Logica, in particolare nei paragrafi della Dottrina dell’Essere riguardanti le categorie della ‘finità’ (‘Endlichkeit’) e dell’’infinità’ (‘Unendlichkeit’), costituenti rispettivamente il secondo ed il terzo momento dello sviluppo logico della categoria dell’’esser determinato’ (il ‘Dasein’ o, nell’ortografia del tempo, ‘Daseyn’).

In questa parte della propria logica Hegel chiarisce la distinzione tra finità, cattiva infinità e vera infinità. La finità si riferisce alla limitatezza propria di ogni essere, di ogni ‘qualcosa’; essa è dovuta al fatto che al ‘qualcosa’, proprio in quanto tale, si oppone un ‘altro’; infatti, se così non fosse, il ‘qualcosa’ sarebbe il tutto e non un ‘qualcosa’. È pertanto contenuto nel concetto del ‘qualcosa’ ch’esso sia limitato (il concetto di ‘limite’ è un’altra delle categorie che si presentano a questo livello di sviluppo logico), dunque anche ch’esso sia finito.

Una prima forma di superamento della finità propria del qualcosa è costi­tuita dalla ‘cattiva infinità’. Essa consiste nel continuo rimando del qualcosa ad un altro e poi di nuovo al qualcosa e di nuovo ad un altro, dunque nella ripeti­zione di tale movimento con ritorno iterato ai due momenti distinti, senza che vi sia un loro superamento in un’entità superiore. Si tratta in tal caso già di un su­peramento della finità, nel quale però il qualcosa resta prigioniero (appunto: ‘cattivo’) di tale processo cieco, che non porta ad un risultato. Esempio di ciò può essere considerato nella natura vivente il rapporto bisogno-soddisfacimento. Il bisogno viene soddisfatto tramite per esempio il cibo, esso però rinasce e dev’essere di nuovo soddisfatto, con un movimento all’infinito che però in ul­tima analisi riproduce sempre se stesso, ripetendosi.

Tramite la cattiva infinità si ha dunque un movimento, in cui il qualcosa e l’altro sono in rapporto continuo, non generando però un’entità superiore, la quale li contenga in sé come tolti, come dovrebbe accadere secondo il principio dialettico fondamentale dell’’Aufhebung’.

La vera infinità è tale superamento. Essa si ha quando il qualcosa e l’altro, ossia i due finiti, generano un terzo, il quale li contiene in sé come tolti. Esempio di ciò è il figlio in rapporto ai genitori. I due genitori sono i due finiti, i quali nel rapporto sessuale sono in un movimento caratterizzato dalla cattiva infinità (ri­petizione di sé senza produzione del terzo), il quale movimento però tramite la generazione del figlio conduce ad un terzo, nel quale i due genitori sono tolti, ossia superati.

Il figlio infatti è un essere ben distinto rispetto ad essi, ma nel quale essi sono allo stesso tempo anche conservati, in quanto il figlio è il ‘loro’ figlio, dunque contiene elementi essenziali della ‘loro’ personalità, continuandone l’esistenza.

Il cattivo infinito, quale categoria fondamentale operante nella soddisfa­zione dei bisogni materiali, i quali ricorrono continuamente e non danno allo spirito mai pace, non può dunque assicurare allo spirito serenità e felicità, al contrario lo soggioga. La vera infinità inivece conduce ad un risultato ben preciso, nel quale lo spirito realizza se stesso, perviene ad uno scopo, ossia rea­lizza la propria libertà. Tale libertà costituisce per lo spirito maturo la sua felicità, in quanto è la sua autorealizzazione, la sua autodeterminazione.

L’Ethos è dunque un ideale etico naturale, in quanto si fonda sull’essenza naturale dell’essere umano, sulla sua natura spirituale, la quale è la sua vera na­tura, nel senso d’essere quel qualcosa che lo distingue dagli altri enti. Tale vera natura è costituita a livello logico dalla categoria della ‘vera infinità’ e si esprime a livello morale nell’eticità, la quale assicura allo spirito una vita libera, ossia felice.

 

...di reinserimento dell’essere umano come spirito nella natura come materia

Tramite la concezione dell’eticità assoluta Hegel ha dunque compreso in modo completo il concetto dello spirito ed ha potuto quindi realizzare il proprio ideale originario della fondazione di una teoria morale naturale. Con essa egli ha rein­serito l’essere umano nella natura a livello di spirito e materia.

L’essere umano come spirito infatti secondo la morale naturale hegeliana svolge una propria funzione all’interno dell’universo. Essa consiste nel creare il mondo dello spirito, ossia la società umana, formata da istituzioni imperiture, le quali offrano la possibilità agli esseri umani, di volta in volta viventi, di realiz­zare la propria essenza naturale razionale e creativa, quindi di vivere da ‘spirito’ all’interno della propria comunità.

Soltanto una tale forma di vita etica può consentire agli uomini di vivere felici, in quanto essi realizzano in essa la propria vera natura, ossia la creatività (fondantesi sulla struttura fondamentale del concetto come ‘vero infinito’). Tale felicità è una felicità etica, ossia una felicità che non deriva dalla soddisfazione momentanea di bisogni materiali, bensì dal bisogno spirituale della realizzazione del proprio spirito, ossia di una vita retta non dalla cieca ripetitività della ‘cattiva infinità’, ma dall’intelligente finalità del ‘vero infinito’. Essa contiene d’altra parte in sé anche la soddisfazione dei bisogni materiali necessari dell’essere umano, poiché la famiglia contiene in sé anche il momento della sessualità (istinto della riproduzione - cfr. i §§ 367-370 della Filosofia della natura nell’Enciclopedia del 1830) e il lavoro quello del guadagno e quindi dell’acquisto dei beni materiali necessari alla propria sopravvivenza (istinto dell’assimilazione - cfr. ivi, §§ 357-366).

In tal modo la felicità dell’essere umano è il sigillo, per così dire, di una vita etica. A tal proposito si tratta di una felicità vera, non caduca e momenta­nea, ma stabile e duratura. Essa consiste nel fatto che l’essere umano nelle isti­tuzioni della vita etica realizza il proprio spirito, la propria libertà creatrice, fon­dantesi sulla categoria centrale della ‘vera infinità’, e contemporaneamente sod­disfa i propri bisogni fondamentali, senza tuttavia esserne schiavo.

 

Considerazioni conclusive al primo periodo dello sviluppo immanente e dialettico del pensiero di Hegel

Il pensiero di Hegel è sorto dalla vita, non è certo nato come una sterile discus­sione accademica. Il giovanissimo Hegel, all’età di 22 anni, nello scrivere le primissime riflessioni autonome e non occasionali, ma prodromo del futuro svi­luppo del proprio pensiero, aveva posto come problema da risolvere il senso dell’esistenza umana.

I momenti fondamentali della vita umana, la nascita, il matrimonio, la morte etc. sono sempre rivestiti di un significato religioso, come egli scrive:

 

“La religione è una delle questioni più im­portanti della nostra vita [...]; a tutte le situazioni ed azioni più importanti della vita [degli uomini], da cui dipende la loro felicità privata, già alla nascita, al matrimonio, alla morte, ai funerali, viene sempre mescolato qualcosa di religioso.”

(trad. dell’autore, trad. completa it. in SG 1, 167).

“Religion ist eine der wichtigsten Angelegenheiten unsers Lebens. [...]; allen wichtigen Begebenheiten, Handlungen des Lebens [der Menschen], von denen ihr PrivatGlük abhängt, schon der Geburt, der Ehe, dem Tode und Leichenbegängnis wird etwas religiöses beigemischt -”

(Text 16, in  GW 1, p. 83,3-5 + 14-17)

 

Il compito, che egli da giovanissimo si era posto e che attraverso una tenace ri­cerca filosofica poté nel corso degli anni risolvere, è la comprensione del senso di questi momenti della vita dell’essere umano, indipendentemente da una ideo­logia religiosa, ma unicamente secondo il loro concetto filosofico.

Pertanto, come è spontaneamente sorto dalla vita, così è giusto che altret­tanto spontaneamente, ossia secondo il proprio interno movimento logico, il pensiero di Hegel rientri nella vita.

Secondo il movimento dialettico in questo capitolo abbiamo dapprima trattato il concetto astratto dell’Ethos hegeliano, il concetto dello spirito, poi ne abbiamo approfondito la realtà concreta, ossia il riconoscimento come struttura fondamentale che agisce nella vita dello spirito, ed infine siamo pervenuti alla trattazione del concetto concreto dell’Ethos, ossia alla vita etica come vita felice. Con ciò il circolo dialettico si è chiuso ed a questo punto in riferimento allo sviluppo ed al significato autentico della filosofia di Hegel non v’è altro da dire.

Le parole, come ha intuito il filosofo svevo e felicemente espresso in una suggestiva poesia dedicata alla moglie, servono quasi sempre soltanto ad espri­mere il dolore, nel senso filosofico di mancanza, contraddizione, scissione:

 

“Potrei, usignolo, invidiarti

per la potenza della tua gola;

ma infelicemente la natura ha reso

il linguaggio così eloquente

solo per esprimere il dolore!”

(trad. dell’autore; trad.completa it. in Ros, 278).

Ich könnte, Nachtigall, dich neiden

Um deiner Kehle Macht,

Doch hat Natur die Sprache nur der Leiden,

Mißgünstig, so beredt gemacht.”

(Or. ted. Ros,1844, 262)

 

Ma ora la scissione tra spirito e materia, ragione e mondo, essere umano e na­tura, grazie a Hegel è stata cucita, il dolore speculativo è stato, per quanto possi­bile, eliminato e le parole quindi non sono più sufficienti: occorre ora ‘realiz­zare’ la filosofia di Hegel, il suo messaggio autentico, dunque l’idealismo asso­luto come terza ed ultima forma religiosa dell’umanità.

La filosofia di Hegel, nata dalla vita, deve ritornare alla vita.

 

 

Note alla prefazione

 

1) Hegels Philosophie als Weisheitslehre. Beiträge zu einer neuen Interpretation des jungen und des reifen Hegel. Frankfurt am Main 1996 (La filosofia di Hegel come teoria della saggezza. Contributi ad una nuova interpretazione dello Hegel giovane e maturo - da ora in poi citato semplicemente come Weisheitslehre).

2) Critica della ragion pura, 1787, trad. it. Bari 1977, vol. II, p. 641

3) Il termine si riferisce alla filosofia.

4) Kritik der reinen Vernunft, 1787, Akademie-Ausgabe, Band 3, p. 549

5) Cfr. Weisheitslehre, pp.151 ss.

6) Per la ‘mimetizzazione’ nel periodo di Tubinga cfr. il mio lavoro Die Rolle des Einflusses von J.J. Rousseau auf die Herausbildung von Hegels Jugendideal. Ein Versuch, die ‘dun-  klen Jahre’ der Jugendentwicklung Hegels (1789-1792) zu erhellen (Frankfurt am Main, 1995, pp. 129-130, da ora in poi citato semplicemente come Einfluß); per quella nel pe­riodo di Berlino cfr. l’introduzione di Karl Heinz Ilting a Vorlesungen über Rechtsphiloso­phie 1818-1831 (Stuttgart-Bad Canstatt, 1973).

 

Note all’introduzione

 

7) Ausblick: Grundlinien des Programms einer Aktualisierung von Hegels Philosophie nach den Prinzipien der ‘Globalinterpretation’, pp. 199 ss. (Sguardo verso il futuro: linee ge-nerali del programma di un’attualizzazione della filosofia di Hegel secondo i principi della ‘interpretazione globale’).

8) Nel capitolo conclusivo del presente studio viene messo in rilievo il ruolo importantissimo che la filosofia di Hegel, opportunamente reinterpretata alla luce della propria genesi, può avere in relazione al tentativo della filosofia di contribuire attivamente alla solu­zione dei problemi fondamentali della società odierna. In tal modo spero di mostrare come la ri­cerca storica ed in particolare storico-filosofica, l’attività filosofico teoretica e l’impegno etico-politico formino un’inscindibile unità, costituente la struttura fondamen­tale indispen­sabile di una vita veramente degna d’esser definita ‘intellettuale’.

9) Per ulteriori precisazioni sul problema metodologico relativo all’interpretazione della filoso­fia di Hegel nonché di una qualsiasi filosofia del passato si rinvia alle altre pagine dedicatevi in Einfluß (cfr. l’introduzione alla prima parte) ed in Weisheitslehre (cfr. il Bei­trag 10). In quest’introduzione viene posto l’accento soprattutto sui principi dialettici del meto-do genetico, mentre negli altri due testi ne è stata offerta una visione d’insieme, in parti-colare basantesi sui risultati della psicologia genetica di Jean Piaget.

10) Secondo l’etimologia dal termine greco ‘hodós’ (strada).

11) Anche la psicologia ha un oggetto di studio diverso dalla ragione. Essa studia infatti lo spirito dell’uomo nella sua globalità (passioni, apprendimento, motivazione etc.), ma non le leggi logiche in senso specifico, ossia nella loro validità intrinseca.

12) Un elenco privo di vita si trova in tutte le logiche di tipo formale da quella di Aristotele fi-no alle varie logiche dei giorni nostri (per le quali si veda la Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat, Milano 1977, in particolare i capp. 9 del vol. VII, 5 del vol. VIII e 3 del vol. IX). Fanno eccezione le logiche dell’idealismo classico tedesco (e quelle posteriori ispiratesi ad esse), nonché, sebbene con qualche riserva, quella trascen­dentale kantiana.

13) Per la ricostruzione dello sviluppo di queste filosofie anche nel loro rapporto reciproco cfr. i lavori ormai classici di Ernst Cassirer Storia della filosofia moderna. Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza (Torino 1978, voll. II 3, III 1 e III 2; ed. or. in 3 voll. dal 1906 al 1920); Nicolai Hartmann La filosofia dell’idealismo tedesco (Milano 1983; ed. or. 1960);  Richard Kroner Von Kant bis Hegel (Tübingen, vol. I, 1921, e vol. II, 1924).

14) Cfr. per esempio le proposte di perfezionamento avanzate da Vittorio Hösle in rapporto all’esigenza dell’aggiunta di una logica dell’intersoggettività (Hegels System, in particolare nel vol. I al § 4.2.4 Intersubjektivität und Logik: Überlegungen zur Notwendigkeit einer Erweiterung von Hegels ‘Wissenschaft der Logik’).

15) Lo stesso non può esser detto per es. delle manifestazioni artistiche, le quali non hanno ‘storia’ nel senso specifico di ‘sviluppo’, ‘progresso’, come ha brillantemente chiarito Benedetto Croce nel capitolo XVII La storia letteraria ed artistica della sua Estetica, poi­ché “[...] l’arte è intuizione, e l’intuizione è individualità, e l’individualità non si ripete [...]” (p.155). Di conseguenza non vi può essere nell’arte un vero e proprio legame di cau­sazione attraverso la successione cronologica.

16) Cfr. a questo proposito le illuminanti riflessioni di Aldo Masullo in La potenza della scissione. Tre letture hegeliane. Napoli 1997, p. 122.

17) Ogni traduzione del termine tedesco ‘Aufhebung’, il quale include in sé il doppio signi-ficato di ‘superare’ e ‘conservare’, tramite una sola espressione italiana mi sembra es­sere incompleta, giacché la nostra lingua non possiede al momento un termine corrispon­dente, adeguato ad esprimere tale duplice significato. Del resto anche la lingua tedesca attuale adopera il verbo ‘aufheben’ ed i suoi derivati soltanto o nel senso, per così dire, negativo di ‘togliere, sopprimere, sollevare’ oppure in quello positivo di ‘conservare, mettere da parte’, ma non in entrambi i significati contemporaneamente. Questo è invece l’uso peculiare di Hegel ed il significato che tale espressione ha dunque esclusivamente nell’ambito del pensiero dialettico. Le traduzioni ‘superare conservando’ per il verbo e ‘superamento dialettico’ per il sostantivo mi sembrano dunque le più corrette linguisti­camente e le più sensate filosoficamente (si veda SL 1, pp. 121-123; GW 21, pp. 94-95; per l’esposizione degli altri concetti formanti la struttura fondamentale della dialettica si rimanda alle prefazioni ed introduzioni preposte da Hegel alle varie edizioni della Scienza della logica e dell’Enciclopedia).

18) In effetti anche in Kant la logica come indagine sulle categorie ha il compito di preparare la strada alla metafisica, ma non è essa stessa metafisica.

19) Egli d’altra parte li stimava moltissimo, come dimostrano le parole d’elogio dedicate a Kant per es. nella Scienza della logica (SL 1, pp. 50-51; GW 21, p. 40) ed addirittura la digntà, assegnata da lui ad Aristotele, di chiudere il sistema filosofico dell’Enciclopedia (E § 577).

20) Sulla necessità di considerare il pensiero da un ‘punto di vista superiore’, che è poi il punto di vista dell’assoluto come identità di soggetto ed oggetto, di pensiero ed essere, dunque di logica e metafisica, si esprime Hegel in modo già chiaro ed esplicito sin dal pe­riodo di Jena (cfr. per esempio lo scritto sulla Differenza fra il sistema di Fichte e di Schelling alle pp. 83 ss.; or. ted. in GW 4, pp. 68 ss.).

21) Sull’interpretazione della logica hegeliana come onto-teo-logia cfr. Birault (1958) e Lö­with (1964).

22) L’introduzione e la prefazione hanno infatti un valore soltanto ‘storico’, direbbe Hegel, poiché sono scritte da un punto di vista cronologico non all’inizio di un’opera, bensì alla fi-ne, quando ormai il lavoro è già compiuto e l’autore può del tutto tranquillamente vol­gersi indietro a considerare quanto ha scritto, estrarne i principi fondamentali, elevarli a coscien-za e consapevolezza ed infine trasformarli in prefazione ed introduzione.

23) Valga come esempio il proposito hegeliano di ‘salvare’ la religione tradizionale elevandola e trasformandola in filosofia. Anche oggi si può notare nel mondo occidentale una crescita del bisogno religioso, ma svincolato dalla religiosità ufficiale tradizionale. Tra l’ateismo materialistico ed il fideismo delle varie confessioni religiose può esistere in­somma una terza via, consistente nella comprensione e dimostrazione filosofica di alcuni valori etici essenziali, su cui fondare la propria esistenza terrena. Tale via è stata indicata da vari filosofi, tra i quali in modo particolarmente chiaro ed esplicito da Hegel (si veda a tal riguardo l’ultimo capitolo del presente lavoro).

24) La consapevolezza della caducità della vita, non solo umana ma, a livello ontologico, dell’essere stesso, era stata già intuita dai Greci, per es. da Anassimandro: “Principio degli esseri è l’infinito... da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo” (frammento 1, in: I Presocratici. Testimonianze e frammenti. Bari 1983, pp. 106-107).

25) Si tratta delle tre parti fondamentali in cui si divide la logica hegeliana: logica dell’essere, dell’essenza e del concetto. Per questa interpretazione della struttura temporale della logica hegeliana cfr. Masullo, 1997, pp. 123 ss.

26) Secondo il principio fondamentale dello storicismo espresso una volta per tutte e per pri-mo dal Vico nella Degnità XIV della sua Scienza nuova (1744, nel cap. II Degli Elementi): “Natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose”.

27) Per non dare adito a facili critiche, desidero specificare qui che ovviamente nel concetto di ‘dialettica’ mi limito a sussumere soltanto quegli aspetti fondamentali (superamento dialettico, principio della negazione), che sono stati discussi nelle pagine precedenti. È evidente che la logica di Hegel abbia bisogno di una revisione e pertanto anche un concetto della ‘dialettica’, il quale voglia essere idoneo ad essere utilizzabile dalla scienza moder-na, dev’essere sottoposto ad un tale processo di ‘riforma’ o ‘attualizzazione’ (per altro già in corso, cfr. per esempio Wandschneider 1995). Ciò nulla toglie comunque al fatto che Hegel con il suo lavoro filosofico abbia posto delle basi logico-metodologiche indispensa­bili anche alla scienza dei giorni nostri.

28) Per la ricostruzione delle varie tappe della scoperta e valorizzazione degli scritti giovanili di Hegel cfr. Lacorte 1959 e, più recente, l’introduzione a Jamme-Schneider 1990.

29) Ciò è rinvenibile già nei primissimi testi del periodo di Stoccarda, come è stato mostrato in Einfluß alle pp. 25 ss. Nel presente studio si tralascia pertanto la ricostruzione dialettica del periodo di Stoccarda - sintetizzato comunque nelle considerazioni introduttive al primo periodo - e si comincia direttamente con la ricostruzione dialettica del contenuto degli scritti del periodo di Tubinga e Berna.

30) Ciò è riscontrabile nell’ultimo fase del periodo jenese, in particolare nei frammenti sistematici degli anni 1804/05 (per la logica/metafisica) e soprattutto 1805/06 (per la filoso­fia della natura e dello spirito).

31) Si tratta del concetto del vero come risultato ma allo stesso tempo come l’assolutamente primo, un altro dei pilastri della logica hegeliana (cfr. SL 1, pp. 69-71; or. ted. GW 21, pp. 56-59; a livello interpretativo: Masullo, 1997, pp. 67-68).

32) Nello studio di Henrich/Becker Fragen und Quellen zur Geschichte von Hegels Nachlaß si trova la ricostruzione delle vicende, in parte avventurose, del lascito di Hegel e quindi la spiegazione dei motivi della perdita di molti dei testi che oggi dolorosamente mancano.

33) Anche in questo caso la saggezza degli antichi, sebbene in forma ancora intuitiva e non argomentativa, ha precorso quanto i filosofi posteriori hanno dimostrato: “Bisogna dunque seguire ciò che è comune. Ma pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza” (Eraclito, fram­mento 2, in: I Presocratici. Testimonianze e frammenti. Bari 1983, p. 195).

34) Per la precisazione del concetto di ‘momento’ all’interno della progressione dialettica cfr. SL 1, pp. 122-123; or. ted. in GW 21, pp. 94-95.

 

Note a 1.0

 

35) È dal 1785 che si deve far incominciare uno sviluppo autonomo del pensiero di Hegel per­ché il suo primo scritto tramandatoci, l’estratto Erziehung. Plan der Normal-Schulen in Russland, risale a quest’anno (cfr. l’appendice 1 Cronologia dei manoscritti hegeliani tra-mandati, risalenti agli anni 1785-1794, in seguito citata soltanto come App-1).

36)  Per il terminus ad quem di questa seconda fase cfr. la cronologia dei testi di questo periodo.

37) Sul concetto di ‘anni oscuri’ v. inoltre Einfluß, p. 4 sp. nonché il mio breve saggio Die ‘dunklen Jahre’ von Hegels Entwicklung als Aufgabe der Hegelforschung (Gli ‘anni oscuri’ dello sviluppo di Hegel come compito della Hegelforschung), in: Jahrbuch für He­gelforschung, Sankt Augustin, 2, 1996.

38) Per il terminus ad quem di questa fase cfr. la cronologia dei testi di questo periodo.

39) Per un approfondimento analitico di esse si rinvia a Einfluß.

 

Note a 1.1.0

 

40) Per le ragioni di tale datazione come anche delle datazioni seguenti di questa fase cfr. Ein­fluß, 26 ss.
41) In Einfluß è stato tra l’altro anche messo in evidenza come Hegel in ogni fase di sviluppo del proprio pensiero abbia privilegiato una forma espositiva rispetto alle altre. In questo primo fase è il diario a contenere non solo quantitativamente, ma anche e soprattutto qua­litativamente l’essenza del suo pensiero.

42) Termini tedeschi: ‘Glückseligkeit’ e ‘Geselligkeit’

43) La lista di questi scritti si trova in Einfluß, nota 40, p. 43.

44) Cfr. per il rinvio al testo hegeliano Einfluß, pp. 44-45.

 

Note a 1.1.1

 

45) L’espressione ‘interesse principale* richiede una precisazione:
- Rispetto al primo periodo di Stoccarda (fino alla fine del 1786 circa) si tratta piuttosto dell’"interesse principale" di Hegel, poiché nel primo periodo del suo sviluppo intellettuale egli si sente attratto dalla conoscenza nel suo insieme. Tuttavia, il giovane pensatore mostra già una chiara inclinazione per certi campi del sapere o delle domande, che si può quindi definire il suo "interesse principale";
- rispetto al periodo che va dalla fine del 1786 circa - inizio 1787 e poi ancora di più al periodo di Tubinga o al primo periodo bernese, si può già parlare di una "problematica principale", poiché Hegel nel frattempo è già giunto a una certa questione all’interno del proprio interesse principale, la cui soluzione costituisce l’essenza della sua idea giovanile e può essere definita la sua problematica principale in quel momento.

46) GW 3, p. 115 ss.

47) GW 1, p. 5
48) GW 1, p. 8

49) Cfr. GW 1, p. 532, annotazione a 8,19-21.
50) Nell’annotazione del 15.07.1785, è questa volta il personaggio Socrate ad attirare l’attenzione del giovane Hegel: "Sono andato a fare una passeggiata con il Prof. Cleß. Abbiamo letto nel Fedone di Mendelssohn solo così, per così dire, la preparazione o l’introduzione al carattere di Socrate" (GW 1, p. 10,11-13; vedi la nota relativa a p. 533).

51) Cfr. GW 1, p. 8.
52) Cfr. GW 1, p. 532, annotazione a 8,24

53) GW 1, S.8, 26-27

54) GW 1, p. 9,9.
55) GW 1, p. 13 
56) Vedi GW 1, p. 537, annotazione a 13,19-20.

57) GW 1, 16-17
58) Nicolin, 1970, p. 94

59) GW 1, 20
60) Nicolin, 1970, p. 28

61) Questo aspetto della personalità filosofica del giovane Hegel è stato particolarmente evidenziato negli studi di Lukacs (1948) e Busche (1985).

 

Note a 1.1.2

 

62) GW 1, pag. 22 ss.
63) A tal proposito v. la nota degli editori a 22,2 in GW 1, p. 542.
64) Il testo tedesco si trova in in Nicolin, 1970, p. 101; l’originale latino in GW 1, p. 22-23.
65) Le citazioni sono tratte dall’annotazione del 15.02.1991 (Nicolin, 1970, p.100; il testo latino è in GW 1, p.22).
66) Nicolin, 1970, p. 101: "Prima vogliamo parlare dei vantaggi della frequentazione delle persone anziane [...].
67) Nicolin, 1970, p. 102: "Vengo ora alla frequentazione del sesso debole".
68) Nicolin, 1970, P. 102: "Dapprima dunque e in modo del tutto particolare risulta un vantaggio notevole dalla frequentazione delle persone più anziane, poiché esse hanno conseguito molte conoscenze di svariate cose. A ciò si aggiunge soprattutto una conoscenza di cui nessun altro dispone: [...]: la conoscenza della natura umana".
69) Nicolin, 1970, pp. 102-103; GW 1, p. 24. Le note relative a 24,4-6 e a 24,13-14 a pagina 542 mostrano molto chiaramente come questi pensieri di Hegel furono decisamente influenzati dal libro Teophron di Campe.
70) Nicolin, 1970, P. 101; la nota a 23,11-12 in GW 1 fornisce dettagli precisi sulla fonte principale di questi pensieri di Hegel, ossia la recensione di Über die Einsamkeit di J.G. Zimmermann in: Allgemeine Deutsche Bibliothek (cfr. anche Ripalda, 1990, p. 117).
71) Vedi in particolare i seguenti paragrafi dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1830): 478-490 sulla felicità; 481-482: sullo spirito libero; 513 sgg.: sull’eticità.
72) Vedi  §513: "L’eticità è il compimento dello spirito oggettivo".
73) Vedi l’annotazione al §436 sull’autocoscienza universale.
74) Annotazione: "Questo volere della libertà non è più un istinto, che richieda il proprio soddisfacimento, bensì il carattere, - la coscienza diventa essere senza istinto."
75) Anche il riapparire dei concetti di onore, fama e di altre caratteristiche del carattere umano in questo paragrafo è molto significativo e interessante come congiungimento allo Hegel di Stoccarda.

76) Annotazione del 18-02-1786: "Vorremmo aggiungere alcune cose sui benefici della socializzazione. Per prima cosa vogliamo parlare dei vantaggi di trattare con le persone anziane [...]". Si veda anche l’annotazione del 24-02-1786.

 

Note a 1.1.3

 

77) GW 1, p. 29.
78) A proposito dell’interruzione i curatori del volume scrivono: "All’interno del primo dei tre fogli doppi che si trovano alla fine, il testo presenta una lacuna (cfr.,28): in mezzo a questo doppio foglio manca almeno un foglio inserito, forse anche un numero maggiore di fogli."
79)  GW 1, p. 30,13-19
80) Vedi l’estratto “Egizi, Sull’erudizione degli Egizi”, in: GW 3, p. 113 ss
81) Gli editori riportano quanto segue riguardo alla lacuna alla fine del testo: "L’ultima pagina di questo terz’ultimo foglio doppio è completamente scritta. Poiché qui lo sviluppo del pensiero non è evidentemente ancora pervenuto alla fine (cfr. 30,19), ma sul doppio foglio seguente la voce con la data del 1° gennaio 1787 inizia completamente di nuovo, forse a questo punto si è perso ulteriore testo". (GW 1, P. 450)
82)  Vgl. GW 1, p. 453-454.

83)  
84) Nella relazione editoriale del volume 1 di GW, si nota quanto segue a proposito dei due testi (pp. 453-454): "C’è anche una somiglianza formale tra la nota di interruzione del 22 marzo 1786 e la sezione del testo frammentario senza data: cfr. gli inizi definitori,27-28 e 30,1-2".
85)  GW 1, p.,23-43
86)  GW 1, p.,27-28
87)  GW 1, p. 30,1-2
88)  GW 1, p. 30, 2-19
89)  GW 1, p. 30,2-3: "Sto parlando qui, in effetti, solo dell’illuminamento attraverso le scienze e le arti. Esso si limita solo al ceto sociale dei dotti".
90)  Nel presente studio userò questa espressione in tale forma, che è più fedele all’espressione di Hegel, e non nella forma ’uomo semplice’, che è forse più corretta per le condizioni attuali.
91)  GW 1, p.30,3-5
92)  GW 1, p. 30,6-7
93)  GW 1, p. 30,10-11: "Io parlo qui, dunque, secondo la mia intenzione soltanto delle scienze e delle arti".
94)  GW 1, p- 30,7-8
95)  GW 1, 30,7-8
96)  SA 12, p. 70
97)  Il graduale dispiegarsi di questi concetti, che già a Stoccarda formavano la "rete" attraverso la quale Hegel cercava di comprendere la vita spirituale dell’uomo, fino a raggiungere il sistema, può essere interpretato in modo adeguato attraverso il principio metodologico della "differenziazione", che è stato presentato nell’introduzione.
98)  Manca inoltre un ulteriore testo alla fine della parte di testo senza data da 30,19 (vedere la relazione editoriale in GW 1, p. 452). È quindi completamente impossibile capire di cosa si parlava in questo testo, perché manca qualsiasi indizio.
99)  È il grande merito di Schmidt-Japing (1924, pp. 3-4) di essere stato il primo a comprendere la centralità della questione di un "illuminamento dell’uomo comune" nello sviluppo del pensiero giovanile di Hegel. Anche se non ha ricostruito come questa questione si sviluppò gradualmente nella mente del ragazzo, ha visto con grande acutezza la connessione tra questa questione e l’ideale di una nuova religione che emerse circa cinque anni dopo. In questo modo ha anche fornito una prova decisiva della continuità nello sviluppo del pensiero di Hegel. In questa interpretazione Schmidt-Japing è seguito dalle opere di G.E.Müller (1959, p. 26) e Hans Küng (1970, p. 49), mentre Rebstock (1971, p. 211, nota 40) prende posizione contro di essa.
100)  C’era anche un’altra ragione che impediva a Hegel di elaborare immediatamente un progetto di un ‘illuminamento dell’uomo comune’: la sua mancanza di conoscenza della natura umana. Anche se non si esprime su questo nella pagina del 22.03.1786, leggendo le altre pagine del diario scritte in questo periodo possiamo concludere che desiderava per sé una conoscenza più profonda dell’uomo. Non per niente molte delle sue letture riguardavano direttamente o indirettamente un tale argomento. Considerando la sua giovane età e la sua educazione dell’epoca, che con il suo isolamento l’ha privato dell’opportunità di avere una grande varietà di esperienze, la sua mancanza di conoscenza della natura umana è evidentemente ovvia.

 

Note a 1.2.0

 

101) Si tratta dell’estratto "Philosophie. Verhältniss der Metaphysik zur Religion." Per la cronologia sia delle pagine del diario che degli estratti nonché dei frammenti degli anni successivi cfr. l’appendice al presente lavoro.
102) È senz’altro in questi anni che nasce quel modo caratteristico di Hegel di studiare la storia, volto a comprendere le strutture fondamentali della società umana ed il senso ultimo verso cui il loro sviluppo tende. Esso darà vita poi alla sua famosa concezione filosofica della storia, le cui radici sono da rinvenire proprio in queste riflessioni giovanili (in Einfluß ho anche indicato concreti parallelismi tra la filosofia della storia della maturità e questi studi del periodo di Stoccarda - v. per es. le pagine 45-46).

103) Cfr. Einfluß pp. 50 ss.
104) Si tratta del compito scolastico "Über einige charakteristische Unterschiede der alten Dichter (von den neueren)" del 7 agosto 1788 (trad. it. in SG 1, pp. 93-96; per l’esposizione del contenuto e il commento v. Einfluß pp. 58 ss.).
105) Cfr. Henrich 1965, Brecht 1977, Ripalda 1990 nonché la prefazione ad Einfluß ed i miei due saggi hegeliani già citati.
106) Ritorno ‘dialettico’ in quanto arricchito dai risultati conseguiti nella seconda fase, ossia dalla comprensione dell’essenza del vero illuminismo come ‘naturalità’.

 

Note a 1.2.1

 

107) Vedi p.e. i seguenti estratti:
•  09/1003-1787: Filosofia. Quadro generale;
•  1003-1787: Giurisprudenza. Quadro generale
•  315-1787: da Mendelssohn su educazione, cultura, illuminismo
•  289-1787: Miti in filosofia e religione
•  16/2308-1787: da Nicolai su cultura e illuminismo.
108)  GW3, p. 169 sgg.: Berl. Monatschr. 1784. IX St. 7.1: Über die Frage: was heißt aufklären? von Mos. Mendelssohn p. 193-200.
109) GW 3, S. 177 ff.: Nicolai’s Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz. V. Bd. 1785. XIV. Abschn. p. 205 sgg.
110) GW 3, S. 169: "Educazione, cultura e illuminismo sono modificazioni della vita sociale, effetti della diligenza e degli sforzi degli uomini per migliorare la loro condizione sociale".
111) GW 3, S. 169: "Je mehr...Volk".
112) GW 3, S. 171
113) "Infelice è lo Stato …" (S. 172).
114) "Abuso dell’illuminismo…" (S. 173)
115) GW3, p. 174
116) GW3, p. 177
117) Entrambe le citazioni si trovano in GW 3, p. 177.
118) GW3, p. 178
119) GW3, p. 178
120) Cfr. Wissenschaft der Logik I/1 (1832), GW 21, 91: "L’essere della qualità come tale, rispetto a questa relazione all’altro, è essere-in-sé".
121) Cfr. Wissenschaft der Logik, I/1 (1832), GW 21, p. 39: "Inoltre, però, la necessità della connessione e il sorgere immanente delle differenze devono essere rinvenute nella trattazione della cosa stessa, giacché cadono nella propria determinazione ulteriore del concetto".
122) Decisivo è il giudizio tagliente e infondato di Haym: "Hegel appare nella sua prima giovinezza interamente come una natura collezionista e apprenditrice" (p. 20), e, riferendosi al diario: "[...]; lì non siamo intrattenuti da conflitti morali, da eventi personali importanti o meno. La vita del ragazzo consiste nel suo apprendimento; il suo unico interesse è che ripeta, visualizzi e imprima nella sua mente ciò che ha sperimentato e imparato" (p.21).
Questa valutazione negativa del periodo di Stoccarda è ripresa nei lavori di Asveld (1953), Rebstock (1971), Scheit (1973), Kondylis (1979), Semplici (1987) e Ripalda (1990).
Un giudizio positivo sugli anni di Stoccarda dello sviluppo intellettuale di Hegel, secondo cui egli era già originale in questi anni, è sostenuto invece dai seguenti interpreti: Schmidt-Japing (1924), Haering (1929), Aspelin (1933), Negri(1933), Negri (1958) e G.E. Müller (1959).
123) Del tutto fuorviante, quindi, appare l’opinione espressa da Ripalda: "Psicologicamente Hegel si è formato prima dei primi scritti esistenti. Filosoficamente, però, non si può ricavare da Stoccarda un’origine né constatare un ‘taglio’ [...]" (1990, p. 126).
124) Cfr. Kant, Critica della ragion pura, GS III, p. 75: "I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche".

 

Note a 1.2.2


125) Si tratta dell’estratto „Philosophie. Verhältniss der Metaphysik zur Religion“. Per la cronologia sia delle pagine del diario che degli estratti nonché dei frammenti degli anni successivi cfr. l’appendice al presente lavoro.
126) È senz’altro in questi anni che nasce quel modo caratteristico di Hegel di studiare la storia, volto a comprendere le strutture fondamentali della società umana e il senso ultimo verso cui il loro sviluppo tende. Esso darà vita poi alla sua famosa concezione filosofica della storia, le cui radici sono da rinvenire proprio in queste riflessioni giovanili (in Einfluß ho anche indicato concreti parallelismi tra la filosofia della storia della maturità e questi studi del periodo di Stoccarda - v. per es. le pagine 45-46).
127) Cfr. Giusti, 1987, pp.13-22
128) GW1, pp. 46-48
129) GW1, pp. 51-54 
130) I due termini "successo" e "influsso" si trovano con lo stesso significato nell’estratto da Nicolai a p.146: "D’altra parte, la riflessione su tutti gli oggetti della vita umana, nella misura in cui hanno un’influenza sul benessere [...]; [...] mostra il grado di illuminamento di una nazione. Tutto questo può essere modificato mille volte, ma deve essere nella giusta proporzione, altrimenti il successo sarà scadente". 
131) GW1, pp. 46-47: “Inoltre, poiché l’intero sistema della loro educazione era tale che ognuno aveva acquisito le proprie idee dall’esperienza stessa e non conosceva la fredda erudizione libresca che soltanto s’imprime nel cervello con segni morti, ma poteva ancora dire di tutto ciò che sapeva: Come? Dove? Perché? l’avesse imparato; ognuno doveva quindi avere una propria forma mentis e il proprio sistema di pensiero, essi dovevano pertanto per forza di cose essere originali".
132) GW1, p. 47,2-8: “Sin dalla nostra giovinezza impariamo la quantità più praticabile di parole e segni di idee, e questi riposano nella nostra testa senza attività e senza uso. Solo poco a poco, attraverso l’esperienza, impariamo a conoscere il nostro tesoro e a pensare qualcosa nelle parole, che però sono già per noi, per così dire, forme secondo le quali modelliamo le nostre idee e che hanno già la loro portata e limitazione definita e sono relazioni secondo le quali siamo abituati a vedere tutto".
133) GW1, p. 46,20-21: "A noi interessa l’arte del poeta, non più la cosa stessa, che spesso fa l’impressione opposta".
134) GW1, p. 46,25-27
135) Sembra molto interessante la riflessione che i poeti antichi fossero naturali in modo naturale, mentre i poeti moderni, se vogliono essere naturali, devono farlo consapevolmente, cioè non più spontaneamente, ma deliberatamente.
136) Per ‘popolo’ intende Hegel qui la ‘gente comune`, cioè l’ ‘uomo comune’ nel senso della parte di testo sull’illuminismo-illuminamento della fase precedente. 
137) GW1, p. 183,15-16: “A causa delle difficoltà si deve risalire il più possibile al primo e più antico significato delle parole...”
138) Cfr. GW1, p. 99,25-26 e 51,20-21.
139) GW1, p. 52,17-19: “Ma gli antichi, specialmente i Greci – cui ci si riferisce qui in modo particolare, giacché gli scritti romani, considerati senza riguardo al contenuto, non sono che imitazioni di quelli - [...]” aveva scritto nel saggio del dicembre 1788.

 

Note a 1.2.3

140) In: Jamme-Schneider, 1990, pp. 112-129

141) Cfr. Brecht, 1970, p. 402: "Die ersten Jahres des Studium bleiben weithin im Dunkel." ("I primi anni di studio rimangono in gran parte nell’oscurità."

142) Cfr. Enciclopedia (1830), §554: “La religione, come questa sfera altissima può essere in generale definita...” (trad. dell‘autore; originale: "Die Religion, wie diese höchste Sphäre im Allgemeinen bezeichnet werden kann, (...)” (Enz. 1830, § 554, ora in GW 30, p. 542)

 

Note a 1.3.0

143) Per la delimitazione cronologica precisa di questa fase nonché dei vari stadi in cui essa si articola, cfr. Einfluß, 141 ff.

144) Su Flatt ed in generale sul dibattito teologico-filosofico con riferimento alla teoria kan­tiana dei postulati ho condotto ricerche approfondite in Einfluß (pp. 70-104). Sono inoltre in procinto di pubblicare in italiano uno studio dedicato a Flatt ed a tale dibattito, dal titolo provvisorio Filosofia della religione tra Kant e Hegel. La reazione al kantismo nello Stift di Tubinga (Storr, Flatt, Rapp) e la sua influenza sulla formazione del pensiero di Hegel.

 

Note a 1.3.1

 

142) Nella traduzione italiana (in SG 1) tale foglio va dal rigo 22 della p. 185 (“Grande è la differenza...”) fino al rigo 30 della p. 188 (“...religioso pubblico”).

143) Cfr. de Angelis, 1995.
144) Cfr. GW 1, pp. 469-471.
145) Hegel si riferisce qui ai sacrifici propri della religione.
146) Cfr. GW 1, p. 557, nota a 75,4.
147) Cfr. il testo 16, foglio ‘c’, GW 1, pp. 87 ss.
148) GW 1, rapporto editoriale, p. 470: “La prima parte (del testo) è nata evidentemente durante la lettura del libro Jerusalem oder über religiöse Macht und Judentum di Moses Mendelssohn”.
149) Cfr. Jamme, 1983, p. 50: “La distinzione tra religione popolare e privata [...] è pervenuta a Hegel per il tramite di Moses Mendelssohn, pensatore molto stimato da Kant, e della sua opera del 1783 Jerusalem oder über religiöse Macht und Judentum”.
150) Essi ricorrono in particolare ai seguenti luoghi di GW 1: 76,5-6; 76,8; 77,13; 77,15-16; 77,19; 77,26.
151) Si tratta di concetti  appartenenti in maniera essenziale al dibattito teologico-morale di cui ci stiamo occupando.
152) Cfr. il luogo 77,5 ss. di GW 1 (SG 1, p. 161 ss.), dove si legge: “- die ganze Reihe von Triebfedern und Beweggründen, womit man dise jene Tugend motivirt” (“... l’intera serie dei moventi e degli impulsi con cui si motiva questa o quella virtù”). Qui risulta chiara-mente come i concetti ‘Triebfeder’ e ‘Beweggrund’, al tempo della redazione del testo 12, già facevano parte dell’equipaggiamento concettuale di Hegel.
153) Cfr. il luogo 77,16-18 di GW 1, nel quale è possibile dimostrare chiaramente il riferimento a Fichte al riguardo del rapporto tra religione e moralità (cfr. il luogo 23,18-19 della Offenbarungsschrift).

 

Note a 1.3.2.0

 

154) Cfr. GW 1, pp. 473-475.

155) La cesura corrisponde al luogo 185,21 di SG 1. 

 

Note a 1.3.2.1

 

156) Tali indicazioni si riferiscono rispettivamente alla pagina ed al rigo di GW 1. I luoghi corri­spondenti in SG 1 sono 169,1 e 171,10

157) Cfr. a questo riguardo Henrich, 1971, pp. 58-59.

157a) Cfr. anche Fichte, Off., S. 24,1-5

158) SG 1: da 171,11 a 172,40

159) “Die ganze Masse von ReligionsGrundsäzen - und von den daraus fliessenden Empfindun­gen; und besonders der Grad von Stärke, womit sie auf HandlungsArt einflüssen können, ist der Hauptpunkt einer Volksreligion” (GW 1, 86,26 - 87,1).

160) SG 1: da 171,1 a 176,12

161) “Auseinandersezung des Unterschieds zwischen objektiver und subjektiver Religion; Wichtigkeit dieser Auseinandersezung in Ansehung der ganzen Frage” (GW 1, p. 87,16-17).

162) GW 1, p. 87,1; SG 1, p. 172, 21-22

163) SG 1, da 173,4 a 175,2

164) SG 1, da 175,3 a 175,21

165) SG 1: da 176,14 a 179,14

166) Quando si parla di fogli precedenti o seguenti non si intende ciò in senso cronologico poi­ché sulla base delle attuali conoscenze non è possibile determinare una sequenza cronolo­gica all’interno del testo 16. Che però vi sia una sequenza logica vien dimostrato tra l’altro dal fatto che lo stesso Hegel ha ordinato i vari fogli secondo l’attuale sequenza, che egli ha poi contrassegnato con le lettere dell’alfabeto latino (cfr. GW 1, pp. 473-475). Se Hegel ha ritenuto di dover collocare all’interno del testo 16 un frammento prima di un al­tro è senz’altro perché ha considerato tale frammento quale presupposto per i seguenti all’interno del tutto. Non è da escludere ovviamente che il filosofo abbia redatto il fram­mento, ch’egli ha considerato da un punto di vista logico quale presupposto ed ha tra­mandato dunque in una posizione antecedente gli altri, dopo di questi. In tal senso dun­que, fondato sul contenuto, vengono adoperate qui le espressioni ‘precedente’ ed ‘antecedente’ in riferimento alla successione dei vari fogli del testo 16.

167) Si tratta dei seguenti concetti: la religione come bisogno della ragion pratica, il sommo bene, la teoria dei postulati, l’idea di una ‘deduzione della religione’ (cfr. GW 1, pp. 90,28 fino a 91,7).

168) Cfr. GW 1, p. 99,29.

169) Il foglio ‘e’ non è stato tramandato (cfr. GW 1, p. 473)

170) SG 1: 179,15 a 182,10

171) La contrapposizione caldo-freddo/cuore-intelletto si rifà evidentemente a Reinhold (essa fu ripresa anche da Rapp).

172) Da scrivere nota su Campe

173) Cfr. Schmidt-Japing, 1924, pp. 3-4; de Angelis 1995, pp. 41-49.

174) SG 1: da,10 a 185,21

175) “Qualcosa d’altro rispetto all’illuminismo, nel senso di ragionamento, è la saggezza” (trad. dell’autore - “Etwas anderes als Aufklärung, als Räsonnement ist Weisheit” (GW 1, p. 97,8-9). Sull’importantissimo concetto di ‘saggezza’ nello Hegel giovane e maturo cfr. de Angelis, 1996, ‘Hegels Philosophie als Weisheitslehre’ (‘La filosofia di Hegel come dottrina della saggezza’), in particolare il capitolo 7 ‘Von der Weisheit zur Wissenschaft. Hegels philosophischer, dialektischer Werdegang‘ (‚Dalla saggezza alla scienza. Il cammino filosofico dialettico di Hegel’).

 

Note a 1.3.2.2

 

176) Il luogo che segna la cesura è GW 1, p. 99,29.
177) Si vedano i §§ 34, 35 e 36 del presente lavoro.
178)GW 1, p. 78,3-7
179) GW 1, p. 79,10 
180) GW 1, 79,1 ss.
181) GW 1, pp. 465-467.
182) Così recita l’intero luogo: “Es gibt manche Tugenden die leicht auszuüben sind, und die sehr in die Augen fallen, denen aber gerade das wesentliche, das was ihnen in den Augen Gottes einen Werth gibt, abgeht, und was eben oft am schwersten zu erkämpfen ist, nemlich eine völlige Umänderung und Besserung des Herzens” (GW 1, p. 60,9-12).
183) GW 1, p. 60,12 
184) GW 1, p. 63,16
185) Che egli vi abbia veramente creduto è del tutto da escludere sulla base degli altri testi di natura privata di questi anni, nei quali ovviamente il giovane Stiftler non aveva alcun bisogno di nascondersi e poteva dunque scrivere quel che realmente pensava.
186) “[...] aus welchen Unversöhnlichkeit entspringt [...]” (GW 1, 60,25; SG 1, 120).
187) GW 1 pp. 68-69 (SG 1, pp. 127-129 - datazione: 1 maggio 1793, cfr. GW 1, rapporto editoriale, pp. 467-468).
188) “das verdorbene Herz des Menschen” (GW 1, 68,4; SG 1, 127).
189) GW 1, p. 69,28-29; SG 1, p. 129.
190) GW 1, pp. 70-72; SG 1, pp. 131-134; datazione: 16 giugno 1793 (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 468).
191) Le relative annotazioni in GW 1 riportano per diversi luoghi della predica i corrispondenti luoghi dello scritto kantiano, dai quali essi derivano.
192) Si vedano a tal proposito soprattutto le annotazioni da 70,9 a 159,6, che sono riportate nell’indice.

193) GW 1, rapporto editoriale, p. 566

194) Cfr. GW 1, p. 71,13 e 71,22-23.

 

Note a 1.3.2.3

195) SG 1: da 185,22 a 188,30
196)  Questa frase si trova precisamente all’inizio del paragrafo sulla ‘chiesa invisibile’ (par. 4 della terza parte), che senza dubbio è stato uno dei più importanti per Hegel.
197)  Cfr. Briefe, vol. 1, p. 16 e 23.
198)  A questo proposito egli parla di una “[...] più grande applicabilità a concetti utilizzabili più generalmente” dei concetti della ragione teoretica (cfr. Briefe, vol. 1, p. 16).
199)  Qui non si tratta per Hegel della domanda teoretica circa il tipo di religione che sia quella vera: ciò lo ha già imparato da Kant; si tratta piuttosto della domanda pratica circa l’istituzione (‘Errichtung’) della religione razionale come la vera religione del popolo.
200) Cfr. anche Fichte, Offenbarungsschrift, p. 19,21: “La suprema eticità [...]”.
201) Tali espressioni si trovano comunque anche in Fichte, il quale le ha recepite dalla Critica della ragion pratica (in Fichte vedi per l’espressione ‘legalità’ p. 30; per ‘movente’ p. 34; per ‘carattere empirico’ p. 67).
202) “In una religione popolare è della più grande importanza che la fantasia e il cuore non restino insoddisfatti” (GW 1, p. 101,25-26).
203) Sul ritorno di questa espressione cfr. testo 16, p. 90,9: “[...] il tessuto delle sensazioni umane [...]”.
204) La religione, secondo la concezione di Hegel, “[...] si estende a tutti i rami delle inclinazioni umane (senza che l’anima ne sia cosciente), ed agisce dappertutto - ma solo immediatamente [...]” (GW 1, p. 90,13-15).
205) Si veda la p. 86 di questo lavoro.
206) È senza dubbio questo ideale a formare da questo momento ‘la buona causa’ (‘die gute Sache’) per la quale si volevano impegnare i tre compagni dello Stift (cfr. la lettera di Schelling a Hegel del gennaio 1796, in: Briefe, Vol. 1, p. 35: “Infatti penso di poter pretendere da te che tu aderisca anche pubblicamente alla buona causa”).
207) ‘Seconda’ se si vuol considerare ‘prima’ la concezione della religione come cosa del cuore, la quale è però più da considerare una tappa che non una vera e propria soluzione.

 

Note a 1.3.3.0

208) Cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 475 ff.

209) Cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 481 ff.

 

Note a 1.3.3.1

 

210) SG 1: da 188,30 a 199,22
211) Un segno del fatto che Hegel nel periodo di Tubinga abbia applicato alla morale i concetti acquisiti negli anni di Stoccarda dal campo delle scienze e delle arti, è il ritorno del concetto di ‘successo’. Nell’estratto da Nicolai del 16.8.1787 si parla del successo dell’illuminismo (“[...] altrimenti sarà l’insuccesso [...]” (GW 1, p. 177), nel compito scolastico Su alcune caratteristiche differenze... del 7 agosto 1788 Hegel scrive del successo dell’arte poetica (in esso si parla della “[...] diffusa sfera d’azione [...]” dei poeti antichi - GW 1, p. 46,4) ed infine nei testi degli anni 1792/93-94 è trattato il successo della religione tra il popolo (cfr. il testo 16 alla p. 110 di GW 1 “Se la religione deve poter agire sul popolo [...]”).
212) Questa caratteristica è trattata da Hegel alle pp. 103-106. A proposito di queste caratteristiche Hegel aggiunge che la religione deve essere inoltre ‘semplice’ (p. 104) ed ‘umana’ (p. 104-106).
213) “Ogni religione che deve essere una religione popolare deve essere necessariamente costi-tuita in modo tale da occupare il cuore e la fantasia - Anche la religione razionale più pura riceve un corpo nelle anime degli uomini ed ancor più del popolo e sarebbe proprio bene, al fine d’impedire divagazioni avventurose della fantasia, di collegare alla religione anche dei miti, per mostrare alla fantasia almeno una bella via che essa può cospargere di fiori -” (GW 1, 107, trad. dell’autore).
214) Questo foglio fu rielaborato da Hegel più volte (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 473).

215) Si veda il compito scolastico Su alcuni vantaggi...

216) Per un approfondimento di questa problematica si veda il mio lavoro, esplicitamente dedicatovi, del 1995.

 

Note a 1.3.3.2

217) “In che misurarsi qualifica la religione cristiana per questo scopo [...]” (GW 1, 139,24). 
218) Cfr. il passo 139,25 ff.

219) “Una religione può essere considerata
a) riguardo alle sue dottrine
b) alle sue tradizioni -
c) alle sue cerimonie -
d) al suo rapporto verso lo Stato oppure come religione pubblica” (GW 1, pp. 154-155). Questo elenco corrisponde a quello riguardante il concetto di ‘religione popolare>, che si trova nel testo 16 alla pagina 103 di GW 1.

220)  In GW 1 manca il punto interrogativo alla fine della frase, mentre esso si trova nel-l’edizione Suhrkamp (W 1, p. 89). Che si tratti di una domanda si può però ricavare sia dal tipo di costruzione della frase sia dal prosieguo del frammento, che è una risposta a tale domanda.

221)  “La fede in Cristo come una persona storica non è una fede fondata su di un bisogno pratico della ragione, ma una fede che si basa su testimonianze d’altri” (GW 1, p. 157). Questo pensiero si trova già nel testo 24 (cfr. il passo 151,1 ff.).

222)  “La fede in Cristo è fede in un ideale personificato” (GW 1, p. 160).

223)  In relazione a questa concezione è stato senz’altro decisivo di nuovo l’influsso del Nathan di Lessing (cfr. GW 1, rapporto editoriale, p. 574, nota a 152,11-12). Un altro passo, nel quale si mostra chiaramente tale influsso, è 161,24-26: “Tramite quali iniziative (‘Veranstaltungen’) possa venir realizzato che in Cristo non solo l’uomo, non solo il suo nome, ma la virtù stessa venga riconosciuta e amata [...]”).

Note a 1.3.3.3

224) Questo testo fu redatto da Hegel verosimilmente “in immediata vicinanza temporale con i testi 24 e 25” quindi nell’anno 1794, secondo quanto scrivono i curatori di GW 1 nel rapporto editoriale (p. 482).

Note a Riflessioni sistematiche...

225) Sulle modalità dell’uso di queste due espressioni e dei relativi concetti a proposito del giovane Hegel mi sono pronunciato in Einfluß (pp. 133 ss.) e nel saggio La Religionsschrift di Kant..., cui qui rimando.
226) Le linee generali di questa polemica filosofico-teologica sono state da me ricostruite in modo dettagliato in Einfluß (pp. 70 ss.). Alla lettera G della relativa bibliografia ho indicato gli studi più importanti su questo tema ed alla lettera B della medesima le fonti principali, sulle quali si fonda la ricostruzione di quel dibattito. Sull’argomento mi sono anche brevemente soffermato nel mio articolo già citato Die ‘dunklen Jahre’ von Hegels Entwicklung als Aufgabe der Hegelforschung.
227) Per quanto riguarda l’illuminismo, Hegel si confronta soprattutto con la dottrina morale sostenuta dal Campe, mentre il confronto con ‘Vater Kant’ avviene prevalentemente sulla base della Fondazione della Metafisica dei Costumi e della Critica della ragion pratica (o, per essere più precisi, sulla base di quanto Hegel aveva recepito di queste opere tramite il suo docente di filosofia J.F.Flatt ed il dibattito tubinghese in generale) ed infine della Religionsschrift (della quale al contrario è documentata una lettura diretta).
228) Cfr. Die dunklen Jahre..., pp. 160 ss.
229) Il carattere fortemente programmatico dell’ideale etico-religioso giovanile hegeliano è stato messo da me in evidenza nel contributo 6 (Beitrag 6) di Weisheitslehre (pp. 121 ss.).
230) Per la determinazione del momento cronologico preciso del concepimento dell’ideale di una morale naturale cfr. la sezione B della prima parte di Einfluß.
231) Uno dei risultati originali di Einfluß è stata la determinazione cronologica precisa - perquanto possibile, data la difficoltà di datare con precisione parte dei testi di Tubinga - di questa fase (cfr. il § 3.2.2 della sezione A della prima parte).
232) Sul carattere anche autobiografico della ricerca da parte del giovane Hegel di un senso della vita cfr. Einfluß, pp. 33-35.
233) Per il significato psicologico di questo stadio dello sviluppo della personalità umana cfr. Piaget Lo sviluppo mentale del bambino, pp. 73-78.
234) Anche in questo caso il testo di Piaget offre una spiegazione chiara e logica delle linee di svolgimento di tale processo e delle sue caratteristiche.
235) Da questo momento in poi rinuncerò quasi dappertutto alla formazione del binomio reli-gione-metafisica ed userò solo il termine ‘religione’. Resta però chiaro che con questo termine s’intende nel presente lavoro la problematica fondamentale implicita nel concetto di religione la quale è identica a quella implicita nel concetto di metafisica, come Hegel ha chiarito tra l’altro anche nel paragrafo introduttivo alla sezione Lo spirito assoluto dell’Enciclopedia del 1830 (cfr. per esempio il § 554, dove egli, riferendosi alla sfera dello spirito assoluto, così si esprime: “La religione - così questa sfera altissima può essere designata in generale - [...]”).
236) Da un punto di vista cronologico, a dire il vero, il processo del concepimento del concetto della religione e quello del confronto tra tale concetto e le dottrine religiose dell’epoca si sono senz’altro sviluppati nel pensiero di Hegel parallelamente; da un punto di vista logico, però, il giudizio del giovane filosofo su tali dottrine sarà sicuramente dipeso dalla propria concezione del concetto della religione, che si andava formando, quindi esso segue e non precede il confronto con la realtà religiosa del momento.
237) Ci si riferisce al Kant della Critica della ragion pura (anche in questo caso recepito da Hegel tramite la mediazione di Flatt e della teologia di Tubinga) e della Religionsschrift.
238 Sul concetto hegeliano di ‘Volksreligion’ cfr. Einfluß, pp. 105-108.
239) Sulla critica di Hegel alla religione cristiana con riferimento a questo punto cfr. Einfluß, pp. 165-168.
240) Sull’influsso dello scritto kantiano sulla formazione del pensiero di Hegel mi sono espresso in Einfluß, pp. 147-163 nonché nel già citato studio La Religionsschrift di Kant ed il giovane Hegel, dedicato esplicitamente a questo argomento.
241) Ovviamente nel senso lato del termine ‘religione’.
242) Cfr. Einfluß, pp. 169-170 nonché il contributo 6 di Weisheitslehre.

Note a 2.0

243) Sulla filosofia matura di Hegel - la filosofia dell’idealismo assoluto - come terza ed ultima forma di religione (ovviamente razionale) nella storia dell’umanità, mi sono soffermato nel mio saggio già citato La Religionsschrift di Kant ed il giovane Hegel alle pp. 115 ss. (si veda anche il capitolo conclusivo del presente lavoro).

244) Parlo esplicitamente di ‘temi’ e non di titoli a proposito dei manoscritti giovanili hegeliani, poiché il più delle volte i titoli ai gruppi di testi sono stati attribuiti dagli editori e non da Hegel stesso. Come risaputo si tratta inoltre quasi sempre di frammenti e non di testi completi.

Note a 2.1

245) Per il confronto condotto da Hegel tra Socrate e Gesù cfr. soprattutto il frammento giovanile 17 in SG 1, pp. 201 ss. (GW 21, 117 ss.).

Note a 2.2

246) Hegel parla a tal proposito di ‘destinazione’ (Bestimmung) dell’uomo (v. SG 1, p. 334; or. ted. in GW 1, 209).

247) Per la cronologia precisa cfr. Schüler Zur Chronologie..., pp. 143-145.
248) A tale concetto si oppone, ovviamente, il concetto opposto di ’negatività’, che non si trova a dire il vero negli scritti giovanili, ma non a caso diventerà uno dei principi fondamentali della concezione dialettica matura di Hegel (cfr. per es. SL 1, 47; GW 21, 38).
249) In tal modo Hegel aveva risolto la questione del rapporto tra la storicità e la divinità di Gesù ben prima delle ricerche del suo discepolo David Strauss.
250) Si veda per es. l’articolazione dei gradi della conoscenza nella Fenomenologia dello spirito e nella sezione Lo spirito assoluto della Filosofia dello spirito nell’Enciclopedia.
251) Per l’importanza del concetto di
nella riflessione filosofico-religiosa hegeliana di questi anni v. sotto al terzo stadio di questa fase.
252) La formulazione matura e definitiva di questa distinzione si trova infatti  nella già citata Filosofia dello spirito, in particolare all’inizio della sezione Lo spirito assoluto, della quale essa ne costituisce la struttura portante (la forma rappresentativa è propria del secondo grado di conoscenza, la conoscenza religiosa, mentre quella concettuale del terzo grado, quello della conoscenza filosofica).

 

Note a 2.3.1

253) Il passo citato si trova nel frammento Der Geist des Christentums, redatto da Hegel tra la fine del 1798 e l’inizio del 1800 (cfr. cronologia Schüler, numeri 83 e 89).  Il brano si trova alle pp. 362-363 dei Werke; trad. it. STG 408-409).
In riferimento a questa tematica sono particolarmente importanti i seguenti frammenti:
- Positiv wird ein Glauben genannt... (cronologia Schüler numero 67; W 1, pp. 239 ss.; trad. it. in STG, appendice, numero 8);
-...so wie sie mehrere Gattungen... (Schüler numero 68; W 1, pp. 243 ss.; trad. it. 
in STG, appendice, numero 9);
-...welchem Zwecke denn alles Übrige dient... (Schüler numero 69; W 1, pp. 244 ss.; trad. it. in STG, appendice, numero 10).
Secondo la cronologia della Schüler tutti questi frammenti sono stati redatti da Hegel tra l’estate e l’autunno del 1797, quindi durante il primo anno del suo soggiorno francofortese.
254) In traduzione italiana:...a qual fine tutto il resto serve... (STG appendice, numero 10, 528 ss.)
255) Cfr. per es. i §§ 518-522 dell’Enciclopedia del 1830.
256) Enciclopedia (1830), §§ 488-502
257) STG appendice, numero 12, pp. 535 ss.; or. ted. dal titolo Grundkonzept zum Geist des Christentums in W 1, pp. 297 ss.; per la cronologia cfr. Schüler, numero 80.
258) STG pp. 542-543; or. ted. W 1, pp. 305-307
259) Cfr. i paragrafi già citati più i §§ 529-532.

260) Con ciò si allude al fatto che tale aspetto del pensiero del filosofo di Stoccarda è senz’altro tra quelli maggiormente trattati, nondimeno anche tra quelli meno compresi nel loro significato autentico.

 

Note a 2.3.2
261) Una distinzione netta tra questi due aspetti del pensiero hegeliano non si può comunque fare, poiché le riflessioni religiose precedenti il 1800 contengono molti elementi di carattere filosofico e quelle posteriori a questa data contengono ancora molti elementi tipicamente religiosi, come a mo’ d’esempio il frammento Vom göttlichen Dreieck del 1804 e le lezioni berlinesi sulle prove dell’esistenza di Dio ampiamente dimostrano.
262) Per un approfondimento della questione relativa alla centralità di questo passo nell’ambito dello sviluppo del pensiero di Hegel cfr. il cap. 7 del mio lavoro Weisheitslehre, 139 ss.
263) Ovviamente non è da escludere che la prima parte del Systemfragment, andata perduta, sia stata iniziata nel 1799.
264) Sul panteismo hegeliano si veda il primo capitolo di Weisheitslehre.
265) La frase completa in tedesco è: “Ich müßte mich so ausdrücken, das Leben sei die Verbindung der Verbindung und der Nichtverbindung [...]”. Per la Scienza della logica cfr. i capitoli La vita e L’idea assoluta nella Dottrina del Concetto.
266) Anche ovviamente per l’estrema irrisorietà delle parti dello scritto hegeliane pervenuteci rispetto a quelle andate perdute.

 

Note a 2.3.3

267) Altre fonti importanti sono i saggi pubblicati da Hegel per il Giornale critico della filosofia nonché gli altri scritti di varia natura (cfr. le fonti hegeliane nella bibliografia).
268) Sul superamento - ovviamento dialettico, nel senso dell’Aufhebung - della filosofia di Schelling ad opera del sistema filosofico hegeliano cfr. V 9, 187-188.
269) La seguente trattazione del concetto dell’assoluto si basa sulle riflessioni condotte da Hegel nello scritto sulla Differenza citato ed in particolare nel capitolo Confronto fra il principio della filosofia schellinghiano e fichtiano.
270) Cfr. per esempio il passo sopra citato alla p. 93. Ciò costituisce tra l’altro una prova decisiva che il nucleo originario ed essenziale del futuro sistema filosofico hegeliano è nato ancora prima degli anni di Jena, precisamente negli anni 1797-1800.
271) Sul concetto di ‘Sittlichkeit’ come determinazione fondamentale del concetto di popolo v. lo scritto in questione alle pp. 92-93 (GW 4, 467-468).

 

Note a 2.3.3.1

 

Note a 2.3.3.2

 

Note a 2.3.3.3
272) A tal proposito è comunque da sottolineare che, nonostante il movimento del pensiero hegeliano sia già dialettico, manca ancora a Hegel in questo testo la coscienza di ciò, cioè egli non usa il linguaggio e le categorie proprie della sua futura logica dialettica né si di-mostra in qualche modo cosciente, come invece sarà almeno a partire dalla Fenomenologia dello spirito (1807), d’aver elaborato un nuovo metodo di conoscenza filosofica.

273) Di Ilting cfr. per es. l’introduzione all’edizione della Rechtsphilosophie (1973). Su questo aspetto del pensiero di Hegel mi sono già espresso in Weisheitslehre, pp. 182 ss., cui qui rimando.

274) Alle pp. 225 ss. del Sistema dell’Eticità (GW 5, 340 ss.) si trova anche l’espressione ’governo assoluto’ (esso corrisponde ovviamente al ’popolo assoluto’).

275) Resta da chiarire fino a che punto le lontane radici storiche del fenomeno nazista non siano da rinvenire anche in una falsa interpretazione del concetto hegeliano di "popolo assoluto". Una tale indagine storica sarebbe senz’altro utilissima al fine di una corretta comprensione della storia recente del popolo tedesco. 

 

Note a 3.0


276) Si tratta dei manoscritti di Logica/Metafisica (1804/05) e di Filosofia della natura e dello spirito del 1805/06.

 

Note a 3.1

277) Ovviamente Hegel già si riferisce in questo frammento alla propria filosofia, che in quegli anni stava nascendo. È la vera filosofia dunque, ossia la filosofia come sistema della scienza, secondo il concetto espresso nel sottotitolo e nella prefazione alla Fenomenologia, che coincide con la religione assoluta - o, per meglio dire, che è la religione assoluta - e non una qualsiasi forma storica di filosofia. Anche della filosofia, infatti, Hegel ricostruisce proprio in questi ultimi anni del soggiorno jenese e per la prima volta nel corso del suo sviluppo intellettuale la storia, già secondo quella che poi sarà la propria concezione caratteristica della successione necessaria e dialettica dei vari sistemi filosofici.
278) Cfr. la prima cronologia del Kimmerle al numero 45 (pp. 141 e 151-152).

279 ) Si tratta dei seguenti testi:
- l’aggiunta conclusiva al Sistema dell’eticità (1803);
- Continuazione del Sistema dell’Eticità (1803-06);
-... è solo la forma (1803/04);
- Del triangolo divino (primavera 1804);
- C. La scienza (1805)
- Lo spirito assoluto (capitolo conclusivo alla Filosofia dello spirito del 1805/06).

 

Note a 3.2.1
280) Per l’espressione , tipica della concezione speculativa hegeliana, cfr. lo scritto sulla Differenza per es. alle pp. 83 e 92 dell’edizione italiana (pp. 68 e 75 dell’originale tedesco in GW 4).

281) Cfr. Kimmerle Zur Chronologie..., p. 159 e l’introduzione di Cantillo a Hegel. Filosofia dello spirito jenese.
282) Cantillo 1984, p. XIII
283) Si tratta del numero 63 della prima cronologia del Kimmerle (pp. 143 e 160).
284) Gli annunci di tali corsi sono stati pubblicati e commentati dal Kimmerle in Dokumente zu Hegels Jenaers Dozententätigkeit (1801-1807). Il Kimmerle ha anche proposto una propria ricostruzione dello sviluppo del pensiero di Hegel a Jena nel saggio Zur Entwicklung des Hegelschen Denkens in Jena.

 

Note a 3.2.2

285 ) Si tratta dei frammenti 21 e 22, riguardanti rispettivamente la famiglia ed il popolo (or. ted. in GW 6 pp. 301 ff.; trad. it. in FSJ, pp. 38 ff.).
286 ) Cfr. la sua prima cronologia alla p. 160.
287) GW 6, pp. 330-331 (trad. it. FSJ 64-65).

 

Note a 3.2.3

288) Per l’esposizione ed il commento del contenuto del frammento in questione si veda il mio saggio La Religionsschrift di Kant ed il giovane Hegel alle pp. 107-109 e, per quanto riguarda in particolare l’influsso della fenomenologia religiosa kantiana sulla concezione hegeliana dello sviluppo dialettico della religione, alle pp. 115-117.
289) Cfr. le pp. 152-159 (or. ted. 135-141) della sua Vita di Hegel.

290) Nel saggio citato ho proposto questa denominazione per le successive fasi religiose del-l’umanità dal punto di vista dell’idealismo hegeliano: politeismo, monoteismo, idealismo (cfr. la p. 116). Tale denominazione è più precisa che non quella dello stesso Hegel, in quanto questi definendo ’religione cristiana’ il secondo stadio ha adoperato un concetto troppo riduttivo in quanto riferentesi esclusivamente all’esperienza religiosa occidentale. Le espressioni da me proposte mi sembrano invece più generali e quindi applicabili all’intera esperienza religiosa dell’umanità. Esse sono infatti categorie religiose astratte, adatte ad accogliere al proprio interno le varie forme religiose delle diverse epoche storiche e comunità geografiche, che le hanno elaborate.

Note a 3.3

291) Ora nell’edizione critica in GW 8 Jenaer Systementwürfe III, pp. 185-287 (trad. it. ad opera di Giuseppe Cantillo in Filosofia dello spirito jenese, pp. 69-175).
292) Nel frammento... è solo la forma, commentato in precedenza.

293) Hegel purtroppo più tardi, in seguito a diverse influenze sia familiari che sociali e politiche, ben messe in risalto dall’Ilting, perderà questa capacità di attenersi saldamente e fermamente all’universale e cederà diverse volte a quelle influenze, identificando l’universale filosofico (per es. la religione nel suo concetto) con il particolare storico (per es. il cristianesimo). Questa infelice commistione di universale e particolare è ancora estranea ai manoscritti jenesi, sia per il loro carattere privato, sia anche per la coraggiosa freschezza del pensiero hegeliano che in questa fase del suo sviluppo stava scoprendo se stesso senza alcuna paura della verità che a lui pian piano si stava ‘presentando’.
294) Sul concetto di ‘popolo libero’ in Hegel si veda l’ottimo lavoro di Lugarini Hegel. Dal mondo storico alla filosofia.
295) Ossia di conciliazione con l’essere, con la bellezza della natura e della vita, mediata però dal sapere, dalla coscienza anche del dolore, come Hegel ha chiarito in diversi passi anche molto suggestivi dei suoi scritti sia giovanili sia maturi. 

Note a Riflesioni sistematiche...

296) ‘Primo’ ed ‘ultimo’ ovviamente in senso logico e non cronologico.
297) La questione della ‘Letztbegründung’ (fondazione ultima) di un sistema filosofico e in particolare di quello hegeliano è da diversi anni al centro della riflessione filosofica in Germania e rappresenta senz’altro uno dei sentieri di ricerca più interessanti e fruttuosi tra quelli percorsi dalla riflessione filosofica contemporanea (v. gli studi di Kuhlmann 1985, la miscellanea curata da Klein 1994 e infine il lavoro di Wandschneider 1995).
298) Il processo di elevazione dell’uomo dalla coscienza finita a quella assoluta è stato da Hegel approfondito, com’è noto, nella Fenomenologia dello spirito.
299) Una tale filosofia non è soltanto quella dello stesso Hegel, ma qualsiasi filosofia la quale si elevi al di sopra della forma di conoscenza limitata propria dell’intelletto e consideri l’essere dal punto di vista superiore della ragione (per es. la filosofia di Platone è anche una filosofia speculativa, anche se non nella forma più sviluppata e completa).
300) L’essere umano è, infatti, l’assoluto non certo come spirito individuale e soggettivo (il carat-tere), bensì come essenza razionale creatrice, comune a tutti gli esseri umani.
301) Questa interpretazione si fonda ovviamente sulle indicazioni fornite dallo stesso Hegel so-prattutto nel capitolo ‘l’idea assoluta’ della Dottrina del Concetto (in particolare alle pp. 373-374) e nel citato § 15 dell’introduzione all’Enciclopedia del 1830.
302) A proposito di tale concetto Hegel non è stato del tutto conseguente e si è autocontraddetto, inserendo questo concetto nella sezione dell’Eticità, ma dichiarando contemporaneamente che la società civile in se stessa non è etica (cfr. E, § 523; LFD §§ 184-186). Questa problematica è stata da me trattata in modo approfondito in Weisheitslehre (pp. 162-166), dove ne ho anche indicato la soluzione. A tale studio pertanto qui rinvio.
303) Wolfgang Schild ha dato l’avvio ad un tale processo di attualizzazione della filosofia del diritto del filosofo svevo (cfr. i suoi studi citati nella bibliografia e soprattutto il lavoro sul ‘Weltgeist’). Che il sistema hegeliano sia bisognoso di un’attualizzazione è, infatti, fuor di dubbio (un tale processo di attualizzazione è inoltre già in atto anche per le altre parti del sistema filosofico hegeliano - cfr. per esempio gli studi di Wandschneider per la filosofia della natura e per la logica). Ciò nulla toglie però al fatto che i principi fondamentali di tale sistema siano eternamente validi.
304) Anche in questo caso in perfetta sintonia con le intenzioni giovanili di Hegel, delle quali il sistema maturo rappresenta la fedele realizzazione.
305) Sulla famiglia e sul lavoro come valori etici dal punto di vista della filosofia dell’idealismo assoluto cfr. Weisheitslehre, rispettivamente alle pp. 161-162 e 164-166.

 

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