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ANALISI DEL SISTEMA DELLA VERITÀ ASSOLUTA: DIMENSIONI FONDAMENTALI, STRUTTURA E SUO SENSO ULTIMO

ANALISI DEL SISTEMA DELLA VERITÀ ASSOLUTA: DIMENSIONI FONDAMENTALI, STRUTTURA E SUO SENSO ULTIMO

 

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ANALISI DEL SISTEMA DELLA VERITÀ ASSOLUTA

Dimensioni fondamentali, struttura e suo senso ultimo

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(Attenzione: pubblicazione ancora incompleta,
mancano soprattutto alcune citazioni
dei passi letti durante le conferenze relative alle Settimane Hegeliane
presso il Goethe-Institut di Napoli,
di cui il testo qui presentato costituiva la b
ase.)

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CAPITOLO PRIMO

I vari livelli di significato del 
sistema filosofico dell’idealismo assoluto

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§1. La sapienzialità della filosofia dell’idealismo assoluto (Sistema Filosofico come Sapienza)

La filosofia non è una scienza esteriore rispetto a colui che la studia o la insegna, perché essa fa tutt’uno con la personalità di chi se ne occupa. Non è un ufficio che apre ad una certa ora e chiude ad un’altra, né un lavoro che si può fare per motivi puramente economici, né ancora una scienza che abbia dati oggettivi per esempio misurabili, sperimentabili, indipendenti dallo studioso. Al contrario, essa consiste nell’interiorità, nell’anima di chi la professa. 

In particolare, due sono gli aspetti fondamentali di quest’affascinante disciplina: un primo aspetto, di carattere teoretico, è il sapere, la conoscenza del mondo nel quale, come esseri finiti, ci troviamo a vivere; il secondo, di carattere più propriamente pratico,  riguarda l’agire dell’essere umano, il senso che si dà alla propria esistenza in questo mondo, i valori che ne ispirano le azioni. 

Il primo aspetto può essere definito come l’aspetto scientifico, dunque la filosofia come ‘scienza’ propriamente detta. Di questo sapere, dunque di questo insieme di conoscenze che naturalmente riguardano i principi primi delle scienze, non i loro aspetti specialistici, ha bisogno il filosofo per dedurne delle indicazioni per il secondo aspetto, quello pratico. 

Il secondo aspetto può essere definito come ‘saggezza’, ossia una certa capacità di fare delle scelte equilibrate, indovinate nella propria vita, che consentono di viverla nel miglior modo possibile, considerate le circostanze concretamente date. 

Il compito della filosofia, infatti, è, sulla base della conoscenza del mondo, fornire delle indicazioni anzitutto a se stessi, poi eventualmente anche agli altri, utili per condurre una vita saggia ed equilibrata. Da questo punto di vista il termine stesso ‘filosofia’, che dal greco significa ‘amore del sapere’, ma anche la ricerca della saggezza, indica perfettamente questo carattere prettamente esistenziale della filosofia, fortemente legato alla vita di chi se ne occupa. Il filosofo è infatti colui che ama la scienza, ama il sapere in quanto gli fa conoscere il mondo in cui vive, ma li ama non per uno scopo meramente teoretico di pura contemplazione oggettiva di ciò che lo circonda, quanto piuttosto con il forte interesse pratico di ricavare da tale conoscenza delle indicazioni per sapersi poi muovere nelle vicende quotidiane della vita.

Ecco perché introdurre qualcuno alla filosofia, per una persona che viva tale disciplina come vocazione e stile di vita, non solo come professione, non può essere altro che introdurlo nel proprio mondo interiore, nella temporanea sintesi raggiunta dopo anni ed anni di riflessioni, di studi, di vita etica fatta anche di errori, ripensamenti e correzioni oltre che di successi e realizzazioni positive.

Tale mondo interiore dell’autentico filosofo naturalmente conterrà in sé anche i ‘mondi inte-riori’ degli altri filosofi precedenti, dei quali naturalmente non si può non tenere conto, quando si elabora una propria filosofia. Ma, per quanto un pensatore autentico possa studiare il pensiero precedente e riferirsi anche ad esso, inevitabilmente lo filtrerà attraverso la propria individuale ed irripetibile personalità, le proprie personali ed altrettanto irripetibili riflessioni e realizzazioni etiche. Pertanto il mondo interiore suo sarà proprio suo, alla fine soltanto suo.

Sintetizzando, la filosofia è allora un atteggiamento di amore del sapere e della scienza per ricavarne un proprio stile di vita razionale, basato sulla conoscenza scientifica del mondo, che definiamo in linea generale ‘saggio’. L’unità dei due aspetti, il sapere propriamente teoretico ed i principi dell’agire pratico, da questo ricavati, formano la ’sapienza’. Per cui alla fine il filosofo può essere anche definito come ’sapiente’.

Il pensatore tedesco Immanuel Kant ha espresso molto bene questa compresenza dei concetti di scienza e di saggezza nel concetto della filosofia ed il rapporto che li lega, nel seguente passo:

“Questa (la filosofia) riferisce tutto alla saggezza, ma per la via della scienza, l’unica che, una volta aperta, non si chiuderà mai più, né consentirà smarrimenti."

(Critica della ragion pura, trad. it. Bari 1977, p. 641).

La filosofia secondo il concetto kantiano può esser definita, allora, come la ‘Scienza della Saggezza’.

 

§2. La scientificità della filosofia dell’idealismo assoluto (Sistema Filosofico come Scienza)

Voler comprendere la scientificità di una concezione filosofica significa anzitutto ricercare quale sia l’aspetto che contraddistingue la filosofia rispetto alle altre forme di conoscenza, soprattutto ovviamente rispetto alle scienze empiriche. Occorre infatti anzitutto comprendere se la filosofia è o non è una scienza e, in caso di risposta positiva, chiarire quale sia l’oggetto, la problematica di cui essa fa scienza.

§3 L’oggetto proprio della filosofia come scienza

Ad una primo confronto tra la filosofia e le scienze empiriche risulta anzitutto la seguente differenza principale: le scienze empiriche hanno come oggetto soltanto un settore od un aspetto della realtà naturale e spirituale, la filosofia al contrario indaga la realtà in tutti i suoi aspetti e settori. Dunque la filosofia come scienza si caratterizza con l’essere non scienza di un solo settore del reale, ma del tutto naturale e spirituale.
     Naturalmente alla filosofia, se essa vuole avere uno status scientifico proprio, non basta essere semplicemente una somma dei risultati delle scienze empiriche parziali, il che comunque già di per sé è opera meritoria, ma evidentemente non basta a caratterizzare una scienza. Ciò costituirebbe una enciclopedia delle scienze empiriche,  redatta per esempio da una persona con una ottima cultura generale, la quale avesse lo scopo di sintetizzare in un testo unico i risultati fondamentali delle scienze empiriche.
     Se la filosofia vuole essere una scienza ben distinta dalle altre essa deve avere una propria problematica, un punto di vista particolare dal quale considerare la somma dei risultati particolari delle scienze empiriche. Vi è in effetti una domanda scientifica, un perché che non trova risposta e non può trovare risposta in alcuna scienza empirica. Si tratta della domanda relativa al senso della nostra vita e quindi alla direzione che occorre dare al nostro futuro sia individuale (etica) sia sociale (politica) sulla base della comprensione di tale senso.  
     Tale domanda in effetti non riguarda qualcosa di esistente o di già esistito - come sono tutti gli oggetti delle scienze empiriche - ma qualcosa che deve ancora esistere, che noi dobbiamo creare. Il metodo analitico e descrittivo della scienza empirica allora in questo caso non è più adatto, perché non v’è qualcosa da descrivere in quanto questo qualcosa deve ancora essere creato. La questione è appunto comprendere in modo scientifico cosa creare, quale contenuto dare alla nostra vita.
     La domanda sul senso della vita è allora la problematica che costituisce l’oggetto proprio della ricerca filosofica, oggetto che mai potrà essere proprio di una scienza descrittiva.

§4 Il metodo della filosofia come scienza

Il metodo della filosofia nel tentativo di dare una risposta alla questione del senso non può quindi essere quello descrittivo, poiché non v’è  ancora nulla che possa essere descritto, ma deve essere quello deduttivo. Ossia la filosofia, ovviamente sulla base dei risultati globali delle scienze empiriche,  dunque sulla base della conoscenza del mondo naturale ed umano cui tali risultati conducono, deve dedurre quale sia il senso della vita dell’uomo nell’universo per poi indicare all’umanità quale sia il contenuto ch’essa deve dare alla propria vita per essere felice, ossia, semplificando al massimo, per vivere bene, dato che evidentemente l’essere umano non può avere per scopo il vivere male. Il senso della vita dell’essere umano è naturalmente vivere bene, la filosofia ha il compito d’indicargli la via per realizzare tale senso.
§5 La ricerca dell’assoluto come presupposto della ricerca del senso della vita umana

La comprensione del senso della vita umana nell’universo non può però prescindere dalla comprensione del senso dell’universo. Essendo infatti l’essere umano un parte del tutto la sua vita, se ha un senso, non può che averlo all’interno del tutto. Ogni parte riceve infatti sempre il suo senso all’interno del tutto di cui appunto è parte, all’infuori di tale rapporto tutto-parti non vi potrebbe evidentemente essere un senso per la vita umana.
     Ecco perché ogni concezione filosofica prima di formulare la propria etica, ossia di dare una risposta alla domanda sul senso della vita umana che costituisce l’essenza della filosofia, non può non contenere una parte fondativa, la quale ha il compito di considerare i risultati globali delle scienze empiriche dal punto di vista della ricerca del senso dell’universo, del principio che ne è alla base, l’archè. 
     Questa parte fondativa di una filosofia è la teoretica, mentre la parte poi conclusiva riferentesi al senso della vita umana è l’etica.

§6 Il sistema filosofico come espressione caratterizzante un’autentica filosofia

Dopo aver effettuato questo lavoro deduttivo, che ovviamente presuppone e contiene in sé il lavoro descrittivo degli scienziati empirici, il risultato sarà un sistema filosofico, ossia una concezione sia del senso del mondo naturale e spirituale sia del senso della vita umana individuale e sociale nel mondo. 
     Tutte le filosofie autentiche sono sistemi, filosofie che non assumono la forma di sistemi sono semplicemente riflessioni e pensieri sparsi più o meno interessanti, dunque letteratura, magari anche di valore, ma che non può aspirare al rango di filosofia in senso scientifico, perché non si basa su di una rigorosa deduzione logica fondantesi a sua volta su di una profonda conoscenza dei risultati globali delle scienze empiriche.

Da questo punto di vista allora il sistema filosofico dell’idealismo assoluto - anche   indipendentemente dalle conclusione cui esso conduce - è già solo per la sua forma sicuramente un’espressione scientifica della filosofia, in quanto esso dà una risposta sia alla domanda circa il senso dello sviluppo del mondo (nella logica, nella filosofia della natura e dello spirito soggettivo ed assoluto) sia alla domanda circa il senso della vita umana nel mondo (nella filosofia dello spirito oggettivo).
     Esso inoltre fonda il proprio procedere scientifico con una chiara indicazione -  a sua volta giustificata in modo deduttivo - dei principi metodologici adottati (la dialettica), per cui anche da un punto di vista rigorosamente formale esso è scienza e non fantasia soggettiva dell’autore.
[Lettura dalla Scienza della Logica dei passi più importanti relativi ai principi fondamentali della dialettica]

 

§7. La religiosità della filosofia dell’idealismo assoluto (Sistema Filosofico come Religione Razionale)

Forse lo sviluppo del pensiero di nessun altro filosofo è maturato tanto lentamente ma anche tanto costantemente e senza alcuna soluzione di continuità come quello di Hegel. Egli ha elaborato la propria filosofia letteralmente giorno dopo giorno aggiungendo di volta in volta un mattone ed alla fine i risultato è stato un edificio estremamente saldo, il sistema, il cui senso e significato deve essere ricercato in quel processo elaborativo. La lettura degli scritti giovanili di Hegel, i cui relativi manoscritti, posseduti dai primi biografi di Hegel Rosenkranz e Haym, sono poi in parte andati perduti, sono stati ritrovati e pubblicati da Dilthey e Nohl all’inizio di questo secolo, costituendo da quel momento in poi un continuo oggetto di ricerca proprio per la loro importanza relativamente al significato del sistema, rivela subito che il binomio religione-filosofia, anche in rapporto al concetto di Stato e dunque alla sfera della politica, rappresenta senza dubbio il Leitfaden dello sviluppo del pensiero del filosofo svevo.
     Sin dai tempi di Stoccarda, quando il futuro filosofo era ancora alunno del locale Ginnasio, le sue riflessioni, meticolosamente annotate in un quaderno d’appunti, per fortuna tramandatoci, si soffermano sul concetto di ‘illuminamento’ sia dei dotti sia soprattutto dell’uomo comune. Hegel scrive al riguardo che quest’ultimo gli stava particolarmente a cuore e dipendeva dalla religione del tempo (cfr. annotazione di diario del 22 marzo 1786 in Scritti giovanili, vol. I, Napoli 1993, p. 63).
     Questo tema dell’illuminamento dell’uomo comune, ossia la questione di come possa essere possibile illuminare i popoli, dato che i dotti vengono illuminati tramite le Scienze e le Arti, è non solo il tema dominante di questi primi anni dello sviluppo del suo pensiero, come ha ben messo in evidenza già nel 1924 lo Schmidt-Japing, ma resterà il tema fondamentale dell’intero corso del pensiero di Hegel. Infatti che cos’è per es. la tematica della Fenomenologia dello Spirito e quella dello spirito assoluto se non la presa di coscienza da parte dello spirito di essere nella propria essenza universale l’assoluto e che cos’è tale presa di coscienza se non ‘illuminamento dell’uomo comune’, perché evidentemente la scienza filosofica può essere raggiunta da chiunque, purché sia disposto a sottoporsi alla ‘fatica del concetto’, come Hegel ha chiarito in una delle frasi chiave della Fenomenologia?
     Colui che conosca a fondo l’intero corpus del pensiero hegeliano nel suo sviluppo cronologico - e lo conosca nel senso di saperlo proprio, di aver rivissuto con Hegel tale sviluppo - non può dunque non riconoscere tra le prime riflessioni di Stoccarda e la versione definitiva ed ultima del sistema, l’Enciclopedia del 1830, una continuità di contenuto evidente, anche se ovviamente i termini, ossia la forma in cui tale contenuto è esposto, sono in parte differenti.
     Ovviamente lo sviluppo di questa problematica fondamentale propria del pensiero di Hegel attraversa diversi stadi, i quali costituiscono le varie fasi tramite le quali il filosofo costruisce in modo estremamente serio e da vero studioso la soluzione scientifica di questa problematica. Diamo uno sguardo a volo d’uccello a a tali fasi.
Una prima fase è chiaramente circoscritta al periodo di studi universitari a Tubinga ed al primo anno del precettorato in Svizzera, dunque sono gli anni 1788-1794. I frammenti più significativi di questo periodo sono i testi 16 e 26, secondo l’attuale edizione dei Gesammelte Werke e la relativa traduzione italiana citata. 
     Il testo 16, costituito a sua volta da più fogli manoscritti in parte anche lacunosi, quindi in sostanza frammentari, contiene nel modo più dettagliato l’esposizione della problematica fondamentale che agitava l’animo del giovane studente dello Stift. Questa frase ci può essere d’aiuto per comprendere tale problematica:

[Lettura del passo "Il mio intento..." alle pp. 175-176]

Il modo stesso in cui Hegel scrive, ("Il mio intento etc.), ci rivela un programma, un progetto di lavoro che si sta pian pian andando elaborando.
Il testo 26 poi contiene le conclusioni, almeno quelle provvisorie relative a questa prima fase, cu Hegel perviene. L’ultima frase di tale testo ci chiarisce quale sia questa conclusione:

"Il sistema della religione, (...), ora avrà una propria vera ed autonoma dignità..." (p. 260)

Da questo momento in poi, siamo verso la fine del 1794, lo sviluppo del pensiero di Hegel procede avendo il chiaro scopo di costruire il sistema della nuova religione, la religione che ridarà all’uomo la dignità perduta, che gli insegnerà a cercare l’assoluto ed il vero non più fuori, bensì dentro di sé. 
     In questa formulazione originaria del programma filosofico hegeliano occorre mettere in risalto due aspetti, apparentemente contrastanti, ma che al contrario proprio nella loro unità rappresentano quel qualcosa che costituisce la grandezza e l’originalità del pensiero di Hegel e quel fascino che tale filosofia ha sempre esercitato e tuttora esercita non solo ovviamente sui suoi seguaci, ma anche sui suoi oppositori.
     Nel programma filosofico hegeliano sono presenti da una parte la tematica - prettamente laica e filosofica - della ricerca dell’assoluto e della verità nell’uomo e fuori dell’uomo. Questo - considerato in sé - non è un prodotto originale di Hegel perché l’intero pensiero illuministico così come anche il pensiero kantiano si era orientato in questa direzione. 
     Dall’altra parte però in Hegel è presente anche l’aspetto della religione, in quanto questa ricerca dell’assoluto da parte dell’uomo deve dar vita ad una nuova religione, una religione della dignità, e non ad un sistema filosofico per dotti. Questo aspetto della religione manca sia nell’illuminismo che in Kant, in quanto per queste visioni del mondo il punto più alto cui il pensiero può pervenire, l’assoluto, è la ragione umana e non un dio, un assoluto,  un principio comunque  superiore alla ragione umana soggettiva.
     Dunque sin dall’inizio del suo filosofare sono compresenti in Hegel l’esigenza di dignità e contemporaneamente l’esigenza di assoluto. Ma come si fa a coordinare e conciliare queste due esigenze, apparentemente in contraddizione tra di loro, poiché la prima (l’esigenza di dignità) non vuole soggiacere ad alcun assoluto e la seconda (l’esigenza di assoluto) rischia di sottomettere la dignità?
     La soluzione di questa opposizione tra religione e dignità tramite la realizzazione del proprio programma filosofico originario rappresentano dunque il senso ed il contenuto fondamentale dello sviluppo del pensiero hegeliano a partire dalla fine del 1794 in poi.
     I primi anni di questo sviluppo - dal 1795 al 1799 - sono dedicati da Hegel allo studio del Cristianesimo. In tale studio il giovane pensatore è mosso dalla domanda sul come sia stato possibile che una religione, quella cristiana, che originariamente - dunque nel messaggio di Gesù - rispettava la dignità dell’uomo, sia nel corso dei secoli diventata positiva, ossia abbia assunto forme istituzionali tali da sottomettere la dignità dell’uomo, in quanto alla fine si è perso di vista il messaggio d’amore e ci si è concentrati sull’adorazione di Gesù quale figlio di Dio (il che ha dato inizio alla superstizione).
     Hegel rinviene il motivo di questa istituzionalizzazione del cristianesimo in un fattore storico relativo alla nascita di questa religione, ossiia al fatto che essa si sia diffusa e sia stata diffusa originariamente dal popolo ebreo, il quale sin dalle origini era un popolo scisso, dunque un popolo che non era riuscito a comprendere l’unità tra Dio ed il mondo. Per questo motivo il popolo ebreo aveva riportato tale scissione anche nel messaggio di Gesù, che era invece un messaggio d’amore, dunque di unificazione e conciliazione e non di scissione.
     Sulla base di questa sua interpretazione della storia del cristianesimo Hegel riflette in modo molto approfondito sul concetto di amore al fine di comprenderne la struttura logica, atemporale. Benché infatti egli non ne sia ancora consapevole avviene un fatto molto importante nel pensiero di Hegel intorno agli anni 1796-1799. Da una parte il giovane filosofo conduce serrati studi di storia della religione, in particolare di storia del cristianesimo, dall’altra però riflettendo in modo già filosofico ed anche già dialettico sui concetti fondamentali di tale religione, in primo luogo sul concetto dell’amore, egli trasforma le rappresentazioni base del cristianesimo in concetti filosofici. 
     Così accade un fatto apparentemente strano, che ha fatto parlare di una cesura all’interno dello sviluppo del pensiero di Hegel intorno al 1800, ma che in realtà, a chi conosca approfonditamene l’intero corso del pensiero hegeliano, non appare per niente strano. Ancora alla fine del 1800 Hegel scrive che

"... la filosofia deve terminare con la religione..." (nel Frammento di Sistema concluso il 14 settembre 1800)

In tale scritto Hegel elabora infatti un primo sistema filosofico, il cui protagonista è il concetto di vita infinita (l’assoluto) contrapposto alla vita finita (il mondo della natura e dello spirito), la quale deve elevarsi alla prima e tale elevazione secondo il giovane filosofo è possibile solo tramite la religione.
     Abbiamo dunque in questo primo abbozzo, anch’esso pervenutoci purtroppo monco, già comunque lo schema generale del futuro sistema hegeliano, il finito che si eleva all’infinito, soltanto che Hegel è ancora convinto che tale elevazione debba avvenire tramite la religione.
     Già neanche due mesi dopo, il 2 di novembre del 1800, Hegel scrive in una famosa lettera a Schelling che

"Nella mia formazione scientifica, che è partita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere sospinto verso la scienza e nello stesso tempo l’ideale degli anni giovanili doveva mutarsi, in forma riflessiva, in un sistema; (...)" 

(Epistolario, Napoli 1983, p. 156)

Dunque già sia tramite questa ammissione che il proprio sviluppo si sta orientando verso la scienza, dunque verso il sapere razionale, la filosofia, sia anche tramite la scelta professionale di insegnare tale disciplina a Jena, Hegel mostra chiaramente di star maturando un progressivo allontanamento dalla religione, sia nel senso dell’oggetto fondamentale delle proprie riflessioni sia nel senso - ad esso collegato - del posto da lui dedicato a tale sfera nel sistema che sta pian pian prendendo forma.
     Così Hegel passa a Jena e pian piano nei primi anni jenesi in corrispondenza ai propri corsi di lezione su Logica/Metafisica e Diritto Naturale elabora le linee generali del proprio sistema filosofico.
     Questo processo lento ma sicuro di strutturazione del sistema definitivamente come filosofia, come pensiero razionale culmina nel 1805-06, quando ormai la logica-metafisica grazie al manoscritto del 1804-05 è ormai delineata nei suoi principi fondamentali ed anche la cosiddetta filosofia reale, ossia la filosofia della natura e dello spirito nei rispettivi manoscritti, è delineata nei suoi contorni ormai definitivi.
     Il coronamento di questo lavoro del concetto, di questa costruzione razionale del sapere scientifico, da un punto di vista dello sviluppo del pensiero hegeliano si ha in un frammento probabilmente redatto intorno al 1805, il quale sembra concludere il Sistema dell’eticità del 1802, che Hegel voleva orginariamente pubblicare. Tale frammento da un punto di vista sistematico contiene la fine del sistema (ossia corrisponde a quel che sarà nell’Enciclopedia il capitolo sullo spirito assoluto).
     In questo frammento, tramandatoci col titolo Continuazione del Sistema dell’eticità ed il cui manoscritto è andato perduto, quel che colpisce è la chiara consapevolezza che Hegel ha nel frattempo raggiunta, che il momento più alto della vita dello spirito non è la religione ma la filosofia e quindi, ribaltando la frase del Frammento di Sistema del 1800, non è più la filosofia a dover terminare con la religione, bensì quest’ultima a terminare con la filosofia.

[Lettura del frammento pubblicato da Rosenkranz nella sua Vita di Hegel]

Il disegno che Hegel offre qui della storia religiosa dell’umanità è di grande importanza perché chiarisce quale fosse l’autoconsapevolezza filosofica di Hegel allo stato nascente del suo sistema filosofico. Tale autoconsapevolezza si è in parte perduta poi col passare degli anni e con il tentativo forzato del filosofo di racchiudere qualsiasi contenuto nella camicia di forza del sistema. Qui invece, come negli altri scritti del periodo di Jena, abbiamo il sistema filosofico nella sua formulazione originaria, la quale contiene anche il suo significato originario, quello profondo, autentico e quindi vero, prima che influenze storiche, psicologiche, sociali, familiari etc. portassero Hegel a mitigare in parte la portata rivoluzionaria ed innovativa del proprio pensiero.
     Nella parte conclusiva del frammento ricompare in forma chiara quel binomio, quell’opposizione da cui aveva preso le mosse la costruzione del sistema: la religione e la dignità. In effetti Hegel chiarisce qui che la terza epoca della storia religiosa dell’umanità dev’essere costituita da una nuova religione la quale formi un popolo libero, dove libertà significa avere la forza di sopportare il dolore della scissione tra finito ed infinito, dunque il dolore della morte, restando sul proprio terreno e basandosi sulla propria maestà, sulla propria forza (dunque senza ricorso ad un dio estraneo). Questa conoscenza di comprendere tale dolore (che ha dominato il mondo nel corso degli ultimi due millenni) e contemporaneamente di elevarsi al di sopra di esso (ritorno del concetto della ‘Erhebung’ proprio del Frammento di Sistema), come conclude Hegel, può essere fornita solo dalla filosofia.
     Così è la filosofia e solo la filosofia, evidentemente Hegel si riferisce qui al proprio sistema filosofico appena elaborato, a poter svolgere la funzione importantissima e decisiva per l’umanità di conciliare religione, ossia il bisogno dell’assoluto, e la dignità, cioè l’esigenza che questo assoluto non schiacci l’uomo, ma lo elevi, lo renda degno di avere un valore infinito.
     La filosofia dell’idealismo assoluto deve allora assolvere a questo compito importantissimo di conciliare religione e dignità e questo è il senso autentico, il significato originario e profondo del sistema filosofico hegeliano. Tale sistema ci si presenta con la pretesa di essere la religione della terza fase della storia religiosa dell’umanità, la fase della riconciliazione dell’uomo col mondo secondo lo schema seguente:

prima fase: conciliazione originaria - l’assoluto è nel mondo, nella materia - il politeismo

seconda fase:  scissione - l’assoluto è fuori del mondo, in forma spirituale - il monoteismo

terza fase: riconciliazione - l’assoluto è nel mondo come spirito - l’idealismo

La filosofia di Hegel o, più in generale, dell’idealismo assoluto dev’essere dunque la base su cui fondare la nuova civiltà, la prossima civiltà, quella dell’idealismo assoluto.
     Questo dev’essere il lavoro dei filosofi nel futuro: una volta compreso l’assoluto tramite Hegel, occorre realizzarlo.
     Ma come dev’essere costituita tale civiltà? Quali devono essere i valori etici alla sua base? Hegel non ci ha lasciato senza risposta, ma ci ha indicato anche in questo caso quale sia la meta da perseguire, quali debbano essere i lineamenti di una civiltà filosofica, di una civiltà che concili bisogno dell’assoluto e bisogno di dignità dell’essere umano.
     Vediamoli insieme approfondendo la parte etica del sistema filosofico dell’idealismo assoluto.

 

§8 La democraticità della filosofia dell’idealismo assoluto (Sistema Filosofico come Democrazia Assoluta)

Le riflessioni sinora condotte hanno portato a questa duplice conclusione:

1.  La filosofia dell’idealismo assoluto è fondata scientificamente dunque è sapere, episteme, non opinione e doxa;

2.  La filosofia dell’idealismo assoluto è la nuova religione in senso largo a fondamento della civiltà post-monoteistica, la civiltà idealistica.

Si tratta ora di approfondire quali siano gli aspetti fondamentali di tale nuovo tipo di civiltà.

Come l’intera impalcatura teoretica di una concezione religiosa e filosofica non fa in effetti altro che fornire una risposta alla domanda sul ‘chi sono io’ in senso universale (è l’assoluto che si pone tale domanda attraverso l’uomo), domanda che l’essere umano diventato adulto sia al livello filogenetico che al livello ontogenetico inevitabilmente si pone, così ogni concezione religiosa e filosofia seria contiene anche una sfera più propriamente etica, la quale fornisce una risposta alla domanda ‘che senso ha la mia vita’. Anche in questo caso non si tratta della domanda particolare dell’uomo singolo, bensì della domanda universale posta a livello filosofico, sul senso della vita dell’essere umano in generale.

Evidentemente la risposta che un sistema religioso e filosofico fornirà a tale domanda è in stretto rapporto alla sua struttura teoretica. Nell’ambito del sistema religioso cristiano la risposta non può non avere a che fare con concetti quali ‘aiuto dei fratelli’, ‘carità’, ‘vita non peccaminosa’, ‘speranza di salvezza’ etc. tuttti aspetti etici del senso della vita di un cristiano in stretto contatto con la teoretica cristiana, fondata sulla distinzione tra la realtà terrena, imperfetta, e la realtà celeste, perfetta, cui ogni uomo deve aspirare.

All’interno del sistema religioso-filosofico dell’idealismo assoluto si ha evidentemente a che fare con un’altra concezione dell’assoluto, la quale s’incentra come spiegato sul concetto del Logos universale, immanente al mondo e presente nell’uomo quale sua essenza.

Una vita etica, da un punto di vista idealistico-assoluto, consisterà fondamentalmente nel vivere rispettando la propria essenza, dunque il Logos universale creatore e razionale presente in ognuno di noi.

Il primo valore etico assoluto è dunque creare, ideare cose nuove e realizzarle, continuando così in modo libero la creazione meccanica e necessaria della natura materiale. 

Il nostro poeta C. Pavese ha definito in modo a mio avviso molto suggestivo questo concetto racchiuso in generale nel concetto del lavoro:

"Lavorare è vestire la terra"

Bene allora il nostro primo compito da un punto di vista etico è vestire la terra, il pianeta, la casa comune, che ci è stata attribuita dallo sviluppo della natura materiale.

Ma già al proposito di questo primo valore etico, di questa prima determinazione fondamentale ed ancora generale, indeterminata del senso della vita dell’umanità, sorge la necessità di chiarire un concetto, il concetto di ‘compito’.

Sotto questo concetto si potrebbe interpretare l’etica dell’idealismo assoluto come una serie di compiti, di doveri che vengono per così dire imposti dall’alto all’umanità. Questa è però una concezione sbagliata, che appartiene al kantismo e non all’hegelismo. 

Nell’ambito della filosofia di Hegel infatti diritto e dovere, piacere e obbligo coincidono, proprio sulla base della concezione teoretica del Logos come essenza naturale dell’essere umano.

Se infatti la nostra essenza, il nostro vero e proprio essere consiste nell’essere individui creatori e razionali, è evidentemente che sarà la nostra realizzazione, la nostra felicità dunque il poter vivere da creatori, ossia il poter realizzare la nostra vera essenza.

Infatti in molti passi delle sue opere, soprattutto dell’Enciclopedia e della Filosofia del Diritto, Hegel espone sia il concetto dell’identità di diritto e dovere sia quello di felicità (come risvolto psicologico della vera libertà, che consiste appunto nella realizzazione della propria essenza creatrice da parte dell’essere umano).

La filosofia etica dell’idealismo assoluto è una filosofia della felicità, della liberazione e non della limitazione della creatività dell’essere umano, come Hegel chiarisce in diversi passi significativi, sempre ricorrenti e che dunque costituiscono paragrafi fondamentali del proprio sistema filosofico..

Anche il concetto di libertà svolge in questa problematica un ruolo centrale. ‘Libera’ è all`interno del sistema filosofico idealistico-assoluto infatti una vita la quale consista nella realizzazione della propria essenza creatrice, questa è la vera libertà, la quale si distingue in modo netto dal libero arbitrio, che è invece soltanto la duplice possibilità insita in qualsiasi scelta dell’uomo singolo. 

Certo il libero arbitrio, ossia la possibilità di scelta, è una condizione della vera libertà, perché senza libertà come libero arbitrio l’individuo non potrebbe neanche scegliere di svolgere quelle attività che gli consentano la realizzazione della propria creatività.

Anche su questa distinzione tra vera libertà e libero arbitrio Hegel si è soffermato sempre in ogni sua opere di carattere etico.

Ma evidentemente per fornire una risposta adeguata e soddisfacente alla domanda circa il senso della vita umana nel mondo non è sufficiente indicare tale senso come creatività in generale, ma occorre poi specificare cosa l’uomo debba creare, quali debbano essere gli obiettivi primari di questa attività creatrice.

La risposta fornita da Hegel, seguendo la fatica del concetto, a questa ulteriore domanda è abbastanza complicata, perché l’oggetto stesso è molto complicato. Occorre dunque ricostruirla piano piano.

Per fornire una risposta a tale domanda occorre anzitutto analizzare il concetto dell’essere umano, dunque dello spirito. Lo spirito è in primo luogo formato da una costituzione materiale, da una base non creativa, ma meccanica. Si tratta dell’aspetto biologico dell’essere umano. Tale aspetto ha nel bisogno di assimilazione e di riproduzione i suoi due elementi fondamentali, l’uno necessario ai fini della sopravvivenza dell’individuo, l’altro ai fini della sopravivenza della specie. Senza soddisfaciemento di questi due bisogni elementari non si può avere vita dell’essere umano e dello spirito.

Dunque il bisogno come tale è il primo aspetto fondamentale della vita dello spirito, esso appartiene alla sfera dello spirito soggettivo, la quale contiene gli aspetti ancora naturali ed immediati dello spirito, quelli che ne costituiscono la struttura già data per natura (per es, intelligenza, memoria, sentimenti, ricordi etc.).

Ovviamente su questa base di partenza non è possibile fondare una vita libera e creativa perché i bisogni sia nel loro insorgere sia nella loro soffisfazione sono necessari, essi cioà si impongono all’essere umano, il quale li deve soddisfare pena la sua morte come individuo o come specie.

L’atteggiamento dell’essere umano nell’atto del soddisfacimento die bisogni è di tipo consumativo, non creativo. C’è un oggetto, il mondo, che deve essere consumato e questo consumo permette la sopravvivenza dell’individuo. Il mondo, l’oggetto è mezzo per il fine del soddisfacimento del bisogno.

Fin quando il comsumo riguarda oggetti non spirituali ma materiali, che non si ribellano al loro consumo, non sorgono problemi. Altro è invece nel caso del consumo di oggetti costituiti da altri esseri umani, i quali evidentemente non sono oggetti, ma soggetti, non sono cose ma anime.

Ma sia il bisogno dell’assimilazione (per es. tramite l’inevitabile concorrenza per il procacciamento delle scarse risorse) sia ancor più il bisogno della riproduzione pongono il soggetto direttamente in rapporto ad altri soggetti i quali dovrebbero essere mezzi per il soddisfacimento del suo bisogno.

Emerge così un rapporto soggetto-soggetto inizialmente fondato su di un reciproco bisogno in cui però ognuno dei due soggetti vede l’altro come oggetto, mezzo, e non come soggetto, fine della propria azione.

Questa situazione contiene in sé una evidente contraddizione in quanto i due soggetti sono appunto soggetti e non oggetti. Da ciò nasce una lotta per il riconoscimento, ossia i due soggetti, pur legati da un desiderio reciproco, nondimeno entrano in lotta reciproco al fine di essere riconosciuti come soggetti, dunque come esseri creatori e non come oggetti, mezzi.

Questa lotta attraversa varie fasi, caratterizzate dal momentaneo cedere di una parte e dunque da un riconoscimento solo unilaterale, per giungere poi al momento finale in cui, nel caso il legame fondato sul desiderio reciproco permane e non venga meno, si forma un rapporto di tipo spirituale, nel quale i due sogetti si riconoscono reciprocamente come tali, si vedono non più come mezzi ma come fini, ognuno ha come scopo la realizzazione dell’altro ed essendo ciò reciproco ognuno realizza attraverso l’altro se stesso.

Questo risultato positivo della lotta per il riconoscimento è la autocoscienza universale, uno dei concetti fondamentali della filosofia di Hegel ed uno degli aspetti fondamentali della vita dell’essere umano.

L’autocoscienza universale è la struttura spirituale che fonda dunque la famiglia, lo Stato ed ogni altra istituzione che leghi in modo stabile esseri umani. All’interno di tale rapporto autoriconoscitivo i soggetti vivono ed agiscono come tali, ossia come esseri liberi e creatori, sono fini e non mezzi. L’autocoscienza riconoscitiva è perciò quel che consente il cosiddetto passaggio dalla natura allo spirito, il salto da una vita fondata sulla necessità, in cui si è schiavi di un sempre ricorrente bisogno, ad una vita fondata invece sulla libertà, in cui il bisogno è soddisfatto all’interno però di un’azione libera, di una creazione.

Le forme dell’autoscoscienza riconoscitiva che consentono la vita libera dell’essere umano sono le istituzioni della vita etica, della Sittlichkeit: la famiglia, la società civile e lo Stato.

La famiglia consente un soddisfacimento in forma libera del bisogno pur necessario della riproduzione.

La società civile permette il soddisfacimento in forma libera del bisogno dell’assimilazione.

Lo Stato infine è l’unità della famiglia e della società civile e come tale rappresenta l’autocoscienza universale del tutto libera, lo spirito che si riconosce e progetta la propria vita come essere libero. Lo Stato pertanto è alla base della famiglia e della società civile e si fonda anch’esso su di una forma di riconoscimento, che non è quella intersoggettiva ed interumana (orizzontale), ma quella  con l’assoluto, con l’essenza razionale universale che costituisce lo spirito e si deve autoriconoscere prima di potersi autorealizzare (riconoscimento verticale).

Questo riconoscimento verticale tra l’essere umano e l’assoluto presente in lui è la forma di riconoscimento fondamentale perché senza di essa non si può neanche avere quella intersogettiva. I soggetti possono infatti riconoscersi come liberi, come fini solo se hanno imparato a conoscere lo spirito come libertà, come finalità. Solo se hanno un concetto dello spirito, dell’assoluto come libertà potranno vedere nell’altro soggetto la libertà, la spiritualità e riconoscerlo dunque come tale. 

L’autoriconoscimento verticale dello spirito come nel suo rapporto con l’assoluto fonda pertanto la statualità, ossia il il modo in cui i soggetti si considerano, e ciò fonda poi il rapporto intersoggettivo a livello orizzontale, dunque la vera e propria lotta per il riconoscimento.

Dunque il momento dell’autoriconoscimento dello spirito nel suo rapporto con l’assoluto (l’autoriconoscimento dell’assoluto nell’uomo) è il fondamento dell’eticità e svolge pertanto un ruolo importantissimo nella vita dell’essere umano. Bisogna allora comprendere come esso avvenga.

La sfera della vita dello spirito nella quale si svolge tale riconoscimento è quella dello spirito assoluto. Essa costituisce quel momento della vita dello spirito in cui  questo prende coscienza della propria essenza universale. Non è qui lo spirito individuale il protagonista, come nel caso dello spirito soggettivo, ma lo spirito universale, il logos che permea di sé l’intera realtà naturale e storica. E’ questo logos che prende coscienza di sé, che emerge nell’uomo. Esso prende coscienza di sé in modo graduale, nelle forme dell’intuizione artistica, della rappresentazione religiosa e del concetto filosofico. Quest’ultima forma è quella che corrisponde pienamente al logos, in quanto è la forma razionale.

Hegel ha però fornito in varie altre parti della sua filosofia anche un’altra concezione di tal gradualità, fondata più su di una gradualità cronologica che non su di una diversità di forme. 

Importantissimo a tal riguardo è il frammento Continuazione del sistema dell’eticità, nel quale il filosofo svevo presenta una gradualità della presa di coscienza da parte dell’assoluto di sé che si può suddividere in 3 fasi costituite da politeismo, monoteismo ed idealismo.

A questa differente concezione della gradualità - di tipo maggiormente statico nel sistema, di tipo maggiormente dinamico in vari abbozzi e frammenti come anche nelle lezioni sulla filosofia della religione e della storia, è legata la difficoltà di interpretazione di questa sezione della filosofia di Hegel, in particolare di alcune questioni come quella della morte dell’arte ed anche della morte della religione, ossia del superamento di quest’ultima tramite la filosofia.

Da un punto di vista sistematico infatti, sembra che le tre sfere convivano l’una accanto all’altra, mentre da un punto di vista cronologico al contrario sembra che regni tra di loro il principio dell’Aufhebung, per cui alla fine solo la filosofia resta, pur contenendo in sé il sé l’essenza sia dell’arte sia della religione.

Quel che comunque interessa in questa sede è non tanto il rapporto tra l’aspetto sistematico e quello cronologico dello spirito assoluto, il quale meriterebbe d’essere approfondito in un seminario a parte, ma quello del rapporto tra la sfera dello spirito assoluto in generale, dunque la religione in senso largo, e la sfera dello spirito oggettivo, ossia lo Stato, in cui l’intero spirito oggettivo è sussunto, aufgehoben.

È questa tematica infatti che racchiude uno die concetti più importanti della filosofia di Hegel e probabilmente quello che per il mondo di oggi rappresenta sia qualcosa di unusuale sia anche qualcosa di fondamentale. Si tratta del rapporto tra filosofia/religione da una parte e la politica dall’altra.

In tutte le opere e gli scritti, nei quali Hegel ha trattato dello spirito oggettivo e dello spirito, dunque in tutte le sue filosofie dello spirito, ma anche per es. nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel a cavallo tra le due sezioni spirito oggettivo - spirito assoluto si è sempre soffermato sul rapporto tra Stato e Chiesa, nel senso generale di Stato e Religione/Filosofia.

[Lettura di qualche paragrafo relativo]

Dunque quel che Hegel vuole affermare in questi paragrafi essenziali della propria filosofia è che non vi può essere uno Stato libero, uno Stato autenticamente democratico, senza un riconoscimento religioso/filosofico dei suoi membri anzitutto con l’assoluto, dunque un autoriconoscimento verticale dell’assoluto nell’uomo, e, fondato su questo, un riconoscimento orizzontale intersoggettivo dei membri della società tra di loro. 

I valori di una società, ossia quei principi comuni ai suoi membri, sono appunto fondati da tale riconoscimento ed una società sarà etica solo se si fonderà su valori etici. Questo è il senso dell’espressione hegeliana ‘Stato etico’. Un qualsiasi Stato o è unione di membri non etica, ossia senza riconoscimento orizzontale, allor ain questa società ognuno cercherà di fare i propri interessi contro quelli degli altri, oppure è un’unione etica, nella quale cioè i cittadini si considerano come fini e non come mezzi, in quanto si riconoscono reciprocamente come aventi un valore assoluto, spirituale, superiore alla semplice materialità (si riconoscono come soggetti e non come oggetti, fini e non mezzi). 

Ora è evidente che da un punto di vista hegeliano o in generale idealistico-assoluto soltanto una società etica nel senso appena indicato, ossia fondata sul riconoscimento interosoggettivo orizzontale, può essere una vera democrazia, una democrazia non fondata sul libero arbitrio, secondo il quale ognuno in effetti è legittimato a considerare l’altro essere umano come mezzo, ma sulla vera libertà, la quale presuppone che si consideri sé e l’altro come fine.

Il ‘regno dei fini’, come lo aveva definito Vater Kant, questo è il concetto di democrazia al fondo della filosofia dello spirito oggettivo hegeliana e del suo concetto fondamentale dello Stato etico.

I paragrafi sul rapporto tra Stato e Chiesa si rivelano allora essenziali al fine di comprendere il senso profondo del rapporto tra religione/filosofia e politica dal punto di vista della filosofia dell’idealismo assoluto.

Cerchiamo ora di concludere il nostro discorso da una parte tirando le somme di quanto detto, dall’altra confrontando la nostra interpretazione del pensiero di Hegel con la attuale situazione politica mondiale.


*

CAPITOLO SECONDO

La struttura concettuale fondamentale 
del sistema filosofico dell’idealismo assoluto

*

Il rapporto di fondazione tra filosofia teoretica ed etica, 
spirito assoluto e spirito oggettivo,
Chiesa (filosofica) e Stato secondo Hegel

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§9 Sintesi del risultato fondamentale finora raggiunto

Le riflessioni condotte nell’ambito della prima Settimana Hegeliana hanno portato a questa duplice conclusione:
La filosofia dell’idealismo assoluto è fondata scientificamente dunque è sapere, non opinione; essa è scienza nel senso forte di questo termine;

La filosofia dell’idealismo assoluto è la nuova religione in senso largo a fondamento della civiltà post-monoteistica, la civiltà idealistica. Il sistema filosofico di Hegel, ultima grande espressione dell’idealismo assoluto, dev’essere quindi la base sulla quale elaborare a livello teoretico le linee generali di tali tipo di civiltà, per poi poterla realizzare a livello pratico.
Questo nucleo sintetico di pensiero l’abbiamo espresso al termine della Prima Settimana Hegeliana tramite una definizione del progetto filosofico alla base sia del sistema e della vita intellettuale di Hegel sia anche della nuova civiltà ch’egli riteneva potesse e dovesse venir fondata sulla base di tale progetto:
²Il progetto filosofico di Hegel consiste nell‘affermazione scientifica della filosofia come religione razionale assoluta a fondamento di una vera democrazia².
Si tratta ora di approfondire quali siano gli aspetti fondamentali di tale nuovo tipo di civiltà, in particolare per quanto riguarda gli aspetti più propriamente pratici di essa, dunque il mondo dell’eticità.

§10 Rapporto tra sfera teoretica ed etica all’interno di una concezione religiosa o filosofica

Per comprendere in modo profondo una qualsiasi teoria filosofica o anche religiosa occorre individuare il rapporto in essa tra sfera teoretica ed etica.

§11 La sfera teoretica

L’intera impalcatura teoretica di una concezione religiosa e filosofica non fa altro che fornire una risposta alla domanda relativa al ‘chi sono io’ in senso universale (è l’assoluto che si pone tale domanda attraverso l’uomo), domanda che l’essere umano diventato pienamente adulto sia al livello filogenetico che al livello ontogenetico inevitabilmente si pone. 

Questa domanda contiene un’interrogazione sulla costituzione dell’essere, in quanto essa implica, per così dire come sottodomanda, quella riguardante il mondo (che cos’è il mondo, questo qualcosa che continuamente si presenta ai miei sensi, non provenendo dal mio interno, ma imponendosi a me dal di fuori?).
La domanda ‘chi sono io?’ implica dunque la risposta all’altra domanda ‘cos’è il mondo?’ perché io sono parte del mondo, mi esperisco non solo come soggetto (l’io esperiente, riflettente e parlante) ma anche come oggetto (l’io che scopro in me, l’oggetto soggettivo col quale sono continuamente in rapporto e che devo conoscere, controllare, amare, stimare, ricordare e così via). Si tratta del mondo che è in me, il quale non è però del tutto diverso dal mondo che è negli altri, come mi conferma la comunicazione intersoggettiva. 

Insomma c’è un mondo, un’oggettività che si presenta in modo intersoggettivo (Kant), la quale però in quanto non è creata dal soggetto (ciò sarebbe l’idealismo di Fichte), ma gli si presenta, gli si impone, è oggettiva (Schelling), anche se non da esso indipendente (Hegel).
È dunque l’unità mondo-io, oggetto-soggetto che nella filosofia teoretica si interroga su se stessa.

§12 La sfera etica

Ogni concezione religiosa e filosofica completa contiene poi anche una sfera più propriamente etica, la quale fornisce una risposta alla domanda ‘che senso ha la mia vita’. Anche in questo caso non si tratta della domanda particolare dell’uomo singolo, bensì della domanda universale posta a livello filosofico sul senso della vita dell’essere umano in generale. Non è l’uomo singolo che si pone questa domanda, ma l’assoluto, che in lui abita, a porsela attraverso l’individuo. 

La conoscenza del mondo (ognuno di noi ne ha una, per quanto rudimentale ed a-scientifica possa essere - per es. i miti, le superstizioni etc.) forma il presupposto indispensabile per la conoscenza del sé (dell’oggetto soggettivo che ci abita - anche in questo caso ognuno di noi ha sempre una conoscenza del sé per quanto semplice questa possa essere). Quest’ultima a sua volta forma il presupposto per la risposta all’ulteriore domanda, quella di carattere più propriamente etico, circa il senso della vita umana (dunque anche mia individuale) nel mondo. 

Infatti, quel che poi costituisce il momento apicale di questa costante e profonda interrogazione che continuamente accompagna lo spirito umano non superficiale, è l’ottenimento, al termine di questa via, di indicazioni di carattere pratico circa il senso da dare alla propria vita, i valori da realizzare in essa, gli scopi da perseguire e, se possibile, da raggiungere. 

Queste indicazioni sono indispensabili per dare delle risposte pratiche a se stessi quando si tratta poi nella vita quotidiana di fare quelle scelte importanti che inevitabilmente costituiscono i momenti di svolta della nostra vita, quei momenti, spesso irreversibili, nei quali siamo chiamati ad optare per la possibilità A o B ed in base a tale decisione impostiamo la nostra vita in un modo piuttosto che in un altro (e tali impostazioni spesso determinano il corso della nostra vita per anni, decenni, a volte il suo intero corso).

Si tratta delle decisioni riguardanti per es. la professione, il matrimonio, il luogo dove vivere, anche in generale il modo di rapportarci agli altri e tutte le altre decisioni importanti (si pensi per es. a chi commetta un delitto, magari anche sulla base di motivazione razionali, quale ipoteca metta sulla propria vita futura).
[Lettura: Hegel, Scritti giovanili, testo 16, inizio]

§13 Il rapporto tra sfera teoretica e sfera etica

Alla base di queste decisioni, essendo l’essere umano sempre e comunque un essere razionale, vi sono delle scelte (tranne ovviamente che nel caso della morte naturale) ed alla base delle scelte vi sono dei valori, dunque vi è un’etica; ed alla base dell’etica vi è una teoretica, una concezione del mondo e del posto dell’essere umano nel mondo. Come si fa infatti a rispondere alla domanda circa il senso della vita umana (anche nostra soggettiva) nel mondo, se non si ha una qualche anche rudimentale concezione del mondo? 

Nell’ambito del sistema religioso cristiano, per esempio, la risposta alla domanda etica circa il senso della vita umana nel mondo non può non avere a che fare con concetti o, meglio, rappresentazioni quali ‘carità’, ‘vita non peccaminosa’, ‘speranza di salvezza’ e così via, tutti aspetti etici del senso della vita di un cristiano in stretto contatto con la teoretica cristiana, fondata sulla distinzione tra la realtà terrena, imperfetta, e la realtà celeste, perfetta, cui ogni essere umano deve aspirare, dalla quale deriva il rapporto tra Dio e Gesù, Gesù e l’essere umano, Dio e l’essere umano e così via.

Questo aspetto teoretico fondamentale della religione cristiana è quindi alla base di qualsiasi suo valore etico. Una religione quale quella cristiana, basata sulla separazione di due mondi, di due realtà, non potrà mai essere panteismo, mai quindi dare alla realtà terrena l’unica dignità di esistere, come per es. avviene in una concezione di tipo materialistico quale quella marxista. Di conseguenza tutti i valori etici cristiani e le scelte, che ogni cristiano sulla base di quei valori fa, sono in ultima analisi sempre improntate a quella fede di fondo sull’esistenza di una vera realtà, diversa da quella terrena.

Vi è dunque all’interno di una concezione religiosa o filosofica un rapporto inscindibile tra teoretica ed etica e la seconda è sempre saldamente ancorata alla prima, da cui viene fondata. Kant ha cercato di rivoluzionare tale rapporto, fondando la teoretica (religione) sull’etica (morale) tramite la teoria dei postulati, ma ciò è stato a buon ragione immediatamente criticato dai teologi di Tubinga e proprio dalla loro critica sono sorte poi le filosofie di Schelling ed Hegel. La teoria dei postulati, che chiude la Critica della ragion pratica, presuppone infatti il ‘fatto della ragione e della libertà’ che comunque è una verità di carattere teoretico e non etico. Del resto la Critica della ragion pura ha preceduto la Critica della ragion pratica e non poteva essere che così, dovendosi la morale sempre fondare sulla conoscenza del mondo, quale essa sia, anche di tipo fenomenico e non noumenico come in Kant.

§14 Il rapporto tra teoretica ed etica nella concezione della filosofia dell’idealismo assoluto di Hegel 

Il discorso di carattere generale sul rapporto tra teoretica ed etica non può non esser valido anche per la filosofia di Hegel e dell’idealismo in generale. In essa questo rapporto compare nella forma del rapporto tra la sfera dello spirito assoluto in generale, dunque la religione in senso largo, e la sfera dello spirito oggettivo, ossia lo Stato, in cui l’intera eticità (anche famiglia e società civile) è contenuta.

È questa tematica infatti che racchiude uno dei concetti più importanti della filosofia di Hegel e probabilmente quello che per il mondo di oggi rappresenta sia qualcosa di unusuale e quasi di sconcertante sia anche qualcosa di fondamentale, di incredibilmente dimenticato, messo da parte. Si tratta del rapporto tra il binomio filosofia/religione da una parte e la politica (come anche l’etica in generale) dall’altra, che Hegel formula come rapporto tra la Chiesa (la forma reale della religione/filosofia) e lo Stato (la forma reale del mondo dell’eticità).

§15 Chiesa e Stato in Hegel

Quasi in tutte le opere e gli scritti, nei quali Hegel ha trattato il concetto di spirito, dunque in tutte le sue filosofie dello spirito, ma anche per es. nei Lineamenti di filosofia del diritto, il filosofo ha sempre posto nel momento di passaggio dalla sezione dello spirito oggettivo a quella dello spirito assoluto un paragrafo, spesso in forma di annotazione, sul rapporto tra Stato e Chiesa, dove il termine ‘Chiesa’ sta per la forma esteriore, istituzionale della religione/filosofia in generale (dunque la teoretica potremmo dire). Vediamone la formulazione nel testo ufficiale della filosofia hegeliana.

[Lettura e commento del passo relativo dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche del 1830, §552, annotazione relativa, pp. 526-536 dell‘ed. Laterza del 1989]

Dunque quel che Hegel vuole affermare in questo paragrafo essenziale della propria filosofia - perché non occasionalmente legato ad una sola pubblicazione, ma continuamente ricorrente -, è che non vi può essere uno Stato vero, libero, autenticamente democratico (tutte determinazioni queste che devono essere ulteriormente chiarite nel corso di questa seconda Settimana-Hegeliana), senza un riconoscimento religioso/filosofico dei suoi membri anzitutto con l’assoluto, dunque un autoriconoscimento verticale dell’assoluto nell’uomo. Questo riconoscimento di tipo verticale deve poi fondare il riconoscimento orizzontale intersoggettivo dei membri della società tra di loro (la comunità ecclesiale filosofica, la Chiesa). 

E’ evidente infatti che i membri di una comunità (quale che sia la sua estensione) si riconoscono ed accettano solo se si stimano e si stimano solo se hanno dei valori fondamentali in comune. Quando sia al giorno d’oggi sia nel passato accadono delle guerre ed ancor più guerre civili (ma non sono tutte le guerre ‘guerre civili’, ossia guerre tra concittadini, non siamo tutti concittadini in quanto cittadini del pianeta Terra?), i motivi occasionali possono ben essere d’ordine economico e materiale, ma al fondo vi è sempre un fattore religioso/filosofico, ossia la mancanza di stima e dunque di riconoscimento per l’altro come soggetto. Solo si considera l’altro come oggetto lo si può combattere, ma se lo si riconosce stimandolo come un soggetto, non lo si potrà mai combattere (dato che il presupposto per il riconoscimento è la conoscenza dell’altro, l’attuale globalizzazione nel senso non economico ma umano - per es. l’enorme faciltà negli scambi con stranieri, il turismo sia commerciale sia ludico, anche l’emigrazione, quando non quantitativamente sproporzionata, sono tutti fattori che, portando alla conoscenza dell’altro, costituiscono la base indispensabile per il riconoscimento dell’altro).

§16 Il problema della forma di Chiesa adeguata allo Stato fondato dalla filosofia idealistico-assoluta

Il problema che si è posto a Hegel è quale sia tipo di riconoscimento intersoggettivo comunitario sia adeguato alla forma scientifica della verità propria della filosofia dell’idealismo assoluto. 

Nelle prime formulazioni di tale problematica, quindi negli anni della libera docenza a Jena (fino al 1806) e nei primi anni del periodo intermedio trascorso come rettore del ginnasio di Norimberga (intorno al 1810) il filosofo svevo sostiene una concezione fortemente rivoluzionaria secondo la quale la forma di Chiesa capace di operare la mediazione tra riconoscimento verticale (filosofia/religione) e riconoscimento orizzontale (Stato, eticità) deve essere una nuova Chiesa, una nuova religione (1805) oppure una Chiesa invisibile (1810). Dunque in questa prima fase Hegel esclude che il riconoscimento verticale possa avvenire nelle forme di una religione istituzionale esistente. 

[Lettura dei seguenti passi:

-  frammento Continuazione del Sistema dell’Eticità (1802-05), da Vita di Hegel di  Karl Rosenkranz, pp. 153-158, soprattutto le pp. 157-158;
-  
-  Filosofia dello Spirito del 1805/06, pp. 171-173 dell’ed. Laterza del 1983;
-  
-  Enciclopedia delle Scienze Filosofiche del 1808 ss., §207, pp. 241-243 dell’ed. La  Nuova Italia del 1977;
-  
Nelle ultime formulazioni di questa problematica, dunque nel periodo di Berlino, il pensatore opta al contrario per una soluzione molto più conservatrice, secondo la quale è il protestantesimo a fornire il modello di religione/chiesa corrispondente alla filosofia assoluta (1830). La religione pertanto sopravvive accanto alla filosofia, non viene da questa eliminata (nel senso dell’Aufhebung). 

[v. sopra il passo dell’Enciclopedia del 1830]

D’altra parte però nelle lezioni universitarie, pubblicate dai suoi allievi dopo la morte del maestro, per es. nelle lezioni sulla filosofia della religione, anche appartenenti al periodo berlinese, si parla anche di un "perire della religione e di un suo rifugiarsi nella filosofia".

[Lettura del passo relativo dalle Lezioni sulla filosofia della religione, pp. 424-427]

In conclusione, il rapporto Stato-Chiesa, eticità-teoreticità nell’ambito della filosofia di Hegel in particolare e dell’idealismo assoluto in generale può essere sintetizzato in questo modo: da una parte Hegel ha senz’altro chiarito in modo univoco ed inequivocabile che non è possibile che uno Stato esista senza un fondamento di tipo teoretico, che sia una filosofia o una religione; questo è un principio fondamentale dell’idealismo assoluto e tale filosofia non può venire riformulata oggi senza che di essa faccia parte questo concetto. Ciò vale non solo da un punto di vista teoretico generale, ma anche da un punto di vista storico in riferimento allo stesso Hegel: se infatti questa parte della sua filosofia si ritrova – sebbene in forme diverse – più o meno in tutte le formulazioni, pubblicate e non, del suo sistema, ciò significa che Hegel riteneva tale principio un concetto portante della propria filosofia, che non può essere espunto dalla medesima senza che in essa venga a mancare un pilastro fondamentale. Da un’altra parte però Hegel non è riuscito a trovare nel corso della propria vita una soluzione definitiva a tale problematica, egli ha cioè lasciato senza risposta la domanda circa la forma di teoreticità e di Chiesa adeguata a fondare lo Stato etico assoluto. In particolare egli si è fermato alla questione del rapporto tra la filosofia, sicura forma adeguata di espressione del vero, e la religione/chiesa come forma rappresentativa della verità. Fino all’incirca ai quarant’anni ed all’ottenimento di una cattedra universitaria il pensatore svevo ha sostenuto in testi pubblicati e non la concezione di una chiesa invisibile non legata ad alcuna religione istituzionale e quindi di un superamento storico della civiltà religiosa ad opera della civiltà filosofica, seguendo in ciò fedelmente sia Kant sia il proprio sviluppo giovanile; dopo i quarant’anni invece ed in particolare nelle opere maggiori a stampa il pensatore ha optato per una coesistenza di filosofia e religione cristiana protestante come forme di riconoscimento verticale a fondamento dello Stato etico. Anche in questa seconda fase però nelle lezioni universitarie il pensatore si è espresso per un superamento della religione ad opera della filosofia, anche se non ha fornito al riguardo delle indicazioni più precise circa le forme concrete di tale superamento.

Una nuova filosofia dell’idealismo assoluto dev’essere fedele allo spirito autentico dell’idealismo (e dell’hegelismo) che è evidentemente quello presente nei primi scritti e nelle lezioni, mentre nelle opere pubblicate sembra che Hegel abbia cercato di non urtare la suscettibilità del suo pubblico, in particolare della censura prussiana, evitando accenti troppo rivoluzionari e soprattutto un’aperta critica della religione. Da ciò il suo voler rassicurare le autorità statali presentando la propria filosofia come il migliore fondamento dello Stato – il che è vero – identificando però in figure storiche, per es. nella religione protestante e nel regno germanico, concetti solo teorici, per es. il concetto di religione in senso largo e di Stato assoluto in generale. 

Così il filosofo da una parte si è assicurato un’autorevole posizione universitaria, protetta dallo Stato, nel corso degli ultimi dieci anni della sua vita, dall’altra ha però inquinato il proprio sistema filosofico con elementi storici che non gli appartengono. Per quanto riguarda il rapporto tra Stato e Chiesa uno di questi elementi è l’identificazione della religione protestante come religione assoluta. La religione assoluta può essere invece solo la filosofia e la Chiesa vera solo quella invisibile di coloro che vivono seguendo i principi etici della filosofia. 

Lo sviluppo della storia (fenomenologia dello spirito a livello filogenetico) e lo Stato idealistico-assoluto, vera democrazia, come suo risultato 

§17 Il concetto idealistico-assoluto di ‘Stato etico’

Il rapporto tra Stato e Chiesa, eticità e filosofia, nel senso appena spiegato, costituisce senz’altro il primo concetto fondamentale della filosofia etica idealistico-assoluta. I valori di una società, ossia quei principi fondamentali comuni ai suoi membri, che trovano poi espressione nel costume della società, nelle leggi non scritte come anche nella costituzione e dunque nelle leggi scritte, sono infatti fondati dal riconoscimento verticale ed a loro volta fondano il riconoscimento orizzontale intersoggettivo. In questo senso una società è sempre dunque una ‘società etica’ ed uno Stato è sempre uno ‘Stato etico’ perché inevitabilmente si fonderanno su valori, quali essi siano. Una società ed uno Stato senza riconoscimento orizzontale, fondato a sua volta dal riconoscimento verticale, sono impensabili come reali; ciò sarebbe lo stato di natura dal quale gli uomini per fortuna sono usciti.

Questo è pertanto il senso dell’espressione hegeliana ‘Stato etico’. Un qualsiasi Stato o è un’unione di membri non etica, ossia senza riconoscimento orizzontale, allora in questa società ognuno cercherà di fare i propri interessi contro quelli degli altri e prima o poi il caos metterà fine allo Stato, oppure è un’unione etica, nella quale cioè i cittadini si considerano come fini e non come mezzi, in quanto si riconoscono reciprocamente come aventi un valore assoluto, spirituale, superiore alla semplice materialità (si riconoscono come soggetti e non come oggetti, fini e non mezzi, spirito e non materia). 

L’eticità è dunque la prima determinazione del concetto idealistico-assoluto di Stato. Vediamo come Hegel formuli tale concetto.

[Lettura della sezione relativa nei Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§257, 258, 260, 261, 264, 265, 266, 268 sul patriottismo]

Non vi è pertanto nulla di più sbagliato che criticare la concezione hegeliana dello ‘Stato etico’ e considerarla come un precedente del nazismo. Quel che Hegel vuole dire è semplicemente che o uno Stato esiste veramente come tale, ossia si fonda su valori comuni ai suoi membri, dunque su di una eticità, un ethos fondamentale comune, allora non può che essere uno ‘Stato etico’ (noi oggi, anche se forse ne siamo ignari, viviamo in uno ‘Stato etico’ e nessuno tocca gli Ebrei!); oppure uno Stato non riesce a cementare la vita sociale dei propri cittadini tramite valori comuni ed allora sarà uno Stato non etico, non perché sarà cattivo o una dittatura, ma perché non riuscirà proprio a costituirsi come Stato, quindi prima o poi crollerà. 

§18 I vari livelli di eticità nello ‘Stato etico’ 

Ovviamente, pur essendo ogni Stato capace di sopravvivere come ‘Stato etico’, esistono vari livelli di eticità come del resto esistono vari livelli di teoreticità. Nessuno contesterebbe il fatto che la teoreticità attuale, ossia l’attuale comprensione del mondo e dell’essere umano grazie alla scienze naturali ed umane, sia superiore alla teoreticità del passato (per es. la nostra concezione evolutiva ed eliocentrica del mondo in rapporto alla concezione statica e geocentrica tolemaica antica e medioevale). 
Quindi, se esiste una storia come progresso della teoreticità, deve esistere anche una storia come progresso dell’eticità, se abbiamo visto sopra che il legame tra teoreticità ed eticità è tanto stretto. Evidentemente per gli esseri umani passare da uno stadio teoretico precedente ad uno successivo più preciso e quindi fare un progresso nella verità teoretica (per es. il progresso dalla concezione geocentrica a quella eliocentrica) è molto più facile, pur essendo ben difficile, che non compiere il passo corrispondente nella verità etica. In questa infatti sono in gioco fattori vitali (senso della vita, valori, speranze nella vita futura, quindi anche paure, emozioni ed altri fattori di carattere anche non razionale) che non sono presenti o lo sono in minura minore a livello di verità teoretica.

Ammettere per es. che sia la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa è sconcertante, perché siamo noi stessi in movimento, ma dopo tutto non più di tanto se si considera che di questo movimento non abbiamo alcuna percezione; esso quindi tutto sommato non ci riguarda direttamente. Concludere però da questa concezione teoretica che l’essere umano nell’universo è un granello di polvere insignificante, che l’universo certamente non è stato creato per lui, anzi non si può proprio parlare di creazione, e che dunque siamo del tutto soli in un’immensità di cui non conosciamo né l’inizio né la fine, rappresenta un passo in avanti ben più sconcertante e difficile da tollerare per lo spirito umano, il quale evidentemente deve essere ben forte per sopportare tale conoscenza.

Non c’è dunque alcun motivo per ritenere che non vi sia un progresso nella storia etica parallelo, anche se non contemporaneo ma nel tempo leggermente sfasato, a quello della storia teoretica dell’umanità, anzi, se non vi fosse tale parallelismo, ciò sarebbe in contraddizione con l’assunto idealistico-assoluto dello stretto rapporto tra la sfera teoretica e quella etica della vita umana (improvvisamente avremmo una teoretica che progredisce ed un’etica che resta ancorata alla teoretica precedente, il che sarebbe un’aberrazione).

Anche su questo aspetto della gradualità dell’eticità Hegel si è espresso nelle sue opere, per es. nei Lineamenti di Filosofia del Diritto. 

[Lettura del §274]

Naturalmente a partire da questa concezione storicistica dello Stato potrebbe venir dedotta una concezione relativistica, ossia secondo la quale ogni popolo come ogni epoca storica ha la propria forma di Stato e pertanto non vi è una forma vera, migliore delle altre, assoluta di costituzione statale. Nonostante alcuni passi isolati dei testi hegeliani possano condurre a tale interpretazione (anche per es. il §274 appena letto), è però sicuro e documentabile che la concezione idealistico-assoluta come tale non conduca ad un relativismo storico ma ad una concezione che potrebbe essere definita come ‘storicismo fenomenologico’. 

Secondo tale concezione la verità, per es. la vera forma di Stato, quella adeguata al suo concetto, lo Stato della libertà per tutti, si realizza nel tempo, dunque nella storia, essa pertanto ‘appare’ secondo varie fasi e gradi (percorso fenomenologico) fino ad uno stadio ultimo, nel quale essa si costituisce nella sua forma più completa e perfetta. L’apparizione nel tempo non è quindi dominata dal caso (relativismo storico), ma retta da un senso dello sviluppo, da una logica immanente la quale si afferma e raggiunge il proprio scopo dominando il caso proprio della realtà bruta.

[Lettura dei §§548-549-550 dall’Enciclopedia del 1830]
[eventualmente: influenza di Kant sulla concezione fenomenologica hegeliana, lettura dei passi relativi dalla Religionsschrift]

Il senso della storia è allora, come affermato all’inizio del §550, la liberazione dello spirito grazie alla quale esso perviene a se stesso ed a realizzare la verità, l’assoluto. Ciò significa che il culmine dello sviluppo storico-universale, la meta della fenomenologia dello spirito, sarà da una parte la sua autocoscienza assoluta, ossia l’elaborazione di una teoria nella quale lo spirito conoscerà se stesso come l’assoluto, dall’altra parte la comunità assoluta o Stato assoluto, ossia la forma sociale in cui lo spirito realizza se stesso.
Il primo aspetto è l’oggetto della filosofia dello spirito assoluto ed in particolare della storia della filosofia (storia dello spirito che conosce se stesso, del riconoscimento verticale), il secondo della filosofia della storia (storia dello spirito che realizza se stesso, del riconoscimento orizzontale).

§19 La filosofia dello spirito assoluto o storia del riconoscimento verticale

La sfera della vita dello spirito nella quale avviene il riconoscimento verticale è quella dello spirito assoluto. Essa costituisce quel momento della vita dello spirito nel quale questo prende coscienza della propria essenza universale razionale. Non è qui lo spirito individuale il protagonista, come nel caso dello spirito soggettivo, ma lo spirito universale, il logos che permea di sé l’intera realtà naturale e storica. E’ questo logos che prende coscienza di sé, che emerge nell’essere umano. Esso prende coscienza di sé in modo graduale, nelle forme dell’intuizione artistica, della rappresentazione religiosa e del concetto filosofico. Quest’ultima forma è quella che corrisponde pienamente al logos, in quanto è la forma razionale. 
Hegel ha però fornito in varie altre parti della sua filosofia anche un’altra concezione di tale gradualità, fondata più su di una gradualità cronologica che non su di una diversità di forme, tutte restanti poi l’una accanto all’altra.

Importantissimo a tal riguardo è per es. il frammento Continuazione del Sistema dell’Eticità, risalente al periodo della nascita del sistema a Jena (tra il 1802 ed il 1805), nel quale il filosofo svevo presenta una gradualità storica del conseguimento dell’autocoscienza da parte dell’assoluto. Essa si articola in 3 fasi costituite dal politeismo (religione naturale), monoteismo (religione rivelata) ed idealismo (religione razionale o filosofia).

[Lettura della parte conclusiva del frammento]

Anche la filosofia ha però una sua storia, una sua fenomenologia, perché anche lo sviluppo della filosofia, come del resto da un punto di vista idealistico-dialettico ogni sviluppo, tende a raggiungere una meta immanente prefissata. Lo scopo immamente della filosofia, la sua idea, è evidentemente la conoscenza dell’assoluto. Che tale scopo venga realizzato tramite il proprio sistema filosofico non viene mai ammesso esplicitamente da Hegel nelle sue lezioni relative, ma lo si evince dal contesto delle due ultime lezioni quelle relative a Schelling ed all‘‘attuale punto di vista della filosofia’ come Hegel si esprime a proposito del proprio sistema filosofico, anche se non fa esplicitamente riferimento a se stesso.

[Lettura delle Lezioni di Storia della Filosofia, ed. La Nuova Italia del 1981, pp. 406-407 + 410-418]

Alla differente concezione della gradualità - di tipo maggiormente statico nel sistema, maggiormente dinamico in vari abbozzi e frammenti come anche nelle lezioni sulla filosofia della religione e della storia -, è legata la difficoltà di interpretazione di questa sezione della filosofia di Hegel, in particolare di alcune questioni come quella della morte dell’arte ed anche della morte della religione, ossia del superamento (nel senso dell’Aufhebung) definitivo di quest’ultima da parte della filosofia. 

Da un punto di vista sistematico infatti, sembra che le tre sfere convivano l’una accanto all’altra, mentre da un punto di vista cronologico al contrario sembra che regni tra di loro il principio dell’Aufhebung, per cui alla fine resta solo la filosofia, pur contenendo in sé l‘essenza sia dell’arte sia della religione.

Qualunque sia il tipo di interpretazione che si privilegi, la statica o la dinamica, è comunque evidente e fuori di alcun dubbio che Hegel (ed in generale l’idealismo assoluto) ponga il punto più alto di comprensione dell’assoluto, quello nel quale si ha la vera e propria autocoscienza assoluta, ossia l’uguaglianza di soggetto ed oggetto, contenuto e forma, nella filosofia, in particolare nella logica-metafisica.

Questa disciplina, quale conoscenza delle categorie formanti la struttura del Logos assoluto, rappresenta l’unica forma adeguata di conoscenza dell’Assoluto, e sia l’arte che la religione come anche il politeismo ed il monoteismo nei confronti della logica-metafisica vengono ad essere soltanto stadi preparatori e forme inferiori.

Dunque il momento più alto del riconoscimento verticale è segnato dall’apparizione della logica-metafisica, ossia dalla conoscenza delle categorie logiche (quali si aveva già per es. in Aristotele e poi in Kant) accompagnata però dalla consapevolezza che queste categorie sono non solo soggettive, ma anche oggettive, sono dunque il Logos assoluto che à al fondo del reale. 
Vediamo ora quale debba essere il grado parallelo al livello di riconoscimento verticale, ossia il senso della storia dello spirito oggettivo.  

 

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CAPITOLO TERZO

Il Bene Vivente come senso etico fondamentale
individuale e sociale della filosofia
intesa come scienza della saggezza

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§20 La filosofia dello spirito oggettivo: filosofia della storia o storia del riconoscimento orizzontale

Se il soggetto umano riconosce in sé, nel proprio spirito universale, l’assoluto, è evidente che non potrà non riconoscerlo anche nell’altro essere umano, essendo lo spirito, cui egli si riferisce, quello universale e non quello individuale suo proprio. 
Le categorie logico-metafisiche infatti non agiscono solo in me, ma anche nella natura ed a maggior ragione agiscono anche negli altri esseri umani con i quali posso comunicare proprio perché al fondo dei nostri spiriti individuali agiscono le medesime strutture logiche universali. C’è insomma una comunicazione universale tra l’essere umano, la natura e l’altro essere umano che è fondata e resa possibile dalla presenza delle medesime strutture logiche.

Se pertanto riconosco la presenza dell’assoluto in me, non posso non riconoscerla nell’altro essere umano, il quale quindi viene ad assumere ai miei occhi un valore infinito, il valore di soggetto libero e non di un oggetto necessario.

Ogni essere umano è infatti un essere creatore, l’incarnazione dell’assoluto, dunque la divinità, il senso dello sviluppo dell’essere, il momento più alto dell’emersione del Logos dalle catene della materia.

Da questo "punto di vista superiore" - come Hegel per la prima volta nello scritto sulla Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling definisce il punto di vista speculativo dialettico del suo idealismo assoluto proprio in rapporto ai punti di vista ‘inferiori’ in quanto limitati dei due suoi colleghi -, il soggetto umano nella propria universalità spirituale viene ad assumere il valore di essere l’assoluto, l’espressione più alta del Logos.

[Lettura dalla Differenzschrift delle pagine 82-83, 91-93]

Il riconoscimento orizzontale fondato dal riconoscimento verticale dell’idealismo assoluto sarà dunque ispirato da tale enorme valore attribuito all’essere umano e da questo valore saranno poi derivati i singoli principi etici che devono governare la società idealistico-assoluta, dunque la società filosofica, in cui regna la religione razionale, l’ultima forma di autoriconoscimento dell’assoluto nell’essere umano.

Tale punto di vista superiore, dal quale occorre considerare la realtà sia naturale sia soprattutto umana, rappresenta nell’ambito della filosofia idealistico-assoluta il culmine della storia, il punto di arrivo dello sviluppo filogenetico che porta dai primordi della costituzione della specie umana alle società in cui regna quella che Hegel definisce la libertà per tutti e che il filosofo svevo, ancora una volta compiendo l’errore di individuare una figura filosofica e concettuale in un’apparizione storica concreta, identifica con il regno germanico.

[Lettura dal primo volume delle Lezioni di Filosofia della Storia delle seguenti pagine: 8-9 (sulla considerazione filosofica della storia); 46-47 (sul corso della storia); 60-61 (sul fine ultimo della storia)]

La forma di Stato in cui regna la libertà per tutti rappresenta dunque il senso, la meta della storia. Ciò ha fatto parlare di ‘fine della storia’ nella prospettiva della filosofia dell’idealismo assoluto. Ciò è solo in parte vero e questo concetto deve essere approfondito non tanto sulla base dei testi hegeliani, i quali a dire il vero non sono sempre molto espliciti a tal proposito, quanto sulla base dei principi dell’idealismo assoluto ripensati da noi, dunque secondo una prospettiva di attualizzazione di tale filosofia (si ricordi inoltre che le Lezioni sulla filosofia della storia a rigor di termini non sono un testo hegeliano, per cui una vera e propria filosofia della storia idealistica dev’essere ancora scritta). Poniamoci dunque la domanda come noi tratteremmo la filosofia della storia, in particolare il suo inizio, il suo principio (che è diverso dal mero inizio cronologico), la sua fine ed il suo fine (anch’esso ben diverso dalla fine in senso cronologico), se volessimo oggi (ri)scrivere tale sezione del sistema dell’idealismo assoluto.

L’inizio della storia è evidentemente non identificabile perché non può più essere ricostruito. Il fatto che il ritrovamento di documenti scritti segni il passaggio dalla preistoria alla storia è evidentemente un criterio estrinseco e non filosofico, non fondato in modo logico. Lo spartiacque tra la preistoria e la storia vera e propria, ossia tra un periodo intermedio nella differenziazione dell’essere umano dalle forme animali, dalle quali esso deriva, la preistoria, ed il periodo della vera e propria vita creativa da essere umano, la storia può essere soltanto fondato sul concetto, ossia sulla libertà. La vita secondo necessità è la vita ancora animale (per es. la vita dei primati); la vita secondo libertà è la vita dello spirito (la storia); il passaggio dalla prima alla seconda è la preistoria.

Domandiamoci: viviamo oggi già nella fase della libertà, nella quale tutti gli esseri umani possono vivere in modo creativo, nella società fondata dal riconoscimento orizzontale assoluto? Evidentemente no, soprattutto se consideriamo tutto il pianeta e non solo la sua parte nord-occidentale.

Così possiamo già pervenire ad una prima considerazione interessante: l’umanità attuale, considerata nel suo complesso, vive ancora nella preistoria, ossia nella fase di differenziazione dallo stato di necessità (primati) a quello di libertà per tutti (riconoscimento assoluto, Stato etico).

Da questo punto di vista allora scopriamo già un errore commesso da Hegel, il quale, considerando il concetto di Stato da un punto di vista nazionale e non sovranazionale - il che non è filosoficamente giusto perché il riconoscimento orizzontale assoluto non può conoscere confini - ha ritenuto di poter individuare in una sola compagine statale e comunque in un sola regione del pianeta Terra (il regno germanico) la realizzazione della libertà per tutti, il che evidentemente, anche oggi a duecento anni di distanza, risulta essere falso.

Ovviamente, pur vivendo oggi l’umanità ancora nella preistoria, nondimeno a partire dall’età dell’illuminismo sta facendo sforzi enormi per uscirne (ricordiamoci la definizione kantiana dell’illuminismo!). Questo è il senso filosofico di tutti i tentativi degli ultimi due secoli di creare nuove compagini statali, sia a sfondo liberale, sia a sfondo socialista. Ciò infatti rende simili i sistemi statali liberali e quelli socialisti: entrambi si fondano sul concetto, sulla ragione, sebbene non su quela assoluta. L’illuminismo segna infatti la presa di coscienza dell’essere umano della propria razionalità come criterio ultimo, dunque segna un primo passo sia verso il riconoscimento verticale puramente razionale e non più religioso sia verso il riconoscimento orizzontale intersoggettivo assoluto, anche se ancora viziato dall’intellettualismo della ragione non dialettica, non ancora compresa come spirito.

Dunque oggi ci troviamo sulla via verso il superamento della preistoria, alcuni popoli sono già usciti dalla preistoria, altri no, l’umanità nel suo complesso si trova in questa contraddizione tra una parte evoluta storica o comunque quasi storica ed un’altra ancora preistorica. C’è ancora molto cammino da fare soprattutto a livello globale, perché il futuro dell’umanità, la sua entrata nella storia si gioca a livello globale e non a livello nazionale. Solo a livello globale può infatti avvenire il riconoscimento orizzontale assoluto.

V’è però un altro aspetto che resta da spiegare relativamente alla questione sul come sia da intendersi il concetto di fine, senso o meta della storia da un punto di vista di filosofia dell’idealismo assoluto. Che accadrà quando un giorno l’umanità riuscirà, se vi riuscirà, a fondare uno Stato, ovviamente mondiale, nel quale viga il riconoscimento orizzontale assoluto, ossia nel quale gli esseri umani si considerino reciprocamente come fine e non come mezzo? Sarà finita la storia, sarà concluso lo sviluppo dell’umanità, sarà fermato il tempo? Evidentemente no, il tempo andrà avanti, nasceranno nuove generazioni e così via. Cerchiamo dunque di definire in modo concettualmente preciso questo stadio storico "ultimo" di sviluppo dell’umanità. Per farlo partiamo da un esempio particolare concreto e poi traiamone delle conclusioni a livello generale. 
Già oggi, come detto, esistono società storiche, ossia Stati nei quali gli individui possono vivere realizzando la propria libertà creativa, dunque Stati in cui esiste la libertà per tutti (anche se ovviamente da perfezionare e migliorare, comunque essa già esiste). Si tratta fondamentalmente degli Stati appartenenti alle regioni nord-occidentali del pianeta. Facciamo l’esempio di Stati a noi familiari, l’Italia e la Germania (comunque in generale gli Stati dell’Unione Europea). Nel caso dell’Italia non consideriamo ovviamente tanto il meridione, bisognoso di un massiccio ulteriore sviluppo per uscire completamente dalla preistoria, quanto il settentrione e nel caso della Germania si consideri per gli stessi motivi la parte occidentale più che quella orientale.

In questi Stati si vive sicuramente già nella storia, ossia vi è libertà per tutti, possibilità di una vita creativa, anche se molti aspetti della vita civile devone essere migliorati (per es. in Italia dev’essere sconfitta la corruzione, radice di tutti gli altri mali; in Germania la tendenza arrogante al nazionalismo, una certa estrema rigidità nelle leggi che conduce più alla legalità che non alla moralità etc.). 
Ciò significa che questi Stati, pur avendo raggiunto indiscutibilmente un grado elevato di libertà, nondimeno devono ancora perfezionare il proprio sistema sociale. Inoltre le nuove generazioni devono essere educate a conservare il risultato del lavoro dei genitori ed a non distruggere lo Stato (si pensi per es. al fenomeno terroristico proprio italiano e tedesco). Questo è evidentemente un punto molto importante. L’insegnamento della filosofia (i valori del riconoscimento orizzontale fondati sulle conoscenze del riconoscimento verticale) dev’essere un punto centrale nello Stato etico, nello Stato libero. Naturalmente scopo dello Stato, una volta liberatosi della lotta interna (tramite l’insegnamento) ed esterna (tramite l’estensione globale del modello di Stato etico) dev’essere poi la lotta alle malattie ed alla morte (sviluppo della medicina, della scienza, della tecnologia), la salvaguardia dell’ambiente, la creazione delle strutture sociali per la vita libera (teatri, stadi, musei etc. per l’intera umanità), insomma la creazione delle condizioni a tutti i livelli per l’espansione della vita spirituale libera totale (anche scuole, ospedali). Si tratta insomma di quel che oggi si suol definire come ‘civiltà’.

Ciò significa che il lavoro creativo dello Stato per i suoi cittadini non finirà mai come anche non finirà mai la realizzazione libera da parte dei cittadini della propria creatività, della propria fantasia, della propria libertà vera.

Ecco allora che pian piano emerge il senso vero e profondo della concezione idealistico assoluta implicita, anche se non del tutto resa esplicita, nel sistema filosofico hegeliano: il raggiungimento della forma di Stato in cui viene realizzata la libertà per tutti non segna la fine dello sviluppo, del lavoro creativo, ma il suo vero inizio. Nel momento in cui gli esseri umani vivono in una tale forma di Stato smettono di dedicare la propria vita ad attività insulse (lavori alienanti che prendono tutto il tempo di vita a disposizione, polemiche e lotte politiche che frenano lo sviluppo, guerre che tolgono la vita a milioni di innocenti, malattie vincibili che invece uccidono e così via) e possono dedicare il proprio tempo alla realizzazione del proprio spirito, alla vita creativa (tempo di lavoro intelligentemente limitato, tempo libero sufficiente, vacanze garantite e retribuite etc.).

Da questo "punto di vista superiore" il discorso sulla fine della storia dev’essere allora del tutto capovolto: il raggiungimento dello Stato etico idealistico non segna la fine della storia, ma il suo vero e proprio inizio, e contemporaneamente la fine (ed il fine) della preistoria. Tale fine della preistoria è temporanea perché uno Stato etico (che dunque vive già nella Storia) può sempre ricadere in una situazione preistorica per es. se la generazione dei genitori non è capace di trasmettere ai figli i valori fondamentali a sostenere tale forma di Stato (pensiamo al terrorismo, se non si fosse riusciti a sconfiggerlo, oppure alla mafia, quale pericolo essa rappresenti per la civiltà); inoltre nessuno Stato etico storico nazionale può essere sicuro di sopravvivere come tale se al suo esterno esistono Stati non etici e preistorici perché sarà sempre presente il pericolo sia della guerra sia dell’emigrazione di massa (la situazione attuale è un chiaro esempio di ciò).

Insomma il raggiungimento del fine della storia, mai irreversibile e sempre passibile di ricaduta nella preistoria, segna l’inizio della vita storica dell’uomo, non la sua fine. Occorre distinguere dunque in modo chiaro tra il fine e la fine della storia: 

il fine della preistoria è lo Stato mondiale etico in cui venga realizzata la libertà per tutti, la quale à il fine della storia (lo spirito che sa e realizza se stesso); 

la fine della preistoria segna dunque il passaggio alla storia (passaggio reversibile); 

la fine della storia come tale non esiste, perché non può esistere una fine della libertà (perché e come la libertà dovrebbe finire?) e soprattutto non può esistere una fine della creatività umana (solo un suicidio di massa di tutta l’umanità terrestre potrebbe segnare la fine della storia, peraltro temporanea, perché prima o poi la vita umana sulla Terra si riformerebbe, e comunque essa sarebbe limitata al nostro pianeta, perché in ogni caso altra vita razionale spirituale creativa è verosimilmente esistente anche su altri pianeti (affermazione questa sostenuta al giorno d’oggi dagli scienziati – per es. Paul Davies - e non solo dalla filosofia – si pensi ai mondi infiniti di Bruno).

§21 La società fondata sul riconoscimento orizzontale idealistico-assoluto come vera democrazia

Ora è evidente che da un punto di vista hegeliano o in generale idealistico-assoluto soltanto una società etica nel senso appena indicato, ossia fondata sul riconoscimento intersoggettivo orizzontale di tipo filosofico-idealistico, può essere una vera democrazia, una democrazia non fondata sul libero arbitrio, secondo il quale ognuno in effetti è legittimato a considerare l’altro essere umano come mezzo, ma sulla vera libertà, la quale presuppone che si consideri sé e l’altro come fine.

Il primo e fondamentale corollario di quanto detto è infatti il principio assoluto della libertà. Se infatti l’individuo assume un valore infinito come incarnazione dell’assoluto e l’assoluto, come è stato detto nella prima Settimana-Hegeliana, è fondamentalmente creatività, la creatività evidentemente è anche la determinazione caratterizzante l’essenza dell’essere umano.

Come potrebbe infatti l’essere umano, la cui essenza è il Logos creatore, avere un’altra caratteristica fondamentale che non sia la creatività?

Ma parlare di creatività, nell’ambito dell’idealismo assoluto e nella terminologia hegeliana, non è qualcosa di diverso dalla libertà. ‘Libertà’ non significa infatti nel sistema filosofico dell’idealismo assoluto fare quello che si vuole quando si vuole, bensì realizzare la spiritualità, ossia la creatività in sé e negli altri, quindi realizzare la creatività assoluta del Logos, attualmente emersa in alcuni individui, ma anche presente nella natura e che in futuro emergerà negli individui che nasceranno, le future generazioni.

Si tratta di un amore totale per il Logos e quindi di un’opera di vita completamente dedicata a far fiorire e sviluppare il Logos in tutte le molteplici e variopinte forme nelle quali esso appare (anche come natura, da qui la cura della natura che uno Stato idealistico-assoluto deve assolutamente assumersi – nella natura è presente il Logos, l’assoluto, l’essere umano non può fare della natura quello che vuole, c’è un progetto immanente alla natura che dev’essere rispettato – da qui la salvaguardia dell’ambiente, ossia del Logos oggettivo). Il Logos in noi aiuta dunque a svilupparsi e ad emergere il Logos fuori di noi, nella consapevolezza che siamo una parte del tutto e nel nostro piccolo possiamo contribuire a far sì che il tutto, l’assoluto, il mondo, la vita continui a svilupparsi nel migliore dei modi.

Ognuno di noi è una scintilla del Logos, una sua ramificazione, ed è responsabile nella sua sfera d’azione della realizzazione del Logos, ossia dell’assoluto nel mondo.

Creativo è l’essere umano che comprende quale sia il suo compito in questa azione totale e lo adempia, non solo eseguendo un compito già prefissato (quel che si potrebbe definire ‘creazione eteronoma’, messa in rilievo da Hegel), ma anche creando qualcosa che sia del tutto nuovo, di non ancora esistente, dando dunque realtà a qualcosa di possibile (‘creazione autonoma’, dimenticata dal nostro "maestro").

La società o Stato che si fondi su di un tale riconoscimento verticale ed orizzontale è allora la vera democrazia, nella quale ogni essere umano, indipendentemente da luogo e condizioni di nascita, razza e da tutti i vari fattori casuali possibili, ha la possibilità di vivere da creatore, dunque realizzando la propria essenza spirituale assoluta.

Questa vita creativa nel senso appena spiegato è la vera libertà, la quale si distingue in modo netto dal libero arbitrio, che è invece soltanto la duplice possibilità insita in qualsiasi scelta dell’uomo singolo. Certo il libero arbitrio, ossia la possibilità di scelta, è condizione necessaria ma non sufficiente della vera libertà, perché senza libertà come libero arbitrio l’individuo non potrebbe neanche scegliere di svolgere quelle attività che gli consentano poi la realizzazione della propria creatività. Il vero fine è però la libertà vera, la propria autorealizzazione creativa.

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del Diritto delle pagine 103, 109, 115, 117]  

§22 La vera democrazia idealistico assoluta come ‘regno dei fini’ (Hegel e Kant)

Anche nella concezione della società etica fondata sulla vera libertà emerge in modo chiaro l’influenza enorme esercitata da Vater Kant su Hegel, come del resto su tutti gli altri pensatori del periodo, nessuno dei quali ha elaborato la propria filosofia senza avere i testi del filosofo di Königsberg come costante punto di riferimento.

Il ‘regno dei fini’, come lo aveva definito Kant nel secondo degli imperativi categorici, questo è il concetto di democrazia al fondo della filosofia dello spirito oggettivo hegeliana e del suo concetto fondamentale dello ‘Stato etico’.

[Lettura dalla Fondazione della Metafisica dei Costumi di I.Kant delle pagine 89-91]

Esiste però anche una grande differenza tra Kant e Hegel a tal riguardo, una differenza che è poi quella essenziale tra l’etica trascendentale e quella idealistico-assoluta. Per Kant il ‘regno dei fini’ è un imperativo, dunque contiene in sé comunque una separazione tra soggetto ed oggetto, ragione e sensibilità, ossia è un comando che l’individuo deve dare a se stesso, autocostringendosi a realizzarlo. Per Hegel invece il ‘regno dei fini’, lo ‘Stato etico’, la ‘vera democrazia’ è l’espressione della creatività, dell’amore per la vita del singolo individuo, il quale tramite il riconoscimento verticale si è identificato con il Logos in sé. Nel momento in cui l’individuo è cosciente di sé come Logos, come l’assoluto e ‘si sente’ come tale, allora spontaneamente sarà portato a vivere così da amare e rispettare tutti gli altri esseri umani (come anche la natura) perché in essi vedrà se stesso. Non dovrà dunque autocostringersi a farlo, ma lo farà di sua spontanea volontà, anzi dovrebbe in linea teorica costringersi ad odiare gli altri, perché, odiandoli, odierebbe se stesso.

L’individuo, il quale riconosca se stesso come Logos, considera gli altri spontaneamente come soggetti e non come oggetti, come spirito e non come materia, dunque come fini e non come mezzi. Quel che in Kant e nella filosofia trascendentale in generale è un imperativo, in Hegel e nell’idealismo assoluto è una manifestazione spontanea del Logos autoriconoscentesi nell’essere umano, una "liberazione" e non una "limitazione", come il filosofo svevo saggiamente si esprime.

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del Diritto della pagina 299 (§149)] 

Ovviamente non bisogna essere ingenui e credere che ciò avvenga automaticamente. La condizione necessaria perché ciò avvenga, ossia affinché l’essere umano consideri spontaneamente i suoi simili come fini, è che sia avvenuto il riconoscimento verticale di tipo idealistico-assoluto. Dunque l’educazione alla filosofia ed in particolare a quella dell’idealismo assoluto è la chiave di volta della costituzione di una società etica, il suo presupposto indispensabile.

I paragrafi sul rapporto tra Stato e Chiesa, nei quali Hegel appunto chiarisce l’indispensabilità che lo Stato sia fondato da una Chiesa (ovviamente filosofica) si rivelano allora essenziali al fine di comprendere il senso profondo del rapporto tra religione/filosofia e politica dal punto di vista della filosofia dell’idealismo assoluto. 

Non vi può essere uno Stato etico libero, ovviamente mondiale, che non si fondi su di una Chiesa filosofica idealistico-assoluta anch’essa universale. Questo è in sintesi il senso di quanto finora detto. Alla filosofia e solo ad essa spetta l’onore e l’onere di condurre l’umanità alla Storia, allo Stato etico, alla vera democrazia. 

§23 L’eticità assoluta come bene vivente: la famiglia 

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§518-522 sul concetto di ‘famiglia’ - v. anche i Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§158 ss.]

§24 L’eticità assoluta come bene vivente: la società civile

[Lettura dalla Enciclopedia delle Scienze Filosofiche dei §§523-534 sul concetto di ‘società civile’ - v. anche i Lineamenti di Filosofia del Diritto, §§182 ss.]

Anche a proposito del concetto di società civile c’è prababilmente una critica da muovere a Hegel ed una riforma da apportare al sistema filosofico dell’idealismo assoluto nella versione datane dal pensatore di Stoccarda. Egli infatti in diversi punti della sezione dedicata alla società civile chiarisce come l’eticità in essa vada persa.

D’altra parte ciò è in contraddizione col fatto stesso che essa si trovi all’interno del capitolo sull’eticità e presupponga pertanto la figura della autoscienza universale, la quale, come si è visto, è alla base e fonda il concetto generale dell’eticità e tutti i vari concetti ad essa appartenenti.

Allora occorre concludere che vi sono due possibilità:

- la società civile, in generale come mondo del lavoro e dell’economia, è fondata dall’autocoscienza universale ed allora appartiene con pieno diritto all’eticità. Ciò significa che il mondo dell’economia nello Stato etico dev’essere anch’esso retto dalle leggi dell’etica (dunque dev’esserci un’etica economica idealistica);

- oppure l’economia non appartiene all’etico, allora il lavoro non avrebbe come fine l’umanità ma il profitto individuale, ed in questo caso l’essere umano non uscirebbe dal dominio del bisogno.

Essendo la seconda possibilità filosoficamente non corretta - ovviamente dal punto di vista dei principi dell’idealismo assoluto, in quanto il rapporto economico è sempre un rapporto tra soggetti, per cui si deve sempre pervenire ad un’autocoscienza riconoscitiva universale affinché il rapporto come tale sussista in modo stabile e libero (errore di Adam Smith a tal proposito e giusta correzione di Marx), occorre concludere che Hegel anche in questo caso ha ceduto alla realtà storica del tempo (capitalismo incipiente per es. in Inghilterra, che egli aveva studiato a fondo, basato sulla negazione dell’eticità dell’economia e sul profitto individuale quale senso del lavoro) conferendo valore filosofico ad un fenomeno storico (come per es. ha fatto per la monarchia costituzionale e per il protestantesimo). 

Naturalmente né l’esclusione della società civile dal mondo dell’eticità né l’affermazione della monarchia costituzionale come forma di Stato adeguata al suo concetto né la religione protestante quale forma vera, ultima ed assoluta di religione sono concetti fondamentali ed ineliminabili dell’idealismo assoluto, essi sono solo presenti per motivi storici nella versione datane da Hegel, devono però essere espunti dalla nuova versione dell’idealismo assoluto.

Comunque, anche in questo caso, Hegel non era poi così ingenuo e stupido da fare tali errori senza esser preso egli stesso da insicurezza al proposito, per cui nelle sue opere vi sono diverse parti di chiara critica al capitalismo, ossia all’economia svincolata dall’etica, per cui si può ben affermare che i presupposti per la critica a Hegel e per il superamento della sua versione dell’idealismo assoluto si trovano nello stesso sistema filosofico del pensatore svevo come anche negli scritti presistematici, nella sua officina, come l’ha definita Rosenkranz.

§25 La storia dell’eticità ed il concetto di ‘Bene vivente’ 

Lo Stato, la società civile e la famiglia sono le tre istituzioni intersoggettive nelle quali lo spirito si realizza come spirito creatore. Il fondamento filosofico di ciò è che lo spirito, nel momento in cui agisce in queste istituzioni, non è più consumatore, ossia non agisce più come spirito soggettivo mosso dal desiderio e dalla passione, o ancor peggio, come spirito naturale mosso dall’istinto dell’assimilazione o della riproduzione, ma come spirito libero, oggettivo, mosso dall’avere uno scopo. Esso agisce come ‘concetto’ usando i termini della logica. 

Ovviamente il presupposto dell’eticità è il riconoscimento orizzontale, ossia lo spirito dev’essere riconosciuto come tale da un altro spirito (o da altri spiriti) per entrare in un’istituzione dell’oggettività. Senza riconoscimento vi è evidentemente solitudine e non creatività. D’altra parte il fondamento del riconoscimento orizzontale è il riconoscimento verticale perché senza valori comuni non vi può essere riconoscimento orizzontale duraturo.

Naturalmente l’eticità è qualcosa che accompagna l’essere umano da sempre, l’uscita dallo stato di natura non può che avvenire con il riconoscimento dell’altro come soggetto e quindi con l’affermazione di un rapporto di tipo etico. È chiaro che vi è una storia dell’eticità la quale segna lo sviluppo dell’umanità e corre parallela alla storia della teoreticità, ossia alla storia della religione in senso largo. La storia dell’eticità si articola in storia politica (storia dello Stato o storia del riconoscimento orizzontale assoluto fondato dal riconoscimento verticale), storia economica (storia della società civile o storia del riconoscimento orizzontale vincolato al soddisfacimento del bisogno dell’assimilazione per l’assicurazione della sopravvivenza dell’essere umano individuale) ed infine alla storia familiare (storia della famiglia o storia del riconoscimento orizzontale vincolato al soddisfacimento del bisogno della riproduzione per l’assicurazione della sopravvivenza della specie).

Questi tre aspetti singoli, considerati nella loro globalità, costituiscono la storia etica, la storia del riconoscimento orizzontale all’interno dell’umanità. Soltanto una storia scritta trattando tutti e tre questi aspetti può essere una storia completa dell’essere umano, come per es. la scuola delle Annales ha giustamente inaugurato all’inizio del secolo passato. La storiografia delle Annales è profondamente hegeliana o idealistico-assoluta, anche se i fondatori di questo metodo (Bloch, Lefebvre, Braudel) non ne erano consapevoli. Ma essi, reagendo alla storiografia tradizionale, la quale trattava in modo unilaterale la storia dell’uomo privilegiando ideologicamente uno degli aspetti sopraindicati (per es. la storia politica o la storia economica) hanno messo in evidenza come il mondo etico dell’essere umano debba essere trattato come unità, della quale lo Stato e l’economia non sono gli unici aspetti e neanche i più importanti. 

La storiografia delle Annales, oltre ad avere dato alla storia della famiglia il rango di vera e propria disciplina scientifica e di parte irrinunciabile di una storiografia radicale (gründlich) della comunità umana, ha avuto inoltre il grande merito di aver elaborato il concetto importantissimo di storia della mentalità (l‘immaginario collettivo), la quale altro non è che quel nel nostro linguaggio hegeliano o idealistico-assoluto abbiamo definito storia teoretica dell’essere umano, ossia storia della religione in senso largo. 

A Hegel mancava l’apporto empirico di studi approfonditi di storia della mentalità e storia della famiglia come quelli di cui si dispone oggi, per cui la sua filosofia della storia è ancora fondamentalmente una storia politica, ossia tratta eminentemente delle vicende degli Stati. Nondimeno Hegel ha trattato tale storia come storia della libertà, quindi ha cercato di mettere in luce attraverso la storia delle istituzioni statali, delle guerre, dei rapporti diplomatici etc. il significato umano di tali vicende (storia filosofica). In questo senso gli è riuscito di scrivere una vera e propria ‘storia etica’, ovviamente come ogni primo tentativo ancora incompleto e manchevole in diverse parti anche importanti, che però si presenta a noi come un ottimo punto di partenza ed esempio per scrivere una nuova filosofia della storia, una nuova storia etica dell’umanità, la quale si basi sui risultati più recenti e validi della storiografia (per es. appunto quelli degli storici delle Annales) e li inglobi in una visione d’insieme del percorso finora compiuto dal riconoscimento orizzontale intersoggettivo. 

Dunque l’eticità si svolge nel tempo, ha una storia, la storia etica, fondata dalla storia teoretica. Ciò significa che, nonostante l’individuo umano intenda e creda di fondare una famiglia, dar vita ad uno Stato secondo le proprie idee, avere una lavoro che corrisponda al proprio ideale, ossia giustamente voglia subito, non appena diventato adulto, realizzare la propria creatività, il proprio spirito, inevitabilmente esso viene a scontrarsi con la società del proprio tempo, la quale è già realizzazione di creatività a lui precedenti, è già eticità.

Il mondo sociale che si presenta all’individuo non è un mondo non etico, non è il mondo della natura, ma è già un mondo etico, una comunità fondata sul riconoscimento orizzontale, quale esso sia. Secondo la definizione molto pregnante che ne dà Hegel è il ‘Bene vivente’, l’eticità vivente, contrapporta evidentemente a quella astratta contenuta solo nei desideri e nelle utopie soggettivi (quel che Hegel definisce ‘moralità’).

[Lettura dai Lineamenti di Filosofia del diritto dei §§142-145 sul concetto di ‘Bene vivente’]

Il concetto di ‘bene vivente’ è uno dei concetti centrali del sistema filosofico dell’idealismo assoluto, ma purtroppo non è stato per niente preso in grande considerazione dalla critica. Quando si parla della filosofia del diritto, ossia della filosofia etica di Hegel, si fa riferimento a concetti che non sono affatto centrali, come per es. le varie frasi sul reale e razionale, sulla nottola di Minerva etc., le quali sono sì suggestive, ma che un profondo conoscitore dell’intero pensiero hegeliano, anche nel suo sviluppo, non può non considerare del tutto occasionali e accidentali rispetto ai principi veramenti fondamentali del sistema. 
Quelle frasi ricorrono infatti soltanto nelle prefazioni ed introduzioni, che Hegel ha sempre considerato ‘esterne’ al sistema, mentre concetti quali quello di ‘Bene vivente’ si trovano nelle parti centrali del sistema filosofico, il quale, senza di essi, assumerebbe un significato del tutto diverso e sarebbe incompleto. Senza quelle frasi suggestive il sistema filosofico di Hegel invece non perderebbe proprio niente, anzi ne guadagnerebbe perché tramite quelle frasi, scritte spesso con l’intento di rassicurare i politici, i quali, come si sa, allora come oggi non leggevano altro che le prefazioni (nella migliore delle ipotesi!), e dopo averlo fatto erano persuasi che si trattasse di un’opera non pericolosa (anche se poi il contenuto interno era ben diverso, come dimostra il fatto che il moto rivoluzionario più forte del periodo posthegeliano sia partito proprio da un’interpretazione di una delle categorie centrali del suo sistema filosofico, la dialettica).

§26 Il giusto atteggiamento etico soggettivo (la moralità)

Il ‘Bene vivente’ è dunque l’eticità concreta, esistente nella quale noi già siamo quali membri di una famiglia (che ha una certa storia), uno Stato (che ha anch’esso una certa storia), di una società civile, anch’essa avente una certa storia, per il fatto che tramite il nostro lavoro partecipiamo ad una parte del lavoro totale della comunità di cui siamo parte. 

Il singolo individuo per realizzare la propria creatività, dunque il proprio spirito, se stesso, deve entrare nel riconoscimento orizzontale della propria comunità, se ne condivide i valori etici, ossia il riconoscimento verticale, deve riconoscere e farsi riconoscere, partecipando così all’opera comune della costruzione del mondo etico in quella particolare comunità nella quale esso casualmente o volontariamente vive.

Il giusto comporamento soggettivo, giusto nel senso di razionale, filosofico, consiste dunque non nell’idealizzare una realtà familiare, lavorativa e politica diversa da quella nella quale si vive, ma, sempre se si condividono i valori fondamentali della propria comunità, nell’entrare nel riconoscimento orizzontale alla base delle suddette istituzioni e poi dall’interno nel modificarle, se lo si ritiene opportuno, facendole ulteriormente sviluppare, ossia rendendole più consoni al concetto del concetto, alla libertà. 

Tali istituzioni sono infatti, secondo il loro principio realizzazione, del concetto, della libertà, ma non lo sono ancora del tutto nella loro realtà storica, perché l’ideale filosofico, che è al fondo della realtà storica costituendone il senso, deve essere realizzato in essa e tale realizzazione avviene gradualmente e non in un giorno.

Il senso della creatività consiste allora nell’agire all’interno delle istituzioni etiche portando avanti in esse la realizzazione della libertà. Questo è da una parte il nostro dovere come filosofi, ossia come persone che vivono la vita pensandola, dall’altra parte è il nostro diritto quali semplici individui, che, come tutti gli altri, ambiscono ad autorealizzazione e felicità.

Così attraverso il nostro comportamento etico da filosofi, ossia fondato su di un riconoscimento verticale scientifico non dogmatico, diamo il nostro importantissimo contributo alla comunità nella quale ci riconosciamo e, se siamo fortunati, dalla quale veniamo riconosciuti; se invece non veniamo da essa riconosciuti, pur riconoscendola, come purtroppo la storia della filosofia mostra essere la regola e non l’eccezione per i veramente grandi e coraggiosi (Socrate, Bruno), nondimeno vivremo nella consapevolezza che siamo noi e non la comunità a seguire il concetto, a vivere nella verità e ciò per un vero filosofo è l’essenziale (non il riconoscimento esterno, ma quello interno, l’autoriconoscimento). E, se la comunità non ci riconosce e non segue la verità, che noi portiamo dentro, tanto peggio per lei!

Questa è la forza che dà la filosofia! 

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