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Lezione 7: Il Logos o Ragione Assoluta

Lezione 7: Il Logos o Ragione Assoluta


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FILOSOFIA PER TUTTI

Lezione 7

Il Logos o Ragione Assoluta

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Il punto fondamentale, cui finora siamo pervenuti nella determinazione del con-cetto della filosofia come scienza della saggezza, è la formulazione del concetto del Logos, ossia della ragione assoluta ad un tempo oggettiva e soggettiva, pre-sente secondo vari gradi di consapevolezza e libertà in tutto l’essere.

Potremmo anche definire tale Ragione Assoluta o Logos semplicemente come ’Assoluto’, ossia il principio primo della realtà, il fondamento di tutto, ciò che continuamente produce il reale, anche se non è mai identificabile con alcun sin-golo aspetto del reale. Si tratta di quel che la filosofia greca indicava come l’archè delle cose e poi la religione, cristiana e non solo, ha denominato ’Dio’.

Fatta questa dovuta precisazione, vediamo ora in modo più concreto di conosce-re l’Assoluto, la Ragione Assoluta, il Logos presente nella natura e nello spirito.

Evidentemente è da tale Assoluto che occorre partire per poi comprendere anche la natura oggettiva e lo spirito soggettivo, in cui esso si presenta prima come necessario e poi come libero.

Come si accede all’Assoluto? (Identità di logica e metafisica)

La prima domanda che sorge a tal riguardo è la seguente: come possiamo acce-dere all’Assoluto, alla sua conoscenza? Per la religione ciò avviene con un atto di fede, ma, come abbiamo visto, la filosofia, pur avendo in sostanza uno scopo comune a quello della religione, nondimeno adotta una metodologia completa-mente diversa: essa deve argomentare, quindi dimostrare il proprio principio, che non può quindi essere un atto di fede, un dogma. 

L’accesso filosofico all’Assoluto, seguendo il ragionamento fatto finora, risulta essere molto più semplice ed alla portata nostra di quanto sembri: giacché, infatti, l’Assoluto è fondamentalmente la Ragione Assoluta e questa è l’essenza del nostro spirito, dunque il nostro continuo pensare, formulare concetti ed idee e così via, insomma la nostra attività logica, proprio studiando il nostro pensiero, quindi tramite la scienza logica, possiamo comprenderne le leggi, le modalità di funzionamento e così via. Ma essendo il nostro pensiero logico, quindi quello comune a tutti noi, il nostro ’io universale’, quindi l’Assoluto nella forma della coscienza e della libertà, allora tramite una scienza logica costruita in modo serio e scientifico noi lo conosceremo. Insomma conoscenza logica del pensiero umano e conoscenza dell’Assoluto coincidono. 

Tale coincidenza, evidentemente, porta ad unità discipline, la logica e la metafi-sica, che del resto agli albori della filosofia in Grecia erano già state considerate come identiche, pensiamo a Parmenide ed Eraclito (si vedano di quest’ultimo per es. i frammenti sul Logos, oggi attuali come allora).

Posta quindi questa duplice premessa, ossia che l’accesso all’Assoluto può av-venire soltanto attraverso la logica e che questa pertanto coincide con la metafi-sica (e con la teologia razionale, evidentemente), il problema che si pone succes-sivamente è in primo luogo quello della definizione precisa dell’oggetto, ossia in cosa propriamente consista la ragione, e poi in secondo luogo nella giusta meto-dologia da seguire per conoscerlo in modo scientifico e serio.

Cos’è propriamente l’Assoluto, ossia l’oggetto della Logica-Metafisica?

Analizzando il nostro linguaggio, notiamo che ci sono termini che sicuramente presuppongono l’esperienza per poter esistere (l’essere umano non avrebbe mai avuto il concetto e la parola di albero, se non l’avesse mai visto, così sono tutti i nomi sia concreti sia astratti, ma anche i verbi e le azioni ch’essi significano); altri termini che servono per costruire la sintassi del linguaggio (preposizioni, congiunzioni ecc.); altri ancora che modificano (rafforzano, indeboliscono ecc.) i nomi ed i verbi (aggettivi, avverbi).

Tutta questa parte consistente del linguaggio è insomma riconducibile all’esperienza concreta o anche astratta (di fantasia) ed alla sintassi con la quale costruiamo frasi dotate di senso. C’è però una parte del linguaggio che non è riconducibile all’esperienza esterna o interna, ma preesiste alla medesima ed anzi è la condizione indispensabile affinché noi possiamo organizzare la molteplicità delle sensazioni nell’unità del concetto e quindi della parola che lo esprime. 

Facciamo l’esempio della frase ‘Il tavolo è alto’: in essa abbiamo alcune opera-zioni concettuali che vanno al di là del semplice significato di tale frase. Già la parola ‘tavolo’ implica la formulazione di un concetto unico per un insieme di parti, l’unità nella molteplicità di cui abbiamo parlato (superficie d’appoggio, gambe ed altre parti eventualmente presenti), legate insieme da una funzione, che è già molto di più della semplice parola (la funzione di sostenere per esempio libri, lampada ecc.). Essa nasconde, infatti, l’operazione di riduzione della molteplicità ad un’unità concettuale e funzionale. Tale operazione è ancora più chiara nel termine ‘aula’, dove le parti che compongono il tutto del concetto so-no distinte tra loro e non legate materialmente (mentre nel tavolo sono collegate materialmente).
Sempre nella frase il ‘tavolo è alto’ abbiamo la voce del verbo essere che evi-dentemente è qualcosa di più rispetto al sostantivo ‘tavolo’ ed all’aggettivo ‘al-to’, essa esprime un giudizio da parte nostra, l’attribuzione di una qualità ad un oggetto. Questa operazione è evidentemente un’operazione logica nostra, in quanto il tavolo di per sé non è né basso né alto.

Ora se noi andiamo ad analizzare così, anche superficialmente, la frase di cui sopra, abbiamo individuato questi concetti, cui abbiamo dovuto ricorrere per spiegarci la sua formulazione:

Concetto (il tavolo è un concetto, un nome comune);
Unità-Molteplicità, Tutto-Parti (la struttura del concetto);  
Giudizio (l’essere alto per noi del tavolo);
Essere (il collegamento della qualità all’oggetto);
Qualità e quantità (l’altezza, l’esser alto).

Tutte queste parole, che sono fondamentali nell’operazione di formulazione di quella semplicissima frase, non sono evidentemente oggetti esistenti (nomi), né azioni (verbi) né ancora parti sintattiche del discorso (preposizioni, congiunzio-ni), ma ’categorie’, ossia strutture del pensiero grazie alle quali noi riusciamo ad esprimere la realtà, i nostri pensieri, le nostre idee e tutto ciò su cui ragioniamo. Le categorie sono la vera e propria vita del pensiero, la rete attraverso la quale esso riesce ad unificare ed esprimere in modo logico il molteplice. Esse costitui-scono dunque il vero e proprio contenuto del pensiero, la sua essenza, il suo es-sere. Il pensiero consta di categorie, che poi, applicate all’esperienza interna ed esterna, conducono alla conoscenza del mondo. 

Essendo noi già pervenuti alla conclusione dell’identificazione di pensiero ed assoluto, evidentemente le categorie, in quanto strutture fondamentali del pen-siero, sono evidentemente allo stesso tempo la struttura dell’Assoluto. La Ra-gione Assoluta, il Logos consiste dunque nelle categorie.

La logica è la scienza delle categorie anzitutto nel senso soggettivo come scienza del pensiero umano (quale si trova in Aristotele ed in Kant per es.); seguendo Hegel, invece, che, come abbiamo visto, elabora una concezione più profonda della logica come conoscenza dell’Assoluto, essa è in secondo luogo anche metafisica. 

Insomma, da una parte abbiamo la cosiddetta logica formale (Aristotele, Kant, logica contemporanea), dall’altra la logica sostanziale (Hegel, concezione dialettica).

La logica formale, non comprendendo il nesso inscindibile che lega il pensiero dell’essere umano, la ragione soggettiva, alla struttura razionale del mondo, la ragione oggettiva, si priva per sempre della possibilità di comprendere in modo più profondo i motivi che pur rendono possibile la conoscenza. In tal modo essa scava un solco, poi incolmabile, anche a livello di etica, tra l’uomo ed il mondo, la ragione e la materia. Così si viene a creare un dualismo tra uomo e natura, ragione e mondo, che provoca una serie di problemi serissimi sia a livello di filosofia teoretica sia soprattutto a livello di filosofia etica. Nel primo caso abbiamo fenomeni quali il relativismo contemporaneo, ossia la mancanza di fiducia in una verità assoluta e oggettiva, indipendente dall’uomo singolo; nel secondo caso abbiamo il fenomeno dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura, con i fenomeni collegati che ben conosciamo. Tutto ciò ha come causa prima filosofica il dualismo, per cui l’altro, che sia un essere vivente ed umano o la materia, viene visto dal soggetto come diverso da sé, non come uguale a se stesso e pertanto degno di rispetto e magari anche di cura, di amore, proprio come si fa con se stessi.

Sul metodo maieutico della logica-metafisica

Una volta chiarito l’oggetto della logica, passiamo ora al suo metodo, cioè come possiamo conoscere le categorie nel miglior modo possibile. 

Qui ci sono due possibilità, che anche in questo caso distinguono radicalmente la logica formale dalla logica sostanziale. Nel primo caso le categorie vengono individuate attraverso un’analisi del linguaggio, una riflessione del filosofo che individua ed elenca le categorie, precisandone il diverso significato; nel secondo caso, invece, il soggetto pensante, il filosofo deve quasi scomparire e le categorie si devono conoscere da sole, secondo un metodo proprio, al quale il filosofo, naturalmente presente, deve però soltanto prestare la voce, senza interferire più di tanto sulla loro auto-esposizione. Ciò ha molto in comune col metodo maieutico socratico, secondo il quale la verità esiste di per sé nel soggetto, ma indipendentemente da questi, ed il compito del filosofo non è pertanto creare la verità ed imporla al discepolo, operazione che sarebbe arbitraria, quanto aiutare il discepolo a partorire la verità che egli ha in se stesso. Così anche nel caso della logica sostanziale: le categorie, in quanto sono il pensiero e questo è l’assoluto, sono esse stesse la verità, che si trova in tutti noi. Tutti noi siamo l’Assoluto nel nostro Logos. Il filosofo è colui che è in grado di comprendere tale Logos, di diventarne consapevole e può pertanto aiutare i propri simili a fare la stessa operazione di presa di coscienza, di autoconoscenza, che egli ha fatto per primo, ma non per questo ha più Logos degli altri, semplicemente ne è più consapevole.

Secondo la logica sostanziale, dunque, il filosofo non può arrogarsi il diritto di elencare e scegliere le categorie, perché così si arrogherebbe il diritto di conoscere lui, io individuale, l’Assoluto; egli può soltanto, annullando completamente la propria personalità soggettiva, atto di umiltà e modestia totali, dar voce alla logica che le categorie, essendo il Logos, hanno in se stesse. Dunque non è il pensatore, che sia Hegel o un altro qualsiasi, che deve imporre una propria logica alle categorie, in quanto queste, avendo la logica in se stesse, non ne hanno proprio bisogno. Esse sono, infatti, la logica, come potrebbe mai un essere umano finito, fosse anche un filosofo o uno scienziato, stabilire lui l’ordine logico di esposizione delle categorie? Il filosofo deve umilmente riconoscere tale logica interna alle categorie e quindi esprimerla, attenendosi ad essa, limitando allo stretto necessario i propri interventi. Dunque egli avrà una funzione maieutica rispetto al Logos, aiuterà il Logos ad autoconoscersi e quindi ad esprimersi.

Insomma, l’idea fondamentale della logica sostanziale è che le categorie abbiano una propria logica, che quindi il filosofo deve soltanto individuare, poiché tale logica si sviluppa da sé, senza intervento esterno. Il punto fondamentale allora, il vero ostacolo, è quello di trovare l’inizio, la prima categoria, in quanto, una volta individuata questa, poi le altre seguiranno a ruota, derivando per logicità e necessità interne da essa.

Il problema dell’inizio della Logica-Metafisica, ossia la prima categoria, l’Essere (l’Assoluto è; affermazione)

Quale può essere allora la prima categoria? Riflettiamo un attimo insieme. Noi siamo arrivati al punto in cui sappiamo che la ragione è l’Assoluto e che essa è la nostra essenza, che noi possiamo conoscere in modo oggettivo, in quanto la possibilità della conoscenza della verità è una verità logica da una parte, un fatto empirico dall’altra, secondo quanto chiarito precedentemente nella teoria dell’io capisco.

Nella Logica soggetto ed oggetto sono uno, il soggetto, la ragione individuale, vuole conoscere l’oggetto, il Logos o ragione universale, praticamente però se stessa. Il pensiero conosce se stesso, questo è l’atto logico iniziale, il punto di partenza. Cosa conosce anzitutto il pensiero di se stesso, la ragione di se stessa? Abbiamo già una verità, sappiamo già qualcosa in questo momento iniziale? In effetti, già sappiamo che esso è, dunque il suo essere, la ragione che si sta conoscendo, quindi il fatto che essa esista non può esser messo in dubbio (il cogito ergo sum cartesiano). Pertanto il suo ‘essere’ è la prima cosa, la prima nota, la prima determinazione che possiamo attribuirle. L’Essere è pertanto anche la prima categoria. 

Dunque, la prima categoria del pensiero, la prima determinazione della ragione, è l’Essere. Ed infatti questa è, come sappiamo da Parmenide, anche la categoria fondamentale della metafisica: tutto è, prima ancora di essere qualcosa di specifico. È la determinazione più generale, meno specifica, ma anche più universale, si può attribuire a tutto, ad ogni oggetto materiale o anche spirituale, nel momento stesso in cui lo pensiamo. 

Il Nulla come seconda categoria (l’Assoluto è Nulla; prima negazione)

Evidentemente però, sapere che la Ragione Assoluta è, non significa ancora co-noscerla, non ne abbiamo ancora determinato il contenuto. Quel che ne sappia-mo dunque, in questo stadio della conoscenza logica, è ancora nulla. Ed infatti proprio il Nulla è la seconda categoria della ragione, che, come si può vedere, è emersa, è uscita, dalla stessa nostra riflessione passiva sulla categoria di Essere.  Non siamo stati noi ad aggiungere, secondo una scelta soggettiva arbitraria no-stra, la categoria del Nulla a quella dell’Essere, bensì essa si è imposta alla nostra riflessione come la categoria necessariamente successiva a quella dell’Essere. Noi dobbiamo riconoscere ciò, questa sequenza logica, non crearla. In ciò consiste la connotazione maieutica della metodologia adottata.

‘Essere’ e ‘Nulla’ sono pertanto le prime due determinazioni del Logos, le prime due categorie della Logica. Non siamo noi a determinarle, ma esse si autodeter-minano, si sviluppano l’una dall’altra, in particolare il Nulla risulta dall’Essere, ma anche si può dire il contrario, ossia che il punto di partenza della logica sia la ragione, della quale non sappiamo ancora nulla, se non che è. Da questo punto di vista viene prima il Nulla e poi l’Essere come sua negazione.

Quindi, come si vede, le categorie che noi attribuiamo alla ragione in questo sta-dio iniziale della sua conoscenza, sono le categorie più semplici, che apparten-gono a tale stadio iniziale anche senza il nostro intervento e la nostra scelta, ap-partengono allo stesso concetto iniziale della ragione che conosce se stessa. All’inizio essa non può sapere di sé se non che è, ma così non sa praticamente ancora nulla.  Tale autoconoscenza è oggettiva, appartiene al concetto stesso del pensiero che conosce se stesso, non al filosofo, il quale pronuncia solo tale veri-tà, non la crea.

Il divenire come terza categoria (l’Assoluto è Divenire; seconda negazione o negazione della negazione) 

Allo stadio di conoscenza, cui siamo pervenuti, abbiamo dunque l’Essere ed il Nulla, il pensiero di sé sa che è, ma non sa ancora quel che è. Tale ‘ancora’ in-troduce un ulteriore passaggio logico e con esso una nuova categoria: il Diveni-re. Noi sappiamo infatti ora che il Logos, la Ragione Assoluta, sta divenendo, si sta presentando, la stiamo conoscendo, essa è in divenire, si sta formando. Le categorie in sostanza si stanno sviluppando. 

Pertanto il Divenire è la categoria successiva, che chiude questo primo stadio, in quanto il divenire esprime il rapporto, l’unità tra l’Essere ed il Nulla. Se qualcosa diviene, significa infatti che passa dall’Essere al Nulla o dal Nulla all’Essere (la nascita e la morte, l’inizio e la fine etc.). Il Divenire segna pertanto la relazione tra le prime due categorie, tra Essere e Nulla. 
Principi generali dell’Assoluto: il concetto di ‘momento’
L’Essere ed il Nulla come tali sono ’momenti’ (concetto molto importante della logica sostanziale, questo) del Divenire, che è ora la sola categoria vera, al quale contiene in sé Essere e Nulla. Essere e Nulla sono momenti unilaterali, parziali, il tutto, quel che veramente esiste a questo livello di sviluppo logico, è il Divenire della ragione che conosce se stessa. Questa è la verità che abbiamo ora, la ra-gione si sta autoconoscendo, sta divenendo, è questo stesso divenire di sé.

Se vogliamo ora considerare la cosa da un punto di vista metafisico, avendo det-to che si tratta di una logica sostanziale ed oggettiva, non formale e soggettiva, potremmo esprimere la verità, raggiunta finora, nella seguente frase: L’Assoluto è Divenire, passaggio dall’Essere al Nulla e dal Nulla all’Essere. Tale pensiero anzitutto ci riconduce all’altro grandissimo pensatore greco che con Parmenide ha fondato la metafisica, ossia Eraclito; in secondo luogo è un pensiero straordi-nariamente in accordo con la visione scientifica attuale del mondo, per la quale tutto è evoluzione, divenire, temporalità. Vedremo che la concezione logico-sostanziale, pur essendo notevolmente più articolata e complessa, nondimeno porta innegabilmente in sé la visione della realtà come processo, come divenire, del tutto in accordo con la visione scientifica attuale del mondo.

Concluso questo primo ragionamento logico, che ci ha portati ad individuare nel Divenire la prima categoria sintetica, che contiene in sé come suoi momenti l’Essere ed il Divenire, possiamo riflettere ulteriormente sul metodo che stiamo seguendo, individuando così gli altri principi generali della Ragione Assoluta, o, il che è lo stesso, della struttura razionale del mondo.

Principi generali dell’Assoluto: la totale immanenza dello sviluppo

Anzitutto bisogna chiarire che non si tratta di un vero e proprio metodo, che sia esterno alla cosa stessa, ma è il movimento, lo sviluppo che le categorie hanno in se stesse, che produce il metodo. Per cui noi riflettiamo sul metodo dal di fuori, ne estraiamo i principi generali, ma dev’essere chiaro che non siamo noi ad imporre il metodo alle categorie, bensì queste si devono sviluppare secondo un andamento interno, che non accolga nulla dal di fuori, l’una dall’altra. 

Quindi abbiamo già i principi della totale immanenza dello sviluppo, della cosa stessa, dell’autosviluppo quindi. Anche questo è un aspetto fondamentale del mondo: il mondo si sviluppa in modo immanente, senza nulla che possa incidere da fuori, il suo è un autosviluppo. 
Principi generali dell’Assoluto: l’Aufhebung, il superare conservando

Un altro principio fondamentale è quello dell’Aufhebung (superamento conser-vante, superare conservando, l’espressione tedesca è intraducibile in italiano con un singolo termine). Il Divenire supera sia il Nulla sia l’Essere, ma li conserva poi in sé nel proprio concetto, in quanto esso altro non è che il passaggio dell’Essere nel Nulla e del Nulla nell’Essere. Quindi ciò che nello sviluppo viene superato, non va completamente perso, ma resta in modo ideale, non più reale, ma resta. Lo sviluppo è quindi accrescimento, progresso, che naturalmente non implica alcuna valutazione, alcun giudizio. Ci può essere un progresso per noi negativo, quale quello di una malattia, nondimeno esso, considerato in sé, è sviluppo, perfezionamento, appunto progresso. 
Principi generali dell’Assoluto: l’affermazione, la negazione prima e la nega-zione seconda o negazione della negazione

All’interno del processo dello sviluppo, contraddistinto dall’Aufhebung, vanno segnalati tre momenti fondamentali: l’affermazione, la negazione prima e la negazione della negazione o negazione seconda, come abbiamo evidenziato nei paragrafi relativi.

L’affermazione è il primo momento, quello iniziale (nel caso dell’inizio della Logica, l’Essere). È la posizione, ciò che è immediatamente, il concetto da cui si parte. 

La negazione prima è, invece, il togliere di tale affermazione, ossia la sua nega-zione (nel caso nostro il Nulla). Questo momento è assolutamente essenziale, è il vero motore dello sviluppo, se non ci fosse questo, non vi sarebbe sviluppo. La negatività è la caratteristica fondamentale dell’essere, anche di noi stessi, noi continuamente neghiamo quel che è, così andiamo avanti, procediamo nella vita.  A volte ciò ci stanca e desideriamo rilassarci, fermarci, essere positivi nel senso di posizionati, fermi, affermativi; ma poi dopo un po’ ci annoiamo e di nuovo inizio la frenesia, chiamiamola così, della negatività, l’abbandono della posizione statica e l’avvio di altra attività, altri progetti. Si potrebbe dire che quanto più una persona è spirituale, tanto più è negativa rispetto alla stabilità, rispetto a ciò che è, lo vuole superare, cambiare. Il momento della negazione è il vero momento dialettico, ossia dell’opposizione a quel che è e quindi della ricerca di un suo superamento.

Infine, il terzo momento è quello della negazione seconda o negazione della ne-gazione, ossia si raggiunge una nuova posizione, una nuova affermazione, che è superiore a quella da cui si era partiti, in quanto contiene in sé tutto quel che le ha apportato il momento negativo. Tale posizione è quindi sintetica, contiene in sé l’intero processo proprio della negazione, ma che ha ora raggiunto una sua nuova stabilità, per quanto, ovviamente, temporanea.

Principi generali dell’Assoluto: distinzione tra vero e falso infinito, la dialettica come struttura del reale

Questa nuova affermazione a sua volta avrà una sua negazione e così il processo andrà avanti, ma non all’infinito. Nella sequenza delle categorie, infatti, vengono chiarite anche la categoria del finito e dell’infinito. Il finito è il momento parziale dello sviluppo, quello affermativo e negativo (nel caso della prima triade l’Essere ed il Nulla); l’infinito invece il terzo momento, quello sintetico (nel caso nostro il Divenire). Pertanto l’infinito è da intendersi come il compiuto, ciò che è il risultato dello sviluppo, che contiene in sé come superati, ma anche conservati, i momenti da cui esso è, appunto, risultato.

Da questo concetto di infinito, che è il vero infinito, bisogna invece distinguere il falso infinito, che è quel che nella vita quotidiana comunemente s’intende per infinito (il progresso all’infinito). Questo è mera ripetizione senza mai pervenire ad un risultato compiuto, che dia un senso allo sviluppo. 

Questa distinzione categoriale è fondamentale nella logica sostanziale, in quanto ha conseguenza enormi a livello umano per es. nell’etica. Da un punto di vista del falso infinito, potremmo dire che la nostra vita è un processo positivo e ne-gativo che alla fine non raggiunge nulla, tanta fatica vivere, insomma, alla fine per nulla. Costruiamo, lottiamo, gioiamo, soffriamo alla fine per nulla. Ma non è così dal punto di vista del vero infinito, per il quale non è la ripetizione quantita-tiva che conta ed ha valore, ma la qualità del risultato. Per es. noi studiamo, im-pariamo, facciamo gli esami, secondo un processo costante, che ci sembra non portare a nulla ed essere ripetitivo. Ma in tale processo noi modifichiamo noi stessi, impariamo un mestiere, modelliamo il nostro spirito e diventiamo il risul-tato di tale processo di apprendimento. Per cui ci sembra di esser passati per una sequenza inutile di momenti negativi e positivi, una dialettica, ma quel che conta è il risultato finale, non il voto alla tesi di laurea, ma la nostra preparazione, noi stessi come risultato del processo dialettico di apprendimento. Noi stessi siamo l’infinito vero della sequenza di momenti finiti (lezioni, esami, seminari ecc.). La laurea guadagnata col sudore ed i sacrifici degli esami suggella il processo dialettico e dà un senso ai momenti finiti del suo sviluppo, essa è la testimonian-za che noi abbiamo imparato qualcosa, che siamo diversi da quando ci siamo iscritti all’università, abbiamo conseguito una qualifica, una capacità, la quale ci predispone ad esercitare una professione all’interno della comunità, in cui vi-viamo. La laurea comprata - esiste purtroppo anche questo -, senza il processo, non ha alcun valore e ciò non per la società, per la quale al contrario magari po-trebbe addirittura anche averlo, se nessuno scopre il fatto, ma per noi stessi e per la logica, perché manca tutto il processo dialettico dell’apprendimento e della modifica dell’io (ossia dell’assimilazione del sapere frutto del lavoro di altri es-seri umani, altre generazioni ecc.).

Anche un rapporto d’amore è così: la sequenza di incontri, scontri, baci, carezze, magari anche litigi ecc. è un processo che come tale, per avere un senso ed un valore, deve portare ad un risultato, ad un infinito, che è la coppia, la famiglia. Essa contiene in sé il processo, quindi i due singoli, il positivo ed il negativo, ma in un’unità, la coppia in cui ognuno si vede riconosciuto nell’altro. In tale risul-tato l’io esiste soltanto come momento della coppia, è aufgehoben (participio passato del verso tedesco aufheben, che corrisponde al sostantivo Aufhebung), è dunque superato ma anche conservato ad un livello superiore. Esso non è più solo e ciò grazie all’altro, nel tutto della coppia, e può ora diventare marito, mo-glie, padre, madre. La coppia stabile è l’infinito vero, il risultato del processo dialettico dell’amore. A sua volta poi la coppia dà vita ad un altro processo, quello della generazione naturale e poi spirituale (educazione) dei figli, in cui l’infinito vero sarà il risultato, ossia il figlio ben educato e capace a sua volta di generale altra umanità ben educata con un altro rapporto d’amore e così via.    

Insomma la logica sostanziale ci fornisce una chiave per interpretare la realtà, in quanto presuppone il fatto che le categorie logiche non siano solo proprie del pensiero, ma di tutto l’essere, secondo l’identificazione di pensiero ed essere parmenidea che sta alla base di tutta la storia della metafisica e della filosofia.

Il risultato (vero infinito) come fine interno dello sviluppo

A questi principi fondamentali bisogna aggiungerne un altro, quello del risultato come fine interno. Il risultato non è infatti tale casualmente, ossia dal rapporto tra affermazione e negazione vien fuori come risultato una negazione della ne-gazione qualsiasi, bensì è già presente come potenza dall’inizio. Per es. il nostro prima concepire l’Essere come affermazione, poi il Nulla come sua negazione, è già in se stesso Divenire, che poi viene esplicitato alla fine come risultato. In sostanza la Ragione già era in Divenire quando noi ragionavamo sull’Essere e poi sul Nulla, quindi il Divenire non si è aggiunto dopo, quasi come una somma aritmetica di Essere e Nulla, ma era già in atto prima, durante il processo, anzi era il processo stesso. La negazione della negazione è pertanto l’esplicitazione di quel che nel processo di passaggio dall’affermazione alla negazione prima è già implicitamente contenuto. Il vero infinito, dunque, opera già nei suoi momenti finiti e conferisce loro un senso, che è appunto il loro sviluppo ed il fine rag-giunto al termine di tale sviluppo. 

Ritornando agli esempi di prima, gli esami non conducono per casualità alla lau-rea, ma la laurea è già costruita pezzo per pezzo con ogni esame, essa è già pre-sente in ogni singolo momento del percorso che conduce al risultato finale.  Nel caso della coppia avviene lo stesso: l’uomo e la donna che pian piano capiscono di amarsi e voler vivere insieme vivono ciò non solo nel giorno decisivo, per es. quello del matrimonio, bensì in ogni singolo momento di tutto il percorso che conduce a quel risultato. 

L’infinito vero insomma appare come tale sono alla fine del processo, ma è pre-sente, per quanto in forma nascosta e silenziosa, in tutto il processo. Esso è al fondo dell’intero processo, ne è la sua base, il suo fondamento.

Principi generali dell’Assoluto: il circolo come figura geometrica adatta a rap-presentare il processo dialettico 

Un altro principio fondamentale della logica sostanziale è quello del circolo. Es-so deriva direttamente da quanto appena detto. Infatti, la figura geometrica adatta a raffigurare tale logica non è la linea retta o semiretta, quanto il circolo. Il processo raggiunge un risultato che come tale però, in forma ideale, gli preesi-steva, era appunto il suo fine. In questo senso la realizzazione del risultato, l’infinito vero, è la realizzazione dell’ideale, di un progetto che esisteva in forma ideale sin dall’inizio. Nel caso della prima triade Essere, Nulla, Divenire, il ri-sultato è il Divenire, ma la nostra idea iniziale era già quella di sviluppare la co-noscenza della ragione assoluta, quindi operava già il divenire suo come oggetto di conoscenza. Voler conoscere qualcosa, la Ragione nel nostro caso, è già pro-cesso, è già Divenire, lo implica. Come posso conoscere qualcosa senza un pro-cesso di conoscenza, dunque senza un Divenire? 

Insomma il processo non è casuale, ma tende alla realizzazione di un qualcosa di ideale, che viene presupposto nello sviluppo. Tale sviluppo allora riconduce al punto iniziale, da qui il circolo, con la differenza che all’inizio vi era soltanto l’ideale non realizzato, il concetto dell’albero nel seme, il concetto della famiglia nella coppia che si avvia ad una vita in comune, mentre alla fine il risultato è l’ideale realizzato, quindi l’albero esistente, la famiglia esistente ecc.  

Il processo è dunque passaggio dalla forma ideale dell’essere a quella reale, è un cambiamento dunque di forma, non di sostanza. 

Principi generali dell’Assoluto: la creatività 

Infine, l’ultimo principio che possiamo ricavare, ma che è forse, insieme a quello dell’Aufhebung, quello più significativo, è quello della creatività. L’intero processo logico-dialettico è creazione, nella logica di categorie, nella realtà di essere concreto. La Ragione Assoluta è creatrice, dà vita a tutto quel che è, al Monos, di cui abbiamo parlato, all’Uno-Tutto che esiste ed al suo interno ha tut-to ciò che è, che ha un inizio ed una fine, dunque al mondo.

Anche questo principio ha un’influenza decisiva sulla vita pratica nostra: ciò significa che la nostra essenza razionale non vuol dire tanto che siamo capaci di capire, quanto soprattutto che siamo capaci di creare, siamo nella nostra essenza ’creatori’. La nostra felicità, la nostra autorealizzazione allora, non consisterà in altro che nel creare, nel vivere secondo la nostra essenza creatrice.

Creare significa anzitutto ideare qualcosa (un viaggio, un’opera d’arte, una fa-miglia, una legge, un oggetto artigianale ecc.), poi, attraverso vari momenti, che sono anche fasi o stadi dello sviluppo, i suoi momenti dunque, realizzarlo. Alla fine l’opera compiuta sarà l’infinito vero del processo dei vari momenti finiti (per es. la nascita dei figli, gli stadi della loro vita, sono le fasi, i momenti finiti della vita di una famiglia; gli esami i momenti finiti di una laurea; la costruzione delle fondamenta e dei vari piani i momenti finiti dell’infinito che è poi la casa ultimata, e così via).

Approfondiremo tale concetto fondamentale della creatività nella parte etica, qui era importante gettare un ponte tra la logica-metafisica e l’etica e capire come la seconda si fondi sulla prima.

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