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2014c: SINGOLO, FAMIGLIA, COMUNE  RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO OMOSESSUALE

2014c: SINGOLO, FAMIGLIA, COMUNE RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO OMOSESSUALE

 

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2014c

(Novembre)

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SINGOLO, FAMIGLIA, COMUNE

RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO OMOSESSUALE

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Saggio

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Pubblicazione cartacea: no

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Pubblicazione digitale: sì, qui di seguito

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La questione, attualmente molto dibattuta, del matrimonio tra persone dello stesso sesso dimentica del tutto un fenomeno molto diffuso negli anni sessanta e settanta: la Comune. Il principio della Comune è che un gruppo di persone decide di vivere insieme, mettendo in comune tutto, anche i figli, che diventano appunto figli della Comune. In tale forma istituzionale si perde pertanto il vincolo, esistente nella famiglia tradizionale (quella che la sinistra dell’epoca, sulla scia di Marx ed Engels, definiva la ‘famiglia borghese’), del rapporto esclusivo tra un uomo e una donna. La Comune è un sistema aperto, dove non esiste l’esclusività né nel rapporto tra uomo e donna né nel rapporto genitoriale con i figli. 

L’unione omosessuale sembra essere nel suo concetto molto più vicina alla forma istituzionale della Comune che non alla forma istituzionale della Famiglia propriamente detta. Se quest’ultima, infatti, si fonda sull’esclusività sia nel rapporto coniugale sia nel rapporto genitoriale, l’unione omosessuale invece non si fonda su tale esclusività. La coppia omosessuale per definizione non può generare figli (non perché lo vogliamo noi esseri umani, ma perché è un limite imposto dalla natura in cui viviamo e da cui dipendiamo), e di conseguenza, nel momento in cui vuole giustamente assicurarsi una discendenza, deve aprirsi a un terzo, che sia uomo fecondante o donna partoriente. Per questo motivo da due si passa a tre elementi, in quanto l’uomo che dona il seme o la donna che dona l’ovulo e in più il parto entrano in tal modo a far parte dell’unione omosessuale, giacché poi i figli porteranno in sé il patrimonio genetico di tale terzo (per non dire poi di eventuali, posteriori legami psicologici con il padre o la madre assenti, ma comunque di fatto presenti a livello proprio cromosomico e genetico). 

Non è però soltanto per tale motivo che la coppia omosessuale è più una triade che non una coppia. Vi è un motivo più profondo ancora: poiché due persone dello stesso sesso per definizione non bastano a creare una famiglia e comunque devono ricorrere a un terzo, per questo stesso motivo non vi è alcun motivo, alcuna forza che imponga la limitazione al numero di due. L’unione omosessuale può tranquillamente essere costituita da tre o anche più individui che si amano e desiderano trascorrere il resto della vita insieme, generando bambini, con l’ausilio dell’altro sesso. Pertanto si posso immaginare unioni omosessuali di tre e più individui: perché essere soltanto due, dato che comunque non si è autosufficienti per essere Famiglia? La visione odierna del ‘poliamore’ va in questa direzione, indipendentemente dal fatto che ci sia etero oppure omosessualità o anche entrambe. 

La Famiglia tradizionale, infatti, si basa sulla coppia fissa, in quanto tale coppia è per natura autosufficiente: essa può creare nuova vita, educarla fino a che sia adulta e in grado a sua volta di generare altra vita. Così va avanti la specie umana secondo il progetto della natura.  La coppia omosessuale invece non può restare coppia, se vuole generare, ma deve aprirsi a un terzo, un quarto etc. elemento, poiché non si è autosufficienti come coppia. Non v’è, dunque, alcun motivo per limitare il numero dei partecipanti al rapporto a due, al contrario tutto indica che occorra ampliare tale numero al fine della procreazione. 

Per questo motivo, la coppia omosessuale non è concettualmente assimilabile alla coppia eterosessuale. La seconda dà vita alla Famiglia propriamente detta, che come tale si basa sulla coppia fissa, autosufficiente e generante nuova vita; la prima invece può dar vita soltanto a una Comune, la quale può essere formata da 2 individui (più comunque il terzo che presta se stesso per la riproduzione), ma anche da più di tre individui, senza alcun limite.  

Le istituzioni sociali fondamentali della vita dell’uomo sembrano allora essere concettualmente le seguenti:

1.  Il Singolo (colui/colei che decide di vivere da solo e di non generare altra vita, anche se qui si apre una parentesi: e se il Singolo decide di procreare tramite un prestatore d’opera di sesso opposto, che poi scompare, e quindi alla fine ha un figlio, è questa una Famiglia?);
2.  La Famiglia propriamente detta (due persone di sesso opposto che decidono di mettersi insieme per procreare) in modo autosufficiente;
3.  La Comune, tutte le altre forme di convivenza, in cui il numero di due non è autosufficiente e vincolante, per cui sono unioni aperte a un numero in linea di principio illimitato di conviventi). 

Il concetto di Famiglia va concettualmente riservato soltanto all’istituzione familiare di cui al numero due. Qui vige l’autosufficienza della coppia e la sua esclusività. Le unioni in cui la coppia non è autosufficiente e hanno bisogno comunque di un terzo elemento per la generazione, vanno concettualmente inserite nella categoria della Comune. Che questi poi si sposino o meno, è una decisione di carattere pratico e politico, non di principio. Se però essi decidono di avere prole, sembra essere meglio che diano stabilità al proprio rapporto, quindi che si sposino. Resta però aperto il problema del numero: se, infatti, sono più di due, quindi tre o più persone che desiderano convivere (il che concettualmente è possibile in quanto non c’è l’autosufficienza e l’esclusività della coppia eterosessuale), si dovrà poi celebrare un matrimonio a tre, quattro etc.? Probabilmente occorre pensare a una forma allargata di matrimonio, dunque di legittimazione del vincolo, adatto a un numero superiore a due e quindi alla Comune.

Iin conclusione occore precisare, che le distinzioni qui proposte sono soltanto concettuali e logiche,non valoriali. La Famiglia non ha un valore superiore da un punto di vista etico alla Comune. L’importante è che ci sia alla base il vincolo dell’amore e del progetto comune di prendersi cura della prole. Perché senza prole si può parlare di Coppia (o Coppie in una Comune, ma non di Famiglia o di Comune nel senso etico del termine, come istituzione sociale regolata da una corrispondente forma di matrimonio). La Coppia di per sé non è ancora entrata nella dimensione dell’eticità, poiché manca il vincolo della procreazione e quindi della generazione di nuova umanità. La Coppia è in sostanza l’ampliamento della vita del Singolo, il suo miglioramento e rafforzamento, che può però terminare in qualsiasi momento, giacché non esiste un vincolo verso terzi (il Figlio). La Famiglia, invece, come anche la Comune (con Figli) implica il dovere dell’accudimento del Figlio e quindi porta in sé il principio della responsabilità etica. 

Famiglia e Comune possono, dunque, essere entrambe forse equivalenti di procreazione e riproduzione dell’umanità, l’importante è che non si confondano concettualmente l’una con l’altra. Ciò è molto importante poiché fonda l’ulteriore principio che il terzo che interviene nella coppia omosessuale, il prestatore o la prestatrice d’opera, non può semplicemente essere usato come mezzo e poi escluso, poiché, in quanto comunque parte genitrice, porta con sé il vincolo etico della responsabilità verso il Figlio, che è responsabilità etica di prendersene cura. Il vincolo genetico è il fondamento biologico dal quale non si può prescindere, esso esiste, anche se ovviamente gli subentra poi l’amore e il vincolo etico e spirituale, che è più importante,  nondimeno tale vincolo naturale di base non può essere semplicemente ignorato come se non esistesse. Insomma, la coppia omosessuale,  nel momento in cui genera, diventa volente o nolente Comune e così dovrebbe poi impostare la propria vita futura. Il che non significa che si debba vivere fisicamente insieme, ma il prestatore o la prestatrice d’opera non possono semplicemente scomparire dalla vita di un Figlio che comunque hanno messo al mondo, di cui sono responsabili e che porta in sé il patrimonio genetico. 

Lo Stato deve creare gli istituti giuridici atti a inquadrare queste distinzioni concettuali in forme di vita corrispondenti per mettere ordine logico nella materia reale e sociale della vita comunitaria degli esseri umani. 

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